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Autore: Selena Leroy    07/10/2019    0 recensioni
Su Jack Vessalius è stata imposta una damnatio memorie per non dover ricordare che quell'uomo è l'artefice del più grande tradimento mai subito dalla famiglia Baskerville: l'uomo più vicino a Glen, l'uomo che ha sfruttato quella vicinanza per colpire nel cuore del potere dei Baskerville e tentare la distruzione delle catene che impediscono al mondo di crollare in Abyss.
Però Jack è stato fermato, è stato spedito nella stessa Abyss dove voleva condannare tutti. Glen è riuscito persino a fermare lo spezzarsi delle catene, ma ha pagato il prezzo di una città che si è riversata negli abissi dove tutto il mondo doveva finire.
E adesso sono passati cento anni. Cento anni di pace, che sembrano non dover finire mai. In questo presente una ragazza di nome Oz viene presentata a due uomini appartenenti alla famiglia Baskerville, ricevendo l'invito di andare a trovare l'uomo che si presuppone essere suo padre.
Quell'incontro con gli dei della morte sarà per lei l'inizio di una lunga serie di disgrazie...
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gilbert Nightray, Jack Vessalius, Oz Vessalius, Vincent Nightray
Note: OOC | Avvertimenti: Gender Bender
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Accesesi quasi per volontà propria, numerose torcie illuminarono la fine della sua fuga. Un pesante cancello stanziava stranamente in fondamenta che non avrebbero dovuto portarla da nessuna parte, e catene dagli anelli consunti ma robusti invitavano ulteriormente a prendere le distanze da qualsiasi speranza di una possibile apertura. Dall'altro lato, solo il nero più oscuro.
"Ma che razza di scherzo è mai questo?!" si chiese Oz, e il terrore che sentì nelle viscere le impedì di dare al suo tono una nota più irritata. Si guardava intorno, cercando chi l'aveva condotta in quel posto, e sorprendendosi di trovarlo stranamente vuoto.
Doveva essere vuoto. Forse, in cuor suo, sperò anche di vederlo come un comodo rifugio, in attesa di una quiete che calmasse le acque.
Ma i suoi desideri furono nuovamente disattesi.
"Ecco la principessa!"
Alle sue spalle, dalla stessa scala che aveva visto il suo confuso ingresso, fecero capolino due figuri. Alti - eccessivamente - con visi sporchi di un incuria che segnava una vita trascorsa negli stenti. I capelli troppo unti per suggerire un colore differente dal nero e le vesti lacere a coprire corpi smagriti eppure agili nel circondarla.
Oz non si sentì mai in trappola come in quel momento. Il semplice desiderio di raggiungere la scala per riprendere la sua fuga divenne pura utopia, perchè entrambi assunsero posizioni di strategica malizia, capaci di renderla vittima delle loro grinfie ad ogni passo falso.
"Adesso, bambolina, starai zitta, buona e ferma, mentre noi ti prendiamo"
Dei due, solo il figuro di destra sembrava interessato ad intimidirla col mezzo della parola. L'altro la fissava con silenzio sbilenco, limitandosi a torvi sguardi e ad espressioni minacciose.
"Se..." Soffocò le unghie nei palmi, per sconfiggere il balbettio che minacciava di distruggere le sue corde vocali "Se oppongo resistenza... voi che farete?"
"Sarebbe una situazione spiacevole, non credi?" fece sempre il primo suo nemico, con sguardo divertito.
Divertito, sì, perchè ormai il lupo aveva messo all'angolo il coniglio cacciato con tanta fatica.
"I-Io non voglio v-venire con voi" disse, e lei stessa si sentì patetica per quella sua puerile invocazione. Ma era l'unica arma rimastale, quella della pietà.
"E noi non vogliamo che tu subisca alcun danno, bambolina, credimi!" fece l'altro, con tono stucchevole "Per questo ci piacerebbe vederti collaborativa. Vieni con noi e nessuno si farà male. Nemmeno il fesso che abbiamo preso al piano di sopra"
'Elliot' fu il suo primo pensiero.
Catturato per aver tentato di difenderla. Ferito per sua colpa, per mano di chi voleva lei, e non lui.
"Se davvero nemmeno questo ti spinge a più miti consigli... beh..."
Un'occhiata al suo degno compare, e poi, al loro congiunto annuire, Oz risentì nuovamente lo stridio confuso di catene lasciate al loro libero agire. Nuovamente coprì il viso, il timore per nuove ondate di polvere ad abbattersi sugli occhi e i timpani a sanguinare per il fracasso, ma quando percepì l'aria sporca solo dell'umido del posto, si scoprì alla sorpresa che i suoi nemici le avevano riservato.
Per poco, Oz non ebbe un mancamento. Le sue labbra quasi ebbero lesioni, per quello spalancarsi improvviso, e l'urlo che avrebbero dovuto cacciar fuori fu fermato dallo stesso terrore che lo aveva generato.
Oz, per la prima volta nella sua vita, fu costretta a rivedere le forme di un universo che credeva di conoscere. Di una realtà che non avrebbe dovuto più stupirla. Di una fantasia che si rivelò non essere più tale.
Dinanzi a lei, avvolti da fasce di lucide catene sottili, due esseri mostruosi la guardavano con desiderio, pregustando quasi il suo minuto corpo come se fosse già nell'incavo delle loro gole. Abbietti, enormi, vagamente umanoidi in quelle vesti verdi che ricordavano le forme di una carta, e pallidi come la morte che promettevano. Occhi che non erano davvero ciò che si presupponeva, neri come l'inferno che li aveva sputati, e labbra già scucite dal legame che non aveva mai retto per rivelare un desiderio mangereccio che paralizzò ogni sua razionalità.
Agghiacciata, corse con ferocia nella direzione contraria a quella dei suoi nemici, consapevole di avere alle spalle solo un inutile cancello colmo di ruggine e impossibilitato ad offrirle vie di fuga, ma non le restò altro, a lei, se non aggrapparsi a quelle grate e sperare in un miracolo, in una qualunque forma divina che la strappasse a quel luogo e la riconducesse al sicuro, da Ada, da Oscar Vessalius, da Elliot... da Gilbert della famiglia Baskerville.
Il resto fu nera oscurità

“Sei al sicuro, adesso”
Cosa fosse il mondo, ella lo dimenticò; il suo centro divenne quella voce, la stessa che l’aveva condotta su quel crinale e che aveva ritenuto erroneamente crudele. Il cuore tremava, al pensiero dei mostri che aveva lasciato alle sue spalle; sentiva il gelo della morte, sua compagna di giochi in quei fatidici istanti, irradiarle la pelle fino a frantumarla in ogni suo diafano filamento, ma cosa fosse l’orrore ella lo dimenticò nell’istante in cui lo scorse, e sentì un tepore sconosciuto avvolgerle l’anima.
Non ebbe coscienza di cosa fosse giusto dire. Il razionale aveva smesso di inseguire i suoi pensieri quando essi si erano diramati nella follia di un terrore incontrollato, ma seppure la quiete dominava il nero di quello che era il circondario, nessun desiderio di conoscenza ebbe l’ardire di rompere il silenzio, quasi si concretizzasse, il conoscerlo, nello sguardo vacuo al quale aveva deciso di incatenare i suoi occhi, nel quale si perdea senza avvertire il desiderio di essere ritrovata.
Sorrise, lui, e lieve porse sul suo viso una mano di bianco rivestita, celere nel cogliere una di quelle lacrime gelide nate da un sentimento che, senza abbandonarla, divenne a lei inviso e domato. Lasciò che egli la accogliesse nel suo elegante abbraccio, che la cingesse in un mondo dove l’aere non sapeva di morte, dove lo stridio di mostri dalla disumana forza e dall’ignominiosa bellezza devastavano il suo spirito, dove le risate sghembe dei loro padroni non ripetevano la sua esecuzione; lasciò che egli la cullasse, che sussurrasse parole di conforto, che parlasse di una vicinanza che ella non avrebbe dovuto concedere o credere, ma che riconosceva nella piacevole fantasia che fosse un angelo, lui, perché di quella beltà beava i suoi occhi, perché d’oro erano i filamenti della sua lunga chioma, perché al mondo ella non avrebbe mai visto, pure nella sua certamente modesta esperienza, qualcuno che ne eguagliasse l’incantevole fisionomia al fine da farle dimenticare cosa egli fosse se non un uomo di carne e di ossa.
Confusa; poteva chiamarsi così Oz. E avrebbe accettato la confusione perché, se solo l’irrazionale avrebbe concesso la sua visione, allora lei lo avrebbe abbracciato tutto.
“Oz, il tempo è per noi tiranno” calda, suadente nel cullarla maggiormente in quel suo periglioso indugiare, la voce di lui accarezzo quella chioma di lei tanto scarmigliata quanto a lui simile della stessa luminosità, e non negò un vago senso di vertigine, quando la consapevolezza piena di tale vicinanza le afferrò di malagrazia lo stomaco con uno sfarfallio titillante.
“Conosci il mio nome... dovrei chiedere il perché?” e se egli avesse risposto di no, le labbra di lei, inarcate in un sorriso, avrebbero accettato la sua decisione.
La piacevole brezza del suo respiro divenne ancor più soave, nel tendersi al suo orecchio, smuovendole fili selvaggi nella risata carezzevole che le donò.
“Ti darei il mondo, se solo tu osassi chiederlo, mia Oz” e le falangi di lui, lisce nel tessuto prezioso che le avvolgeva, cercarono ancora la pelle del suo viso, scorgendo ora nient’altro che un tedio piacevole ombrato da una confusione tanto distante quanto impercettibile per la sua stessa padrona.
“Io non voglio il mondo... milord”
“Per te sarò solo Jack, mia adorata Oz. E accetterò tutto ciò che vorrai. L’unica cosa che ti chiedo... è quella di accettarmi al tuo fianco. Di farmi tuo, e di usarmi come tu desideri. Chiamami per nome, e coloro che minacciano la tua vita periranno senza alcun indugio”
Lo cercò ancora, Oz, ancora avvolta dalle di lui braccia, ancora cinta in quello che era ormai diventato il suo pertugio, il suo porto franco. Scrutò quel viso stranamente familiare, affascinante nel suo catturare ogni sua capillare attenzione, sereno ad onta di ogni suo dilemma... e, sebbene nemmeno lo ebbe da cercare, una valida testimonianza al vero delle sue affermazioni, le trovò tutte lì, nella fiducia eterna che dipingeva il suo volto, nel battito lieve e costante che avvertiva sotto le tremule mani strette sul suo petto, fagocitate dal desiderio di lui nell’averla tutta per se.
“Perché... io? Cosa ho, io?”
“Tu, Oz, hai quanto io più bramo, possiedi nelle tue mani la ragione che mi spinge ad essere vivo, a chiamarmi Jack, a cercarmi in un universo che non sia l’indifferenza. Accettami, Oz, e permettimi di restarti affianco. Per favore...”
E fu, quell’ultima supplica, il supplizio di un morituro che ella non avrebbe mai potuto ignorare. Non seppe nemmeno lei il perché di quel pianto che andò a segnarle le guancie, e non domandò nulla alla sua anima, ignara di quella gioia selvaggia che aveva preso a tempestarle il petto.
“Io... lo voglio, Jack”
E al seguito non ci fu null’altro se non il bacio che travolse le sue labbra. Sapeva del ferroso sapore del sangue, la pelle di lui, sgradevole nel rovinare ciò che aveva le magie e le fattezze di un sogno, ma quanto descrivibile in ardimentosi rifiuti non si colmò che in un niente dalle striature di vuoto. Erano le di lei labbra prigioniere in quelle di Jack, il cuore a palpitare di un gioioso incontro che non aveva nemmeno mai prospettato, e la mente a obliarsi nel piacevole brivido che la investì quando la mano di lui rese quel bacio un legame inscindibile.
Il nero la rapì totalmente.

Duncan non conosceva la parola cambiamento. La sua vita era stata restia a mostrargliene il significato, e col tempo le aveva solo dimostrato che, se un reietto nasce per essere uno scarto della società, per quel verme non potrà null’altro accadere se non un motivo ulteriore che lo faccia sprofondare nella polvere. Era stata la debolezza di una speranza mai sopita a lasciarlo nelle mani di quel Card, così a lui restio nel mostrare le sue vere intenzioni ma così pronto ad accogliere i suoi desideri chiedendo, per compenso, solo il necessario numero di anime che avrebbe dovuto sfamarlo. E lui, di quello che doveva chiamare lavoro, vi aveva visto la soglia di un divertimento inumano, proibito.
Ecco quello che doveva essere la caccia alla strega, la stupida bastarda dei Vessalius che Card aveva tassativamente ordinato di uccidere. Non aveva mai avuto, fino a quel momento, un ordine specifico di assassinio, ma quel cambio di programma lo aveva preoccupato solo per il fatto che il tempo richiesto, per l’uccisione di una persona specifica, avrebbe sfiorato quelle che lui solitamente dedicava ai suoi macabri divertimenti. E, soprattutto, che avrebbe dovuto spartire tutto il bottino con gli altri assoldati in quella puerile ricerca, nata per scopi certamente nefandi ma altrettanto oscuri, la cui importanza rasentavano uno zero tanto oscuro da imitare la morte stessa, quella che lui alimentava nei suoi insani gesti.
Eppure, il percepire di un qualcosa di strano, di diverso, inquietò, pure di poco, il ladro di anime. La sensazione che un particolare stonante non andasse a combaciare con quello che prima aveva reso tutto una landa di smodato divertimento, e che questo costituisse un pericolo dal quale scappare con la dovuta cautela.
Oz Vessalius, i vestiti lerci e distrutti da quella caccia priva di senso, lasciava le sbarre di quel bislacco cancello senza una venatura di rimpianto a rendere la loro risata più isterica. Compostezza, eleganza, alterigia... Dancan nemmeno li conosceva, quei tratti distintivi, troppo nobili per illuminare la sua vita sciagurata, ma che fossero ivi presenti, a lui dispiegati come candidi veli di morbida seta, non fu qualcosa di inopinabile, di denigrabile, di ignorabile. Era beltà pura, di quelli che induceva il silenzio in un sospiro, uno sguardo di sfuggita, un battito in meno in un petto troppo colmo di rancore per scoprire cosa fosse l’amore.
Deliziosa... e non come cibo per il suo adorato mostro, non come sollazzo ad un passatempo ora decisamente tedioso nel suo essersi consumato in breve tempo; era una purezza che meravigliava per il suo essere disarmante e disarmato, uno spiraglio di luce che attendeva le giuste tenebre per divenire lei stessa oscurità, cedevole al male pure bianca come la vergine purezza.
Sì, era quello il nuovo svago che avrebbe prediletto, Dancan. Quell’uomo indegno perfino di un nome che ne riconoscesse l’esistenza, di una ragione che lo condannasse a vivere, di un motivo che lo rendesse meno mediocre di quanto si sentisse, aveva appena visto ciò che la sua infamia poteva rendere peggiore. Uccidere la luce, renderla del suo stesso livello e godere del sangue nero che sarebbe scorso all’uccisione della limpidezza.
E la giovane, delicata nel muoversi sullo specchio d’acqua venutole a bagnare i piedi scalzi, avanzava nel candore angelico perdendo le sue piume, nel luccichio malevolo che bagnava le iridi di smeraldo e nelle labbra che invitavano alla cessione più completa nelle mani della lussuria. Tra le mani l’oro asceso per la sua rovina, tutto ciò che l’uomo seppe fare fu gettarsi su di lei, famelico.
E, nel vero, tutto ciò che accadde a Dancan fu quella di spegnersi al compiersi del suo desiderio
Come la morte delle stelle.

Marco non si avvide del cadere inerme del suo compagno. Solitario nell’irrealizzabile, tremava di pietà nello scorgere la sua deliziosa bambina, quella giovane fanciulla uccisa da mani irrispettose, stretta nell’abbraccio che Oz Vessalius, di estatica bellezza in quella sicumera che trasfigurava i suoi lineamenti, le dedicava con l’amorevole cura di una sorella. Una voce qualunque, anche la più irrazionale, avrebbe urlato, allo stupido felice, quanto davvero impossibile fosse una simile visione, cantata dalla cristallina melodia delle catene, ma il deambulare lento nella direzione di lei non gli lasciava in viso altro segno se non quello della più nera follia.
E la piccola, diafana come il giorno in cui il suo corpo abbandonò per sempre la luce del sole, lasciò il collo di lei, le sorrise in un ultimo bacio affettuoso e si lasciò andare ad una corsa che avrebbe ricongiunto, nello straziante sogno di lui, un padre alla sua amata bambina.
Il suo chain avrebbe dovuto rigirare le lancette dell’orologio per consentirgli di salvarla, per portarlo lì dove la sua mano si sarebbe frapposta tra la sua piccina e il pazzo che le aveva strappato la sua infanzia, ma anche nella promessa a ronzargli nella testa ormai vuota, tutto quello che riuscì a fare fu abbassarsi nel giusto tempo in cui ella saltò tra le sue braccia, la voce squillante a chiamarlo per nome e gli occhi di giada a brillare festanti.
Chinatosi al suolo, tutto quello che Marco fece fu lasciare il mondo dei vivi, il sorriso sul volto e lo sguardo spento.

   
 
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