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Autore: SusanTheGentle    07/10/2019    6 recensioni
Ricordo il periodo delle medie…
Nella mia scuola c’era un ragazzo che non parlava quasi con nessuno. Era diverso da tutti i miei compagni, privo di quell’aria anonima tipica degli studenti della Toho, la carnagione un po’ più scura di un comune giapponese, come se avesse passato tutta la vita sotto il sole. E, come il sole, brillava di luce propria. Fu per questo che attirò la mia attenzione.
Lui spiccava prepotente tra la folla, simile a un felino dentro un recinto di pecore tutte maledettamente uguali.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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19. La festa delle stelle innamorate
 
 
 
Si riprese il proprio spazio, le proprie mani, finite non seppe come attorno al volto di lei. Mark fece un paio di passi indietro, guardandola con un misto di stupore e discolpa.
«Scusa…scusa», si affettò a dire prima che lei esplodesse. Perché sarebbe esplosa, giusto? Quasi sicuramente gli avrebbe rifilato uno schiaffone come si deve, perché era arrabbiata adesso. Doveva esserlo. Insomma, lui aveva appena fatto l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare: baciarla.
Kira stava immobile, le braccia lungo i fianchi, la bocca semi aperta e gli occhi spalancati come se nemmeno lei ci cedesse. Non si era ancora ripresa dallo shock, perché di quello si trattava. Mark la vide portarsi le mani al viso, le quali corsero poi a coprire parzialmente le labbra, le guance in fiamme.
«M-ma che ti salta in mente?»
Una domanda posta in tono debole quando avrebbe dovuto essere un’esclamazione, un grido di terrore. Mark non riuscì a decifrare lo stato d’animo della ragazza; a capire se stesse elaborando la situazione in bene o in male.
Male. Indubbiamente male.
Allora perché non lo picchiava? Perché non cominciava a sbraitare quanto fosse rozzo e cafone?
«Non volevo» aggiunse lui, muovendo le mani per enfatizzare la propria negazione. «È solo che…»
Kira chiuse la bocca, deglutì e scosse la testa una volta.
No? Cosa no?
«Non…fa niente»
«Ah…». Okay, si disse lui, non era arrabbiata. Andava bene per una volta ma…non benissimo. Mark avrebbe preferito che lo fosse. Si sarebbe sentito in qualche modo più sicuro affrontando una situazione familiare. Infuriarsi sarebbe stato un atteggiamento…da Kira. Così, invece, non aveva scappatoie per arrabbiarsi a sua volta, magari litigare su chi fosse lo stupido della situazione, mettere il broncio, e tra un paio di giorni punzecchiarsi nuovamente e poi riderci sopra.
Da una parte era forse meglio che lei non urlasse, o avrebbe attirato l'attenzione di tutta la scuola, solo che se Kira non iniziava a dire qualcosa di concreto prima di subito, Mark avrebbe pensato che…
«Kira-chan, sei stata velocissima!» esclamò la voce di Jem nel mezzo della folla. Giunse alle spalle dell’amica con passo zoppicante, Ed appena dietro di lei.
Kira ricambiò l’abbraccio di Jem meccanicamente, ringraziandola con voce stentata. Guardò verso Mark mentre altre persone le si avvicinavano e la ressa li separava lentamente, sospingendoli in direzioni diverse.
Mark avvertì il tocco di una mano sulla spalla e si sforzò di distogliere gli occhi sulla figura della pattinatrice. Un profluvio umano si chiuse su di lui e non la vide più fino al termine della premiazione.
Tutti gli atleti si misero in fila per sfilare un’ultima volta. I più meritevoli ricevettero delle piccole medagliette placcate in oro come ricordo della giornata, mentre la sezione vincitrice ebbe in premio, oltre alla medaglia, una statuetta rappresentativa della giornata dello sport. Il preside consegnò personalmente i trofei, congratulandosi coi ragazzi e ringraziando i genitori che avevano partecipato.
Infine, la folla si disperse. Dappertutto risuonavano auguri di buone vacanze, gli amici si abbracciavano e tutti si davano appuntamento allo stadio a fare il tifo per la squadra di calcio.
«Complimenti per la vittoria, capitano. Siete stati proprio forti» si congratulò Ed più tardi, appoggiato a un muretto nei pressi del cancello insieme a Mark, in attesa che i rispettivi genitori terminassero i saluti. Chissà per quale motivo gli adulti finivano sempre per prolungarsi più del dovuto.
«Grazie, Ed. È stato un peccato che la vostra sezione non ce l’abbia fatta»
Ed alzò le spalle. «Non importa. In fondo, il pretesto di questa competizione era quello di divertirsi, no?»
«Suppongo di sì». Mark giocherellò con la statuetta di metallo e resina che rappresentava un ragazzino in corsa nell’atto di tagliare un traguardo. Ogni dieci secondi i suoi occhi scattavano verso Kira. Lei stava un poco più in là accanto a suo padre e sua nonna, aspettando pazientemente il momento di andare a casa. Tra le mani reggeva la borsa con gli indumenti del pattinaggio, facendola dondolare piano mentre spostava il peso da un piede all’altro in un ondeggiare nervoso. Guardava il suolo, sollevando solo ogni tanto la testa per sorridere e annuire agli adulti.
Notando dov’era indirizzato lo sguardo del suo capitano, Ed sfoderò un ghigno faceto, appoggiandosi comodamente al muretto a braccia conserte. «Dai, racconta. Com’è stato?»
«Com’è stato cosa?»
«Baciare Kira»
La statuetta cadde dalle mani di Mark e una gambetta si ruppe. Il ragazzo si affrettò a raccoglierla. Sua madre non sarebbe stata felice di sapere che l’aveva rotto il trofeo.
«Così disastroso?» ironizzò il portiere.
Com’era stato baciarla?
Mark considerò solo ora la domanda.
Era stato piacev… No. Non era stato un bel niente, perché lui non provava assolutamente niente e non aveva provato assolutamente niente. C’era solo stato il viso di Kira troppo vicino al suo, le braccia di lei attorno al suo busto. Gli si era stretta contro per non essere assalita dalla folla di compagni in festa, e quando lui aveva abbassato il viso incontrando quel sorriso, cervello, bocca e mani avevano fatto tutto da soli. 
Con un gesto rabbioso, Mark ficcò la statuetta spezzata nella sacca da ginnastica. «Non era un bacio»
Ed finse di pensare. «Appoggiare le labbra su quelle di un’altra persona a casa mia è baciarsi»
«Baciarsi comprende che entrambe le parti siano d’accordo nel compiere l’atto. Io e lei non ci siamo baciati. Non abbiamo intenzione di farlo e non lo faremo mai!»
«Okay, l’hai baciata tu, ma è praticamente lo stesso»
Mark gli assestò un calcio negli stinchi. «Se vuoi arrivare con tutti gli arti interi alla partita con la Flynet, chiudi quella boccaccia!»
Lievi lacrime di dolore salirono agli occhi di Ed. «Ahi…ma perché?»
Mark si rabbuiò. «Non volevo farlo, ero solo…contento per la vittoria». Il che era vero, però… Niente però!
«Per favore, capitano, abbi la decenza di non negare»
«Non sto negando! Non l’ho fatto per un motivo preciso e lei lo sa!». Doveva saperlo.
Mark fissò le tenui ombre sul terreno con la fronte aggrottata. Il sole non era ancora calato ma la luce diminuiva lentamente mentre l’azzurro brillante del cielo si tingeva di una tonalità più pallida. Sollevò lo sguardo intercettando improvvisamente quello di Kira. La ragazza fece saettare gli occhi di nuovo a terra, poi di nuovo su di lui a intervalli irregolari. Mark fece lo stesso per un breve minuto.
«Allora arrivederci» udì il signor Brighton dire, salutando un’ultima volta i genitori di Ed, la madre di Mark e i rispettivi fratelli. 
I due ragazzi si staccarono dal muretto per raggiungere i familiari. Quando furono vicini, Kira si voltò verso di loro.
«Mio padre sta cercando di persuadere le vostre madri ad accettare di venire con noi alla festa di tanabata» disse (1). «A voi andrebbe di andarci insieme?»
«Tanabata, eh?» fece il portiere, pensandoci su. «Io e i miei andiamo sempre al festival che organizzano a Saitama. Però possiamo cambiare programma e venire a Tokyo»
«E tu, Mark?» domandò ancora Kira. «Puoi chiederlo a tua madre?»
Mark fu lieto di non scorgere rossori sul viso di lei né imbarazzo nella voce. Anche se nei suoi occhi era riconoscibile una strana tensione affatto dissimile da quella che provava lui. «Ci verrei anche senza mia madre». Per inteso. Il permesso lo avrebbe ottenuto con facilità: la mamma diceva sempre sì quando si trattava di Kira o dei ragazzi della squadra.
Contenta, la pattinatrice annuì, inumidendosi le labbra come se stesse per iniziare un altro discorso. Gli sorrise, ma distolse lo sguardo per riposarlo su Ed. Kira non voleva parlargli direttamente, Mark lo capì. Quella era la chiara indicazione che qualcosa non andava. Lei non distoglieva mai lo sguardo.
«Beh, allora fatemi sapere nei prossimi giorni» concluse poi, alzando una mano per salutarli. «Ciao, e in bocca al lupo per la partita con la Flynet. Verrò a fare il tifo!»
Mark la guardò andare via e per un istante ebbe l’impulso di fermarla.
«Dovreste parlarne» disse Ed come leggendogli nel pensiero.
«Per dirle cosa?»
«Lei ti piace, Mark»
Mark spalancò gli occhi come se avesse appena udito un’eresia. «Fammi il favore!»
«Dai, ammettilo. Non baci una ragazza tanto per fare»
Mark non rispose. Non sapeva decidere cosa fosse meglio chiarire subito o meno. Lei sembrava deliberatamente ignorare la faccenda e, forse, avrebbe dovuto imitarla. Kira aveva sempre negato che tra loro potesse esserci qualcosa, non poteva accadere che per un bacio dato a quel modo si trasformasse in una ragazzina languida e spasimante amore. Kira non era un tipo romantico e lui neanche. Non sarebbe cambiato niente tra loro, nemmeno se ne avessero discusso per ore ed ore. Eppure, un noioso solletico in fondo allo stomaco gli diceva che prima o dopo l’argomento andava affrontato. Perché Mark voleva assolutamente sapere se era l’unico stupido tra i due a sentirsi d’un tratto così tremendamente confuso.
 
 
 
***
 
 
Mentire era qualcosa che aveva imparato a fare per necessità. Detestava le bugie ma ne riconosceva l’utilità, soprattutto in certe situazioni. Qualche volta la tradiva un lieve tremore nella voce, ma riusciva comunque a mantenere un atteggiamento disinvolto così che il suo interlocutore finiva per crederle.
Da quando si era resa conto del bene che voleva a quel ragazzo, si era promessa di non dirgli mai bugie, anche se in verità gli mentiva ogni giorno. Ma nascondere il vero colore dei suoi occhi era un conto, un altro era far finta di niente quando sapeva benissimo che anche lui ci stava pensando.
Tornata a casa, Kira fece un bagno, cenò, riassettò la sua stanza e chiese a mamma se per caso non ci fosse qualche lavoro domestico arretrato in cui poterla aiutare.
«No, è tutto in ordine. Ho appena messo i panni in lavatrice. Vai pure a dormire, sarai stanca».
Kira annuì, ritirando la testa dall’ingresso del salotto. Mamma e papà si erano appena accomodati sul divano, una coppa di liquore sul tavolino di vetro. Dopo tanto tempo lontani avevano evidentemente bisogno di un po’ di intimità.
Si ritirò di sopra, desiderando di poter chiamare Jem per farsi dare un consiglio. Ma era troppo tardi, la sveglia a forma di gallinella sul comodino segnava le undici. Jem andava sempre a dormire prima di quell’ora, lo sapeva.
Cercò di tenersi impegnata con qualcos’altro, ma dopo aver riordinato anche i libri di scuola non ebbe più nulla da fare. Era riuscita a tenere a bada la confusione che le albergava in testa finché non si ritrovò sola con i suoi pensieri. Il ricordo del bacio saltellò nella sua mente senza darle tregua. Kira si abbandonò sul letto tenendo tra le braccia la grossa tigre vinta al tiro a segno al Luna Park, permettendo all’inevitabile di venirle incontro.
Mark Lenders l’aveva baciata.
Non era stato un gran bacio in verità, e a tormentarla non era tanto la circostanza in sé, né che le avesse rubato qualcosa di prezioso che avrebbe preferito conservare per il suo primo amore. No, la cosa peggiore di tutte stava nel fatto che le era piaciuto.
Corrugò la fronte, spedendo il cuscino contro l’armadio di fronte a sé con un verso rabbioso. Si girò su un fianco, sempre abbracciando la grossa tigre di peluche.
Ecco perché non aveva gridato. Era rimasta troppo allibita per poter dire qualsiasi cosa, troppo concentrata sulla sensazione di quell’irruente morbidezza provocata dalla bocca di lui.
Doveva fare finta che non fosse successo, strappare il ricordo di quella giornata come il foglio di un compito sbagliato e gettarlo via insieme alle farfalle che svolazzavano fastidiosamente nello stomaco.
D’altra parte era pur sempre il suo primo bacio, ed era logico che un gesto tanto intimo e così improvviso avesse generato in lei della confusione.
Per tanabata, però, doveva riuscire a mandar via quell’imbarazzo. Non poteva permettere a un semplice contatto di labbra di farla precipitare in un tale caos mentale. Doveva assolutamente riprendere il controllo di sé stessa.
Dopo lunghe riflessioni durate una notte quasi insonne, giunse alla più probabile delle conclusioni: tutte le peripezie a sfondo amoroso delle settimane precedenti – l’amore non corrisposto di Milly, la confessione di Darren, la consapevolezza che tra Ed e Jem stesse nascendo qualcosa – dovevano aver suscitato in lei una sorta di condizionamento sentimentale. Si era data talmente da fare per Milly da rimanere incastrata dentro emozioni che concretamente non le appartenevano.
Sì, era senz’altro così.
Lei non aveva quel tipo intenzioni nei confronti di Mark, per cui doveva prendere quelle sensazioni e direzionarle verso qualcun altro. Se si fosse innamorata avrebbe compreso la differenza tra baciare il ragazzo che ti piace e baciare per sbaglio un amico.
Giorno dopo giorno, riuscì a ristabilire un equilibrio nella propria pancia: le farfalle erano migrate da qualche altra parte, e senza quello sfarfallio inquietante, guardare Mark in faccia sarebbe stato semplice come sempre.
La prima settimana di luglio, la Toho affrontò la Flynet di Philip Callaghan, ottenendo il primo pareggio di quel campionato. Kira andò ad assistere al match ma non ebbe modo di vedere Mark dopo la partita. Nemmeno a dirlo, lui era insoddisfatto dell’esito e ci volle tutta la volontà di sua madre per convincerlo che proprio perché si trovava in quello stato d’insoddisfazione avrebbe dovuto andare dai Brighton per tanabata. La famiglia Lenders era stata invitata al completo e Judith aveva accettato con piacere da parte di tutti i suoi figli. Kira stessa si era premurata di chiamare per conoscere le loro intenzioni in proposito, ma quando aveva chiesto alla signora Lenders di poter parlare con Mark per rivolgergli qualche parola di incoraggiamento dopo la partita, il ragazzo si era fatto negare.
Lui era l’unica persona al mondo che riusciva a scatenare in lei belle sensazioni il minuto prima e malumore l’istante dopo. Mark aveva la capacità di capirla tanto quanto di non farsi comprendere, e Kira detestava non capire cosa gli passasse per la testa. Esattamente com’era accaduto alla festa dello sport. La spiazzava, si sentiva indifesa come fosse una giocatrice di scacchi che non riesce a indovinare la prossima mossa dello sfidante.
Infine, giunse la sera del sette luglio.
 
 
 
***
 
Mark mugugnava imbronciato, mentre aiutava sua madre a sistemare dentro un grosso vaso nel cortiletto di fronte a casa i rami di bambù che il signor Sugimoto aveva procurato loro per la festa. Da piccolo aveva creduto davvero che quella fosse la pianta dei desideri. Ora, invece, non trovava nulla di eccitante nell’appendere foglietti di carta agli alberi nella speranza che i desideri scritti sopra si avverassero. O forse era colpa dell’insoddisfazione post partita.
«Cos’è quel broncio?» lo ammonì sua madre sbirciando il suo viso attraverso le foglie.
«Niente»
«Tu pensi ancora alla partita». Quando il figlio non rispose, Judith sospirò. «Hai giocato benissimo come sempre. Dovresti essere solo soddisfatto di aver pareggiato contro la squadra di un amico e avversario tanto forte»
«Philip non è mio amico» 
«Oh, giusto» ironizzò Judith. «Il mio ragazzo non ha amici. Eppure mi sembrava che questa sera andrà ad una fiera insieme a quelli che hanno tutta l’aria di esserlo»
Mark non fiatò.
Judith gli rivolse uno sguardo preoccupato. «Passare il tempo con gli amici ti fa solo bene, Mark»
«Non ho mai detto di non averne. Solo che a volte mi va di stare per conto mio». Soprattutto quand’era di malumore. Conosceva il suo carattere e se aveva la luna storta rischiava di rovinare la piazza a tutti quanti. Sarebbe stato meglio evitare di andare da Kira o ci avrebbe senz’altro litigato.
La signora Lenders emise un altro sospiro quasi rassegnato. «Dimenticavo. Il mio ragazzo è una tigre solitaria che si lecca le ferite da sola»
Mark si rabbuiò ancor di più. Detestava quando sua madre lo trattava come un bambino da consolare. Per quanto impegno ci avesse messo, lei non poteva capire fino in fondo come si sentiva. Una vittoria mancata equivaleva perdere terreno sulla strada della promessa fatta a sua padre. Philip era tra gli avversari più forti che poteva incontrare e quegli avversari andavano annientati uno dopo l’altro. Kitazume lo teneva già abbastanza al guinzaglio impedendogli di giocare come sapeva, plasmandolo in un attaccante in cui Mark iniziava a non riconoscersi.
Perso tra i pensieri tornò dentro casa dove i fratelli avevano già indossato i loro yukata(2). Quello di Teddy gli era diventato un po’ corto sulle braccia ma poteva ancora andare. L’anno prossimo, sia lui che Nathalie, avrebbero necessitato di due capi nuovi. Quasi certamente non sarebbero riusciti a comprarli, ma la mamma era una sarta provetta e li avrebbe certamente aggiustati come aveva fatto con il suo.
«Fratellone, vieni a preparare i tanzaku insieme a noi!»(3) esclamò Nathalie, picchiettando sul cuscino vuoto accanto a sé. Lei e gli altri avevano sistemato sul basso tavolino del soggiorno un pacco di fogli colorati che Teddy stava già tagliando in tante striscioline.
Mark si accomodò di fronte a lui, tra la sorella e Matt. Il piccolo di casa Lenders teneva la lingua tra i denti in un atto di concentrazione pura.
«È storto» sbuffò quando finì di dare la forma al suo tanzaku.
Mark prese le forbicine rosse dalle sue dita. «I tanzaku devono essere rettangolari, come un segnalibro, ma non importa se non vengono tutti della stessa misura». In due gesti rapidi eliminò l’eccesso di carta mostrando al fratellino come fare. «Traccia le righe con una matita prima di tagliare. Verrà più dritto. E ricorda di fabbricare un forellino sull’estremità più alta per farci passare il filo, altrimenti non riuscirai ad appenderlo»
«Ma perché si fa?» domandò il piccolo, guardando il fratello maggiore compiere tutte quelle azioni su nuovo foglio. «Perché si esprimono i desideri alle stelle?»
«È una vecchia tradizione legata alla leggenda di tanabata, per via delle stelle che rappresentano due divinità celesti». Continuando a disegnare linee a matita, Mark raccontò la storia. «La stella Vega, Orihime, figlia dell’Imperatore Celeste, amava tessere col telaio e passava le sue intere giornate a fabbricare abiti per gli dei. Impietosito dalla sua solitudine, il padre decise di trovarle un marito. Scelse un giovane pastore di nome Hikoboshi, la stella Altair, a guardia delle greggi del cielo. Tra loro fu amore a prima vista, ma dopo il matrimonio furono così presi l’uno dall’altra da abbandonare i rispettivi compiti. Orihime non tesseva più abiti, così che gli dei si ritrovarono privi di vestiti, e Hikoboshi lasciò che i suoi buoi scorrazzassero per le praterie del cielo senza controllo. Questo fece infuriare l’Imperatore del Cielo, che per porre rimedio separò gli innamorati ai due lati del fiume celeste - ossia la Via Lattea - permettendo loro di incontrarsi solo una volta all'anno, il settimo giorno del settimo mese. La notte di tanabata»
«Ooohhh…» fece Matt con occhi pieni d’innocente meraviglia.
«È così romantico» sospirò Nathalie, stringendo le mani al petto.
«Romantico?» fece Mark. «Ma sei matta? Sono due sfigati»
«Non è vero!» Nathalie mise il broncio. Matt e Teddy scoppiarono a ridere.
«Quindi, noi scriviamo i nostri desideri a Orihime e Hikoboshi» disse ancora Matt.
«Esatto»
«E loro poi li leggono?»
«Eh?». Mark guardò il fratello con espressione smarrita. Era una domanda logica per un bimbo di cinque anni. A quell’età ci aveva creduto anche lui, un po' come con Babbo Natale. «Certamente. Appendiamo ai rami di bambù preghiere in nostro favore»
Matt fece un’espressione soddisfatta, mettendosi poi a tracciare con la sua stentata grafia il primo di una lunga serie di desideri. Anche se andava ancora all'asilo era già in grado di scrivere il suo nome e qualche semplice parola.
«Facciamone qualcuno in più» suggerì Nathalie. «Così possiamo attaccarli stasera insieme a Kira-san quando andremo al festival»
«Giusto!» approvò Teddy. «Lì sarà pieno di alberi di bambù»
Mark terminò di aiutare i fratelli a preparare quanti più tanzaku possibili. Poi, dopo che la mamma fu rientrata in casa, si alzò dal tavolino per andare a indossare il suo yukata. Una mezz’ora più tardi furono in viaggio verso casa Brighton.
 
 
***
 
 
Davanti allo specchio appoggiato alla parete della sua stanza, Kira cercò di guardarsi da ogni angolatura per verificare se la fascia che le legava in vita lo yukata arancione chiaro fosse dritta.
«Mmm…no, papà, non va bene. Hai sbagliato di nuovo»
Kei passò le dita di una mano nel ciuffo ribelle, l’espressione concentrata a fissare la schiena della figlia. «Sto facendo del mio meglio». Lanciò un’occhiata alla rivista di moda che aveva agguantato dal cassetto di sua moglie. Un inserto speciale dedicato agli abiti tradizionali mostrava come allacciare correttamente uno yukata passo dopo passo. Le immagini erano piuttosto esaustive, era lui che pareva negato.
«Ci rinuncio» sbuffò come se avesse corso per chilometri. «Non ho idea di come si allacci l’obi di uno yukata da donna.(4) Perché non vai giù a chiederlo a tua madre?»
Kira osservò il proprio riflesso arricciare il naso. «Mi ha già detto di non scocciarla perché è appena tornata dal lavoro e sta riordinando casa. Come se ce ne fosse bisogno».
Risa aveva passato tutta la settimana a pulire ogni angolo per accogliere i Lenders e i Warner nel massimo ordine possibile. Aveva tirato l’aspirapolvere almeno tre volte in un giorno, lucidato gli specchi, mobili e mobiletti, cambiato le tende, e Kira si era stupita di non vederla girare con una lente d’ingrandimento a caccia dell’ultimo granello di polvere.
«Allora aspetta che arrivi la nonna per finire di vestirti» disse Kei, disfacendole il nodo sulla schiena per rifarlo un’altra volta.
«Non posso aspettare, è già tardi!» Kira non voleva farsi trovare in disordine all’arrivo degli ospiti. Adocchiò la sveglia sul comodino: erano quasi le otto e venticinque di sera. Gli amici sarebbero stati lì a momenti.
«Hai fatto tardi perché hai perso tempo con i capelli» disse Kei in tono critico.
Kira si portò una mano sulla lunga treccia alla francese. Una pettinatura semplice per chi si destreggiava con le acconciature, ma per lei che era una principiante era stata una sfida, soprattutto quando si era trattato di intrecciare le ciocche sulla parte alta della testa.
«Dì un po’, signorina: non è che ti sei fatta bella per il tuo amico Mark, vero?»
Lei incontrò gli occhi indagatori di suo padre attraverso lo specchio. «Ma che dici?»
Kei mugugnò una critica. «Sei arrossita»
La ragazza portò le mani sulle guance, fissandosi attentamente nello specchio. Non era affatto arrossita. «Accidenti, papà!»
Kei sghignazzò. «Mark mi piace, sembra un bravo ragazzo. Non avrei nulla incontrario se decidessi di volerlo frequentare. Dopotutto è giusto, alla vostra età…»
Kira si voltò con uno scatto fulmineo. «Oh, no, non ti ci mettere anche tu, adesso! Ne ho abbastanza di insinuazioni su me e Mark!» Strappò l’obi dalle mani di suo padre. «Dammi qua. Faccio da me»
In quel momento suonò il campanello. Kira trasalì. Non potevano essere già arrivati, erano in anticipo!
«Tranquilla, deve essere la nonna» sorrise suo padre alla vista di tanta agitazione. «Vado a dirle che hai bisogno di una mano con quella fascia».
Sola davanti allo specchio, Kira armeggiò senza successo con i lunghi lembi di stoffa sulla schiena. Poco dopo, attraverso la fessura nella porta lasciata da suo padre udì le voci di mamma e papà salutare gli ospiti in arrivo.
Non c’era solo la nonna: con lei erano arrivati anche Mark e la sua famiglia.
«Kira, vieni giù!» la chiamò Risa dalla curva delle scale.
Non poteva scendere, non era pronta. «Un attimo!» gridò in risposta. Litigò con in nodo dell'obi ancora per un poco, poi udì dei passi salire lungo le scale. Poco dopo, la testa di sua nonna spuntò nella sua camera.
Kaori entrò nella stanza della nipote e in pochi gesti le sistemò ad arte l’obi attorno alla vita terminando di legarlo in un bel fiocco. Estasiata dalla destrezza delle vecchie mani, Kira le diede un bacio.
«Adesso sì che è perfetto. Grazie, nonnina!»
«Ti insegnerò come si allaccia l’obi. Ma adesso scendiamo. Sai che a tua madre non piace aspettare»
Risa aveva fatto accomodare la famiglia Lenders in salotto e da brava padrona di casa offrì loro qualcosa da bere. Abituata a intrattenere amiche e colleghe nella totale tranquillità della propria dimora, lanciava occhiatine inquiete ai tre fratellini di Mark Lenders, osservandoli muoversi e vociare nel suo salotto pieno di soprammobili di valore. Era elegantissima nel suo yukata blu a ricami astratti e il caschetto raccolto da un fermaglio di piccoli diamanti; un regalo di nozze di Kei. La signora Lenders invece ne indossava uno molto semplice color ocra con una fascia scura in vita. Niente fronzoli tra i capelli.
Non appena Kira vide Mark, un sorriso nacque spontaneo sul suo viso. Le sorrise anche lui, alzandosi dal divano dove era tutto fuorché a suo agio. Nel suo yukata blu scuro sembrava ancora più alto.
«Ma Ed non c’è?» chiese la pattinatrice. «Voglio dire Warner» si affrettò a correggersi.
«Chiamalo per nome, non c’è problema» disse Mark. «Sarà qui a momenti. Veniva in auto con i suoi, forse hanno trovato traffico»
«Voi siete venuti in treno, vero? Non avete la macchina?»
Mark corrugò la fronte. «Ti pare che possiamo permettercela?» disse bruscamente.
«Scusa. Ho soltanto chiesto». Kira strinse i denti. «Di umore nero, stasera?»
«Mi passerà, lasciami stare»
La risposta di Mark la deluse. La serata cominciava male se lui aveva già la luna storta. Possibile che fosse ancora giù di morale per la partita?
Lontani da orecchie indiscrete, Kira ebbe la tentazione di introdurre subito l’argomento ‘bacio’, ma Teddy, Nathalie e Matt le si avvicinarono prima che potesse aggiungere altro, mostrandole con entusiasmo ciò che avevano in mano.
«Kira-chan, guarda! Guarda cos’abbiamo fatto!» disse Matt, mettendo in mano alla ragazza una manciata di foglietti.
«Oh, avete fabbricato i tanzaku da soli! Che bravi!»
«Ci ha aiutati anche Mark a farli» disse Nathalie.
«Volevano appenderne qualcuno insieme a te mentre siamo al festival» spiegò lui.
Kira sorrise ai tre bambini. «Ho delle piante di bambù anche in giardino. Perché non ne attaccate uno lì?»
I tre fratelli non si lasciarono scappare l’occasione.
Lasciarono i genitori a chiacchierare in salotto, facendo il giro della casa per raggiungere il giardino sul retro. Non era molto grande ma era abbastanza spazioso perché una bambina potesse imparare ad andare in bici. La bicicletta di Kira era infatti appoggiata al muro a ridosso della casa, all’ombra di un grosso albero le cui fronde sfioravano la parete del piano superiore. Due grandi vasi di piante di bambù erano stati sistemati nel centro del prato.
«I tuoi tanzaku sono diversi» notò Teddy.
Kira rispose con leggero imbarazzo. «Perché li ho comprati già pronti in cartoleria. Ma immagino sia molto più divertente realizzarli a mano». Incrociò lo sguardo grato di Mark, facendogli l’occhiolino. I tanzaku costavano poche decine di yen, ma laddove era possibile risparmiare, i Lenders non dicevano di no. «Ne volete qualcuno dei miei per scrivere altri desideri?»
«Grazie!» esclamarono in coro Nathalie, Teddy e Matt.
Kira recuperò da un cassetto della cucina un pennarello e altri foglietti decorati con fiori, pesciolini, ghirigori e altro ancora. Ognuno ne scelse un paio per appenderli agli alberi del giardino, lasciandone altri per quelli della fiera.
Per tutta l’operazione, lei e Mark non si rivolsero quasi la parola. Divisi dai fratellini di lui che parlavano allegramente, si scambiarono pochi sguardi incerti, indecisi se cominciare una conversazione scomoda che pareva avessero deciso in tacito accordo di rimandare all’infinito.  
Di lì a pochi minuti suonò di nuovo il campanello e i Warner fecero la loro entrata. C’erano solo Ed e i suoi genitori; il fratello Erik aveva cenato fuori con gli amici, ma si sarebbero certamente incontrati alla festa.
Verso le nove presero la strada verso Asakusa, la zona di Tokyo in cui veniva allestito il più bel festival della città. Fecero un giro tutti insieme lungo le vie principali mangiando una granita ghiacciata, comprando un pacchetto di bastoncini pirotecnici da accendere a fine serata ma che furono esauriti nel giro di pochi minuti.
Ad un certo punto, i genitori lasciarono i figli a divertirsi da soli, raccomandando più volte di stare attenti. La madre più apprensiva era senza dubbio la signora Brighton, come se sua figlia avesse quattro anni invece di quattordici. Al contrario di lei, la signora Warner non era minimamente preoccupata al pensiero di lasciare Ed libero di andare in giro per la fiera. Similmente, la signora Lenders era più che tranquilla sapendo i tre figli più piccoli nelle ottime mani del fratello più grande.
Così i ragazzi cominciarono il loro giro tra strade costellate di lanterne di carta, festoni colorati a strisce in rappresentanza dei fili da tessitrice della principessa Orihime; stelle filanti, ghirlande, alberi pieni di luci come a Natale; bancarelle di ogni tipo e vasi di piante di bambù ovunque, colme di tanzaku che sussurravano i loro desideri ondeggiando leggiadri nella brezza. Si fermarono vicino al tempio Sogenji (5), dov’erano situati gli alberi più grandi. I fratellini di Mark corsero ad appendere gli ultimi tanzaku agli ormai zeppi rami sottili che si piegavano leggermente sotto il peso di tante preghiere.
«Senti, io adesso vi mollo qui così parlate» sibilò Ed all’orecchio del suo capitano.
Mark, che teneva Matt sulle spalle per permettergli di arrivare al ramo più alto, lo incenerì all’istante. «Non ti azzardare o ti frantumo le ginocchia!»
Ed sbuffò. Quando Mark minacciava di rompere arti era un chiaro segno di agitazione. «Vi state praticamente ignorando dall’inizio della serata. Vuoi dirle qualcosa oppure no?». Mark rimise a terra Matt e non rispose.
«D’accordo, capitano, fa come vuoi. Ma se un altro ragazzo dovesse adocchiare Kira, stasera, poi non venire a cercare aiuto da me»
«Ti fai i fatti tuoi, Warner?»
Ed fece per protestare di nuovo, quando la pattinatrice li interruppe.
«Mi spiace che Jem non sia venuta» disse rivolta al portiere.
«Cosa? Oh, non preoccuparti. Purtroppo me lo aspettavo» minimizzò lui. In verità gli sarebbe piaciuto passeggiare con Jem per le vie di Asakusa in un’occasione così speciale, ma aveva l'impressione che la Edogawa desiderasse evitarlo finché poteva, soprattutto dopo che le aveva detto di non voler rinunciare a lei.
Kira gli rivolse uno sguardo mortificato. «L’ho invitata, sai? Ma aveva già promesso a Milly di andare con lei»
Ed le posò una mano sulla spalla. «Vedrai, si renderà conto di ciò che sta perdendo»
«In che senso, scusa?»
Ed lanciò un’occhiata a Mark, rimasto accanto all’albero con i fratelli. «Intendo dire che sono certo che capirà di stare trascurandoti e tornerete amiche come prima»
«Oh. Mah, spero di sì» sospirò la pattinatrice con un mezzo sorriso.
«Mi fa piacere che tu abbia pensato a me, Kira, ma sto cercando di guardarmi intorno»
«Davvero?» fece lei un poco stupita.
«Davvero?!» le fece eco Mark, sbalordito. Sbagliava o qualche tempo prima Ed gli aveva detto di non volersi arrendere? E che cosa ci faceva la sua mano ancora sulla spalla di lei?
«Sì» proseguì il portiere, serio in volto. «Non posso aspettarla per sempre, e se Jem non mi vuole…»
«Oh, non dire così!» esclamò Kira, dispiaciuta. «A me piacerebbe se voi due faceste coppia. Sinceramente»
Ed le sorrise. «Ti ringrazio, ma ci sono un mucchio di ragazze carine in giro»
«Ehm…sì, suppongo di sì…». Che strano, pensò lei. Ed non le aveva dato l’impressione di un ragazzo così frivolo. Possibile si fosse già stancato di Jem? All’improvviso sussultò, assolutamente presa in contropiede: Ed le aveva appena preso una mano. La ragazza fissò il portiere con occhi sgranati, ma mai tanto quanto quelli di Mark. Ci mancò poco che gli schizzassero fuori dalle orbite.
Ed la tirò in avanti. «Che ne dici se facciamo un giro noi due? Senza impegno»
Lei tentennò, voltandosi verso il capitano. «Veramente…»
«No» disse secca la voce del numero dieci. Mark si frappose tra i due, afferrando il polso del compagno di squadra.
Ed gli sorrise in un misto di sarcasmo e soddisfazione. «Scusa, Mark, ma dovrebbe decidere lei»
Kira guardò dall’uno all’altro, perplessa. O forse comprese perfettamente. «Sì, infatti ho appena deciso che andrò a prendermi dei takoyaki(6). Magari da sola» disse con tranquillità, liberandosi dalla stretta del portiere e voltando loro le spalle.
I due ragazzi si fissarono un momento. Mark aveva capito cosa stava cercando di fare Ed. «Sei un idiota»
«Mai quanto te, capitano»
Con un’esclamazione seccata, Lenders mollò la presa sul suo braccio. «Dai un’occhiata ai miei fratelli» raccomandò, incamminandosi nella direzione in cui era sparita Kira.
«Senz’altro», sorrise Ed salutandolo allegramente.
 
 
***
 
 
Era una serata strana. Lei che non riusciva ad essere naturale nei confronti di Mark, lui con le scatole girate al contrario…ci mancava solo che Warner si mettesse a farle la corte e quei due iniziassero a bisticciare tra loro… per lei. Che pagliacciata! Cosa volevano dimostrare? Anzi, cosa voleva dimostrare Ed! Era così stupido da pensare che avesse creduto a quella messinscena? Messa in atto per cosa, poi? Per far ingelosire Mark? Figurarsi, lui non era geloso, e non lo sarebbe mai stato nemmeno se Warner le avesse fatto la corte per davvero. Tra l’altro, per un attimo ci aveva persino creduto. Scema pure lei.
Kira affondò lo stecchino nel il primo takoyaki, addentandolo gustandosi tutto il sapore del polpo in pastella. Erano una delle cose più buone del mondo.
Mark la trovò seduta sulla panchina a meditare e masticare. Lei alzò lo sguardo fissandolo nel suo.
«Ne vuoi uno?»
«Sì, grazie». Lui le sedette accanto, prendendo cautamente un paio di polpettine tonde e fumanti mettendosele in bocca una dopo l’altra.
«Non con le mani!»
Mark sollevò le spalle. «Non ho lo stuzzicadenti».
Restarono in silenzio a mangiare per alcuni minuti. Lui evitò di guardarla anche se sapeva che Kira lo stava sbirciando di sottecchi per capire cosa gli passasse per la testa. Lui si disse che la sensazione tra irritazione e imbarazzo che provava solo sfiorandola con lo sguardo era dovuta esclusivamente alla sua inesperienza e vergogna.
Infine, lei spezzò il silenzio. «Perché Ed fingeva di farmi la corte?»
Mark le rubò un’altra polpetta, concentrandosi su di essa con estremo interesse. «È un imbecille, lascia stare»
«Stava cercando di farti dire qualcosa che non vuoi dire?»
Nella testa di Mark risuonò l’allarme.
Mayday, mayday! Situazione di pericolo in avvicinamento!
«Lui pensa che dovremmo parlare» borbottò.
Lei fece la finta tonta. «Di cosa?»
«Di quello». Mark mosse una mano nell’aria. «Del…»
«Oh, del bacio. Forse dovremmo». Kira masticò tranquillamente per qualche altro secondo. «Mi pesano i tuoi silenzi, Mark»
Lui la guardò fissare il suo cibo con aria sofferta. Perché doveva essere sua la colpa se non parlavano? «Nemmeno tu sei stata molto loquace, stasera».
Lei emise un sospiro angosciato. «Il fatto è che sono molto confusa! E se tu non ti esprimi, io non so che pensare»
«Allora comincia tu»
«Ma sei tu che hai baciato me!»
«Che c’entra?»
«C’entra eccome»
Un velo d’ombra passo sul viso del ragazzo, ma ancora non parlò.
«Poi con quel muso lungo non mi aiuti di certo»
«È la mia espressione»
«Ne hai altre di espressioni, oltre quella».
Kira gli picchiettò con l’indice sulla fronte. Infastidito, Mark le afferrò la mano per fermarla. Il contatto sbloccò la situazione. Ritrovare quella familiare vicinanza che a nessun altro concedevano fu così naturale che lei non rinunciò a giocare. Kira sfuggì alla sua presa, tentando di colpirlo in altri punti del viso, delle braccia, del petto. Prima di rendersene conto iniziò a ridere, mentre l’espressione sul viso di lui cambiava a sua volta.
«Kira, piantala! Farai cadere i takoyaki a terra»
La pattinatrice raddrizzò sulle ginocchia la vaschetta in cartoncino in cui erano adagiate le polpette. «Dunque?»
«Cosa?»
Lei avvertì le guance scaldarsi. Non voleva apparirgli come una sciocchina confusa e impacciata. Eppure in quel momento era così che si sentiva. «Vuoi dirmi perché mi hai baciata?»
Per lui fu strano vederla arrossire. Kira non arrossiva praticamente mai. Mark prese un quarto takoyaki, cercando le parole da pronunciare. Solo che non ne aveva.
«Non so perché l’ho fatto. Ero contento per l’esito dei giochi sportivi. Tutto qui»
«Perciò si è trattato solo di questo»
«Ovviamente. Cosa pensavi?»
Lei scosse forte il capo. «Non ho pensato niente». Bugia. Un pensiero sopito albergava ancora da qualche parte. Solo che non poteva dirglielo. «Tutto considerato, sapevo che non mi avevi baciata perché ti piaccio»
«Con tutte le belle ragazze che ci sono a scuola pensi che mi metterei a baciare una bambinetta come te?»
«Ah, grazie mille!». Kira addentò l'ennesima polpettina con fare rabbioso.
«È stato solo un momento di euforia incontrollata» affermò lui, mandando giù l’ultimo takoyaki. «Un errore»
Kira annuì, deglutendo a sua volta un boccone. «Allora era come pensavo». Già, proprio un errore. Eppure quella parole le fecero un po’ male al cuore. Una leggerissima fitta, acuta come la punta di uno spillo ma subito dimenticata. Dopotutto era quello che avrebbe voluto sentirsi dire.
«Non dovevo farlo, mi dispiace», disse Mark, posando le braccia sullo schienale della panchina.
«Non fa niente. Non parliamone più» Kira si portò una mano sul petto. «Mi sento sollevata, sai?»
Mark la osservò sorridere serenamente. «Non sei arrabbiata, allora»
Kira si portò un dito sul mento. «Uhm…no, non direi. Oddio, forse un pochino sì». D’un tratto gli prese le guance tra le dita, pizzicando e tirando tanto forte da lasciargli segni rossi sulla pelle.
«Ma che fai?!»
«Questo te lo meriti perché mi hai rubato il mio primo bacio! Non ti perdonerò mai, Mark Lenders!»
Un sorrisetto ironico spuntò sul volto di lui. «Vorrà dire che quando sarò un calciatore famoso in tutto il mondo ti potrai vantare di avermi baciato per prima»
«Oh!» Kira si portò una mano alla bocca, gli occhi spalancati. «Allora era il primo bacio anche per te?»
«S-no!» Mark scattò all’indietro. «Certo che no!»
«Bugiardo!» Lei gli punzecchiò le spalle con colpetti insolenti. «Ti vergogni…che carino!»
«Piantala, cretina!»
«Non chiamarmi sempre cretina!». Il sorriso di lei si trasformò in un broncio. «Comunque non mi vanterò affatto di aver baciato un tipo rozzo come te! E se lo vuoi sapere, non è stato nemmeno questo granché!»
L’orgoglio maschile di lui venne profondamente ferito. «Ah, davvero?»
«Sì, davvero! Però, forse, è piaciuto a te»
Mark la fissò a bocca aperta. Mancò poco che le ridesse in faccia. «Ti piacerebbe!»
«Neanche tra un milione di anni, Lenders»
«Nemmeno a me è piaciuto, se è per quello!» confermò Mark in tutta sfrontatezza. «Potremmo rifarlo in qualsiasi momento e non proverei nulla!»
«Neppure io»
«Bene!»
«Bene».
Lui la guardò.
Lei guardò lui.
Ansia. Palpabile.
Per un fugace attimo, Kira pensò che l’avrebbe baciata di nuovo.
«Ah, che stupidaggini» sbuffò invece Mark, voltando la faccia altrove. «Smettiamo di parlare di queste scemenze. Questione chiusa». Si alzò dalla panchina e senza dire più nulla iniziò ad incamminarsi.
Kira gettò velocemente la vaschetta di takoyaki vuota nell'immondizia e gli fu dietro, percorrendo lentamente la strada a ritroso a qualche passo di distanza da lui. Era una vera liberazione per lei sapere che non c’erano secondi fini. Ovviamente aveva mentito dicendo che non le era piaciuto baciarlo. Mark non avrebbe mai capito la differenza tra l’apprezzare un bacio e il trasporto verso la persona che l’aveva baciata. Forse non lo capiva bene nemmeno lei che aveva formulato il pensiero. Guardando il profilo della sua schiena provò un’indecifrabile sensazioni di calore e turbamento. Mark non le piaceva in un modo romantico, ma non le era affatto dispiaciuto che fosse stato lui il primo fra tanti a farle provare l’esperienza di un contatto così intimo e speciale. Però mica poteva andare a dirglielo, no? Anti romantico com’era non avrebbe compreso il suo ragionamento ingarbugliato.
Ritornarono verso il tempio dove avevano lasciato gli altri, ma non appena vi arrivarono non videro anima viva.
Kira emise un lamento. «E ora come facciamo a trovarli?»
Rimasero per qualche minuto fermi in quel punto sperando di vedere Ed tornare con i tre bambini. Ma era chiaro che nessuno sarebbe riapparso. Poteva darsi che Matt avesse fatto i capricci per tornare dalla mamma, o che Nathalie avesse voluto andare a fare un giro per le bancarelle, o che Teddy si fosse stancato di aspettare… o che Ed si fosse defilato di proposito per costringerli a restare da soli.
Mark digrignò i denti e assottigliò gli occhi, una tempia pulsava di rabbia. «Lo strozzo. È un cretino. Ma che cavolo vuole?»
«Parli da solo?» chiese Kira. «Che facce fai?»
«Niente…».
Fecero un altro giro ma senza scovare traccia né di Ed né dei bambini né dei genitori. Incontrarono una volta Erik Warner insieme agli amici, al quale Mark chiese se avesse visto suo fratello minore da qualche parte. La risposta fu però negativa. 
Più stufi che stanchi di camminare, tornati nuovamente al tempio si accomodarono su uno dei muretti che circondava l’entrata. Kira frugò nella sua kinchaku(7), estraendone un pennarello e l’ultimo paio di tanzaku.
«Visto che siamo di nuovo qui ne approfitto per scrivere un altro desiderio». Tracciò poche prole nella sua grafia piccola e arrotondata. «Ecco fatto. Tieni, scrivi qualcosa anche tu»
Mark fissò con un certo stupore il tanzaku che lei gli porgeva insieme al pennarello nero. «Il mio l’ho già scritto. L’ho appeso all’albero che abbiamo a casa»
«Uno desiderio solo?» chiese stupita.
«Quanti dovrei scriverne?»
«Tutti quelli che vuoi»
Mark afferrò il foglietto tra due dita. «Tu cos’hai chiesto?»
«Diverse cose» rispose lei, evasiva.
«Per esempio?»
«Beh, quello che mi preme di più è essere scelta per i campionati nazionali. L’ho scritto almeno tre volte»
«Che banalità...»
Kira sollevò un sopracciglio, facendo roteare il pennarello tra le dita. «Indovino il tuo?»
Mark le strappò l’oggetto di mano. Tolse il tappo posizionando la punta sopra il foglio, fissandolo come se avesse dovuto comporre il poema del secolo. «Si può chiedere più volte la stessa cosa?»
«Pensò di sì. Io l’ho fatto, tanto per essere sicura»
«Avrei giurato avessi espresso un desiderio come ‘voglio trovare un fidanzato’»
«E perché dovrei volere un fidanzato?»
«Non lo so. Di solito le altre ragazze a tanabata lo chiedono»
Lei corrugò la fronte come se il paragone la infastidisse. «Io non sono le altre ragazze»
«Sì, questo lo so…» mormorò Mark a bassa voce.
«Eh?»
«No, niente». Il capitano della Toho fissò ancora il semplice foglietto bianco dai bordi dorati. Per quanto ci pensava non gli veniva in mente nulla di diverso dal volere vincere i campionati nazionali di calcio. Era tutto ciò che aveva sempre desiderato nel corso della sua breve vita.
Kira lo guardò tenere il foglietto sulla mano sinistra e scarabocchiare solo qualche ideogramma. «Posso sapere cos’hai scritto?»
«No». Lui le rilanciò il pennarello. Lei lo afferrò al volo.
«Quanto sei indisponente! Io il mio desiderio te l’ho detto!»
«È la stessa cosa che hai chiesto tu»
«Cosa? Essere ammesso ai campionati di pattinaggio?»
Mark si voltò per legare il tanzaku ad un ramo. Non poté fare a meno di sorridere.



Vagarono a vuoto per le vie, tra le bancarelle, cercando di indovinare dove potessero essersi fermati gli altri. Ma in mezzo a quella ressa era veramente impossibile capirlo. L’istinto li portò nei pressi del banchetto della pesca dei pesci, dove ritrovarono Ed e i bambini intenti ad acchiappare pesciolini rossi con racchette di carta. (8) Matt voleva un compagno per quello che Mark aveva vinto per lui al Luna Park qualche settimana addietro.
Mentre Kira guardava Teddy compiere l’ennesimo tentativo, un’ombra minacciosa incombé su Ed.
«E allora?»
Accucciato sui talloni davanti alle vasche, il portiere si voltò. «Capitano?»
«Mi hai scaricato, eh?»
«Ti è servito, lo so. Non ringraziarmi»
Mark si abbassò accanto a lui. «La prossima volta trovati qualcosa da fare, invece di ficcare il naso nei fatti miei»
«Beh, sto badando ai tuoi fratelli come mi ha chiesto, e mi sto anche divertendo. Sono uno spasso»
Lenders increspò le labbra come se stesse valutando la sincerità dell’amico. Ma sembrava che a Warner piacesse davvero fare il babysitter e pescare pesciolini.
«L’ho preso! L’ho preso!» disse Teddy, saltellando sul posto. «Ed, guarda!»
«Bravo, ce l’hai fatta! Vieni, andiamo a farci dare un sacchetto per portarlo a casa».
Il portiere si alzò lasciando uno spazio vuoto accanto a Mark. Dopo pochi secondi Kira si acquattò accanto a lui. «Ti va una sfida?»
Mark osservò la racchetta di carta che lei gli porgeva. L’accettò, mentre il padrone della bancarella metteva davanti a loro due piccole bocce di vetro piene d’acqua per accogliere i pesci. Questa volta vinse Mark.
 Ritrovarono i genitori poco prima dello spettacolo pirotecnico sul fiume. L’appuntamento era nei pressi della fontana della stazione, ma li individuarono molto prima vicino a una sala giochi dove il signor Brighton stava tenendo banco. Erik, il fratello di Ed, era da poco tornato dal giro con gli amici e sedeva con loro al tavolino di un bar poco lontano. Gli altri genitori guardavano in disparte con aria imbarazzata. Kira sospettò che sua madre facesse finta di non conoscere il marito…
Lei e Mark liberarono i pesci rossi nel fiume, guardandoli guizzare allegri nell’acqua illuminata dei colori dei fuochi d’artificio. Le scintille dipingevano il cielo di rosso, giallo, verde e oro, facendo da ornamento al già ricco firmamento che, là sulla riva, lontano dalle luci artificiali della festa e della città, splendeva chiaro e ricco di stelle ammiccanti attraverso i fuochi.
«Vega è quella laggiù, la vedete? E Altair è l’altra poco lontano» stava dicendo Mark, indicando ai fratelli la posizione dei due astri.
«Che bello!» squittì Nathalie, le manine strette tra loro come in preghiera. «Orihime e Hikoboshi si sono incontrati». Seduta sull’erba accanto a Kira, si sporse verso quest’ultima. «Sai che Mark dice che sono due sfigati?» sussurrò.
Kira si portò una mano a lato della bocca. «Tuo fratello maggiore non capisce niente, dà retta a me».
Nathalie rise.
Il ragazzo scoccò loro un’occhiataccia, scrutando la ragazza di sottecchi. Poche ore prima non avrebbe scommesso sull’esito di quella serata. C’era stato il rischio di sfociare in una litigata, ma Kira si era mostrata matura e disposta al perdono. Forse aveva compreso che sarebbe stato del tutto inutile infuriarsi, quel che era fatto era fatto e indietro non si poteva tornare. Vederla serena lo convinse dell’assenza di rancore, e fu certo che anche senza il rombo dei fuochi a riempire il silenzio non ci sarebbe nato il minimo imbarazzo tra loro. Dopotutto, cos’era mai un bacio sulla bocca dato in quel modo?
«Sai, Mark, in fondo non è così grave» disse lei all'improvviso, gli occhi puntai sul cielo cosparso di tracce multicolore. «Voglio dire, anche se due amici si baciano non c'è nulla di male. Non è come se fossimo innamorati, no?»
Mark si voltò per guardarla restando in silenzio.
Kira portò gli occhi su di lui. «Qualche volta ci ho pensato»
«A cosa?»
Lei abbassò la voce al di sotto del rimbombo dei fuochi, anche se non c’era pericolo che gli altri sentissero; nemmeno Nathalie, che adesso applaudiva e commentava le forme e i colori stampati sulla volta oscura. «Se noi due dovessimo davvero stare insieme, come tante volte hanno insinuato, diventerebbe tutto troppo complicato». Un sorriso lento le increspò le labbra. «Finiremmo per lasciarci e la nostra amicizia verrebbe rovinata per sempre. Quando mi hai baciata, ho pensato che non avrei mai voluto che accadesse»
Mark la guardò con un’espressione indecifrabile negli occhi.
Quindi, se lui si fosse reso conto di provare qualcosa per lei, Kira non gli avrebbe offerto nemmeno mezza possibilità? Non che lui avesse dei dubbi su di loro, chiaro. Tuttavia provò un moto di delusione al pensiero che, se in un altro tempo e in un altro luogo si fosse improvvisamente preso una cotta per lei, lo avrebbe respinto a priori.
«Perciò, se ti innamorassi di un amico, ti costringeresti a non rivelargli mai i tuoi sentimenti basandosi solo su questo presupposto?»
Il sorriso di lei divenne incerto. «Non ho detto questo, però ci rifletterei a lungo prima di farlo»
Mark tornò con gli occhi fissi al cielo. «Per cui, escludi ogni possibilità che tra noi potrebbe funzionare?»
Kira sorrise di nuovo. Quelli erano discorsi da adulti. «Forse siamo troppo simili. Litigheremmo costantemente, non credi?»
«E se invece funzionasse proprio perché siamo simili?»
Lei perse un respiro, improvvisamente sopraffatta dall’espressione seria di lui. «Parli per ipotesi»
«Certo che sì»
Okay. Lei si rilassò. «Si dice che gli opposti si attraggono» proseguì con un’alzata di spalle.
«Patetico luogo comune. Cosa mai potrei trovare in una ragazza che non ha niente in comune con me? Neanche ci parlerei»
Lei si sporse un poco verso di lui. «Così ti escludi la possibilità di conoscere persone diverse»
«A cosa mi serve conoscere qualcuno? Ho già te»
Improvvisamente le mancò il respiro. Avrebbe voluto mettere una discreta distanza tra loro ma non le riuscì di muoversi. «Io…io non sono la tua ragazza»
«Nella mia vita non vorrò bene solo alla mia ragazza». A volte Mark l’avrebbe volentieri strozzata per quanto sapeva essere invadente, altre le avrebbe tagliato la lingua per la sua insolenza. Ma altre volte ancora l’avrebbe stretta forte se avesse avuto solo un po’ della sua sfacciataggine. Non si sarebbe mai permesso di prendere un'iniziativa simile con una che non fosse lei; o forse sarebbe stato più giusto dire che non avrebbe toccato nessuna eccetto lei.
«Volersi bene è spesso meglio dell’essere innamorati, perché si è più liberi di esprimere un sentimento senza complicazioni» insisté Kira.
Mark scosse il capo una volta, incerto. «Credo che l’affetto comprenda amore, ma non penso che per amore debba intendersi  soltanto quello di coppia. Io amo mia madre, amo i miei fratelli e in un certo qual modo credo… di amare anche te». La voce di lui perse tono, tremolando.
Kira spalancò gli occhi e divenne di tutti i colori possibili. Poi lo spintonò sull'erba. 
«Non dire cose del genere, deficiente! Mi fai vergognare!»
Mark agitò furiosamente le mani. «No, no, no, aspetta! Non intendevo…»
Che cavolo aveva detto? CHE CAVOLO AVEVA APPENA DETTOOO?!?!?!
«Sì, sì, ho capito!» esclamò Kira, riprendendo un colorito normale. «Mi piace l’idea che tu tenga tanto a me, ma non puoi dirlo in quel modo!»
Mark respirò, decelerando il battito furioso che sentiva fino in gola. «Quando non ci sei mi manchi» confessò con ritrovata calma, abbassando il capo. «Quando sei felice lo sono un po’ di più anch’io. Ma non è un sentimento esclusivo. Lo comprendi?»
«Sì». Kira gli sfiorò la stoffa dello yukata sul braccio, cauta. «Ecco perché dico che non vorrei mai innamorarmi di te. Chi si lascia inevitabilmente si allontana, si perde, e io non ti voglio perdere. Abbiamo questo: ci vogliamo già bene e a me basta così»
Mark la inchiodò con uno strano sguardo. «Hai ragione. Forse bisognerebbe rifletterci».
Afferrò il senso di quelle parole e non fu totalmente in disaccordo con esse. Capì l’urgenza di affermare un legame che era affetto smisurato, ma che solo di affetto si trattava. Tuttavia, se a fargli un discorso del genere fosse stata la ragazza di cui era innamorato, si sarebbe sentito preso in giro da un ragionamento simile. Ma l’amore non era una gara sportiva, ed era forse per questo lui non riusciva a capirne le regole. Era un gioco a due in cui la sua indipendenza avrebbe finito per risentirne insieme a quella di lei. Mark non era fatto per legarsi sentimentalmente a qualcuno, non ne era in grado. La natura lo aveva dotato di una personalità difficilmente sopportabile, dubitava che avrebbe trovato una ragazza tanto paziente da tollerare i suoi sbalzi di umore; senza contare che, nella sua vita, il calcio aveva e avrebbe sempre avuto la priorità assoluta.
Sua madre diceva il vero: lui era un solitario. E per quanto quella sera avesse iniziato a capire quel che Kira poteva diventare per lui, decise di mettere a tacere i sentimenti.
 
 


***** ***** ***** ***** *****
 
Note:
 
1-Tanbata Matsuri: è una festa tradizionale giapponese che si tiene in estate. Tanabata significa ‘settima notte’ e viene solitamente festeggiata il sette di luglio, ma in alcune zone del Giappone si festeggia anche in agosto, tenendo conto del calendario lunisolare. Celebra il ricongiungimento delle divinità Orihime e Hikoboshi, identificazioni delle stelle Vega e Altair. La leggenda l’ho già raccontata nel capitolo ;)
 
2- Da non confondersi con il kimono, lo yukata è un indumento tradizionale giapponese che viene indossato in genere durante eventi estivi. A differenza del primo, lo yukata è considerato un indumento molto informale. I colori e i disegni variano in proporzione all’età di chi lo indossa. Ad esempio, bambine e ragazze possono sfoggiare molte sfumature, prevalentemente con pattern floreali o di vario genere; le donne adulte o anziane, invece, metteranno colori più sobri e scuri, con trame geometriche. Queste restrizioni non si applicano invece allo yukata da uomo, di solito molto più semplice rispetto a quello femminile. 
 
3- I tanzaku sono desideri/preghiere scritti su rettangoli di carta tradizionale giapponese (fatta con rafia di riso) simile a un segnalibro, a volte ornata con bordi dorati o disegni. I Giapponesi solitamente li acquistano in due misure standard. Si appendono ai rami degli alberi di bambù durante il tanabata. Il bambù, per i giapponesi, è l’albero dei desideri, apprezzato per la sua sacralità e le doti curative.
 
4- L’obi è la fascia, o cintura, che si mette in vita per chiudere lo yukata e il kimono. Indossata sia dagli uomini che dalle donne, l’obi femminile è però più lungo, largo e colorato rispetto a quello maschile (anche se dipende sempre dall’età di chi lo porta e dallo stile dell’abito). Gli uomini lo portano sulla parte bassa della vita, le donne invece sulla parte alta, sotto il seno. Esistono vari tipi di nodi per chiudere la fascia, che per le donne termina sempre con un fiocco al centro della schiena, mentre per gli uomini leggermente spostato su un lato.

5- Il tempio Sogenji esiste realmente e si trova nel quartiere di Asakusa a Tokyo.
 
6- I takoyaki sono polpette fritte di polpo in pastella di forma tonda. Sono considerati uno spuntino veloce da mangiare caldo, appena pronto, solitamente con uno stuzzicadenti. Li avrete sicuramente visti praticamente in ogni anime e manga ;)
 
7- Le kinchaku sono tradizionali borsette a forma di sacco con cordoncino, usate per trasportare piccoli oggetti e chiamate anche ‘kimono bags’, proprio perché si utilizzano in genere quando si indossa questo abito. Per fabbricarle si usa la stessa stoffa dell’obi in modo da poterle coordinare all’abito.
 
8- Anche in questo caso, penso che tutti sappiate di cosa parlo. Il gioco della pesca dei pesciolini rossi con racchette fatte di carta (di riso) è tipico delle feste estive giapponesi. Lo scopo è riuscire ad acchiappare il pesce prima che la racchetta si rompa. E non è cosa facile, a quanto pare.
 

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Per la serie chi non muore si rivede, sono di nuovo qui! Il lavoro e la casa mi portano via tanto tempo, perdonatemi ma agli impegni quotidiani non si più dire no.
Questa volta vi ho riempito di notine sul tanabata ^ ^ Ho sempre adorato questa festa, dovevo per forza inserirla come sfondo di un capitolo. Che dite, vi è piaciuto? Io aspetto i vostri commenti per sapere cosa ne pensate, anche a te lettore che passi di qui per caso, orsù non impigrirti e non aver vergogna di dire la tua, farai una ragazza felice. xD
Mi scuso con le fan di Ed, che oggi abbiamo messo a fare il baby sitter, ahaha! La questione ‘bacio’ andava chiarita al più presto, anche se Kira e Mark non sembrano convinti nemmeno loro, non so se avete notato, eh eh eh… Mark ha fatto un passo avanti enorme, lei si è fermata a metà, convinta che sia meglio non innamorarsi del suo migliore amico…o forse sta solo cercando di convincersi che è meglio così. A voi la sentenza!!! Aahhhh, quanto mi piace scavare nelle menti dei giovani innamorati! Nemmeno loro sanno dove stanno andando, ma io si! :D Quando si metteranno insieme, vi chiederete? Ne parlavo l’altro giorno sul gruppo facebook di Efp: io amo le storie che si sviluppano nel tempo, piano piano, senza affrettare niente. Quando ho iniziato Haru no toki mi sono tuffata nel passaggio tra infanzia e adolescenza di questi personaggi, e non è una cosa da nulla, credetemi. Con tutte queste elucubrazioni mentali c’è da diventar matti. Comunque sappiate che ne succederanno ancora di ogni prima dei cuoricini, per cui preparatevi e sclerate con me xD
 A tal proposito, se volete seguirmi sui social, vi invito sul gruppo Facebook Chronicles of Queen, e su Instagram @susanthegentle_efp.
 
Un grazie mille a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate e a chi recensisce.
 
Un bacio e alla prossima!
 
Susan<3
   
 
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