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Autore: Koori_chan    08/10/2019    1 recensioni
[L’Ottobre del 1703 era uno dei più caldi che la gente di Londra ricordasse.
Per strada i bambini correvano scalzi schiamazzando senza ritegno, e sul mercato si vendeva ancora la frutta dell’estate; il sole, che già aveva incominciato la sua discesa verso l’orizzonte, illuminava i dock di un’atmosfera tranquilla, pacifica, quasi si fosse trattato di un sogno intrappolato sulla tela di un quadro.]
Quando un'amicizia sincera e più profonda dell'oceano porta due bambine a condividere un sogno, nulla può più fermare il destino che viene a plasmarsi per loro.
Eppure riuscirà Cristal Cooper, la figlia del fabbro, a tenere fede alla promessa fatta a Elizabeth Swann senza dover rinunciare all'amore?
Fino a dove è disposta a spingersi, a cosa è disposta a rinunciare?
Fino a che punto il giovane Tenente James Norrington obbedirà a quella legge che lui stesso rappresenta?
E in tutto ciò, che ruolo hanno Hector Barbossa e Jack Sparrow?
Beh, non vi resta che leggere per scoprirlo!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Hector Barbossa, James Norrington, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Ventiseiesimo~








La spada giaceva abbandonata sulla branda, proprio davanti a lui.
Era a stento trascorso un anno da quando l’aveva ricevuta, accaldato sotto il sole di mezzogiorno nella cerimonia solenne su al Forte.
Era a stento trascorso un anno, eppure gli sembrava che in quei giorni inseguitisi a passo di marcia una vecchiaia ingiustificata lo avesse afferrato per l’orlo della giacca, avesse tirato e tirato fino a fargli rallentare il passo, troppo appesantito da quella zavorra per poter proseguire senza intoppi.
Gli capitava, la notte, di svegliarsi di soprassalto, nelle orecchie il sordo pompare del cuore di Davy Jones che come una litania indesiderata gli ricordava il suo ruolo. Non erano incubi, quanto piuttosto un richiamo della coscienza, una maledizione a cui lui stesso si era volontariamente sottoposto.
Aveva tenuto il cuore fra le mani, lo aveva osservato, curioso, testardo, desideroso di comprendere come un uomo potesse arrivare a tanto, quale disperazione potesse muoverlo al punto da rinnegare se stesso e strapparsi l’anima dal petto. Aveva creduto di non essere in grado di rispondere a quell’interrogativo, ma si era ritrovato in piedi di fronte alla scrivania di Beckett con il cuore del nemico in un sacco di iuta e si era reso conto che non era solo Jones ad aver rinunciato alla sua umanità.
La risposta era lì, con una divisa logora della marina e i capelli arruffati e incrostati di sale. La risposta era nel suo nome, nei suoi occhi, sulle sue labbra tese di orgoglio e vergogna mentre Beckett lo riabilitava al suo ruolo.
Poteva un uomo arrivare al punto di strapparsi l’anima e rinnegare se stesso?
James Norrington guardava la sua spada abbandonata sulla branda e cercava di ritardare il momento in cui avrebbe risposto a quel quesito, e per un infinitesimale istante fu grato ai tre colpi precisi contro la porta chiusa.
- Avanti! - esclamò, lisciandosi la divisa pulita e drizzando la schiena.
L’uscio si aprì di colpo, contro ogni etichetta, e rivelò la figura alta e ordinata di un giovane ufficiale. Fu questione di un secondo, questione di contestualizzare ciò che aveva davanti agli occhi, e James spalancò la bocca di sorpresa.
- Theodore?! - esclamò.
Ma Groves non gli lasciò il tempo di aggiungere nulla, un enorme sorriso andò a tendergli le labbra verso l’alto e con un paio di ampie falcate attraversò la stanza e strinse Norrington in un abbraccio sincero, onesto come colui che lo stava offrendo.
- James, per diamine! Che cosa ci fai sull’Endeavour?! Lucas aveva detto che avevi rassegnato le dimissioni a Tripoli! Da dove esce quella divisa? Sei… sei stato promosso?! - sciorinò senza prendere fiato.
James sorrise, il peso sul cuore momentaneamente sollevato da quel volto amico: non si era reso conto di quanto Ted gli fosse mancato.
Un ghigno lieve andò a colorargli l’espressione, subito accompagnato da un’orgogliosa pacca sulla spalla.
- Potrei chiedere lo stesso a te, Tenente Groves! - lo elogiò con un cenno della testa alle mostrine, ma Theodore non rispose con l’entusiasmo che si sarebbe aspettato. I suoi caldi occhi castani scesero verso il basso, concentrati sulle assi del pavimento.
- Non era così che avevo immaginato la mia promozione. - mormorò.
Fu un istante, un silenzio di troppo nella replica tardiva, ed entrambi si accorsero di essere d’accordo.
- Sei sempre stato un buon marinaio, Ted. Te lo sei guadagnato. - cercò di sviare l’attenzione dalla reale problematica, ma Theodore era sempre stato troppo intelligente e troppo leale per potergli permettere gioco facile in quel frangente.
- Avrei preferito vedere la tua firma su quel foglio. A Port Royal ne ha fatti impiccare più di duecento. Un terzo erano bambini. - confessò.
Norrington strinse le labbra e trasse un profondo respiro dal naso.
Ricordava uno scambio di battute avvenuto moltissimi anni prima. Ricordava di aver detto che davanti alla Legge non vi erano sconti né carità, perché un ragazzino sarebbe potuto diventare un uomo e la prevenzione era meglio della cura.
Non era più così sicuro di credere a ciò che lui stesso aveva detto a diciotto anni.
- La Legge dovrebbe correggere, non estirpare… - sussurrò, una citazione di cui si appropriò senza diritto, come un ladro. Quello che era, dopotutto.
- E’ quello che ho sempre pensato anche io. Non mi sento a mio agio in questo ruolo. Non più, non così. - continuò il Tenente con un cenno della testa al ponte superiore, dove si trovava l’elegante cabina di Beckett.
- In ogni caso mi fa piacere vedere che stai bene. Quando ho saputo di Tripoli, sai… non posso negare di aver avuto qualche preoccupazione. - fece poi, cambiando discorso.
- Fare rotta attraverso un uragano! Sei stato un folle, James… - considerò ancora, un sorriso affettuoso mentre scuoteva ancora la testa.
Norrington sorrise a sua volta, sentendosi un bugiardo.
- Gillette esagera sempre, lo sai. Non è stata così tragica. Semplicemente Port Royal non aveva più bisogno di me. - liquidò la questione, ma ancora una volta Groves si dimostrò più tenace di quanto non fosse pronto ad affrontare.
- Ero convinto fossi rimasto con lei. - disse semplicemente.
James arcuò le sopracciglia verso il basso, offeso, stupito, punto sul vivo. Detestava quando Theodore lo metteva di fronte alle sue responsabilità.
- Io sono un ufficiale di Marina, Theodore. - fu la replica serrata.
L’amico fece un passo in avanti, questa volta meno accondiscendente.
- Tu sei un uomo come tutti noi, James! Credi che ci siamo dimenticati di come sei tornato a casa dopo la Fleur de Lys? - lo accusò.
- E’ stato tanti anni fa, è cambiato tutto. - ribatté James, nervoso.
Theodore tacque, quello era esattamente il tipo di risposta che si aspettava. Sapeva che avrebbe cercato di rinchiudere la parte migliore di sé in un passato irraggiungibile, sapeva che si sarebbe trincerato dietro mille scuse diverse. Lo faceva sempre, non sarebbe stato diverso quella volta.
Ma se poteva tollerare la sua testardaggine in circostanze differenti, a bordo dell’Endeavour quella cocciuta ostinazione gli sembrava quasi sacrilega.
- E’ solo che… - incominciò, indeciso se affrontare o meno quella conversazione.
James inarcò un sopracciglio, incuriosito nonostante la lieve stizza che ancora gli stringeva i pugni lungo i fianchi.
- Che? - lo incentivò a parlare.
Theodore sospirò e incrociò le braccia al petto, già pentito di aver osato spingersi così in là.
- E’ solo che hai avuto davvero una buona occasione, James. E ti chiedo scusa se sembrerò inappropriato, ma vedere te agli ordini di Beckett suona proprio come uno spreco, dopo la fatica che abbiamo fatto per liberare Miss Cooper! -
Se possibile, il sopracciglio di James si arcuò ancora di più.
- Abbiamo? - domandò.
Groves arrossì violentemente e incassò la testa fra le spalle.
- Beh, la Perla Nera non è certo venuta di sua spontanea iniziativa a recuperare Cristal e Sparrow. - si limitò a replicare.
- In ogni caso non era di questo che si stava parlando. Io capisco tutto: la proposta a Miss Swann, l’eseguire gli ordini contro Sparrow, tutto… Ma non capisco questo. Lo scorso Luglio avevi le mani legate, non lo metto in dubbio, ma adesso? Eri libero, per la prima volta eri davvero libero, e che cosa hai fatto? Ti sei di nuovo legato un cappio al collo, ti sei venduto, proprio tu! Comprenderei chiunque, ma non te, James. Sei sempre stato ambizioso, ma mai arrivista. - lo rimproverò.
L’uomo incassò il colpo in silenzio, incapace di ribattere. Avrebbe potuto cacciarlo dalla sua cabina, punirlo addirittura. Dopotutto era pur sempre un suo superiore. Gli sarebbe bastato uno schiocco di dita per rimetterlo al suo posto e farlo tacere, ma non fece nulla.
Fu lui a rimanere a capo chino, perché sapeva che Theodore era suo amico e nelle sue parole si celava reale preoccupazione. Perché sapeva, nonostante tutto, che aveva ragione.
- Lei ha scelto il Mare, Ted. - esalò, ammettendo per la prima volta la vergogna della disillusione, la sconfitta di un destino che aveva deviato bruscamente dai suoi desideri da troppo tempo per poterne raddrizzare la rotta.
Avrebbe potuto raccontargli di quella sera sul ponte della Perla, delle parole non dette, della vergogna che gli aveva impedito di accettarsi.
Avrebbe potuto spiegargli che persino Elizabeth, con cui un tempo aveva condiviso il peso del dolore, gli aveva voltato le spalle ed era stata capace di liberarsi, lasciandolo solo con la sua inettitudine.
Avrebbe potuto permettersi di essere sincero e mostrargli tutta la sua vulnerabilità, la paura, la consapevolezza di essere caduto troppo in basso per poter essere salvato. Sapeva che Theodore avrebbe compreso.
Non disse nulla. Ancora una volta cercò di raddrizzare la schiena curvata dal rimorso e non disse nulla.
- E quindi ora la tradisci vendendola a Beckett? Vendendoli tutti quanti? - incalzò Groves, forse ignaro della sua tempesta interiore, o forse perfettamente consapevole.
- Non avevo scelta! - si giustificò James, un lontano senso di nausea a stringergli la bocca dello stomaco.
L’amico lo guardò fisso negli occhi, non con rimprovero, ma con compassione.
- Abbiamo sempre una scelta. -
Sospirarono entrambi, perché quella conversazione, seppur carica di verità, era fine a se stessa. Sapevano tutti e due che ormai il danno era fatto. Che cosa avrebbero potuto fare, adesso che erano sotto l’attento sguardo di Beckett? Disertare? No, aveva ragione Theodore, erano entrambi con le mani legate.
James si guardò nervosamente attorno, come se un qualsiasi elemento di arredo della sua cabina semplice e ordinata avesse potuto offrirgli una via di fuga da quel discorso scomodo, ma fu una sincera curiosità a toglierlo d’impiccio.
- E come sta Lucas? Lavora per Beckett anche lui? - chiese all’improvviso.
Dal tendersi spontaneo delle labbra dell’amico intuì che ancora una volta Gillette doveva essersela cavata meglio di loro.
- Quell’infame è stato più furbo di tutti. Non l’ho più visto da quando siete salpati, ho ricevuto vostre notizie via lettera. - incominciò a spiegare, beandosi dello stupore in volto a Norrington.
- Si è fatto mettere di stanza a Minorca. Apparentemente adesso è Tenente Comandante di una corvetta, ma a quanto ha detto nell’ultima lettera non ci sono missioni in vista. Gli hanno dato una casa nel quartiere ufficiali e si gode il clima mediterraneo. -
James alzò gli occhi al cielo e rise sinceramente per la prima volta dopo settimane.
- Che razza di venduto! - commentò con affetto.
- Magari quando andremo in pensione potremo ritirarci tutti a Minorca a casa di Lucas… - ghignò Ted, immaginando già mille modi diversi di mandare in frantumi la tranquillità dell’ignaro Gillette.
Poi si fece serio e si voltò verso la porta, fermandosi proprio di fronte all’uscio.
- Devo andare, teoricamente sarei di turno. Tu a che ora attacchi? - chiese per calcolare se avrebbero avuto turni assieme o se avrebbero dovuto aspettare il cambio della rotazione per poter conversare in tranquillità.
James si mostrò stupito e socchiuse appena le labbra.
- Non… non te l’hanno detto? Non sono destinato all’Endeavour. Beckett ha convocato Jones, hanno affidato a me il comando dell’Olandese. - lo informò.
Theodore strinse appena le palpebre, come se acquisire quel concetto gli riuscisse particolarmente difficile. Forse si stava domandando per quale motivo lo avessero destinato all’Olandese quando l’Olandese aveva già un Capitano. Norrington si chiese se effettivamente Ted sapesse qualcosa del cuore, del forziere e di tutto il resto. Preferì non dire nulla, non era del tutto certo che la conoscenza avrebbe potuto fargli bene finché si trovava a stretto contatto con Beckett.
- Buona fortuna a trattare con Jones, non è un elemento particolarmente gradevole. - lo ragguagliò Theodore.
- Farò tesoro di questo consiglio! - scherzò lui, cercando di scrollarsi di dosso il leggero brivido che lo aveva colto al pensiero: lui per primo era poco entusiasta di quella direttiva.
- Ci vediamo, James! Passami a salutare se non sono in coperta quando parti! - e con un cenno della mano al suo indirizzo aprì la porta e lo lasciò nuovamente da solo nel vuoto della sua cabina.
Rimase qualche istante fermo immobile di fronte alla porta chiusa, poi intrecciò le mani dietro la schiena e mosse qualche passo verso la finestra da cui filtrava la luce del sole.
Gettò un’altra occhiata distratta alla spada ancora abbandonata sul letto e si passò una mano sul volto, stanco e consumato dai pensieri che come gabbiani impazziti continuavano a stridere contro le pareti della sua coscienza.
Meno di un’ora prima, quando Beckett lo aveva convocato per consegnargli la sua arma e impartirgli le nuove direttive, l’appellativo ammiraglio pronunciato da quell’uomo senza scrupoli gli aveva strinato la pelle, bruciando come un marchio a fuoco. C’era una bella differenza fra proporsi come corsaro ed essere riabilitato con promozione sul posto, c’era una bella differenza fra consegnare a uno sconosciuto il cimelio di una leggenda e mettere fra le mani di un freddo e crudele calcolatore lo strumento per piegare al suo volere ogni bandiera che solcasse gli oceani.
Ciò che temevano sulla Perla Nera era vero, Beckett non voleva solo impartire una lezione ai pirati, voleva annientarli, estinguerli, polverizzarli, e lui si rendeva conto solo ora di essere stato la chiave di volta per realizzare i suoi piani di sterminio.
Forse un tempo ne sarebbe stato orgoglioso, forse si sarebbe sentito soddisfatto nel sapersi parte centrale di quell’epurazione che una volta riteneva indispensabile, ma non aveva mentito quando aveva detto a Theodore che ogni cosa era cambiata da quando Cristal era salpata ormai sette anni prima.
Ripensò all’ultima conversazione che aveva avuto con la ragazza prima di tradirla e fuggire con il cuore di Davy Jones, e immediatamente le parole di Theodore andarono a risuonare sulle sue in una cacofonia che per un istante gli diede le vertigini.
Sapeva che alla fine tutta la sua vita si sarebbe ridotta a quello, lo aveva sempre saputo.
Ma James non era forte come voleva far credere, era intriso di insicurezze, intessuto di debolezze, e adesso quella paura di affrontare una realtà a cui aveva sempre voltato le spalle si rendeva imperativa.
Aveva rimandato per tutta la vita, e quella linea d’azione lo aveva condotto fin lì, sull’Endeavour, agli ordini di un uomo che disprezzava e la cui lucida follia temeva più di ogni altra cosa, e il tempo stava scadendo.
Avrebbe potuto rimandare ancora?
Esausto, poggiò la fronte contro il vetro tirato a lucido e chiuse gli occhi.
- Ammiraglio… - sibilò con scherno per se stesso.
Quando li riaprì, l’immagine riflessa era quella di un uomo che non riconosceva più.







 
L’onda lunga che spazzava la costa aveva reso difficile sbarcare, ma alla fine un piccolo drappello di uomini, capitanato da Jack e Hector, era riuscito a scendere a terra.
Secondo le carte nautiche quell’isola celava delle sorgenti d’acqua dolce, e dopo essere tornati miracolosamente vivi dallo Scrigno di Davy Jones nessuno di loro aveva voglia di morire di una morte stupida come quella per mancanza d’acqua.
Certo, si ritrovò a pensare Cristal allontanandosi pigramente dal bagnasciuga, si sarebbe sentita più tranquilla a lasciare la Perla se non si fosse verificato il piccolo incidente delle pistole.
Non appena avevano avuto la certezza di essere effettivamente tornati nel regno dei vivi, la velocità con cui il tacito accordo di non belligeranza istituito alla bettola di Tia Dalma si era infranto era stata impressionante: Barbossa era stato il primo a levare le armi contro i compagni di viaggio, ma dalla prontezza con cui Jack, Will e Lizzie avevano reagito sembrava che nessuno di loro ne fosse particolarmente stupito. Dopotutto ognuno di loro era imbarcato in quell’avventura per un motivo diverso, ed era giunta l’ora che la priorità del viaggio venisse definita.
Cristal, nemmeno a dirlo, era rimasta tagliata fuori dalla diatriba, anche se il suo interesse aveva finito curiosamente per allinearsi a quello di Barbossa: come l’uomo voleva riunire la Fratellanza a Consiglio, anche la ragazza necessitava, seppur per ragioni diverse, di recarsi a Shipwreck Cove, e Jack sembrava aver completamente dimenticato la promessa fattale a Tortuga.
- Lurido infame, avevi giurato! - era stata la sua esclamazione furibonda, ma Jack le aveva rivolto un occhiolino irriverente prima di cinguettare “pirata!” e tornare a dedicarsi alle due pistole di Elizabeth puntate contro di lui.
Gli avrebbe probabilmente messo le mani addosso se lo stesso desiderio non fosse stato anticipato dalla sarcastica minaccia di Barbossa.
Adesso, in momentaneo cessate il fuoco e con Liz e Will a guardia della Perla, Cristal si chiedeva come diamine sarebbero riusciti a trovare un punto di incontro senza venire alle mani.
La strisciante sensazione di disagio che l’aveva colta a Singapore era tornata a stringerle il cuore in una morsa fastidiosa, e si era accorta che Tia Dalma la stava tenendo d’occhio. Cercava di non pensare alle sue parole misteriose, così come cercava di non pensare all’ammonimento di Bleizenn, eppure più l’avventura si srotolava davanti a lei come una mappa da riempire, più la voce della bretone andava ad anticipare ogni segno sulla carta.
Bleizenn sapeva qualcosa di cui non l’aveva messa al corrente, e quella cosa si stava avvicinando veloce come la marea, ormai era evidente.
Quando finalmente raggiunse la sabbia asciutta e alzò lo sguardo, quella semplice supposizione si fece concreta con la violenza di uno schiaffo in pieno viso.
- Porca… - si zittì prima di completare l’esclamazione, troppo turbata da quello che vedeva per poter parlare oltre: di fronte a loro, arenata come un leviatano in secca, la carcassa del Kraken li guardava con occhi vitrei e distanti.
Barbossa si voltò verso di lei senza dire una parola, lo sguardo serio come l’aveva visto in pochissime altre occasioni.
- Che cosa significa? - gli chiese in un soffio, pregando che l’uomo potesse in qualche modo tranquillizzare quella paura irrazionale che le ululava nel petto.
Il pirata fissò gli occhi nei suoi e le portò una mano sulla spalla, stringendo appena. Non rispose subito, la osservò con attenzione, quasi come se avesse cercato nel suo volto un ricordo lontano, una memoria passata.
Lasciò ricadere la mano lungo un fianco, un sospiro teso ad accompagnare il gesto.
- Significa che è guerra aperta. - disse solamente.
Le voltò le spalle e prese a camminare verso il cadavere assalito dagli uccelli, ma Cristal non lo seguì.
Rimase a distanza, in soggezione di fronte alle spoglie del mostro. Non si avvicinò, non subito: le sembrava di profanare qualcosa di sacro.
Improvvisamente il terrore che aveva provato al suo cospetto combattendolo a bordo della Perla si mutò in pietà, profonda e dolorosa. Quella creatura antica, padrona degli abissi e protettrice delle onde, aveva incontrato un destino immeritato, piegata al volere di uomini avidi e scellerati, che non provavano rispetto per nulla se non il potere che andavano cercando.
Fino a che punto il Mare avrebbe subito l’ambizione dell’uomo?
Portò una mano alla sua collana, sentendo lungo i polpastrelli la superficie increspata ad ogni voluta della conchiglia, e tutto d’un tratto si sentì un’usurpatrice: con quale diritto Beckett, Jones, la Marina e persino la Fratellanza avanzavano pretese sugli oceani? Con quale diritto osavano decidere di qualcosa di così antico e insondabile come le profondità marine? Nessuno di loro era padrone di nulla, e per un istante la violenza delle onde a Capo Horn tornò a spruzzarle la faccia di schiuma e salino.
Per la prima volta si rese conto davvero di non essere nulla più che una passeggera, una mera contingenza che non avrebbe lasciato alcuna scia dietro la poppa. Era il Mare a concedere loro la grazia, a tollerarli e a guidare le loro rotte, non viceversa.
Loro non erano nessuno di fronte alla potenza millenaria delle maree, e quella consapevolezza le fece vibrare le ossa di rispetto di fronte a ciò che restava del Kraken.
Quando avevano dimenticato la promessa del Mare? Quando avevano smesso di proteggerlo e avevano incominciato ad appropriarsene?
Colma di vergogna davanti a quella scena miserabile, si riscosse solamente al richiamo di Ragetti e Pintel, che invece si erano lanciati immediatamente alla volta della bestia.
- Cristal! Vieni a vedere! -
La giovane allungò il passo, intenzionata a suggerire ai due pirati una condotta più dignitosa, ma la figura di Jack immobile e avvilito proprio come lo era stata lei fino a qualche istante prima attirò la sua attenzione.
Accanto a lui, Hector aveva un’aria stranamente malinconica e per un momento ebbe l’assurda impressione che a modo suo lo stesse consolando.
- Sì, ma quante sono le probabilità che accada? Non c’è la garanzia di tornare indietro, ma al contrario la morte è una cosa certa. -
Fu l’unica frase della loro conversazione che riuscì a intercettare prima che gli schiamazzi di Pintel e Ragetti la distraessero di nuovo, ma quella considerazione le smosse qualcosa nel fondo della coscienza.
Barbossa aveva ragione: quante probabilità esistevano che si potesse tornare dal regno dei morti? Eppure lui e Jack erano lì, davanti a lei, in carne ed ossa a discutere su quale fosse la scelta più giusta da operare alla luce di quella scoperta.
Sparrow si accorse che la giovane lo stava guardando con le sopracciglia aggrottate in un pensiero contorto e le rivolse un vago sorriso, poi aprì le braccia in un ampio gesto ed esortò il piccolo drappello a proseguire la ricerca della sorgente.
- In marcia! - esclamò, girando sui tacchi e incamminandosi verso il fitto della vegetazione.
- Sei riuscito a convincerlo? - sussurrò Cristal all’orecchio di Barbossa, ben attenta a non farsi sentire dall’altro Capitano.
Hector curvò un angolo della bocca verso l’alto senza smettere di camminare.
- Ovviamente… - replicò, orgoglioso.
La giovane scosse la testa con uno sbuffo divertito, cercando di mostrarsi convinta, eppure non riusciva ad impedirsi di ripensare ossessivamente a quanto il suo interlocutore aveva appena detto a Jack.
Erano tornati. Erano morti ed erano tornati.
Perché?
Era più che certa che ciò che Bleizenn aveva volutamente omesso si celasse tutto nella risposta a quel quesito.
Mentre gli stivali spezzavano i ramoscelli che incontrava lungo il cammino, Cristal ripercorse a ritroso quegli ultimi mesi, consapevole che il dettaglio che le sfuggiva era di certo nascosto in bella vista fra i suoi ricordi.
Quando Hector era morto, quella notte terribile a Isla de Muerta, non vi era stato nulla che potesse suggerire un suo ritorno. La maledizione era stata spezzata e il proiettile che gli aveva attraversato il cuore lo aveva ucciso come avrebbe ucciso chiunque altro. Cristal ricordava di aver pianto, di aver pregato Ahès che glielo restituisse, ricordava la rabbia e l’odio che aveva provato verso il suo stesso sangue, il sangue che aveva ucciso l’uomo che più di tutti aveva imparato a chiamare casa. Ma nulla di anomalo era successo.
Aveva lasciato i Caraibi ignara di ciò che il destino avesse in serbo per lei ed era nuovamente approdata a Brest, dove Bleizenn l’aveva accolta con affetto e con quelle parole che l’avevano messa in allarme.
C’era stato uno sfuggente riferimento a quell’ultima tragica avventura, ma Cristal non lo aveva compreso, e lo aveva ritenuto più che altro un goffo tentativo di consolarla.
“Lo hai salvato in modi che non puoi nemmeno immaginare”, le aveva detto per poi dedicarsi al racconto di Calypso e Davy Jones.
Gettò una rapida occhiata a Barbossa che procedeva accanto a lei aprendosi la strada fra il fogliame a sciabolate, poi tornò a concentrarsi sul suo ragionamento.
L’unica menzione ad Hector che fosse mai stata fatta da quando era morto a quando Tia Dalma glielo aveva restituito era stata quella strana sortita di Bleizenn.
Certo era bizzarro che la vita l’avesse poi condotta esattamente dalla donna che la sacerdotessa di Ahès le aveva suggerito di cercare, ma era stata la morte di Jack, un evento in fin dei conti imprevedibile, a condurla alla sua catapecchia.
“So chi sei e con che quesiti giungi.”, le aveva detto. “Conosco lo spessore del tuo sangue.”
Ancora una volta non si era interrogata su quelle arcane parole, troppo stravolta dalla perdita di Jack per poterle incamerare seriamente, ma adesso, a distanza di mesi, quel saluto le sembrava quanto mai fuori posto.
Per quale motivo aveva nominato il sangue? Come poteva conoscerla già? Che Hector le avesse parlato di lei, del suo fallimentare tentativo, del modo in cui il suo sangue lo aveva infine condannato? Che in qualche modo avesse intuito in anticipo, attraverso i racconti dell’uomo, il dolore che aveva provato rivolgendo ad una dea distante un oceano intero una preghiera inesaudibile?
Fu come se le avessero sparato a bruciapelo in mezzo alle scapole.
Interruppe la marcia di colpo, gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse.
Si trattava davvero di una preghiera inesaudibile?
Come faceva Bleizenn a dire che era stata capace di salvarlo, se Hector giaceva freddo in una grotta in mezzo al mare? Eppure eccolo lì, a camminare a pochi passi da lei, vivo e reale come se nulla gli fosse mai accaduto.
- E se il sangue… - sussurrò, un’assurda spiegazione che si dipanava alla sua intelligenza come le stelle si mostrano quando la nebbia si dirada.
“Cosa ti ha chiesto in cambio Tia Dalma?” era stato il quesito di Jack.
Nulla. Assolutamente nulla.
E ora capiva cosa Bleizenn non le avesse detto: qual era stato il prezzo da pagare per riavere indietro Hector? Quale prezzo avrebbero pagato per aver riavuto Jack?
Non ebbe tempo di darsi ulteriori risposte: qualcosa di altrettanto angosciante era all’opera proprio sotto i suoi occhi.
- Che diamine… ? - sussurrò Ragetti accanto a lei: di fronte a loro, riverso a faccia in giù nell’acqua di fonte, un cadavere galleggiava macabro.
- Velenosa, guastata dal cadavere! - li informò Hector sputando quella poca acqua che aveva assaggiato bagnandosi l’indice nella pozza.
Pintel superò il pirata e andò a voltare l’uomo riverso, mettendo in mostra un punteruolo di legno che entrandogli dalla bocca gli aveva sfondato il cranio.
- Questo lo conosco! - osservò.
- Stava a Singapore! - aggiunse per chiarire.
Proprio a quel punto un richiamo di Marty li fece voltare tutti quanti verso la spiaggia.
Mentre non guardavano, silenziosa come solo i traditori sanno essere, l’Imperatrice di Sao Feng aveva fatto la sua comparsa dall’orizzonte e aveva affiancato la Perla.
- Ma cosa diavolo…?! - esclamò Cristal voltandosi di nuovo verso Hector e Jack, ma anche loro dovettero contenere le loro esclamazioni di stupore, le pistole dell’equipaggio della Hai Peng puntate contro.
- Questa è proprio una sorpresa inaspettata… - commentò la ragazza con astio mentre i pirati la facevano salire a bordo con una baionetta a punzecchiarle la schiena.
- Sao Feng! La tua presenza qui è fuor di dubbio un’inspiegabile… coincidenza… - fu il saluto di Hector, Jack che andava a nascondersi dietro la sua figura come un bambino che si ripara fra le sottane della mamma.
Fu assolutamente inutile, Sao Feng non degnò Barbossa nemmeno di uno sguardo e avanzò dritto verso l’altro pirata.
- Jack Sparrow, un tempo tu mi hai gravemente insultato… - esordì mentre Cristal approfittava della distrazione dei presenti per scivolare più vicina ad Elizabeth, tenuta prigioniera.
- Strano, non è da me! - replicò Jack, ma l’umorismo non era la dote più spiccata del cinese, che gli assestò un violento pugno sul naso che fece sussultare tutti i presenti.
- Diciamo che siamo pari, adesso? - azzardò, ma la sua battuta venne coperta da un rumore di passi.
- Liberatela, lei non fa parte del patto! - Will era apparso come dal nulla indicando Elizabeth.
- Di quale patto si parla?! - si ritrovarono ad esclamare insieme Cristal e Barbossa, una indignata e l’altro più guardingo.
- Sentito il Capitano Turner? Liberatela! - lo schernì Sao Feng, suscitando l’ilarità della ciurma.
Will evitò lo sguardo dell’amica d’infanzia e si difese dalle accuse che gli piovvero contro.
- Mi occorre la Perla per liberare mio padre, è la sola ragione per cui ho intrapreso questo viaggio. - confessò senza pudore.
La figlia del fabbro fece per muovere un passo in avanti, forse con l’intenzione di mollargli un sonoro ceffone, ma Elizabeth fu più svelta di lei e coprì in un paio di falcate la distanza che li separava.
- Perché non mi hai detto del tuo piano? - chiese, ferita.
- Era il mio peso da portare. - rispose in quello che aveva tutta l’aria di essere un botta e risposta comprensibile solo a loro due.
A quel punto Jack perse la pazienza, stizzito al punto da scimmiottare il traditore.
- E tu ti sentivi in colpa! E tu hai la tua Fratellanza a consiglio e andremo tutti a Shipwreck Cove! - esclamò accusando uno ad uno Elizabeth, Barbossa e Cristal, che gli rivolse un’occhiata di fiele.
- Nessuno è venuto a salvarmi solo perché sentiva la mia mancanza? - sbottò allargando le braccia, Gibbs a sbuffare dietro di lui mentre Tia Dalma alzava gli occhi al cielo.
Quando i membri dell’equipaggio della Perla si dichiararono sinceramente fedeli a Jack, quello fece per andare a schierarsi accanto a loro nell’atto conclusivo della sua scena madre, ma Sao Feng lo bloccò, afferrandolo per la collottola.
- Mi dispiace Jack, ma prima c’è un vecchio amico che è venuto a trovarti. - lo informò.
Solo a quel punto Cristal spostò l’attenzione da ciò che stava accadendo sul ponte all’orizzonte dietro di loro.
Non erano più soli: a fare vela verso la Perla, l’Endeavour di Cutler Beckett filava veloce sui flutti.
Jack fu trasferito a bordo della nave della Compagnia delle Indie, che in cambio inviò un drappello di soldati sulla Perla, sotto lo sguardo furente della sua ciurma.
Un uomo che Cristal non aveva mai visto si avvicinò a passi decisi verso Sao Feng, che apparentemente era scontento dello svolgersi degli eventi.
- Il mio equipaggio sarà sufficiente. - puntualizzò infatti, ma l’uomo parve non essere d’accordo e gli rivolse un’occhiata gelida.
- La Compagnia ha un equipaggio suo. - rettificò con un tono che non ammetteva repliche.
- L’accordo era che la Perla sarebbe stata mia. - intervenne Will, mettendo a nudo la sua ingenuità.
- L’accordo era questo… - lo schernì il Pirata Nobile prima di ordinare ai suoi di catturare Will.
- Quanto in basso è caduto il vostro onore… - sibilò Cristal all’indirizzo del cinese, che sollevò un sopracciglio mostrandosi poco impressionato.
Nel frattempo gli uomini della Compagnia stavano occupando le loro postazioni a bordo della Perla Nera.
- Lord Beckett ha detto che la Perla Nera spettava a me. - esclamò Sao Feng afferrando una spalla dello sconosciuto, un gesto a metà fra la minaccia e il panico.
L’emissario di Beckett ghignò appena, godendo dell’impotenza nelle iridi scure dell’interlocutore.
- Lord Beckett non rinuncerà all’unica nave che può rivaleggiare con l’Olandese. - replicò, scrollandoselo di dosso e allontanandosi.
Cristal gli avrebbe volentieri riso in faccia, ma fu Barbossa ad esternare i pensieri di tutti.
- Loro non devono rispettare il Codice della Fratellanza, ahimè, perché l’onore è cosa rara da trovare al giorno d’oggi. - rincarò la dose con la sua solita eleganza.
La stizza di Sao Feng si fece se possibile ancora più evidente.
- Non c’è alcun onore nel rimanere dalla parte del perdente. Lasciarla per quella del vincente è l’unica scelta possibile. - si giustificò.
- Dalla parte del perdente, eh? - replicò Hector, ma Cristal si accorse che quella frase non era una semplice provocazione. Barbossa stava conducendo il dialogo esattamente dove aveva intenzione di condurlo.
- Loro hanno l’Olandese. E ora la Perla! E invece la Fratellanza che ha? - berciò, furibondo.
Il lampo di soddisfazione negli occhi blu di Barbossa rese evidente che aveva ottenuto ciò che voleva.
Si sporse appena in avanti e abbassò lievemente il tono, come se fosse stato in procinto di rivelare un grande segreto.
- Noi abbiamo Calypso… -
A quella dichiarazione seguì un lungo istante di silenzio, poi Sao Feng proruppe in una risata nervosa.
- Calypso! E’ un’antica leggenda! - lo schernì, ma la sicurezza del pirata non parve essere scalfita da quell’atteggiamento.
- No! E’ una dea, imprigionata nella sua umana forma. - incominciò a raccontare una storia che ormai Cristal sapeva alla nausea.
- Immagina: tutti i poteri del Mare scatenati contro il nostro nemico! Io intendo liberarla, ma per questo mi occorre il Consiglio della Fratellanza. Tutto il Consiglio. - si premurò di chiarire.
La ragazza però non fece caso alla sfumatura nella sua voce, non notò nemmeno il mutare d’espressione di Sao Feng.
All’improvviso, rapida e violenta come un fulmine, la verità le si era palesata.
Calypso! Come aveva fatto a non capire?!
Il sangue, la preghiera, l’ammonimento di Bleizenn, il prezzo da pagare! E perché andare a riprendere Jack? Perché organizzare un viaggio così pericoloso per un pirata la cui vita aveva fatto il suo corso?
Ma soprattutto, perché unirsi all’impresa quando la pirateria non faceva parte delle proprie occupazioni?
Cristal si voltò di scatto verso Tia Dalma, gli occhi spalancati di consapevolezza. Finalmente il disagio che provava in sua presenza, le mezze frasi a lei rivolte, la sensazione che sapesse sempre quali fossero i suoi pensieri trovarono una spiegazione.
Calypso.
La sua preghiera era stata esaudita, ma il prezzo da pagare non spettava a lei, bensì a Barbossa: Calypso andava liberata una volta per tutte dalla sua forma mortale.
Tia Dalma, che aveva ghignato alle parole di Barbossa, volse lo sguardo e incrociò gli occhi di Cristal. Fu un istante, ma fu chiaro ad entrambe che, almeno per quanto riguardava la Figlia della Tempesta, la verità era stata scoperchiata.
Ma se c’era qualcuno che non aveva compreso nulla, quel qualcuno era Sao Feng.
- Che stai proponendo, Capitano? - domandò a Barbossa, di nuovo rispettoso nella sua malcelata avidità.
- Che sarebbe accettabile, Capitano? - replicò Hector con una domanda, senza nemmeno premurarsi di nascondere quanto lo stesse raggirando. Del resto, e di questo Cristal si era accorta immediatamente, il cinese era convinto di avere il coltello dalla parte del manico. Il granchio che aveva preso era colossale, solo restava da capire come intendesse muoversi.
- La ragazza. - fu la sua richiesta, le iridi scure puntate su Elizabeth.
- Cosa?! - sbottò lei, che non doveva aver colto l’equivoco.
Cristal assottigliò gli occhi, concentrata sullo scambio di battute.
Certo, il fatto che Sao Feng avesse attribuito l’identità di Calypso alla persona sbagliata giocava a loro favore, ma in questo modo Elizabeth poteva dirsi al sicuro? Da quel momento in avanti ogni mossa, ogni singola parola avrebbe dovuto essere calibrata alla perfezione.
- Elizabeth non è merce di scambio! - intervenne Will, sulla difensiva.
- Nemmeno a chiederlo! - gli diede manforte Barbossa, per nulla preoccupato. A dirla tutta, anche se non si sentiva completamente tranquilla, Cristal aveva l’impressione che si stesse divertendo un mondo.
- Infatti non l’ho chiesto. - se non si fosse fidata ciecamente di Barbossa, l’arroganza di Sao Feng le avrebbe fatto ribollire il sangue nelle vene. Ancora non gli aveva perdonato la sufficienza con cui l’aveva trattata a Singapore, e vederlo così sicuro di sé sapendo fra l’altro quanto sbagliasse glielo rendeva ancora più indigesto.
Il silenzio infranto dalle onde venne tuttavia riempito contro ogni pronostico dalla voce decisa di Elizabeth Swann.
- Andata! - esclamò.
Will si voltò di scatto verso di lei, allibito.
- Cosa?! Non è andata! -
Persino Hector era stato colto in contropiede e si era voltato verso Elizabeth: quello non rientrava nel suo piano.
- Ci hai cacciati in questo pasticcio, se serve ad uscirne è andata! - fece esasperata la giovane per poi muovere un passo verso Sao Feng.
Cristal gettò un’occhiata veloce a Barbossa, nervosa: se prima sapeva che sarebbero riusciti a cavarsela, alla luce di quell’inatteso colpo di testa non era più così tranquilla.
- Elizabeth, sono pirati! - sibilò tuttavia Will, frapponendosi fra lei e il cinese.
Mentre la ragazza gli rispondeva a tono, Cristal ebbe chiara davanti ai suoi occhi la stessa identica conversazione, solo con un altro uomo e in un altro contesto. Per un momento trovò quel parallelismo uno scherzo del destino privo di qualsivoglia ironia, ma l’incedere spasmodico degli eventi si riappropriò in fretta della sua attenzione: con uno spintone Elizabeth si era liberata di Will e aveva fatto un altro passo avanti, gli occhi lampeggianti di rabbia.
- Allora abbiamo un accordo? - inquisì Barbossa.
Le labbra di Sao Feng si aprirono come uno squarcio in un ghigno crudele e i suoi occhi andarono a posarsi sulla figura di Cristal, in piedi dietro ad Elizabeth.
- Quasi. - pronunciò con estrema lentezza.
- Non vorrai certo negare ad una dama la sua compagnia… - aggiunse beandosi dell’espressione atterrita sul volto dell’interlocutore: quella era una piega degli eventi che non aveva minimamente messo in conto.
Cristal e Lizzie si scambiarono uno sguardo veloce.
- Non ho bisogno di una guardia del corpo. - sibilò la figlia del Governatore nel tentativo di liberare almeno Cristal da quell’assurda rete in cui si era ficcata da sola, ma il ghigno di Sao Feng rimase al suo posto.
- E’ inutile intestardirsi nel proprio orgoglio. Dopotutto non vogliamo certo separare l’Oceano… - fu la sua replica melliflua.
Durò solo un istante, ma lo sguardo dell’uomo indugiò sulla scollatura di Cristal e la ragazza si ricordò improvvisamente di una frase curiosa che le aveva rivolto a Singapore.
Abbassò il capo di scatto notando la sua collana in bella vista, e anche se non sapeva quale fosse il preciso piano di Sao Feng, capì che se avesse voluto neutralizzarne la minaccia l’unica soluzione sarebbe stata assecondarlo.
Lei sapeva la verità su Calypso e questo la metteva in una posizione di vantaggio; con un poco di fortuna avrebbe anche potuto farcela.
- Che l’Oceano non si separi, dunque. - acconsentì, portandosi al fianco dell’amica.
- Cristal, che cosa stai…?! - sbottò Barbossa, contrariato.
Era forse paura quella strana luce acquattata in fondo alle sue iridi chiare?
La giovane lo fissò dritto negli occhi, mostrandosi spavalda.
- E’ giunta l’ora che le due Sponde si riuniscano. - improvvisò. Se aveva ben inteso le intenzioni di Sao Feng, ogni singola parola di Bleizenn avrebbe trovato una spiegazione, e forse davvero sarebbe stata lei ad avere il coltello dalla parte del manico a bordo dell’Imperatrice.
Barbossa le rivolse un’occhiata densa, a metà fra il rimprovero e l’apprensione, mentre alle sue spalle Tia Dalma, Calypso, continuava a sorridere di fronte a quella macchinazione che portava il suo nome.
Cristal si chiese se avesse intuito il suo gioco, ma non ebbe tempo di indagare oltre, Sao Feng afferrò sia lei che Elizabeth per le spalle e le condusse senza grazia sull’Imperatrice.
Non vi fu nemmeno tempo di dare un ultimo addio alla ciurma, le due ragazze furono caricate su una scialuppa e fatte salire a bordo il più celermente possibile. Cristal gettò un’ultima occhiata alla Perla: affacciato al parapetto di tribordo, Hector Barbossa la guardava scivolare via dalla sua protezione ancora una volta.
Quando il suono familiare dei cannoni della nave dalle vele nere la informò che l’Endeavour era sotto attacco, ormai erano già lontani.
Sao Feng impartì alcuni ordini in Cinese ai suoi sottoposti, poi tornò a dedicarsi alle ragazze. Si avvicinò ad Elizabeth e le rivolse un sorriso stranamente rispettoso.
- Alloggerete in una delle mie cabine. - la informò, facendole cenno di seguire due giovani donne vestite di nero.
La ragazza scambiò un’occhiata incuriosita con Cristal e si fece guidare dalle due, seguita a ruota dall’amica a cui tuttavia il braccio teso del Pirata Nobile bloccò la strada.
- Ferma, Cristal Cooper. Non è a voi che mi sono rivolto. - disse con calma, il disprezzo a filtrare nuovamente senza freni dalle sue labbra.
- E ditemi, Capitano, quali quartieri mi avete destinato? Credevo non voleste separare l’Oceano. - lo provocò.
L’uomo mostrò i denti in un’espressione carica di scherno, un’espressione che rinnovò in lei la rabbia e il desiderio di prenderlo a pugni abbandonando ogni diplomazia.
- Voi non siete che il rimpiazzo del Faucon du Nord, sono certo che Ahès non si risentirà se lascerò la sua piccola e ingenua messaggera a marcire nelle mie sentine fino a nuovo ordine. -
La giovane sgranò gli occhi, spiazzata da quella frase.
- State scherzando?! Sono un Pirata Nobile, non avete il diritto di trattarmi come un qualsiasi mozzo d’acqua dolce! - ma prima che potesse terminare l’invettiva un cenno dell’uomo autorizzò due dei suoi marinai a zittire la giovane con un pugno nello stomaco, proprio come mesi prima avevano fatto con Will.
Impreparata, Cristal emise uno sbuffo di dolore e si piegò in avanti, subito bloccata dai due pirati.
- Pirata Nobile… - la derise Sao Feng, prendendosi gioco del suo titolo.
Poi si chinò in avanti e si avvicinò al suo volto, abbassando la voce.
- Mi sembrava di averti detto che non era un gingillo quello che indossi. - aggiunse.
Prima che Cristal potesse reagire in una qualsiasi maniera, Sao Feng afferrò la collana del Faucon e gliela strappò con un gesto deciso.
- No! - urlò, cerando di lanciarsi in avanti con un inutile colpo di reni.
- Sao Feng, la tua arroganza ti impedisce di vedere al di là del tuo naso! Puoi anche incarcerarmi, ma non otterrai alcun favore da Ahès, né tantomeno da Calypso! - sputò velenosa senza più premurarsi di mantenere il voi di cortesia, le braccia torte dolorosamente dietro la schiena.
L’uomo la afferrò senza grazia per il mento, le lunghe unghie nere a sfiorarle le guance.
- Sciocca, credi ancora che la tua spavalderia serva a qualcosa? La tua devozione è ammirevole, ma non hai alcun valore in questa vicenda. Quando l’Oceano sarà riunito e la Fiamma del Serpente riaccesa non ci saranno né Beckett né Fratellanza che potranno fermarmi! Persino le Dee sono soggette alla loro Legge, il Dominio dei Mari sarà mio. - sibilò a un soffio dal suo volto.
- Peccato, Cristal Cooper, ma temo che la tua protezione non abbia più effetto. -
Sao Feng girò sui tacchi e si incamminò solenne verso il boccaporto, il ciondolo stretto in pugno e il sottile filo d’argento a pendere inerme fra le dita.
- Lurido schifoso! Ridammelo! Il Mare non ti appartiene! Non ti apparterrà mai! - urlò ancora la ragazza, ma un violento colpo in mezzo alle scapole le mozzò il respiro e le fece appannare la vista.
Si sentì stringere le braccia e trascinare con forza, mentre i due uomini che la tenevano prigioniera le urlavano chissà cosa in Cinese.
Quando finalmente le lasciarono andare le braccia fu solo per spingerla senza grazia all’interno della sua cella.
La porta le venne chiusa in faccia con violenza e la giovane si rimise in piedi di scatto, lanciandosi contro le sbarre.
- Fatemi uscire! Sao Feng, schifoso bugiardo traditore, lasciami andare! Restituiscimi quella collana! - urlò fino a che la gola non le fece male, ma si rese conto in fretta che era tutto inutile.
Certo, Sao Feng avrebbe cercato presso Elizabeth favori che non avrebbe mai ottenuto, ma adesso l’uomo era in possesso della sua collana e di fatto le aveva sottratto ogni autorità, divenendo lui stesso Pirata Nobile del Mare del Nord.
Furente, si lasciò cadere per terra e incrociò le gambe poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sui palmi delle mani.
Chiuse gli occhi e trasse alcuni profondi respiri per calmarsi.
Aveva perso la collana.
La collana, custodita da sua madre per venti lunghi anni e da lei perduta nel più stupido dei modi.
La collana, cimelio del Faucon du Nord e, solo adesso capiva quanto, legame concreto con la dea Ahès.
Come aveva potuto farsi fregare in un modo così stupido?!
La minaccia di Sao Feng tornò a rimbombarle nella coscienza. Certo, lei sapeva che la vera Calypso era rimasta a bordo della Perla e che in realtà il piano del cinese non avrebbe mai trovato concretizzazione, ma se Elizabeth fosse stata davvero Calypso? Che cosa sarebbe successo se l’uomo fosse davvero entrato in possesso delle due sponde dell’Oceano? Cosa significava quella Fiamma del Serpente che aveva nominato? Cosa avrebbe dovuto fare, concretamente, per ottenere quel fantomatico Dominio dei Mari?
E soprattutto, cosa ne sarebbe stato di loro quando si sarebbe accorto dell’errore commesso?
Non c’era tempo da perdere, doveva trovare una soluzione a quel problema e doveva farlo in fretta.
Riuscire a cavarsela con la sua parlantina era inutile: Sao Feng aveva dimostrato di esserne totalmente immune e dubitava fortemente che i membri più umili dell’equipaggio, sicuramente più facilmente raggirabili, potessero comprendere la sua lingua.
Sia la diplomazia che l’inganno erano dunque due strade impossibili da percorrere, non le rimaneva che giocare d’astuzia.
Si guardò attorno. La cella era spoglia ma non umida, e da una piccola apertura in alto entrava la luce del giorno. Le sbarre non recavano particolare ruggine, segno che erano state sostituite di recente, e nessuno era posto a guardia dell’accesso alle sentine.
Si alzò di nuovo in piedi e tornò ad avvicinarsi alle sbarre, saggiandone la resistenza con le mani e analizzando alla cieca la serratura.
Se solo avesse avuto le sue armi avrebbe potuto provare a forzarla, ma la spada e la pistola giacevano abbandonate su una cassa poco distante.
Cercò di ricordare quello che suo padre le spiegava da bambina, quando Marion era impegnata e lei, annoiata, sgattaiolava in bottega per guardare il lavoro di Jim e Will. Si parlava di perni, di leve, di forze da applicare, ma Cristal, seppur curiosa, non aveva mai speso troppo tempo nell’incamerare seriamente quelle nozioni, convinta che non ne avrebbe mai avuto bisogno. Adesso, nella più impellente necessità di sapere come scalzare una porta di ferro dai suoi cardini, la figlia del fabbro inviò un vibrante pensiero di rimprovero alla se stessa dodicenne.
Nel frattempo, la luce che filtrava dalla piccola finestra cambiava colore e intensità, sintomo che il sole era ormai quasi del tutto calato sulla linea dell’orizzonte.
- Diamine, ci vorrebbe un miracolo… - borbottò innervosita nel rendersi conto che con il solo ausilio delle sue mani non sarebbe mai riuscita a liberarsi.
Seccata, abbandonò nuovamente la porta della cella e si spostò a sinistra, intenzionata a raggiungere l’angolo più lontano e sedersi in cerca di nuove idee, ma un fischio sempre più forte catturò la sua attenzione.
Prima che potesse capire qualsiasi cosa un fragoroso boato e un violento spostamento d’aria la spinsero contro le sbarre di sinistra. Diede una testata dolorosa contro il ferro nudo e la polvere le entrò in gola facendola tossire.
Incredula, posò gli occhi lacrimanti sulla devastazione attorno a sé: una bordata aveva appena squarciato il ventre dell’Imperatrice e divelto la porta della sua cella.
Rimase immobile per una manciata di secondi, un sorriso trionfante ad aprirsi lentamente sulle sue labbra, poi fu una vera e propria risata ad abbandonare la sua gola.
- Ah! Ripetimi quella cosa della protezione, Sao Feng! - esclamò fra sé e sé, correndo a recuperare le sue armi e lanciandosi a rotta di collo su per le scale che portavano al ponte di coperta.
Quelli non erano i cannoni della Perla, segno che Hector non si era lanciato al loro inseguimento. Sperò che la loro rappresaglia contro l’Endeavour fosse andata a buon fine e si chiese per un istante che cosa ne fosse stato di Jack, ma quando l’aria fresca della sera accolse il suo volto accaldato e gli occhi si adeguarono alla fioca luce delle prime stelle si rese conto con un brivido di terrore che conosceva già il suono di quei cannoni.
- E’ l’Olandese! - considerò ad occhi sgranati, la spada sguainata stretta in pugno e la pistola al sicuro appesa alla sua cintura.
- Uomini! Caricare la batteria di babordo! Pronti a fare fuoco! - urlò, senza curarsi del fatto che quella non era la sua nave, né il suo equipaggio, e che probabilmente erano solamente in quattro a capire le sue parole.
Il sottoposto di Sao Feng che li aveva accompagnati fino allo Scrigno apparve dal fumo e la raggiunse a rapide falcate.
- Tu non sei il nostro Capitano! - sputò con rancore, probabilmente troppo preso dall’urgenza per notare che, oltre alla lecita osservazione, avrebbe anche potuto puntualizzare sulla sua evasione dalle sentine.
Cristal, stufa di non vedere la sua posizione riconosciuta, gli rivolse un’occhiata raggelante.
- No, ma mentre il vostro Capitano è impegnato con la sua bella vi ci vuole qualcuno che sia capace di svolgere il compito. Ora, ordinate di caricare la batteria di babordo oppure potrete lamentarvi direttamente con Jones dell’inettitudine di Sao Feng! -
L’uomo rimase immobile a valutare quelle parole, ma quando un’altra bordata li raggiunse capì che non c’era tempo per andare troppo per il sottile. L’ordine venne ripetuto alla ciurma, ma era troppo tardi: gli uomini di Davy Jones abbordarono l’Imperatrice, e da quel momento in avanti fu il caos.
Cristal si riparò dal fendente di un uomo dalla testa di murena e roteò a destra per poi colpirlo in un affondo pulito. Non si soffermò a sincerarsi che fosse morto, non era nemmeno del tutto certa che quei cosi si potessero realmente ammazzare, ma dopotutto non era quella la sua priorità.
Approfittando del marasma e della nebbia causata dalle detonazioni, voltò le spalle alla battaglia e scese sottocoperta, diretta alla cabina di Sao Feng. Inetto e arrogante che fosse, qualcosa non andava nell’assenza sul ponte del Capitano dell’Imperatrice.
- Sao Feng! - esclamò, aprendo la porta della cabina con un calcio.
La scena che si trovò davanti fu capace di strapparle un urlo.
Il pirata giaceva a terra, un enorme pezzo di legno conficcato nello stomaco. Inginocchiata accanto a lui, vestita di sontuosi abiti che non le appartenevano, Elizabeth raccoglieva quelle che dovevano essere le ultime parole dell’uomo.
- Capitano! La nave è presa, non possiamo…! -  e proprio come le parole erano morte in gola a Cristal, lo stesso accadde con il primo ufficiale dell’Imperatrice, che attonito si tolse il cappello in segno di rispetto.
- Che cosa ti ha detto? - domandò a Elizabeth quando fu chiaro che per Sao Feng non c’era più nulla da fare.
La giovane Swann si alzò in piedi lentamente, fra le mani il Nodo di Giada del Pirata Nobile e sul volto un’espressione sconvolta.
- Mi ha nominata Capitano! - balbettò, incredula.
Il cinese le rivolse una smorfia di profondo disprezzo e, senza attendere un momento di più, si precipitò sul ponte di coperta.
- Elizabeth! Stai bene?! - esclamò invece Cristal, correndo verso di lei.
La ragazza annuì debolmente, ancora sconvolta da quanto appena accaduto.
- Non ha avuto il tempo di farmi nulla, per fortuna. -
- Cosa succede, chi è che ci attacca? - si informò poi.
Cristal la superò e si inginocchiò accanto al cadavere di Sao Feng, incominciando a rovistare nelle sue tasche.
- L’Olandese! Dobbiamo sbrigarci, ci hanno abbordati e io devo trovare quella stramaledetta collana! - le rispose senza tuttavia guardarla. Pregò che l’esplosione non l’avesse polverizzata, mentre in preda al panico apriva con un gesto deciso le vesti dell’uomo sbirciando attraverso il sangue.
- Non c’è tempo, Cris! - replicò Elizabeth.
L’amica sbuffò, sempre più agitata.
- Vai avanti, io arrivo! - le concesse, continuando a cercare.
Elizabeth annuì soltanto e seguì in coperta colui che era diventato il suo primo ufficiale, mentre Cristal ancora cercava fra le schegge.
Non poteva averla persa, non ora, non così!
Poi, proprio quando stava incominciando ad abbandonare ogni speranza, si rese conto che dalla mano chiusa del pirata spuntava un sottile filo d’argento.
- Eccoti qua! - sussurrò in trionfo, spostando le dita e indossando nuovamente il suo gioiello insanguinato.
Rivolse un ultimo sguardo a ciò che restava del Pirata Nobile del Mar Cinese Meridionale, ma si accorse di non provare pietà.
- Il Mare non appartiene a nessuno. - disse solo, come se avesse ancora potuto sentirla.
Non si attardò oltre, e anche lei imboccò la scala che portava all’aperto.
Ancora una volta si ritrovò fra l’odore della polvere da sparo e il clangore delle lame, ma le parve che il caos si fosse in qualche modo attutito, ritirato come la marea.
Mosse qualche passo in avanti, gli occhi a scandagliare il ponte in cerca di Elizabeth, e quando la trovò rimase senza parole: qualcuno la stava abbracciando.
- Liz…! - fece per chiamarla, ma non alzò la voce, non scese nemmeno le scale, rimase immobile dov’era con un violento fischio nelle orecchie e una sensazione che non credeva avrebbe mai provato.
Di fronte alla sua migliore amica, apparentemente incredulo e sicuramente fuori posto, c’era James Norrington.
Che cosa ci faceva sull’Olandese Volante? Come mai si trovava in mezzo alla battaglia, proprio lì, in quel frangente che non aveva nulla a che vedere con lui?
Quindi era vero, era realmente andata come avevano ipotizzato: James aveva portato il cuore a Beckett e con quello strumento l’uomo era riuscito a far leva su Davy Jones! E adesso, come premio, Norrington non solo aveva ricevuto l’amnistia, ma vestiva la livrea dell’Ammiraglio.
Una rabbia rovente le aggredì la bocca dello stomaco, mentre la delusione, violenta come mai l’aveva provata, si faceva strada attraverso le sue viscere.
Scese le scale lentamente, un passo alla volta, avvicinandosi non vista ad Elizabeth e James.
- Grazie a Dio sei viva! Per tuo padre sarà una gioia saperti salva! - esclamò lui, un sorriso sul volto che Cristal gli aveva visto in rarissime occasioni e che le parve la più volgare delle bestemmie.
- Suo padre è morto! - esclamò a voce alta e carica di disprezzo, interrompendo il momento fra i due. Si accorse solo dopo che Elizabeth aveva risposto allo stesso identico modo.
James spostò lo sguardo alle spalle della giovane, notando Cristal dietro di lei e sgranando gli occhi di sorpresa e di vergogna.
- Cris… - sussurrò a fior di labbra.
Apparentemente confuso, tornò a rivolgersi alla figlia del Governatore.
- No, non è vero! E’… E’ tornato in Inghilterra! - balbettò, il tono che voleva mostrarsi sicuro, ma le sopracciglia aggrottante a minare gli sforzi.
Cristal non riuscì a vedere l’espressione di Elizabeth, ma se la ragazza provava anche solo un grammo del disgusto che stava provando lei immaginò che i suoi occhi lo mostrassero con sufficiente decisione.
- Così Lord Beckett non te l’ha detto. - sentenziò infatti, e in quella frase crudele Elizabeth riuscì a umiliarlo nel peggiore dei modi, colpendolo in quello che era il suo punto più debole, l’orgoglio.
Davanti alla constatazione della ragazza, il prezzo irrisorio a cui si era svenduto diventava evidente, così come diventava evidente quanto Beckett lo stesse usando come semplice pedina in un gioco nettamente più grande di lui.
Abbassò lo sguardo, eppure per un rapidissimo momento in Cristal balenò la sensazione che la sua aria mortificata non avesse nulla a che fare con l’orgoglio ferito. Fu un solo istante, poi la compassione svanì nuovamente dal cuore dell’erede del Faucon du Nord.
James alzò di nuovo lo sguardo, questa volta su di lei, come se avesse potuto in qualche modo ottenere un perdono, ma comprese subito che nulla di tutto quello sarebbe mai successo.
Sia lui che la giovane aprirono bocca per dire qualcosa, ma vennero interrotti da una nuova voce, aspra come l’acqua che ribolle attorno a una secca.
- Chi è di voi che si chiama Capitano? -
Davy Jones, spaventoso e crudele nel suo lento incedere, era salito a bordo dell’Imperatrice e ne ispezionava la ciurma terrorizzata.
Fu il secondo di Sao Feng a rispondergli, un dito puntato contro chi di dovere e la vile paura a muovergli le membra.
- Capitano? Loro due! - fece all’indirizzo di Cristal ed Elizabeth, che ne portavano entrambe la prova appesa al collo. La ciurma, senza probabilmente avere realmente capito cosa stesse succedendo, lo imitò levando il dito contro le due.
Jones sembrò notarle per la prima volta e rivolse loro un ghigno sprezzante.
- Capitani! - esordì con sfregio, ma James lo interruppe bruscamente.
- Trainate la nave! Mettete i prigionieri in cella! - ordinò senza nemmeno guardarlo in faccia.
- I Capitani staranno nei miei alloggi. - aggiunse poi, in un patetico tentativo di mostrarsi rispettoso verso le ragazze.
Elizabeth non si diede nemmeno il tempo di pensare a quella proposta, gli scoccò uno sguardo di sufficienza e drizzò la schiena con orgoglio.
- Grazie Signore, ma preferisco rimanere col mio equipaggio. - sibilò prima di seguire la ciurma a bordo dell’Olandese.
Lo sguardo di James saettò a Cristal, che senza proferire parola aveva seguito l’amica verso il vascello nemico.
Colto dal panico, l’uomo le afferrò entrambe per le braccia, guadagnandosi solamente un paio di espressioni indignate.
- Ragazze! - esordì, l’urgenza ad incrinargli appena la voce.
- Vi giuro, io non lo sapevo. - ammise.
Cristal incrociò il suo sguardo per un brevissimo istante, e la rabbia di poco prima si mutò in un’immotivata paura. Improvvisamente sentì crescere in lei il desiderio di piangere e il fiato le si mozzò in gola.
Non disse nulla, ci pensò Elizabeth a rispondere per entrambe.
- Che cosa? Quale parte hai scelto? - replicò infatti con un’altra domanda, spiazzandolo.
- Beh, ora lo sai. - fu il suo verdetto finale.
Gli voltò le spalle e intimò ai suoi uomini di seguirla, senza controllare che l’amica si fosse mossa con lei.
Cristal rimase ancora qualche istante con gli occhi sgranati fissi in quelli dell’Ammiraglio, una sensazione terribile a farle mancare il respiro.
- Cristal, ti prego… Sai che non lo sapevo… - sussurrò Norrington cercando di celare il panico che lo stava cogliendo.
La ragazza aprì nuovamente la bocca per parlare, e incapace di dire qualsiasi cosa la richiuse.
A labbra serrate gli rivolse un ultimo sguardo di ghiaccio in fondo al quale erano acquattati una tristezza ed un terrore senza nome.
Scosse appena la testa a negargli qualsiasi risposta, poi lo abbandonò esattamente come aveva fatto Elizabeth; Davy Jones osservò ogni suo singolo passo, il volto tentacolare a seguirla nella sua marcia verso le sentine. Lei non notò il suo sguardo posato sulla conchiglia imbrattata di sangue e non si accorse del suo ghigno luciferino: ciò che agitava il suo cuore in quel momento era ben altro.
L’Olandese Volante era diverso da qualsiasi nave avesse mai visitato. Le luci a bordo erano poche e fioche, le assi viscide e incrostate di marcio e molluschi, l’umido a trasudare dalle pareti come sangue spurgato da una vecchia ferita.
Cristal aveva navigato a lungo e in condizioni diverse, aveva vissuto a stretto contatto con ladri e assassini, con pirati non morti che si riducevano a sudici cumuli d’ossa ad ogni luna piena, eppure mai in vita sua aveva provato un tale ribrezzo.
Li sbatterono tutti quanti nella stessa lurida cella, e la giovane andò a sistemarsi in un angolo, cercando assurdamente di non toccare nulla. Persino l’aria che respirava le faceva schifo, e comprese in quel momento quanto davvero la nave di Jones fosse l’Inferno in terra.
Elizabeth, dal canto suo, non aveva nemmeno atteso che la porta si fosse chiusa alle sue spalle prima di reagire a quella situazione drammatica: frenetica, aveva preso a rivolgersi a chiunque passasse davanti alla loro cella, un nome a vibrare sulle sue labbra come un incantesimo.
- Sputafuoco? Bill Turner? - continuava a domandare, ma in cambio riceveva solamente occhiate divertite e risate di scherno.
- Persino il loro cervello deve essere diventato quello di un pesce. - commentò Cristal con astio all’ennesima risata sguaiata che ebbero in risposta.
Ma quando anche Elizabeth stava per arrendersi qualcosa si mosse nella parete, e Cristal comprese in un attimo che la sua amica non avrebbe mai ottenuto l’aiuto che sperava di trovare.
Un uomo era apparso dal buio, letteralmente staccato dalla parete come una cozza viene strappata allo scoglio. Riconoscere che si trattava di una persona non era tuttavia immediato, considerata la quantità di alghe e molluschi che ne infestavano il volto e i vestiti. Un paio d’occhi tristi e spenti, tuttavia, era ancora facilmente individuabile, e Cristal sussultò appena nel riconoscervi lo sguardo gentile di Will.
Sì, avevano trovato Bill Turner, ma non era affatto come entrambe se l’erano immaginato. L’uomo sembrava sconnesso dalla realtà, in un primo momento esaltato dall’udire il nome del figlio e poi repentinamente avvilito, le spalle curvate dalla resa.
Mentre il padre del suo più caro amico spiegava perché non sarebbe mai riuscito ad abbandonare la nave, il piano di Will diventava chiaro come il sole agli occhi di Cristal, tutto ciò che non era stata in grado di capire in quei mesi ora evidente e scontato.
William aveva finalmente conosciuto suo padre, un uomo sul quale da bambino fantasticava in continuazione, ma la realtà si era dimostrata molto più crudele di quanto Will avesse mai immaginato. Il ragazzo doveva quindi avergli promesso di liberarlo dal giogo di Jones, ma la Legge del Mare parlava chiaro, e l’unico modo di liberare la ciurma dell’Olandese sarebbe stato eliminarne il Capitano. Adesso, nella voce mortificata di Turner, l’inattuabilità del piano veniva a galla come una carcassa: pugnalato Jones, il suo assassino avrebbe dovuto prenderne il posto al comando dell’Olandese Volante. Se Will avesse voluto salvare suo padre, avrebbe dovuto rinunciare ad Elizabeth.
Per sempre.
L’uomo, consapevole del suo destino, era poi tornato a rintanarsi nella parete, comunicando ad Elizabeth che era troppo tardi per poterlo salvare. Aveva chiuso gli occhi, come addormentato, e quando la ragazza lo aveva chiamato, forse per chiedergli altro, il pirata non aveva dato cenno di ricordare la conversazione appena conclusa, il sorriso infantile velato d’oblio.
Elizabeth lo aveva lasciato andare, gli occhi velati di lacrime, e Bill Turner non li aveva più disturbati.
Elizabeth e Cristal rimasero in silenzio per lunghissimi minuti, incapaci di commentare la miseria a cui avevano assistito, poi la figlia del Governatore si rivolse all’amica.
- Speravo potesse aiutarci. - sussurrò, e Cristal annuì mesta.
- Anche io. E invece dobbiamo cavarcela da sole un’altra volta. - constatò.
Solo a quel punto Elizabeth si ricordò di un dettaglio a cui non aveva ancora avuto tempo di dare importanza.
Abbassò ulteriormente la voce e si avvicinò a Cristal, distanziando la ciurma di qualche passo.
- Sao Feng… Aveva la tua collana, perché? Che cosa è successo sull’Imperatrice mentre non c’ero? -
L’amica si concesse un sorrisetto amaro.
- Il nostro amico mi ha spedita nelle sentine, oggi non è esattamente il mio giorno fortunato. - ironizzò con un’occhiata eloquente al luogo in cui si trovavano.
- Non è stato molto chiaro, ma ha menzionato Ahès e Calypso e un certo Fuoco del Serpente, penso parlasse di una sorta di rituale, qualcosa per ottenere il dominio dei mari. - spiegò.
- Già, credeva che io fossi Calypso… - commentò Elizabeth.
Cristal si concesse qualche istante per raccogliere i pensieri, poi riprese a parlare.
- Non gli sono mai piaciuta, questo è evidente. Già a Singapore aveva opposto un sacco di resistenza alle mie parole. Credo che in un certo senso abbia a che fare con il mio legame con il Faucon du Nord… -
- Dici che si conoscevano? -
La Figlia della Tempesta strinse le labbra e fece spallucce.
- Non ne ho idea, ma è evidente che non è un personaggio che Sao Feng doveva apprezzare particolarmente. Ma sono informazioni curiose, possiamo provare a utilizzarle a nostro vantaggio! - fece con un certo grado di convinzione.
Elizabeth alzò un sopracciglio, desiderosa di ulteriori spiegazioni.
- Da qui non ce ne andremo per un atto di carità da parte dell’equipaggio. La Marina ci vede già appese per il collo, quanto alla ciurma di Jones… mi chiedo quanta sabbia gli uscirebbe dalle orecchie se li ribaltassimo a testa in giù. - commentò con disprezzo.
- Ho un piano. O meglio, l’abbozzo di un piano. In realtà è più un’intuizione. - aggiunse.
- Vuoi parlamentare?! - sbottò Elizabeth, che la conosceva come le sue tasche.
Cristal emise un sospiro nervoso.
- Non esattamente. Jones se ne infischierebbe altamente di un Parlay, ma rimane pur sempre un pirata, e i pirati rispondono tutti ad un'unica cosa. - incominciò.
- L’oro? - Elizabeth doveva starsi chiedendo se la sua amica avesse intenzione di far apparire sacchi di monete dalla scollatura della camicia, ma Cristal scosse di nuovo la testa.
- Il Mare. Davy Jones si è strappato il cuore dal petto per Calypso e si è condannato a servire l’oceano fino alla fine dei tempi. Se ci fosse un modo per liberarlo dalla sua agonia? -
- Il rito di Sao Feng! - comprese finalmente Elizabeth.
L’amica annuì con convinzione.
- Ovviamente non ho idea di che si tratti, ma questo Jones non lo deve sapere. Quando sarà il momento andrò d’improvvisazione e cercherò di fargli capire che gli conviene di più schierarsi con la Fratellanza che leccare le suole di Beckett! -
Elizabeth le scoccò un’occhiata preoccupata.
- Se si accorge che menti sei morta. - la ammonì, severa.
- Se non ci provo nemmeno sono morta lo stesso. - fu la replica che ottenne.
Non aggiunsero altro ed entrambe si chiusero in un mutismo personale fatto di macchinazioni e rimpianti.
Di tanto in tanto Elizabeth si voltava ad osservare la sua amica d’infanzia. L’ottimismo sfrontato di Cristal era sempre stato un campanello d’allarme, indice che lei stessa stava cercando di autoconvincersi del positivo per non pensare a ciò che davvero attanagliava il suo cuore.
Infuriata com’era non si era sprecata a controllare come avesse reagito all’incontro con James, anzi, da Isla Cruces non lo avevano mai più nominato, ma adesso che la rabbia aveva lasciato spazio alla tristezza si rendeva conto di quanto per Cristal dovesse essere ancora più dura che per lei affrontare tutto quello.
Proprio come sospettava Elizabeth, Cristal si era gettata a capofitto in mille macchinazioni per non dover pensare a quel breve dialogo sul ponte dell’Imperatrice, ma ad ogni pausa nei suoi ragionamenti il cuore la riportava lì con una tenacia quasi irritante.
C’era qualcosa di sbagliato in quegli occhi, qualcosa che stonava con tutto il resto.
James l’aveva tradita, aveva tradito tutti loro consegnandoli direttamente al peggiore dei nemici, eppure quello che aveva udito rannicchiato nella sua voce era rimorso.
Ma come poteva provare rimorso dopo la freddezza con cui aveva agito? Come poteva provare rimorso dopo la conversazione che avevano avuto sulla Perla, dopo che lei gli aveva parlato con il cuore in mano e lui se n’era andato con ogni loro speranza?
Come avrebbe potuto lei perdonarlo, quella volta?
Sospirò e si passò una mano sugli occhi, stravolta.
Lo odiava. Odiava il sorriso sfrontato con cui si prendeva gioco di loro, odiava la sua ambizione senza freni che lo aveva divorato dall’interno, odiava la sua testardaggine, che gli faceva voltare il capo davanti all’evidenza.
Odiava la sua aria afflitta di fronte all’errore, odiava la sua richiesta di perdono, odiava persino il suono della sua voce.
Odiava il dodici Luglio del 1710 perché era cascata in pieno in una rete che l’aveva tenuta prigioniera per tutta la vita, mentre lui se n’era liberato immediatamente.
Odiava averci creduto, essersi fidata, odiava averlo rimpianto ed atteso e sognato e amato fino allo spasmo, fino alla fine, fino a prova contraria.
Odiava lui e odiava se stessa, perché nemmeno adesso, quando avrebbe dovuto passarlo da parte a parte a fil di lama come il più infame dei traditori, riusciva ad odiarlo.
Lo amava ancora.
Stupida, debole e meschina, lo amava ancora.
La paura irrazionale che aveva provato per tutta la giornata tornò a impossessarsi di lei come un’onda, stringendole la bocca dello stomaco e facendola boccheggiare all’improvviso. Strabuzzò gli occhi che aveva chiuso in cerca di concentrazione, una mano sul cuore come se con quel gesto avesse potuto fermare le palpitazioni.
Qualcosa non andava.
Non era una semplice sensazione, il malessere trascurabile del pomeriggio si era mutato con il passare delle ore in un problema serio che le rendeva difficile respirare. Era come un presentimento, un assurdo presagio a cui non riusciva a dare un volto né un nome.
Chiuse di nuovo gli occhi e inspirò dal naso; minacciose, le oscure parole di Tia Dalma continuavano a vorticarle nella coscienza.
Tia Dalma, Calypso.
Cristal deglutì nel tentativo vano di scacciare l’angoscia ululante dal cuore. Che la donna sapesse qualcosa?
Non ebbe il tempo di darsi una risposta, un rumore metallico la richiamò all’attenzione e le fece nuovamente spalancare gli occhi di scatto.
Era stata una chiave, una vecchia chiave arrugginita che aveva grattato la serratura, aprendo la porta con un sordo clangore.
- Venite con me. - fu l’ordine impartito con frettolosa autorità: dal corridoio gli occhi chiari di James Norrington li scrutavano carichi d’urgenza.
- Svelti! - incalzò in un sussurro nervoso notando che nessuno dava cenno di muoversi.
Cristal, incredula, si voltò lentamente in cerca degli occhi di Elizabeth. Le due si scambiarono uno sguardo silente in cui era racchiuso un intero dialogo; l’erede del Faucon du Nord annuì debolmente e il nuovo Capitano dell’Imperatrice fece dunque cenno ai suoi uomini di lasciare le sentine.
I cinesi furono svelti a sgusciare ai loro fianchi per riversarsi all’esterno della cella, monitorati dallo sguardo attento di Norrington, e le ragazze rimasero le ultime, titubanti e sospettose.
Elizabeth mosse qualche passo verso la porta, Cristal ancora alle sue spalle.
- Che stai facendo? - chiese tagliente, quasi accusatoria.
Anche in quella domanda all’Ammiraglio era racchiusa una lunga e privata conversazione, e se Cristal avesse potuto vederli in quegli anni lontana da Port Royal sarebbe stata capace di interpretarla.
C’era accusa, sì, nelle parole di Elizabeth, ma c’era soprattutto protezione. C’era un desiderio quasi crudele di mettere l’uomo di fronte alle sue responsabilità, di ricordargli chi fosse e da quale porto fosse salpato per giungere fin lì. Anche lei lo odiava, ma anche lei non riusciva a ignorare la consapevolezza che non era un uomo malvagio quello in piedi di fronte a lei.
James Norrington resse il suo sguardo, accolse ogni staffilata del rimprovero di Elizabeth, ne bilanciò meglio l’onere sulle spalle e ne accettò ogni più subdola implicazione, perché Elizabeth lo conosceva, perché erano cresciuti insieme e lei era la sola in grado di spingersi così in là con un semplice sguardo.
Quando fu il suo turno di rispondere, tuttavia, le iridi plumbee di James si spostarono sulla figura di Cristal, si ancorarono alle sue labbra tese, alle sue sopracciglia chiare, alle lentiggini leggere e ai suoi occhi che come un fulmine avevano ancora il potere di trapassarlo lasciandolo in vita.
- Scelgo una parte. - disse solamente.
Non notò l’impercettibile curvarsi delle labbra di Elizabeth prima che lo superasse per raggiungere la ciurma, non notò le spalle della giovane ammorbidirsi appena. Tutta la sua attenzione era ora sul rossore selvaggio che aveva preso possesso del viso di Cristal.
- Presto, al balcone di poppa! - sibilò poi facendo cenno a Elizabeth di muoversi.
Non attese un momento di più, prese Cristal per mano e la guidò attraverso il ventre ostile dell’Olandese, i passi felpati per non farsi individuare e i cuori a battere impazziti di paura e di stupore.
- Non ti fermare! - le sussurrò, la presa sulla sua mano un po’ più salda mentre con la testa indicava la giusta direzione.
Cristal annuì e ricambiò la stretta, ma non riusciva a concentrarsi. La paura era sempre più acuta, la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato sempre più viscerale. La collana ancora sporca di sangue le rimbalzava sul petto ad ogni passo e le sembrava che il rumore fosse quello di una detonazione.
Qualcosa non andava. Qualcosa non andava e lei doveva capire che cosa.
Superarono Elizabeth per indicare la via alla ciurma, il vento fresco della notte ad investirli quando raggiunsero il balcone di poppa.
- Stai bene? -
Cristal scosse appena la testa, spiazzata da quella domanda, da quella dolcezza che non aveva nulla a che fare con quel luogo, con quella situazione, con le azioni di cui James si era macchiato.
No, non stava bene per niente, il fiato era sempre più corto e gli occhi le si velavano di lacrime che fortunatamente riusciva sempre bene o male a ricacciare da dov’erano venute.
Trasse un profondo respiro per darsi un contegno, la mano ancora stretta in quella dell’uomo.
- Sì. - mentì, mentre anche l’ultimo dei cinesi si aggrappava al cavo di traino e incominciava a muoversi verso la sagoma scura dell’Imperatrice.
Solo a quel punto Elizabeth li raggiunse e James sembrò ricordarsi all’improvviso di qualcosa di importante.
- Non andate alla Baia dei Relitti! - esclamò a bruciapelo.
- Beckett sa del Consiglio della Fratellanza, fra loro temo ci sia un traditore. - aggiunse in spiegazione, l’urgenza sempre più pressante a spingergli le parole contro le labbra.
- Un traditore? - fece Cristal, tagliente.
- E’ tardi per guadagnarti il mio perdono. - le diede man forte Elizabeth.
James le guardò entrambe, questa volta con una determinazione diversa.
- Io non c’entro nulla con la morte di tuo padre! - si difese ancora una volta. Tacque una manciata di istanti, gli occhi bassi per la vergogna.
- Questo non mi assolve dai miei altri peccati. - ammise.
Per Cristal fu troppo.
Con uno strattone lasciò andare la sua mano, e se era oltraggio quello che voleva mostrare sul suo volto di certo non vi riuscì, boicottata da un desiderio di perdono che lacerava ogni sua precedente risoluzione.
- E cosa vorresti dire con questo?! Cosa dovremmo…? - ma Elizabeth la interruppe, un altro ordine perentorio che li spiazzò entrambi.
- Vieni con noi. -
L’uomo le rivolse un’espressione annichilita, ed Elizabeth comprese.
- James… - replicò, quasi una supplica.
Anche negli occhi dell’uomo la supplica fu chiara ed evidente, ancora più dolorosa di saperlo schierato dalla parte del nemico.
Elizabeth schiuse appena le labbra, Norrington non distolse lo sguardo dal suo nemmeno per un momento, poi emise un lungo sospiro.
- D’accordo. Ma sbrigatevi! - le esortò a seguire la ciurma lungo il cavo di traino.
Cristal non notò l’espressione diffidente di Elizabeth mentre saliva sul parapetto e si aggrappava alla corda, né si accorse del leggero sollievo che aveva allentato la tensione nelle spalle dell’uomo. Si mosse per seguire l’amica, ma una voce li fece trasalire tutti e tre.
- Chi va là? -
James sguainò la spada, la posizione di guardia larga per proteggere le ragazze a braccia aperte.
- Andate! Vi raggiungerò! - ordinò, cercando di mantenere salda la voce.
Elizabeth interruppe la sua fuga, Cristal, già in piedi sul parapetto, tornò a voltarsi verso l’Ammiraglio.
- Bugiardo! - lo accusò, ma non era indignazione quella nella sua voce: era paura.
- Tu vieni con noi e non ammetto repliche! - fu il suo contrordine incrinato dall’angoscia.
Proprio in quel momento, dal corridoio di babordo fece la sua comparsa Bill Turner, annebbiato dall’oblio e con una spada sguainata fra le mani.
- Torna al tuo posto, marinaio! - fece Norrington, la voce salda e la lama ferma.
- Nessuno lascia la nave… - osservò Turner, confuso.
E più Norrington cercava di tenere a bada ciò che restava dell’uomo, più Cristal sentiva il terrore crescere in sé, congelandola in piedi sul parapetto e impedendole di muoversi in alcuna direzione.
- Parte della ciurma, parte della nave… Parte della ciurma, parte della nave! I prigionieri stanno scappando! - urlò improvvisamene Sputafuoco.
- Contrordine! -
Fu come una cannonata, Cristal si riscosse con un sussulto, la mano che correva all’elsa della spada.
- James! - Elizabeth invertì la marcia e cercò di tornare a bordo e in un momento fu chiaro a tutti e tre cosa sarebbe successo.
Norrington, straziato, sparò al cavo di traino e colpì Cristal alle ginocchia, facendo cadere entrambe, ma se Elizabeth era troppo distante per poter fare altro che urlare, la figlia del fabbro aveva anticipato quella mossa, e con un dolore abbacinante riuscì ad aggrapparsi al parapetto.
Fu come se le avessero strappato le braccia e sparato dritto nel cuore, sentì un bruciore terribile e le mancò l’aria, ma la sensazione durò meno di un secondo: un orrido suono strozzato le fece dimenticare di essere viva.
- No. - balbettò, le urla di Elizabeth a giungere dalla superficie nera dell’oceano.
- No, ti prego, no! -
Con uno sforzo immane si issò nuovamente, sgraziata e già accecata dalle lacrime.
Sapeva cosa avrebbe visto, sapeva cos’era successo.
- No, no, no, no, no, ti prego, no! Ti prego, no! -
James si era accasciato con la schiena poggiata contro il parapetto, la spada di Turner piantata nello sterno e il sangue che già impregnava la divisa.
Cristal si gettò in ginocchio accanto a lui, lo sguardo offuscato, le mani tremanti, le lacrime che le andavano in gola e giù per il collo.
Cercò di rimuovere la lama, ma il tocco lieve dell’uomo la bloccò.
- Questa volta no. - sussurrò, la voce rotta dal dolore.
- James, no. No. Ora ce ne andiamo. Non ti lascio qui, ce ne andiamo! - continuò lei, senza nemmeno accorgersi che Bill Turner era indietreggiato e adesso li guardava nascosto dietro l’angolo del corridoio di babordo.
James cercò di calmarla, la voce sempre più debole, lo sguardo addolcito da un ricordo lontano.
- Non ti lascio qui, non ti lascio, non ti lascio… Ti prego, non ci provare, non ci provare! Perché? Perché?! - Cristal, disperata, continuava a singhiozzare, le mani sul volto dell’uomo come se in qualche modo avessero potuto curarlo.
James sorrise, un sorriso che gli procurò una fitta di dolore e che ottenne finalmente silenzio da parte della giovane.
- Mi chiedesti se sarei stato… - si bloccò, tossì, continuò.
- Disposto a morire per… per ciò che amo. -
Prese fiato, Cristal lo guardò ad occhi sgranati e labbra serrate.
- Questa è la mia risposta. - un altro sorriso, la mano andò ad accarezzarle il viso e Cristal non riuscì a trattenersi.
Incurante della situazione, incurante di essere un bersaglio, incurante dell’Imperatrice che si allontanava sempre di più, incontrò le labbra di James e sentì solo sangue e sale e lacrime e mare, sentì la vita che avrebbero potuto avere scivolarle via dalle dita sporche di sangue e strinse gli occhi e non pianse perché non poteva più, perché non era giusto, perché non era giusto.
- Ah! Ammiraglio! -
Trasalì e si voltò di scatto, Davy Jones era apparso assieme alla sua ciurma di rinnegati.
- E con te c’è anche il Capitano! Che struggente finale! - commentò con scherno.
Livida di rabbia, Cristal Cooper si alzò in piedi e sguainò la spada, suscitando una profonda risata nel nemico.
 - Cris… - la voce sempre più flebile di James giunse alle sue orecchie come una preghiera, presto sovrastata da quella di Jones.
- Ah, l’amore! Che miserabile bugia. - commentò.
- E tu, ragazzina, cosa vorresti fare, uccidere anche me? - chiese poi sghignazzando.
La giovane strinse ancora di più la spada, le nocche bianche e la punta della lama che vibrava appena.
Un altro debolissimo richiamo la fece voltare un istante.
Guardò James, guardò l’Imperatrice che si allontanava nella notte, e poi tornò a guardare il sangue che aveva già preso ad impregnare le assi.
- James… - sillabò senza un suono.
Rinfoderò la spada e con un guizzo fu nuovamente in piedi sul parapetto, lo sguardo arrossato fisso negli occhi piccoli e crudeli di Jones.
- Tu! Non osare parlare d’amore! - esclamò.
- Non è a me che spetta ucciderti, Davy Jones, ma ricordati di me! Io sono Cristal Cooper, e parlo in nome del Mare. Bada a ciò che dico: il tuo tempo sta scadendo. Presto non ci sarà onda che non si rivolti contro di te. - sputò carica di rancore, le lacrime non ancora asciutte sul suo viso mentre il pirata si irrigidiva appena, forse turbato dalle sue parole.
Cristal gettò un ultimo sguardo a James, dilaniata dal dolore, voltò le spalle all’orizzonte e si lasciò cadere. Il mare si chiuse sopra la sua testa e le nascose ogni rumore.
Lo aveva lasciato.
Nel frattempo, sul ponte dell’Olandese Volante, Davy Jones si inginocchiò davanti all’Ammiraglio.
- James Norrington, temi tu la morte? -
Nel suo ultimo slancio di vita, l’uomo lo trafisse con la spada che aveva marchiato la sua vergogna.
Jones si prese gioco di lui un’ultima volta e lo abbandonò dov’era, voltandogli le spalle e incamminandosi verso la sua cabina, ma James non provava più vergogna.
Il sangue inzuppava i vestiti e le assi del ponte e ogni cosa perdeva pian piano i contorni, ma era giusto così, era un finale che poteva accettare.
Le aveva salvate, dopotutto. Ora poteva anche chiudere gli occhi.
Si era riscattato.
Non si accorse nemmeno del buio in cui sprofondava, accolto dal tocco lieve di un ricordo di tanti anni prima.
C’era vento sulla terrazza, e le prime gocce di pioggia gli imperlavano il viso mentre un fulmine schioccava in lontananza.
Il sorriso sincero della ragazza gli accarezzò il cuore mentre un’altra raffica le gonfiava l’abito, gli occhi che brillavano di gioia.
- Non è meraviglioso, James? -
Un respiro, impercettibile, l’ultimo, mentre un sorriso leggero gli sfiorava le labbra.
- E’ perfetto... - sussurrò.
E fu solo il fulmine.











 
Note:

Beh, sì, insomma.
Doveva succedere.

Ben tornati a tutti e grazie come sempre di non randellarmi per i ritardi, sappiate che apprezzo moltissimo! xD
Questo è stato un capitolo tosto da scrivere, un po' perché come avrete notato è lunghissimo, un po' per quello che vi succede.
La nostra vecchia Cristal inizia davvero a non poterne più di questi giochi di potere e tradimenti, forse aveva ragione Tia Dalma, il suo cuore non è davvero adatto a tutto questo...
E a proposito di Tia Dalma, finalmente le carte si scoprono e si capisce un po' di più sulle dinamiche che stanno conducendo i nostri eroi nel loro viaggio. E anche su come sia tornato, in concreto, il buon vecchio Hector. Certo, a Cristal manca ancora un piccolo tassello per fare chiarezza una volta per tutte sulla vicenda, ma la Baia dei Relitti ormai è vicina e avrà tutte le risposte che vuole...
Per quanto riguarda James.... Beh, insomma, sapevamo tutti che sarebbe succeso.
Plottavo e riplottavo questo capitolo da dodici anni e mezzo? Sì!
Ero davvero pronta a scriverlo? Assolutamente no!
Come sempre, ho cercato di mantenere le scene il più fedeli possibile all'originale, anche se di tanto in tanto ho ovviamente dovuto apportare alcune modifiche, spero che questa versione della scena cinematografica che mi ha traumatizzata di più al mondo vi sia piaciuta!
Ho anche introdotto una scena fra James e Groves, un po' perché Groves ha la pessima abitudine di infilarsi a forza nei capitoli (vedrete, vedrete...) e un po' perché a mano a mano che scrivevo Thunderbolt mi sono innamorata sempre di più dell'amicizia fra questi due (e Gillette, che non ho potuto non citare!). Pensavo che fosse importante un confronto a viso aperto con quello che è il suo amico più caro, pria di ricevere la strigliata finale (seppur tutta silenziosa nel gioco di sguardi) da Elizabeth.
E quindi James Norrington ci ha lasciati.
E io con lui.
Addio amici, vado a piangere via tutti i liquidi che ho in corpo!
Come sempre spero che il capitolo sia stato di vostro gradiento, un grazie atomico a chi legge/segue/recensisce/blabla....
Siete il cuore di questa storia. <3


Kisses,
Koori-chan

 
  
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