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Autore: Suzerain    02/10/2019    0 recensioni
Arriverà sempre, alla fine di tutto, il momento in cui avanzando su un terreno vermiglio a circondarti saranno solo paura e tormento. Come fossero un rovo di spine, si stringeranno intorno al cuore sino a quando non l'avranno fatto a pezzi; e sarebbe allora divenuto pari alle viscere d'un animale, ed i corvi ne avrebbero fatto banchetto. E si sarebbero poi mossi agli occhi, alle mani – solo un corpo abbandonato a se stesso, sotto un cielo di porpora.
{caeles | writober2019, giorno #2}
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Titolo: Inizio e fine, fine ed inizio.
Autrice: Suzerain.
Ambientazione: Caeles – parte prima.
Personaggi: Korina Xelsha, Neriah De Rouvroy (accennato), Rilas Herschel (accennato), Sorne (accennato).
Desclaimer L'universo di Caeles è proprietà intellettuale mia e di lorentzade, e così i suoi personaggi e le situazioni narratevi.
Note dell'autrice: Oggi non ho avuto tempo di scrivere quanto avrei voluto, per cui non so se sono soddisfatta o meno di questo scritto. Sto cercando di approfittare del writober per scrivere di quei personaggi cui non mi dedico mai particolarmente, ma si sta rivelando una sfida (dacché non sono nati dalla mia mente, ma di quella della Lor). Korina è uno di quei personaggi la cui psicologia diviene, ad un certo punto della trama, estremamente complessa - perché complessa è di certo la sua relazione con suo fratello, come dal warning di incest potrete immaginare; fratello che in questa storia è presente nella sua assenza, o almeno, questo è l'effetto che spero d'essere riuscita ad ottenere, nonostante abbia come già detto avuto poco tempo sia per produrre che per revisionare il tutto.
Il writober è di certo bello, ma dover rushare le storie è sempre un po' tremendo (...).

 

Sconfitta e vittoria, vincitori e vinti. E' l'inevitabile conclusione d'ogni battaglia, indipendentemente da quali e chi siano le parti coinvolte. 
Arriverà sempre, alla fine di tutto, il momento in cui avanzando su un terreno vermiglio a circondarti saranno solo paura e tormento. Come fossero un rovo di spine, si stringeranno intorno al cuore sino a quando non l'avranno fatto a pezzi; e sarebbe allora divenuto pari alle viscere d'un animale, ed i corvi ne avrebbero fatto banchetto. E si sarebbero poi mossi agli occhi, alle mani – solo un corpo abbandonato a se stesso, sotto un cielo di porpora.

Arriverà sempre, alla fine, quel momento. Quello in cui avanzando tra montagne di corpi già dal nulla reclamati, a coglierti sarà il più puro terrore – respiri, sei vivo, eppure non lo sei allo stesso tempo; è morta, una parte di te, nell’attimo in cui la prima freccia è stata scoccata.
E che tu sia vivo, in fondo, non implica che lo siano anche gli altri. E vedrai allora accostarsi al terrore la consapevolezza improvvisa che potresti essere solo, e che all'arma che così fedelmente stringi tra le mani potrebbero di lì a poco sostituirsi  le spoglie di qualcuno. Un cadavere – l'ennesimo.
Ma sai già che non sarà il suo – è tardi, per quello. Lo è già, per ogni cosa. 
D'improvviso, quasi le viene da ridere. Quasi, per un attimo, la tentazione d'abbandonare quegli ultimi barlumi di sanità ch'ancora così avidamente stringe a sé è grande, immensa. E' finita, in fondo. E' finita. Se lo ripete più volte, in un'inquietante litania che abbandona la sua mente per spostarsi sulla sua bocca senza che nemmeno se ne accorga. Si ritrova a parlare da sola, a decantare della vittoria in un sussurro. E poi ad alta voce, da un momento all'altro. 
E' finita, ed è con questa consapevolezza che lo fa, che si lascia andare; e riecheggia nell'aria lo schiocco d'una corda che si spezza, chiaro come la luce del mattino. Le viene da ridere, e ride davvero, di una risata sguaiata e d’emozione priva; ride in quello ch’è un tentativo d’apparire ancora com’era stata un tempo: sprezzante. Viva. 
Attira gli sguardi di coloro che le stanno intorno, ma non si leva nell'aria nemmeno un commento – sarebbero parole al vento, lo dicono con gli occhi; e distogliendoli, la lasciano sola alla sua danza di follia. 
E lei continua, continua ad avanzare, a ripetere quelle parole come se fossero canzone con le iridi azzurre fisse sulla terra mentre porta al petto l'arma di lui; muta poi il tono, senza preavviso alcuno – ed è allora come se maledisse, la gola che brucia dal troppo gridare parole talvolta prive di significato. 
Stringe la sua arma ed urla, lasciandosi cadere in ginocchio, di forza priva. Lacrime a solcare le guance pallide, stringe quel singolo oggetto come fossero quelle spoglie già da tempo affidate al limbo. E forse tra quelle parole prive di senso chiama il suo nome, e per un attimo nella sua voce c'è il fantasma d'una scintilla passata; come l'idea della sua presenza le desse speranza, fosse anche solo per un istante.
E’ finita. Lo ripete per convincersene, come se una singola vittoria decretasse la fine di una guerra il cui ago pende dalla parte di coloro che affrontano; perché ha bisogno di certezze, Korina, ora più che mai. Ha bisogno di credere in quell’unica vittoria, nel fatto che alla fine gli dèi favoriranno i giusti. 
Ha bisogno di credere che la sua morte non sia stata invana, e ch’il nome di suo fratello non sia dimenticato – mai. 
Ride. Piange. Ride. Non lo sa più nemmeno lei. Non si rende conto nemmeno della mano di Neriah che lenta le solleva il viso, né di Rilas che con quella gentilezza di lui tipica la circonda con le proprie braccia e solo la stringe a sé, in un contatto silente che non ha bisogno d’ulteriori esternazioni. 
Chiude gli occhi e finge che lui la guardi. 
«Abbiamo vinto. Visto?»
Sanno entrambi che non è a loro che si rivolge. Rilas la stringe, e Neriah sorride appena, benché Korina non possa vederlo. Annuisce, persino. 
«Lo sa.», dice,  «Lo sanno.»
S’appoggia a Rilas di più, e lui lascia che trovi nel suo abbraccio la consolazione di cui ha bisogno. 
«Abbiamo vinto.» ripete. E c’è, nella maniera in cui la voce gratta contro la sua gola, nel tono spezzato del respiro di lei, il dolore di chi della rabbia e della vendetta ha fatto ragione del proprio andare avanti. «E vinceremo ancora.»
Rilas non riesce a trattenersi dallo stringerla un po’ di più. 
 

Poco distante, Sorne li guarda e d’improvviso ha come l’impressione che il petto si stringa in una morsa cui non è in grado di dare nome. 
Non ha la forza di dire loro che è appena iniziata.

 

   
 
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