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Autore: Amelia Sweetedge    08/10/2019    0 recensioni
Lui si era ritrovato al centro della pedana un po' perché ne aveva una voglia indicibile, dopo tanto tempo, un po' perché vi era stato spinto senza troppi complimenti. Un po' perché lui era lui.

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[Pubblicata inizialmente nel 2014]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mille passi di notte



 
A dream, all a dream, that ends in nothing, and leaves the sleeper where he lay down,
but I wish you to know that you inspired it.

- Charles Dickens, "A tale of two cities"
 
La musica risuonava sinuosa e vellutata come un vestito raro e costoso quella sera al Julie Palace.
Niente poteva distrarre chi danzava sulla pedana al centro dell'enorme sala dal pensiero che quella notte avesse occhi complici e intenzioni clementi.
Si muovevano a scatti impercettibili, in balia di un ritmo che risaliva dalle loro gambe fino alle braccia, rivolte al cielo prima di potersene anche rendere conto.
Serravano gli occhi, si mordevano lentamente il labbro inferiore lasciando oscillare la testa, in attesa di quella tonalità più alta che ridava vita alla canzone e anche a loro.
Quella sera al Julie Palace la gente ritornava in vita. E lo faceva nel modo più bello, danzando senza regole ad occhi chiusi, sfiorandosi come per darsi un posto sicuro nel mondo, sfidando anni di parole che non erano mai state messe in pratica. Mai vissute.
Aleggiava quasi una felicità calma, sostenuta, eppure figlia di astratti mondi selvaggi che fluiva via da quegli impercettibili sorrisi di chi è immerso in un sogno, lontano dalla realtà delle cose.
E chiunque guardasse quella scena da lontano vi scorgeva solo occhi chiusi sopra sorrisi eleganti e segreti che nessun altro al di fuori di quel cerchio sapeva comprendere. E gli veniva un po' da vivere, senza sapere come, perché li guardava e sembravano come coordinati da una mano invisibile, imprigionati in quel punto preciso da una mente esperta che difficilmente avrebbe ammesso errori.
Quella sera al Julie Palace, per vivere, bisognava lasciarsi gradualmente andare.

Lui si era ritrovato al centro della pedana un po' perché ne aveva una voglia indicibile, dopo tanto tempo, un po' perché vi era stato spinto senza troppi complimenti. Un po' perché lui era lui.
Fu grato al cielo perché nessuno sembrò dargli retta, mentre ad occhi chiusi, saltava per scrollarsi via la confusione dalla vita.
E non era passato nemmeno molto tempo quando i suoi sensi furono per un momento distratti da un profumo che gli sembrò così diverso, rispetto a tutti quelli che, incluso il suo, si mescolavano al centro della pista. Gli passò accanto come una scia senza origine né fine e quando si era voltato per seguirlo non l'aveva ritrovato. Al suo posto aveva ritrovato una ragazza che ballava da sola, le braccia al cielo e lunghi capelli castani che ondeggiavano assurdamente composti.
Ballava da sola in mezzo agli altri, da sola e insieme agli altri, in un lungo morbido vestito blu che una cintura stringeva delicatamente alla vita.
Quando le posò gli occhi addosso, una seconda volta, notò un piccolo zainetto dietro le sue spalle e un grande sorriso ad illuminarle il volto.
Sorrideva a qualcuno, la terza volta che i suoi occhi l'andarono a cercare.
La quarta volta lei ricambiò il suo sguardo, per pochi secondi. Prima che lui potesse anche farle un minimo cenno qualcuno lo aveva spinto facendogli leggermente perdere l'equilibrio.
L'ultima volta lei era sparita.

Gli animi si stavano riscaldando, sulla pista da ballo del Julie Place, perché le cose non rimangono mai statiche a se stesse e tutto, alla fine, finisce per alterarsi. Persino quella mano invisibile si stanca, perfino le menti si attecchiscono.
Adesso lo avvertivi, se guardavi da lontano quella scena, che la sincronia si stava man mano spezzando.
Qualcuno adesso urlava, qualcun altro rideva forte. Forse erano tornati in vita in un modo troppo eccessivo, forse la musica dei loro corpi era cambiata e non funzionava più come prima.
Non seppe dirlo. Un po' si sentì dispiaciuto, però, di vedere intorno a lui quella sincronia spezzarsi e scomparire, mentre ancora volgeva lo sguardo a sinistra, in direzione di qualcos'altro che non c'era più, quando ad un certo punto piccoli colpi decisi lo raggiunsero all'estremità della spalla: si voltò.
- Potresti smetterla di fissarmi? - chiese la ragazza dal lungo vestito blu, sul viso il principio di un sorriso.
Lui aggrottò le sopracciglia e prima che potesse parlare lei si era allontanata e i suoi occhi l'avevano persa di vista di nuovo.
Sorrise guardando in un imprecisato punto davanti a sé, perché quella era una notte complice.


Affogò definitivamente gli angoli angusti della sua mente in un Margarita, arrendendosi al fatto che la perfezione non esiste. Non per un lungo tempo.
I suoi occhi vagavano adesso sconsolati sulla pista del Julie Palace dove una fastidiosa confusione copriva quasi completamente la musica. Da lontano si ritrovò a pensare che forse ritornare in vita richiedeva un prezzo troppo alto, come il doversi subire l'avvento di una generazione che racchiudeva l'apoteosi del nulla in sé. O semplicemente esisteva in un tempo lontano dal suo.
Ormai da solo si avviò verso l'uscita, una mano in tasca e l'altra a reggere un bicchiere mezzo pieno. Non era un problema la solitudine per lui, ma ci sono notti come quella in cui ti senti talmente pieno di musica,  parole e qualcos'altro che non sai, che rimanere solo ti risulta quasi impensabile. Non ce la fai semplicemente.
Allora fai l'unica cosa che potresti fare in questi casi: esci.
Il Julie Palace aveva fama di essere un locale decente fino ad una certa ora: entravi e te ne innamoravi subito, semplice. Finite quelle ore diventava pressappoco un qualcosa che ti portava a desiderare la dolorosa  estinzione della razza umana, quando tu lì vorresti solo provare a scrollarti un po' da dosso lo stress di mesi e mesi ma non ci riesci.
Guardò i nuovi arrivati scendere dalle loro macchine, tirati di tutto punto, come se fosse un'occasione imperdibile -e lo era- farsi vedere al Julie Palace. Avevano negli occhi aspirazioni eleganti: lui sbuffò una risata silenziosa affondando il viso nel bicchiere. Una volta entrati si sarebbero trovati davanti agli occhi tutt'altro che eleganza e lui avrebbe voluto essere lì, a gustarsi le loro espressioni e ridergli in faccia.
Lasciò vagare il suo sguardo in giro soppesando mentalmente l'idea di lasciar perdere tutti i propositi di vita, quella notte, e ritornarsene dritto al suo albergo -poteva farlo, lo aveva fatto tante volte quando non c'era alcuna alternativa-, quando i suoi occhi furono catturati da una panchina alla sua destra.
Sorpreso, riprendendo tra le mani tutti i propositi di vita, si avvicinò piano.
- Ho una domanda. - disse, fermandosi a un passo dalla panchina. - Da quando guardare una bella ragazza è diventato reato? -
La bella ragazza, intenta a rollarsi una sigaretta, alzò gli occhi verso di lui. Sul viso un'espressione interrogativa. Poi sbattè gli occhi e cercò di ricomporsi.
- Da quando tu sei tu, Benedict Cumberbatch? - rispose con un sorriso. Poi sbuffò e distrusse la sigaretta, seccata. Il tabacco cadde a terra come neve.
- Lo so sempre in anticipo quando una mi esce male. - annunciò seccata, a nessuno in particolare.  - Ho voglia di un drink. - disse alzandosi.
Il trucco le risaltava degli occhi verdi mozzafiato, notò Benedict quando furono entrambi l'uno di fronte all'altra.
- Sì, anch'io. Vuoi rientrare? - sorrise, accennando all'ingresso alle sue spalle.
- No, si sta riempiendo di persone che detesto. - disse lei, incamminandosi lontano dal Julie Palace, un invito silenzioso negli occhi che diceva che lui poteva seguirla, se avesse voluto.
E lui la seguì.
- Come ti chiami? - chiese finendo il suo drink.
- Charlotte. - rispose lei senza voltarsi.
- Charlotte. - ripetè lui come per registrarselo in mente.
- E' così che mi chiamo, sì. -
Lui le sorrise.
- Come mai sei uscito anche tu? -
- Si stava riempiendo di persone che detesto. -
Lei annuì, sorridendo. Sembrava viaggiare su una frequenza tutta sua, notò lui a primo impatto, guardando il suo profilo.
- Ti va di andare al mare? - gli chiese, infatti, voltandosi brevemente verso di lui.
Lui sorrise.
- Perché no? -
Poi rivolse lo sguardo in alto verso il cielo.
- Se non guardi davanti a te inciamperai, Signor Cumberbatch. -
- Correrò questo rischio. -
Lei guardò il suo profilo all'insù.
- Mi piaci. - disse.
Poi lo imitò.



- Questa è la birra più strana che io abbia mai bevuto. -
- Scusami, non c'era molta scelta. -
- Oh, non preoccuparti, mi piace. -
Lui la guardò, perplesso.
- Bene. - disse, alla fine.
Charlotte si sdraiò sulla sabbia afferrando un lembo della sua giacca fino a portarselo dietro.
- Non ho mai imparato come si allineano le stelle. - disse.
- Ah, nemmeno io. -
- Non le insegnavano alla Harrow queste cose? -
- Noto del sarcasmo, Charlotte. -
- Ma no. -
- Oltre al fatto che sembri conoscere la mia vita. -
- E chi non la conosce? -
- Ancora del sarcasmo. -
- Sai cosa? -
- Cosa? -
- Io ho sempre pensato che saper riconoscere le stelle fosse una marcia in più, per cavarmela nel mondo. Non chiedermi perché, non lo so nemmeno io. Perché non le insegnano a scuola queste cose? - chiese, voltandosi verso di lui.
- Ah, non chiedermelo. Io so solo che nella mia vita ho incontrato spesso maestri che preferivano tenersi i loro insegnamenti per sé. Cioè, insegnavano la loro materia, ma si limitavano solo a quello, non andavano oltre. Per una forma di gelosia, suppongo, o forse perché erano diventati quelli che erano passando attraverso molti sacrifici. -
Lei avrebbe conosciuto le sue risposte vaghe.
- Ma non è giusto. -
- Non ho mai detto che lo fosse. -
E le avrebbe amate.
- Così non crei nessuna connessione con gli altri. -
- Sono totalmente d'accordo con te. -
Benedict si voltò a guardarla.
- Ti va di imparare come si allineano le stelle? - le chiese.
Charlotte gli sorrise.

- No, no, tutto parte dal Grande Carro, vedi? -
- Dalla Stella Polare, vorrai dire... -
- Certo, ma se... -
- Se tu mi facessi leggere! - protestò lei.
- Ecco, tieni, è come dico io. -
Arrendendosi alla sua ottusità, le porse lo smartphone dal quale cercavano di superare quell'ultimo stadio della loro ignoranza, cervelli umani in balia di cervelli elettronici, sotto un infinito manto di stelle vive.
- Uhm... hai ragione. In un certo senso. -
- Ma dai. -  
Le guardava il profilo, sul volto un inevitabile sorriso nascosto.
- Okay, il Grande Carro è il punto di riferimento per trovare le altre stelle, una volta individuato. E' facile. - ammise lei, guardando in alto. 
Lo sentì muoversi al suo fianco e la consapevolezza di saperlo seduto accanto la fece sorridere dentro in un modo sconosciuto, fremente, mentre ancora cercava di localizzare la Stella Polare e si rivedeva sotto lo stesso cielo, un decennio prima.
- Dieci anni fa qui c'erano degli espositori di dolci fenomenali. Mi sono appena ricordata tutte le volte che i miei mi ci portavano, d'estate. - si lasciò scappare, poco dopo.
Anche lui guardò in alto.
- E il cielo te l'ha fatto ricordare? -
- In un certo senso. Da bambina tornavo sempre a casa con lo zucchero filato tra i capelli... -
- Ahia. -
- ...e mio padre, paziente, si metteva ogni volta a districarmeli perché io e mia madre c'avevamo rinunciato da un bel po'. E mi diceva... - Charlotte si interruppe, scuotendo la testa come a voler scacciare via l'inopportuna malinconia che quei ricordi avevano portato.
- Scusa, mi sono lasciata andare. -
- No, continua. - la pregò lui.
- Come? -
- Continua: avevi una bella luce negli occhi mentre parlavi. - disse leggermente impacciato.
Charlotte arrossì cercando di evitare contatti visivi di qualsiasi tipo, l'ombra di un sorriso ironico a cingerle le labbra.
- Cliché. -
- Ma è vero! -
- Ah, signor Cumberbatch, lasciamo perdere. Mi è venuta fame. - disse alzandosi, lo sguardo diretto lontano, in un punto preciso dietro di loro.
Prima che lui riuscisse a voltarsi, lei si stava già incamminando.
Quella era una notte fatta di strade, pensava con un sorriso negli occhi, mentre seguiva i solchi dei suoi passi sulla sabbia.


- Voglio solamente dire che è stato un grave errore, per l'uomo, cercare di dare un nome ai cliché. -
- Come la prendi la pizza? -
- Eh? -
- Ti sto offrendo un pezzo di pizza: come la prendi? -
- Mmm. Perché mi stai offrendo un pezzo di pizza? -
Charlotte sbuffò.
- Perché voglio portarti a letto, chiaro. Scusalo, è una celebrità... - disse, roteando gli occhi, al pizzaiolo in attesa.
Benedict rise, piano.
- Prenderò quello che prendi tu, allora, grazie. Ti aspetto al tavolo. -
Qualche minuto più tardi Charlotte lo raggiunse reggendo due tranci di pizza con la stessa solennità di una che aveva appena vinto due Grammy.
- Caspita. -
- Sono una bomba, lo so. Max è l'unico pizzaiolo in tutta Blackpool che sa davvero preparare una perfetta pizza italiana. Tutti gli altri sono degli zotici. -
Dopo averla testata personalmente Benedict convenne con lei: tutti gli altri erano degli zotici.
- Ero sicura ti sarebbe piaciuta. - disse lei, trionfante.
Finirono di mangiare quasi in silenzio, soppesando le loro scelte di vita con lo sguardo perso nell'orizzonte buio dove si stagliava il mare, due sconosciuti avvolti dall'effetto della combinazione "ottima imitazione di  pizza italiana" più "venticello leggero di inizio Settembre".
Benedict la guardò finire la sua pizza, negli occhi un comprensibile sguardo divertito e appagato.
- Sì? - chiese lei, con la bocca piena.
- Ma tu che fai nella vita? -
- Mangio pizza. -
- Mi pare un'ottima cosa. - convenne lui guardandola alzarsi.
La seguì con lo sguardo, in silenzio, curioso di conoscere la sua prossima mossa: la vide sostare brevemente davanti al cestino per rovesciarci dentro i tovaglioli sporchi, salutare Max da lontano e senza voltarsi indietro allontanarsi di nuovo.

- A me pare di più che tu abbia un talento vero ad eludere certe domande, ad essere onesto. - disse Benedict, dopo averla raggiunta.
- Scusami? -
- Hai capito. Chi sei tu, Charlotte? Che scuole hai frequentato, tu? Sai chi sono io ma io non so nulla di te, a parte che dieci anni fa passavi del tempo qui con la tua famiglia. E lo so solo perché ti è accidentalmente scappato. -
Charlotte si fermò per fronteggiarlo, negli occhi un cipiglio perplesso. 
- Non è colpa mia se ti conosco. -
- Non ho detto questo. -
- Quindi perché senti tanto l'esigenza di entrare nei dettagli con me? - chiese lei, anche piuttosto stupidamente, come realizzò un secondo dopo aver formulato la domanda.
- Scusa ma non sei tu che mi hai offerto un trancio di pizza allucinogena contro la mia volontà, o ho forse interpretato male i segnali? -
Charlotte scoppiò a ridere, senza volerlo. Rise anche lui istantaneamente con lei, contagiato da quella prima vera risata senza freni che le sentiva esplodere da dentro e anche dopo che lei aveva smesso non riusciva a fermarsi, l'eco della sua risata ancora nelle orecchie.
- Benedict? -
- Scusami. Io credo che dovremmo rincominciare d'accapo. -
- In che senso? -
- Nel senso che ora ci presentiamo. -
Allungò una mano verso di lei, uno sguardo serio negli occhi.
- Io sono Benedict, mi porto da sempre dietro una paura bestiale di cadere in depressione e in questo momento non so cosa sto facendo con la mia vita. -
Charlotte lo guardò cercando, senza capire perché, di soppesare le sue parole. Poi allungò la mano destra e la chiuse nella sua. Benedict le restituì questa volta uno sguardo rilassato, sopra l'ombra di un sorriso incoraggiante.
- Io sono Margareth Charlotte. Ieri sera è stata la prima volta che ho pianto in cinque mesi. - disse lei riluttante.
Benedict le sorrise, dolce.
- Io... non so, amo leggere al buio, ridere forte e mangiare macedonia fino allo sfinimento. -
- Proprio a caso. -
- Esatto. -
- Uhm. Io amo l'odore salmastro del mare al mattino presto appena sveglia, il tramonto dal balcone del mio appartamento e i libri che non ho mai scritto. -
- Il mio punto debole sono lo torte di mele, le moto e le mostre fotografiche. -
- Le mostre fotografiche? -
- Margareth Charlotte, cortesemente. -
- Nessuno mi chiama Margareth Charlotte. Nessuno mi chiama Margareth direttamente, solo mio padre ha mantenuto la catastrofica abitudine di chiamarmi Maddie. -
- Maddie? -
- Perché ridi? -
- No, niente, davvero. E' un nome adorabile. -
- Non è un nome. E poi non mi sta per niente bene. -
Lui la guardò, lo spettro della risata precedente ancora evidente sul suo volto, le loro mani ancora unite.
- No. - convenne, dolce.
Charlotte abbassò gli occhi sorridendo.
- Una sera mi sono ubriacata, ho baciato il ragazzo di cui ero innamorata da anni e due giorni dopo mi sono trasferita dall'altra parte del paese. -
- Accidenti, baci così male? -
Charlotte rise, amara.
- No: amo così male. -
Benedict la vide abbassare lo sguardo, quasi imbarazzata, e ritrarre gentilmente la sua mano. Rimase per un po' a guardare le onde infrangersi, in lontananza.
Quella era una notte di fantasmi dolorosi.


- E quel ragazzo? L'hai più rivisto? -
Se ne stavano su una panchina in disparte, illuminati quasi completamente dalle luci della città, due sconosciuti con due sigarette vive tra le dita, i loro occhi incerti coperti parzialmente dal fumo.
- No. - Rispose lei. Avrebbe voluto anche aggiungere che faceva ancora male, dopo due anni, e che raramente parlava di quella notte con chiunque.
Lui forse capì, perché annuì al nulla, in silenzio.
- Charlotte? -
- Mh? -
- Non è un errore lasciarsi andare, ogni tanto. -
Sorrise insieme a lui, Charlotte.
- No. L'unico problema è rimettere insieme tutti i cocci, poi, perché c'è un piccolo particolare: io non l'ho mai saputo fare. -
- Oh, nessuno lo sa fare fin quando non lo fa. -
Lei lo guardò, a lungo.


- Benedict! -
- Sì? -
- Conosci Post Break-Up Sex dei The Vaccines?
- urlò Charlotte dall'altra parte del muretto sul quale irresponsabilmente stavano entrambi in piedi, l'una a distanza dall'altro, a guardare il mare da lontano, col rischio che una folata di vento un po' più forte delle altre li facesse cascare oltre, sulla spiaggia che si dipanava qualche metro sotto di loro.
- "What did you expect from post break up sex?" - cantò lui di rimando cercando di rimanere in equilibrio.
- Esatto! -
Benedict la guardò, pericolosamente in bilico, e rise. Il lungo vestito le danzava tra le gambe creando strane e sinuose forme e Charlotte cercava di tenere i capelli lontano dagli occhi. Rideva anche lei.
- Perché me lo chiedi? -
- Perché ce l'ho in testa da stamattina.- rispose lei come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Poi alzò le braccia al cielo. Benedict rivide la ragazza che aveva visto per la prima volta qualche ora prima, al Julie Palace, solo inconfondibilmente e inevitabilmente più bella ora che ad illuminarla c'era solo la luce della luna e di qualche lampione lontano. Nessuno passava tra di loro in quel momento, si ritrovò a pensare lui, mentre si rendeva conto di non riuscire a fare a meno di guardarla. Si dondolava piano sul posto, Charlotte, gli occhi chiusi e le braccia al cielo e senza rendersene conto Benedict si avvicinò d'istinto a lei con la sensazione che, se non fosse stata attenta, sarebbe precipitata da un momento all'altro e lui si sarebbe trovato lì vicino ad afferrarla subito.
Ma lei sembrava rimanere perfettamente in equilibrio, realizzò lui quando le fu ormai ad una poca distanza. Le rimase vicino in silenzio, le braccia ancora leggermente sollevate per evitare di cadere e qualche consapevolezza in più dentro agli occhi: era una notte invincibile, quella, come la ragazza di fronte a lui.
- Sai cosa mi diceva sempre mio padre? - parlò lei, all'improvviso, senza smettere di tenere gli occhi chiusi.
- No, cosa? - chiese lui facendosi impercettibilmente più attento. 
- "Ricordati che ci sarò sempre io a darti una mano ed un pretesto tutte le volte che ti sarai arresa." - disse Charlotte, piano. Poi aprì gli occhi e gli sorrise brevemente prima di voltarsi, cauta, e cadere giù dal muretto sul marciapiede.
- Charlotte? -
- Sì? -
Anche Benedict saltò giù dal muretto.
- Dove stai andando? -
- Sinceramente? Non lo so. In questo posto ho troppi ricordi che penso solamente sia stato un errore provare a ritornarci. Non ci riesco, non riesco a stare nello stesso posto per più di qualche minuto, qui, non ci posso fare nulla... io... -
- Senti. -
- Sì? -
- Tranquillizzati un attimo e vieni con me, okay? -



La Honda di Benedict sfrecciava lungo la strada poco popolata, attenta e precisa a schivare qualsiasi ostacolo, come se quasi volasse sull'asfalto, portata dalla sicurezza e dal tocco esperto del suo guidatore. Nonostante questo, su in sella, due parziali sconosciuti cercavano di restare seri, impresa alquanto ardua che vedeva l'una combattere contro l'impulso di urlare, l'altro contro quello di ridere, fallendo miseramente.
- Mi ero dimenticata di avere una paura fottuta delle moto, Benedict, che ti salta in quella testa?-
- Come facevo a saperlo, scusa?! -
In effetti non le era proprio saltato in mente prima di salire a bordo, pensò di sfuggita Charlotte, mentre Benedict prendeva un'altra curva e tutto quello che lei riuscì realmente a fare fu aggrapparsi ancora più forte alla sua vita.
- Charlotte? - chiamò Benedict.
Un rantolio d'assenso venne dalle sue spalle.
- Come ti senti? -
- Credo di star per vomitare. Ma sta funzionando, se non altro. -
- Bene. -
- Dove stiamo andando? -
- Indovina? -
- Da nessuna parte? -
- Indovinato. -

Allora Charlotte rise piano, imbacuccata nel giubbotto di lui, il suo profumo a circondarla così persistente: si arrese e chiudendo gli occhi appoggiò esausta la testa sulle sue spalle.
Sentendo la morsa intorno alla sua vita allentarsi un po', sorrise Benedict, rallentando impercettibilmente.


- Okay, aspettami qui. - disse Benedict allontanandosi, il casco ancora in mano.
- Dove stai andando? -
- Arrivo tra un attimo. - urlò da lontano con una punta d'impazienza nella voce. Charlotte alzò un sopracciglio perplesso, guardandosi intorno, il giubbotto di lui ancora addosso. Inevitabilmente, prima che potesse anche rendersene conto, avvicinò il naso al colletto e inspirò profondamente.
Non lo avrebbe mai fatto in una situazione come quella, lì da sola in mezzo alla strada con i radi passanti che le camminavano intorno, se solo il suo cervello avesse evitato di disconnettersi e lasciarla anch'esso in balia di se stessa.
Imbarazzata si guardò intorno, cercando di scorgere Benedict. Lo vide tornare qualche istante dopo di corsa, il fiato un po' corto.
- Okay, è aperto. -
- Ma cosa? -
- Seguimi. -
La prese per mano senza attendere un invito e intrecciando le dita alle sue la guidò verso la sconosciuta meta.
Ciò che Charlotte vide, un po' rossa in viso e gli occhi lucidi, fu un'anonima costruzione con una specie di cupola in alto che si confondeva silenziosamente con un Casinò alla sua sinistra e un Pub alla sua destra.
- Cos'è? -
Benedict le sorrise, misterioso. Poi superò i due gradini che li separavano dall'ingresso e spinse piano la porta.
- Dai, vieni. - la chiamò prima di sparire dentro, dove un buio spettrale s'intravedeva dalla porta blu elettrico.
Charlotte esitò, nonostante la curiosità rischiasse di sopraffarla. Sentì Benedict spostare qualcosa da dentro, forse una sedia, poi vide qualche lucina accendersi in lontananza.
- Charlotte? -
- Sì, arrivo... -
Quando fu dentro ciò che le si presentò davanti fu un buio quasi spettrale inframmezzato da lucine arancioni o celesti davanti a lei.
- Dove siamo? -
- In un vecchio Planetario, aspetta. - le rispose la voce di Benedict da qualche punto imprecisato alla sua destra.
Charlotte rimase inchiodata al suo posto in attesa, con lo sguardo rivolto automaticamente in alto verso il buio più totale. Vide pian piano delle lucine flebili accendersi intorno a loro e la cupola in alto aprirsi molto lentamente.
Qualcosa simile ad un'attesa senza nome s'impadronì di lei, mentre sorpresa muoveva alcuni passi verso il centro.
- Come hai fatto? - si ritrovò a sussurrare senza rendersene conto.
- Questo è un vecchio Planetario autogestibile, se solo uno sa quale pulsante premere. Si da il caso che io sappia. - disse Benedict facendo il giro della stanza per chiudersi la porta alle sue spalle.
- E tu come fai a saperlo? - chiese Charlotte senza staccare gli occhi dallo spicchio di cielo che si intravedeva dalla cupola: il buio quasi totale intorno a loro non faceva altro che accentuare le stelle.
- Ci sono stato una volta, qualche anno fa. - rispose Benedict, raggiungendola.
- Con una ragazza? - chiese maliziosa, voltandosi brevemente verso di lui.
- Ti sorprenderà, ma ero da solo. -
La precedette alle poche sedie davanti a loro e si sedette.
- Accomodati pure. - disse, voltandosi con un sorriso. Leggermente imbarazzata, Charlotte lo seguì.
- Come funziona questo posto? - chiese, sedendosi vicino a lui.
- In pratica se trovi il posto libero entri e ti godi le stelle. L'apparecchiatura per le proiezioni è rotta da tempo immemore, ma in compenso puoi aprire la cupola. Un po'. -
- Così semplice? -
- Esatto. Siamo stati fortunati a trovarlo libero questa notte. -
- E se qualcun altro arriva? - chiese lei, affascinata e divertita dall'intera situazione.
- Troveranno che il posto è stato già occupato, perché fuori dalla porta in questo momento c'è un comodissimo e sempre utile "Do not disturb". -
Charlotte rise di cuore, beandosi della vista sopra di loro, gli occhi illuminati e pieni di qualcosa che non riusciva a comprendere.
- E non è ancora finita. - disse Benedict alla sua sinistra, sporgendosi per prendere qualcosa da un'altra sedia.
- Cos'altro c'è ancora? -
- Stavolta avremo una birra decente da gustarci e anche delle noccioline, gentilmente fornite dal pub qui vicino. -
Lei lo guardò senza barriere, scorgendo nei suoi occhi uno sguardo sereno, mentre le parlava. Questo piccolo grande particolare Charlotte avrebbe sempre ricordato di quella sera, insieme all'inspiegabile odore di vecchi libri che li circondava: il suo sguardo sereno, come se in quel momento il mondo non sarebbe finito mai.
Lui le sorrise nella penombra delle luci spettrali intorno a loro, negli occhi uno sguardo pieno di sottintesi. Forse aveva capito ciò che le passava per la mente in quel momento o forse aveva capito tutto quello che c'era da capire. Si sarebbe sorpresa del contrario, Charlotte.
- Posso restare qui per sempre? - chiese laconica lei, ritornando a guardare in alto.
- Puoi, ma la notte finirà prima o poi. -
Charlotte alzò le spalle, anche se una traccia inevitabile di dispiacere le albergava lontano negli occhi.
Rimase a lungo a guardare il suo profilo senza farsi notare, Benedict, cercando di trovare le parole giuste da dire. Perché quella era una notte fatta di parole e lui doveva trovare il giusto modo di ringraziarla per avergli dato, a modo suo, un pretesto per vivere.
 - C'è una cosa che non ho mai trovato il tempo di dirti, stasera. - esordì, rigirandosi tra le mani la birra.
Charlotte si voltò a guardarlo, piano.
- Qualcosa che ho imparato a mie spese, un po' come impari a fare i conti con un amore finito, o un trasloco ed ha a che fare con i cambiamenti, che fanno un male assurdo, ma sono necessari. Com'è necessario accettarli e andare avanti. Ecco, ciò che voglio dirti è che la realtà cambia costantemente, anche mentre parliamo. Qualcosa in cui oggi credi, potrebbe domani rivelarsi solo un gigantesco cumulo di errori e la cosa fantastica di tutto questo, e anche la più spaventosa e rincuorante, è realizzare quanto siamo insignificanti, Charlotte, che non dovremmo mai perdere tempo a rimpiangere le cose che ci hanno fatto del male, perché se ci pensi, non esiste un solo motivo per farlo quando abbiamo la più grande delle possibilità a portata di mano: andare avanti. Cambiare. Nonostante tutto. -
Gli occhi di Charlotte tremarono, alla luce delle stelle.
- Cavolo, l'hai finalmente trovato il tempo. - mormorò lei, commossa.
- Ehi? - si chinò verso di lei, accigliato.
Ma non ne aveva il motivo, di preoccuparsi: sorrideva, Charlotte, mentre si asciugava gli occhi col giubbotto di lui.
Benedict si lasciò scappare un verso indefinito, facendola definitivamente ridere.
- Scusami. -
- No, figurati. - disse con un sorriso un po' impacciato.
- Grazie. -
- Grazie. -
Se lo dissero entrambi, insieme. Con una precisione che un po' li spaventò, un po' fece brillare di più le stelle sopra di loro.
Battè gli occhi, Charlotte,
mentre tratteneva
il respiro
e i battiti del cuore
aumentavano
ed entrambi si erano impercettibilmente
avvicinati.
E poi furono talmente vicini che lei si perse negli occhi di lui e quando trovò la forza di riemergerne si mosse piano e, con un cuore calmo che non si sentiva da tempo, allungò una mano per accarezzargli il viso e lo baciò. Vicinissimo alle labbra, a lungo, piano, come se non avesse voluto fare altro fin dal primo momento in cui si era avvicinato alla sua panchina quella sera.
Si allontanò brevemente e lo guardò, veloce. Teneva gli occhi ancora chiusi, Benedict, ed era sereno.
Con un sorriso luminoso ad esploderle da dentro, si riavvicinò di nuovo. Stavolta alla sua bocca.



Stretta alla vita di lui come non lo era stata mai quella sera, Charlotte sorrideva mentre il vento le agitava i capelli e la Honda ripercorreva leggiadra la strada del ritorno.
- Come sta andando? - le chiese, Benedict.
- Sto per vomitare di nuovo! - rispose Charlotte.
Rise, Benedict.


La Honda si fermò davanti al Julie Palace mentre il cielo sopra di loro iniziava ad assumere una tonalità più chiara. Qualcuno ancora bazzicava davanti all'ingresso, sui gradini del palazzo, tutti troppo stanchi o troppo ubriachi per riuscire ad incamminarsi verso il proprio letto.
- Ehi, siamo arrivati. - disse Benedict cercando di non voltarsi troppo bruscamente all'indietro. Lentamente, Charlotte aprì gli occhi e lo lasciò andare staccandosi da lui. Benedict fissò a terra la moto e scese, con qualche difficoltà.
- Tutto bene? - le chiese, divertito, sotto gli occhi una scia appena accennata di occhiaie.
- Credo di sì, mi sento tutta intorpidita. - mormorò lei, roca.
Benedict represse a stento una risata mentre l'aiutava a scendere dalla moto e la guardava stiracchiarsi appena.
Si guardarono con un sorriso, separati dalla Honda, abbracciati dalle imponenti siepi del Julie Palace.
- Sei sicura che non vuoi che ti porti direttamente al tuo Hotel? -
- Sono sicura. - rispose Charlotte con una strana sensazione dentro, collocabile tra il petto e la gola.
Benedict sospirò, fece un cenno con la testa come per dire "okay, ho capito", poi provò a dire qualcosa ma non ci riuscì.
- Mi sono divertita, stanotte. - disse lei, negli occhi l'assoluta verità di quello che diceva.
- Sì, anch'io. -
- Scusami se ti ho privato del tuo giubbotto, che è bellissimo a proposito. -
Benedict rise mentre si avvicinava per riprenderlo.
- Puoi tenerlo, se vuoi. - disse sorridendo.
- Ah, non ti priverei di un tale gioiellino, scherzi? In compenso mi piacerebbe molto avere la Honda. -
- Ma non le odiavi tu, le moto? - chiese Benedict con un cipiglio malizioso.
- Dopo stanotte, no. - rispose Charlotte, mordendosi il labbro. Poi fece qualche passo all'indietro senza smettere di guardarlo.
- Magari la prossima volta. -
Charlotte abbassò gli occhi, reprimendo quella sensazione che rischiava di sopraffarla.
- Magari. -
Avrebbe voluto chiederglielo, Benedict, se si sarebbero rivisti di nuovo ma non glielo chiese. Con un sospiro si staccò dalla moto dove si era appoggiato e si mise addosso il giubbotto.
Rise, quando lei gli fece un cenno di approvazione mentre continuava ad allontanarsi piano, senza dargli le spalle.
- Vedi: sta molto meglio a te, non posso rubartelo. -
- Almeno so che regalo farti per Natale, se non altro. -
- Ecco, hai finalmente capito dove volevo arrivare. -
Benedict rise divertito.
- E a chi dovrei farlo recapitare? A Margareth Charlotte...? -
Lei si voltò con un sorriso, fece qualche passo, poi lo fronteggiò di nuovo.
- Steel. A Margareth Charlotte Steel. -
Poi dopo un ultimo sorriso si voltò definitivamente.

Benedict rimase appoggiato alla moto guardandola allontanarsi, l'unica traccia di bellezza che avrebbe catturato lo sguardo di chiunque da lontano. Rimase un po' così, guardandola scomparire senza che si voltasse nemmeno una sola volta.
Alla fine alzò lo sguardo al Julie Palace e mormorò "alla prossima, vecchia mia" prima di montare sulla moto e allontanarsi nell'orizzonte ormai chiaro sospeso sul mare.




 
N.B. Questa One-Shot è stata scritta e pubblicata per la prima volta su questo account nel 2014. Nella ripubblicazione odierna sono state modificate solo piccole parti di natura tecnica.
In seguito, le note originali: 


Al silenzio di questo cielo che ho davanti agli occhi
e alle foglie che sono tutte cadute. 

A.
   
 
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