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Autore: meilunye    08/10/2019    1 recensioni
{ Saryuu SARU Evan/Simeon Ayp, Fei Rune || Scritta usando il prompt #3 del Writober 2018 di Fanwriter.it (insonnia) }
Da piccolo, Fei riusciva ad aprirsi ed essere sincero soltanto con Saryuu, ed era diventato quasi naturale farsi consolare da lui. Ma, quando le loro vite si scontrano con la guerra e i giorni d’infanzia diventano solo un lontano ricordo, forse le parti potrebbero invertirsi.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fey Rune, Saryuu Evan - Saru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note
{ Saryuu "SARU" Evan/Simeon Ayp, Fei Rune }
Un'altra cosa molto semplice che avevo scritto lo scorso anno per il Writober 2018 di Fanwriter.it (prompt 3, "insonnia").  Non sono molto abituata a scrivere al tempo presente e questa in realtà è stata la prima che avevo scritto, dopo mesi e mesi senza toccare un foglio di Word... insomma, è stato un po' come un esercizio per me! Spero vi piacerà comunque, tutti i personaggi citati in questa storia sono bambini a cui tengo particolarmente ;v;
Buona lettura!

 

 

Per quanto fosse bravo a fingere indifferenza, la mancanza di suo padre si faceva sentire spesso e volentieri. Nessuno lo avrebbe biasimato se fosse scoppiato in lacrime, o se si fosse lamentato ad alta voce. Dopotutto, era soltanto un bambino quando era stato abbandonato, abbastanza grande da capire ma troppo piccolo per poter vivere da solo. Era normale che si sentisse triste, tutti avrebbero colto la solitudine nelle sue lacrime e lo avrebbero confortato.

Ma lui si rifiutava di piangere. Trascorreva la sua vita nella più totale apatia, rispondendo agli sguardi pieni di pietà degli adulti con gelida indifferenza. Non voleva essere compatito da loro, e nemmeno risultare simpatico, per paura che aprendosi a loro un giorno sarebbe stato abbandonato di nuovo.

Riusciva a essere se stesso soltanto con quelli come lui. E ce n’erano molti, nel luogo dove abitava ora. Il quartier generale della Feida era stato creato con questo preciso scopo, raccogliere i bambini che gli adulti temevano e allontanavano solo perché erano diversi dagli altri.

Dei mostri agli occhi di tutti, sebbene non ne avessero alcuna colpa. Condannati a una vita da emarginati e a una morte prematura, tutti i Second Stage Children come lui provavano grande astio verso quel mondo che li aveva respinti e scacciati ingiustamente.

Entro quelle mura, però, c’era un universo completamente differente. La rabbia e la freddezza con cui si rivolgevano agli estranei lasciavano il posto a un ambiente caldo e confortevole, dove tutti erano amici e si divertivano assieme. Certo, non mancavano i litigi e anche qualche rissa ogni tanto, soprattutto fra i ragazzi più forti come Garo e Meia, ma tutto sommato erano un gruppo molto affiatato.

E quando era con loro, Fei non sentiva più il bisogno di piangere.




Tutto ciò che tormentava il suo animo ritornava a colpirlo con prepotenza soltanto di notte, quando le luci erano spente e i suoi amici dormivano profondamente. Lui era sempre sveglio, più sveglio che mai, e anche se si rigirava senza sosta fra le coperte il sonno non ne voleva sapere di arrivare. Rimaneva con gli occhi spalancati per ore e ore, per poi crollare quando il sole stava già sorgendo, portando con sé un senso di frustrazione che sapeva lo avrebbe accompagnato per tutto il giorno successivo, assieme a una pesante sonnolenza.

Insonnia”, l’aveva definita Meia una volta, quando aveva trovato il coraggio di parlargliene. Per lui, la ragazza era più di una sorella maggiore, quasi la mamma che non aveva mai avuto, ed era diventata naturalmente la sua confidente di fiducia.

Fei aveva cercato quella parola sul dizionario. “Impossibilità, difficoltà o anormale brevità del sonno, sintomo fondamentale degli stati depressivi o ansiosi”. Troppe parole gli erano oscure, era troppo piccolo per capire a fondo quella definizione, ma una sola brillava sulla pagina come un faro nella notte: “anormale”.

Ancora una volta, era diverso dagli altri.

E ogni volta che chiudeva gli occhi, incapace di addormentarsi, i pensieri tornavano ad aggredirlo. La sua mente gli ricordava che era fuori posto, sbagliato, un mostro. Così spaventoso da essere stato persino rifiutato dal suo stesso padre.

Quando la situazione si faceva troppo difficile, il respiro diventava affannoso e la vista sfocata. I suoi piedi si muovevano da soli, e Fei si ritrovava camminare in punta di piedi attraverso la sua stanza, poi oltre la porta, lungo i corridoi sempre uguali, fino a raggiungere una familiare porta arancione.

Anche quella sera, dopo essere giunto fin lì quasi inconsapevolmente, Fei rimase a contemplare il suo legno dipinto per diversi minuti.

Non era mai chiusa a chiave, anche se il suo proprietario amava dire di sì per non essere disturbato a qualsiasi ora del giorno – cosa che, conoscendo i loro compagni, sarebbe successa inevitabilmente se avessero saputo la verità. Ma Fei era un caso speciale, era il suo migliore amico, quindi poteva prendersi certe libertà.

La aprì senza problemi, e scivolò all’interno della camera immersa nell’oscurità, richiudendosi l’uscio alle spalle. Si avvicinò al letto, tastando il vuoto intorno a sé per non scontrarsi accidentalmente con i mobili.

Quando arrivò abbastanza vicino da distinguere la sagoma sotto le coperte, capì che Saryuu stava dormendo della grossa. Un sonno sereno e senza pensieri, quello che lui non aveva mai avuto. E russava pure molto forte.

Per qualche motivo, finiva per arrabbiarsi ogni volta che lo vedeva così. Gli tirò un pugno, facendolo svegliare di soprassalto.

« Chi è?! », urlò Saryuu per la sorpresa, e si mise a sedere di scatto. Gli ci volle qualche istante per capire di chi si trattasse, visto il buio, ma appena lo riconobbe tirò un sospiro di sollievo. « Mi hai spaventato. Che succede? ».

Fei non rispose. Il cuore sembrava pesare come un macigno nel suo petto, e il respiro irregolare gli impediva di fare uscire anche solo un sussurro. Quando alzò lo sguardo, tutto ciò che vide fu una macchia bianca in una massa confusa di colori.

« Ehi… », Saryuu richiamò la sua attenzione, « Perché stai piangendo? ».

Riusciva a trattenersi senza difficoltà, davanti a chiunque. Eppure, puntualmente, non appena Saryuu gli poneva quella domanda Fei scoppiava in lacrime come un neonato. La solitudine lo colpiva nei momenti di debolezza, lo opprimeva e gli ricordava dolorosamente che, per quanto fosse maturato in fretta, era pur sempre un bambino. Si sentiva patetico.

Saryuu sospirò, e gli passò una mano sulla schiena con fare rassicurante, come in ogni altra occasione. Era abituato a vederlo così, e Fei si sentiva in colpa nel mostrare quel lato di sé proprio alla persona a cui teneva di più. Ma lui non lo giudicava, si prendeva cura di lui come un fratello maggiore e cercava di assisterlo al meglio delle sue capacità mentre si sfogava, fino a notte fonda, finché esausto non si addormentava come un sasso.

Non si arrabbiava neppure quando gli rubava tutto lo spazio sul letto, o teneva per sé tutte le coperte – lui, che quasi scatenava una rissa se qualcuno mangiava anche solo una delle sue merendine senza permesso. Fei era semplicemente speciale per lui.

Ed era l’unica volta in cui essere diverso dagli altri gli scaldava il cuore invece di raggelarlo.

 




L’aria gli sferza il volto e le braccia mentre sorvolano la città, e Fei ringrazia di avere indosso almeno gli occhialini. Non gli è mai piaciuto molto viaggiare a bordo di quelle moto volanti, ma è indubbiamente il modo più veloce di spostarsi quando non si può ricorrere al teletrasporto. E poi sa bene che SARU si impegna il più possibile per evitare gli scossoni, perché sa che gli fanno annodare lo stomaco.

Atterrano sul tetto di un grattacielo, e i veicoli degli altri membri della Feida fermano i motori proprio accanto al loro. Fei si toglie casco e occhialini e ammira il misero paesaggio. La città è sempre la solita, grigia e piena di vetture che sfrecciano a mezz’aria. Non è che non la trovi carina, solo… monotona. Sarebbe bello visitare altri luoghi, tanto per cambiare.

SARU si avvicina al cornicione del palazzo, e punta il dito verso un familiare edificio in lontananza. « Immagino sappiate cos’è quello », dice. I Second Stage Children si stringono nelle spalle. Certo che lo sanno, quel quartier generale ha una forma inconfondibile. « Non ve l’ho detto, ma la settimana scorsa ho chiesto a Yuuchi e Yokka di infiltrarsi tra le schiere della El Dorado ».

Fei trattiene a stento un verso di sorpresa. Ecco dov’erano spariti quei due da un giorno all’altro! Si era preoccupato, ma è abituato a vedere persone che vanno e vengono dal quartier generale, quindi non aveva dato troppo peso alla cosa. Gli unici che restano sempre sono lui e SARU.

« Ebbene, hanno scoperto una cosa molto interessante », continua il leader. Salta giù dal cornicione e torna vicino a loro, dando le spalle all’edificio di cui sta parlando. La luce del sole fa brillare le sue lenti, impedendo agli altri di vedere i suoi occhi.

«  Dopo aver provato a combatterci a viso aperto, i vecchi hanno adottato un’altra strategia. Vogliono inviare i loro soldati migliori nel passato e far scomparire il calcio, in modo da cancellare la nostra stessa nascita dagli annali ».

Un brusio confuso si solleva tra la folla. È un piano decisamente estremo, perché ricorrere a questi mezzi così drastici quando ci sarebbero altre centinaia di modi per farli fuori? Se davvero le cose andassero in questo modo, ci sarebbe ben poco da fare per loro, sparirebbero dalla storia senza nemmeno rendersene conto.

Il panico inizia a diffondersi fra loro, e anche Fei si accorge che le sue dita stanno tremando come mai prima d’ora. A SARU non sfugge questo momento di sconforto generale, perché subito riprende a parlare.

« Niente paura! », li riprende, sorridendo come se stesse parlando del tempo e non della loro morte incombente. « Quando mai vi ho dato queste notizie senza aver già in mente cosa fare? Rilassatevi ».

Giris si sistema gli occhiali sul naso con un gesto che fa percepire tutta la sua tensione. « Sei assolutamente certo che le cose stiano così? ».

« Ovvio », è la risposta secca di SARU. Il suo sorriso è sempre lì, immutato, e sta diventando quasi inquietante.

È il turno di Meia di farsi avanti. « E ora che facciamo? », chiede, stringendo appena il braccio del suo fidanzato.

« La risposta è semplice », continua il leader, e stavolta si sfila gli occhialini, facendoli cadere pigramente attorno al collo, in modo che tutti possano vedere la determinazione nel suo sguardo. « Questa è una dichiarazione di guerra ».

« Credevo fossimo già in guerra », interviene Garo. Lui e i suoi compagni si erano divertiti a distruggere non pochi edifici di controllo, e avevano conciato per le feste diversi soldati della Protocollo Omega.

« Sì », conviene SARU, « Ma fino ad ora ci siamo limitati a piccoli attacchi, più che altro era una guerriglia. Ora sono stati loro a fare il primo passo, possiamo procedere allo scoperto e senza esclusione di colpi. Stiamo per andare a fare loro un simpatico annuncio. ».

« Aspetta un attimo », lo interrompe ancora Giris, come sempre il più difficile da convincere. « Mi stai dicendo che vuoi che noi, un gruppo di nemmeno cinquanta persone, tutte sotto i vent’anni, armati solo delle nostre auree, di poteri che non padroneggiamo ancora completamente e di una manciata di armi, dichiariamo apertamente guerra a un’organizzazione stabile, appoggiata dal governo e dal popolo, che ha all’attivo almeno un centinaio di soldati altamente addestrati? ».

Un silenzio teso cade sull’intero gruppo. Messa così, in effetti, sembra proprio una missione suicida e niente di più.

« Esatto », è la risposta di SARU. Così concisa, così terribile.

Giris fa un passo indietro, sconfitto. Come ci si può opporre a una follia simile? Il leader sembra così sicuro di sé da scacciare via qualsiasi dubbio, anche se quel piano fa decisamente acqua da tutte le parti.

Tutti si guardano con aria confusa, incerti sul da farsi. Nessuno ha mai dubitato dell’astuzia di SARU, è un ottimo comandante e li ha sempre portati sulla strada migliore, ma questa volta…

« Dividetevi in squadre ed esaminate l’edificio di nascosto da più angolazioni possibile. Cercate un punto da sfondare, un’entrata, qualsiasi cosa », ordina SARU, ignorando le proteste sottovoce e la confusione che hanno animato i suoi compagni. « Fei, tu vai con Meia. Io mi occuperò dell’entrata principale ».

Fei sobbalza nel sentirsi nominare. Si era così perso nei suoi pensieri da essersi dimenticato di essere lì anche con il proprio corpo, e non solo come osservatore esterno. « SARU, non mi sembra che gli altri siano convinti… », prova a dire, ma il suo migliore amico sembra non sentirlo nemmeno.

« Li attaccheremo domattina », sentenzia SARU.

Garo e i suoi compagni salgono in groppa alle loro moto e sfrecciano via a tutta birra, urlando come dei pazzi allo stadio. Basta parlare di attacchi o di guerra perché si emozionino come mocciosi in un negozio di caramelle.

Giris pare avere qualche dubbio in più. « Così, senza un piano? Ma è un suicidio, SARU! ». Sta quasi urlando.

Fei si nasconde istintivamente dietro a Meia, come faceva da piccolo quando si sentiva minacciato. È la prima volta che Giris è così in disaccordo con SARU, così arrabbiato e fuori di sé. Ed è la prima volta che, suo malgrado, lui si trova pienamente dalla sua parte.

Di fronte a tanta furia, SARU cede appena, e il suo sorriso si fa più dolce. « Questo è solo un avvertimento », spiega a voce bassa, « Ci teletrasporteremo via prima che possano anche solo pensare di toccarci. Il vero attacco lo pianificheremo con più calma nei prossimi giorni ».

Giris abbassa lo sguardo, non ancora persuaso. Meia gli appoggia una mano sulla spalla. Entrambe le squadre lì riunite, i Giru e i Garu, sono avvolte da un silenzio cupo e pieno di dubbi.

Sicuro di aver risolto ogni questione in sospeso, SARU si volta, dando loro le spalle, e fa per tornare alla propria moto. È quasi arrivato a toccare il manubrio, quando Yuuchi finalmente trova il coraggio di opporsi.

« SARU, noi… », balbetta, « Noi non vogliamo farlo ».

A quel punto, è come se fosse esplosa una bomba.

Il leader si volta di scatto, sul volto l’espressione più seria che Fei vi abbia mai visto. Tutto il suo corpo è teso, e l’aria attorno a lui si fa più pesante. Se li sguardi potessero uccidere, di loro non rimarrebbe che polvere.

« Forse non ci siamo capiti », dice, lugubre, « È un ordine ».

Impietriti dal terrore, tutti i Second Stage Children esitano giusto un secondo prima di fuggire a bordo delle loro moto. Si disperdono così rapidamente da sembrare un gregge spaventato. SARU torna a osservare il quartier generale della El Dorado, soddisfatto di aver ribadito la sua posizione.

Giris, Yokka e pochi altri continuano a lanciare occhiatacce al loro leader, eppure obbediscono comunque. Meia offre un casco a Fei, ma lui lo rifiuta con un gesto secco.

Se tutti sono spaventati, beh, lui è solo furioso. E ha una questione da risolvere.

Ormai sono rimasti solo loro due sul tetto del grattacielo.

Fei si avvicina a SARU con passo leggero, lo trova fermo in una posizione statuaria, con la gamba su un cornicione. Gli occhialini sono tornati al loro posto, per proteggerlo dalla luce intensa del tramonto.

« Fei », SARU percepisce subito la sua presenza anche senza vederlo, « Pensavo di averti detto di andare con Meia ».

Stringe di più i pugni, sente le unghie che gli graffiano i palmi. No, stavolta non obbedirà come un cagnolino. È il suo migliore amico, fermarlo quando sta facendo qualcosa di estremamente stupido è un suo dovere.

« SARU », dice, arrivando vicino a lui, « Non puoi fare così ».

Il leader non si volta verso di lui. Fei riesce a vedere la sua bocca aprirsi, e sa che sta per rispondere “Così come?”, come al suo solito.

« E non fare il finto tonto », lo anticipa, « Sai benissimo di cosa sto parlando ».

SARU sembra sorpreso. Finalmente si gira per guardarlo, con un’espressione divertita; Fei lo vede anche attraverso le spesse lenti degli occhialini: i suoi occhi stanno ridendo.

« Da quando mi conosci così bene? », commenta l’albino, con una mezza risata. Sono sempre stati migliori amici, i compagni più fidati, ma SARU era convinto di essere una fortezza impenetrabile anche per lui. Non si era mai accorto dell’abilità di Fei di leggerlo meglio di un libro aperto. « Sai, a volte bisogna usare il pugno di ferro perché le cose vadano nel verso giusto ».

« Nel verso giusto? », ripete Fei, guardandolo con rabbia. « Cosa ti dice che le tue idee siano sempre le migliori? ».

Adesso SARU non ride più. Si è fatto improvvisamente serio, forse ha finalmente capito quanto sia irritato il suo compagno. « Io sono il leader », risponde, cocciuto, « So io cos’è meglio per la Feida. L’ho creata io ».

Per lui dire queste parole è come scrivere “fine” in fondo alla pagina, non c’è altro da aggiungere. Si avvicina alla sua moto e vi sale a bordo, pronto ad andarsene e a scappare da quella discussione. Perché, di solito, in questi casi Fei cede subito per paura di litigare.

Ma non stavolta.

Raggiunge il leader e tira un pugno al veicolo. Leggero, non abbastanza forte da danneggiarlo, ma solo per far notare a SARU quanto sia serio e furioso in quel momento. « La Feida non è un giocattolo », quasi sibila, al colmo della rabbia, « Siamo tutte persone ».

SARU lo guarda con aria contrariata. « Fei… ».

Viene ignorato. « Persone con un cervello », continua Fei, « Con le nostre idee. E tu, se davvero ti ritieni un leader, devi ascoltarle. Altrimenti sei solo un tiranno ».

Fa per tirare un altro pugno sulla carrozzeria, ma SARU lo intercetta e afferra saldamente il suo polso. « Mi sembra che io abbia sempre ascoltato le tue idee. Rifiniamo i piani assieme, no? Io e te ».

Se è un tentativo di ammorbidirlo, è fallito miseramente. « Devi ascoltare quelle di tutti! », obietta Fei, spingendo via la sua mano con uno scatto. « Non solo le mie! ».

Quel rifiuto è troppo per l’ego di SARU. Un alone di tristezza gli vela gli occhi, ma dura solo un istante prima di essere sostituito da pura freddezza. Una freddezza che Fei non ha mai visto rivolta a lui. Gli ricorda molto il modo in cui lo guardava suo padre prima di abbandonarlo, e subito sente un nodo stringergli lo stomaco.

SARU mette in moto. « Alla Feida comando io », dice, lapidario, « Se non ti sta bene, sai dov’è la porta ».

Sai dov’è la porta? Fei non avrebbe mai pensato di sentirsi dire certe parole proprio dal suo migliore amico, quello che l’aveva preso sotto la sua ala protettiva quando aveva appena quattro anni e lo aveva praticamente cresciuto fino a quel momento. L’unico che lo conosce davvero, l’unico suo vero compagno.

« Tu sei troppo concentrato sulle cose da fare per renderti conto che non sei da solo a farle! », sbotta Fei, al limite della sopportazione. Sente le lacrime scorrere lungo le guance, ma non si preoccupa di fermarle. Tanto lui l’ha visto mille volte in quello stato, e anche peggio di così. « Questo è il tuo problema, Saryuu Evan! »  

È la prima volta in anni e anni di amicizia che lo chiama con il suo nome intero, come quando erano bambini e la Feida era ancora un gruppo di orfanelli sperduti, prima che si trasformasse in un gruppo organizzato di terroristi.

SARU sfreccia via senza dire una parola.




Uno starnuto rompe il silenzio nella stanza. Fei si appallottola sotto le coperte, infreddolito. Le notti al quartier generale della Feida sono a dir poco gelide. Ha ripetuto almeno mille volte al loro leader che il riscaldamento ha qualche problema, ma SARU sembra diventare sordo quando si parla di qualcosa che non sia la vendetta o i comandanti della El Dorado.

Una volta non era così, lui lo sa meglio di chiunque altro. Sin da quando si era accorto di essere il più potente fra tutti i Second Stage Children, SARU aveva sempre sentito il peso del proprio ruolo. Ma mai questo gli aveva impedito di essere un ragazzo solare e ottimista… almeno non fino ad ora.

Il SARU di adesso gli fa quasi paura. Non lo riconosce affatto nel suo modo di riflettere su ogni parola da dire, ogni passo da compiere, ogni decisione da prendere. Nel suo isolarsi, nel suo rifiutare il contatto con i suoi compagni, se non per impartire ordini, nel suo essere costantemente malinconico.

Fei continua a ripetersi che è soltanto cresciuto, e che lui è troppo testardo per accettarlo. Forse, la verità è che gli manca il bambino che era, perché quella versione adulta di SARU è troppo… diversa.

Con un grugnito scocciato, Fei si scrolla le coperte di dosso. Un rapido sguardo all’orologio gli rivela che ore sono: le quattro. Bene, una notte sprecata. Sono passati anni dall’ultima volta che è stato sveglio così a lungo, ma se i suoi pensieri sono così cupi è meglio alzarsi per schiarirsi un po’ le idee, prima di avere gli incubi.

Si mette in piedi, indossa le pantofole al volo e si precipita fuori dalla stanza. È cresciuto lì dentro, ha percorso quei corridoi al buio per anni e ormai non ha nemmeno bisogno di muoversi a tastoni, sa perfettamente dove sono gli ostacoli e come aggirarli, d’istinto.

Arriva fino alle cucine. La porta scricchiola sotto la sua spinta, e spera di non aver svegliato nessuno. Prende nota mentalmente di chiedere a SARU di sostituirla con una ad apertura automatica, perché possa aggirarsi nell’edificio di notte senza svegliare tutta la Feida.

Prende un bicchiere di latte, sperando possa conciliargli il sonno. Sta per tornare a letto, quando il suo sesto senso lo mette in allarme.

Ci riflette a malapena un secondo, ha fiducia nel suo istinto, quindi segue la propria sensazione ed entra nella sala da pranzo, aspettandosi di trovarci qualcuno. Ma è completamente vuota. Le sedie sono appoggiate sopra i tavoli, Fei riesce a vederle grazie alla luce della luna che entra dalle ampie vetrate. Non c’è anima viva. Torna sui suoi passi.

A ben pensarci, non ha senso chiedere di cambiare quella porta, tanto nessuno tranne lui sta sveglio fino a quell’ora.

Un colpo di tosse attira la sua attenzione. O forse no.

Si gira. Proprio dietro al pesante tendone di stoffa, illuminato appena dal bagliore pallido della luna, SARU è seduto sul cornicione interno della finestra, le gambe tese in avanti.

Che ci fa lì? Fei si avvicina titubante. Soltanto a metà strada gli viene in mente come sono andate le cose l’ultima volta che si sono parlati, ormai tre giorni fa, e ripensare a quel brutto litigio lo fa bloccare sul posto. Si volta di nuovo, probabilmente SARU non l’ha notato e fa ancora in tempo ad andarsene prima che…

« Fei? ».

Troppo tardi.

Il cuore che gli martella nel petto, Fei lo raggiunge. Si siede sul suo stesso cornicione, posando i piedi scalzi sul marmo gelido e appoggiandosi alla finestra con una spalla. Al di là del vetro, le luci della città sono tenui e sfocate, appena visibili nella nebbia notturna.

« Che ci fai ancora sveglio? », la voce di SARU lo riporta a terra.

Fei avvicina le ginocchia al petto. Ha paura di cosa può succedere fra loro. « Potrei chiederti la stessa cosa ».

L’altro si stringe nelle spalle, indifferente.

Fei socchiude le palpebre e lo guarda meglio, cerca di distinguere i contorni del suo viso illuminati dalla luna. Ha borse scure sotto gli occhi e un’aria insolitamente assente, come se la sua mente non fosse davvero lì.

Gli ricorda pericolosamente lo stato in cui si trovava lui, anni prima, dopo numerose notti insonni, prima che prendesse l’abitudine di intrufolarsi nel letto del suo amico.

« ...SARU, da quant’è che non dormi? », chiede. Tutta la delusione e la rabbia che ancora prova per lui sfumano in sincera preoccupazione.

SARU non risponde subito, sembra pensarci a fondo. Poi fa di nuovo spallucce. « Tre giorni », dice.

Tre giorni. Dal loro litigio, quindi. Per un attimo, Fei avverte un vago senso di colpa – che sia a causa delle sue parole? In effetti, ha un po’ esagerato in quell’occasione. Quando si fa prendere dall’entusiasmo, dice sempre cose che non pensa veramente.

« Senti… », inizia.

« Scusami », lo anticipa SARU.

Fei alza gli occhi su di lui, sorpreso. Il grande imperatore della Feida che ammette le sue colpe di sua spontanea volontà? La fine del mondo è vicina.

« Avevi ragione tu, sono un pessimo leader ».

Il cuore di Fei ritorna fuori controllo. Oh no. È davvero colpa di quello che ha detto. « No, aspetta! », quasi urla, agitato, « Ho esagerato l’altro giorno, non penso che tu sia un pessimo leader, io… ».

« Lo so che non lo pensi », lo interrompe SARU, « Sono io a dirlo ».

Fei stringe le labbra. Non sa cosa ribattere, non può dire nulla se è lui stesso a pensarlo. Anche se nel suo animo muore dalla voglia di fare qualcosa per tirarlo su di morale.

« Sul momento sono andato via senza dire nulla », continua SARU. « La verità è che sapevo quanto avessi ragione, ma non ero in grado di accettarlo, quindi mi sono comportato come un bambino capriccioso ».

Fei gli sorride, appoggiandogli una mano sulla spalla con fare comprensivo. « È per questo che non hai dormito da allora? », chiede, e per un istante incrocia il suo sguardo, « Se ti senti in colpa nei nostri confronti, non pensarci più ».

SARU ricambia il suo sorriso, e lui si sente subito più tranquillo. Sono ancora amici, come se niente fosse successo. Il loro legame è sempre lo stesso, per quanto strano e diverso possa essere rispetto al passato.

« Non è solo questo », dice però il leader.

C’è dell’altro, quindi. Fei non capisce cosa sia, cosa possa disturbarlo in quel modo, però è chiaro che qualcosa lo tormenti nel profondo.  « Ti va di parlarne? », chiede.

Entrambi rimangono sorpresi da quella domanda. Quanti anni sono trascorsi dalla loro ultima chiacchierata a cuore aperto? Almeno cinque, se non di più. Ed era sempre SARU a prendersi cura di Fei, a tirargli fuori i problemi con le pinze, a farlo piangere per sfogarsi e a raccogliere a una a una le sue lacrime ogni volta. Mai e poi mai c’era stato il bisogno di invertire i ruoli.

Eppure, è appena successo.

SARU sembra soppesare la situazione per qualche istante. Sa di poter dire tutto al suo migliore amico, sa che non lo giudicherebbe mai, ma è così… strano essere dalla parte di chi ha bisogno di essere consolato.

Tuttavia, conosce abbastanza Fei da sapere che non getterebbe la spugna tanto facilmente, anche se si rifiutasse di parlarne.

« In realtà, non sono solo tre giorni », si confida infine, la voce ridotta a un sussurro. « Non dormo serenamente da diversi mesi. Ogni notte mi rigiro sotto le coperte per un’eternità, poi mi ritrovo sempre qui. Mi addormento davanti a questa finestra, giusto un paio d’ore, ma come puoi immaginare al mattino non sono esattamente… riposato ».

Fei si sente colpito dritto al petto. È una situazione che conosce benissimo. Gli sembra quasi di rivivere la sua infanzia in un flashback. Anche lui sarebbe ridotto così se non fosse stato per SARU?

« Cosa ti tiene sveglio fino a tardi? », gli chiede, anche se conosce già la risposta.

SARU sposta lo sguardo verso le luci lontane fuori dalla finestra, l’aria assorta. « I miei pensieri? », dice, esattamente come previsto. « Ma dopo tutto questo tempo, penso sia semplicemente insonnia ».

Insonnia. Ancora quella parola. Stavolta, però, Fei ne conosce il significato, lo ha provato per anni sulla sua pelle.

« Essere a capo della Feida ti dà tante preoccupazioni, vero? », chiede, dando voce al primo pensiero che gli passa per la mente. Vede SARU sussultare e capisce di aver fatto centro.

« ...Parrebbe di sì », dice il leader con un sorriso amaro sul volto. « All’inizio era solo un gioco… Ero piccolo, per me chiamarmi “imperatore” era un modo come un altro per sentirmi più forte e darmi delle arie. Soprattutto con Meia e Garo. Poi, però, è diventato tutto così serio. Siamo in guerra con il mondo, e ognuno di voi è sotto la mia responsabilità ».

Mentre SARU spiega, Fei lo osserva con attenzione. Non ci ha mai fatto caso finora, ma ha un’aria davvero… stanca. È esausto, lo si vede da ogni centimetro del suo corpo. Dalle sue occhiaie, dal modo in cui curva le spalle, dalla fatica che sembra costargli ogni parola.

« Ho lavorato tutta la vita per arrivare a questo momento », continua SARU, ignaro delle sue riflessioni interiori, « L’avvertimento dell’altro giorno è stata la svolta che aspettavo. Il piano è avviato, tutte le pedine sono al loro posto, eppure… proprio ora, sto avendo dei ripensamenti ».

Sospira. Fei gli si avvicina di nuovo, gli circonda le spalle in un abbraccio un po’ goffo e molto, troppo scomodo. SARU esita a lungo prima di rivolgergli un altro sorriso triste e ricambiare flebilmente la stretta.

« Sto vacillando, Fei », dice ancora, « Sto iniziando a pensare che forse, dopotutto, tutto ciò in cui credo, persino io stesso, sia… sbagliato. ».

La sua voce si spezza sull’ultima parola. Fei lo guarda, sorpreso, e si accorge di una cosa impensabile: SARU ha gli occhi lucidi. E, senza neppure dargli il tempo di rendersene conto fino in fondo, le lacrime gli stanno già bagnando le guance.

« Ma è troppo tardi per tornare indietro, ormai », termina, le spalle scosse dai primi singhiozzi.

Fei si fa cogliere da un attimo di panico. È la prima volta che deve consolare qualcuno, non sa davvero da che parte iniziare. Si impone di calmarsi, di ripensare a quando era bambino, stretto fra le sue braccia sotto le coperte. Cosa diceva SARU per farlo stare meglio?

« Essere diverso dagli altri non significa essere sbagliato, Fei ».

« La tua decisione non è sbagliata, SARU », dice, con una convinzione che stupisce lui prima di tutti. « E anche se lo fosse, abbiamo scelto noi di seguirti, in tutti questi anni. Ho detto una cosa stupida, non è vero che non ci ascolti, lo so che hai a cuore il nostro benessere, quindi… Se siamo tutti qui, è perché lo vogliamo ».

SARU alza lo sguardo fino a incontrare il suo. C’è confusione nei suoi occhi, è evidente, ma allo stesso tempo Fei percepisce tutta la sua fiducia.

« Non sei solo. Io sono qui con te, ok? E se anche tutti gli altri dovessero abbandonarci, tu sai che su di me potrai sempre contare. Voglio stare con te, perché sei il mio migliore amico ».

« Non sei solo », continua Fei, dandogli un leggero scossone. « Non devi sopportare tutto questo da solo, perché non è questo che noi vorremmo. Noi siamo i tuoi migliori amici, no? ».

SARU è rimasto senza parole. Le lacrime si sono fermate, e si affretta ad asciugarsi il viso con il dorso della mano. Si vergogna subito di essersi mostrato così di fronte a Fei, quello che lui dovrebbe proteggere.

« Sei una persona molto migliore di quel che credi, Fei. Non voglio più sentirti dire che sei un mostro. Mai più, intesi? ».

« Sei un leader molto migliore di quel che credi, SARU », conclude Fei, dando ancora voce ai suoi ricordi, « E non voglio sentirti dire il contrario, mai più ». Sa bene che queste parole, questa sicurezza, non appartengono a lui. Sono del Saryuu del suo passato, quello che lo consolava, lui le sta solo prendendo in prestito. Forse, ormai sono incise a fondo nel suo animo.

Funziona. SARU ha ritrovato la sua compostezza, e ora sembra persino più rilassato di prima, come se quel discorso fosse stato la dose di tranquillità di cui aveva bisogno da mesi. Si cala gli occhialini sul volto, benché sia notte inoltrata e la stanza sia pressoché immersa nel buio totale.

« Forse hai ragione », dice. Sbadiglia sonoramente, senza neppure preoccuparsi di coprirsi la bocca, peggio di un bambino. « Anzi, sai cosa? Ho un piano da proporti… So che vuoi fare un viaggio da anni, e forse finalmente posso accontentarti ».

Fei si sente elettrizzato. « Un viaggio?! », esclama, « Davvero? ».

Si sforza di ignorare il brutto presentimento che lo assale vedendo che SARU non dice nulla per qualche secondo. Poi, il leader della Feida si strofina gli occhi con le mani e, con un gesto per niente aggraziato, si sdraia sul suo compagno, ignorando tutte le sue proteste.

« Diciamo di sì », dice, restando sul vago. La sua voce si riduce via via a un soffio, la stanchezza lo sta sconfiggendo. « Ricordami di parlartene domani, okay? ».

Fei mette il broncio. Vuole saperlo adesso! SARU non può dirgli certe cose e poi non spiegare niente, ora la sua mente non può evitare di immaginare chissà quale fantastico scenario! Ma l’altro non pare molto propenso a fornirgli altri dettagli, quindi sospira e lascia perdere, soltanto un po’ infastidito. « D’accordo ».

« Buonanotte », aggiunge ancora SARU, sentendosi finalmente in grado di riposare.


 

E, per la prima notte dopo mesi, SARU dorme sereno e indisturbato, stretto al petto del suo migliore amico.

   
 
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