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Autore: Ace of Spades    09/10/2019    3 recensioni
“Mio padre non era così, prima di perdere mia madre era un'altra persona. Di sicuro non una dolce e carina, ma almeno era una persona. Dopo la morte di sua moglie è diventato un mostro senza sentimenti, animato solo da ciò che ci potrebbe essere di più oscuro dentro un cuore vuoto.”
Degli occhi neri lo fissarono.
“Come se avessero aperto il Vaso di Pandora”
“Aperto? Direi più che è caduto al suolo e si è frantumato. Quando si perde una persona amata in modo traumatico è come perdere il sostegno che ti teneva sulla retta via, come la colonna su cui posava il Vaso. Senza quella, le piaghe dentro al tuo cuore prendono vita e ti divorano da dentro”
“Ho sempre trovato quel mito abbastanza insulso”
“Come mai?”
“Sai perchè esiste il detto ‘la speranza è l’ultima a morire’? Perchè è l’ultima che esce dal Vaso di Pandora. Ma perchè dovrebbe essere l’ultima se è ciò di cui si ha più bisogno?”
“Perchè le speranze le hanno le persone, ma i destini li distribuisce il diavolo.”
•••
DoflaCroc + Mihawk / AkaTaka/ KiddLaw/ KillerPenguin.
Genere: Angst, Demenziale, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Crocodile, Donquijote Doflamingo, Drakul Mihawk, Eustass Kidd, Trafalgar Law | Coppie: Shichibukai/Flotta dei 7
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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51) “Se si tiene davvero a qualcosa, l'ultimo tentativo è sempre il penultimo” 
 
 
 

 
 
 
 
 
Mihawk fissò sconsolato il ragazzo di fronte a sé. 
“Perché mi hai dato questa spada?” borbottò confuso Zoro. 
Quella mattina aveva deciso di portare entrambi gli occupanti di casa sua in palestra per svagarsi un po’. Immaginava che la testa verde non possedesse molte basi, ma non credeva che gli mancassero completamente. Perona, seduta con la schiena appoggiata al muro di fronte alla pedana metallica, li guardava curiosa. 
 
“Quella è una sciabola, e ti ho chiesto di metterti in guardia” 
La risposta di Zoro fu sollevare le sopracciglia. 
Mihawk inspirò; quel ragazzo aveva battuto molti maestri di spada solo usando l'istinto, gli ricordava molto lui da ragazzino alle prese con un Rayleigh mezzo brillo. 
Ammise che insegnargli tutto era una prospettiva interessante e capí in parte il suo ex maestro. 
“Sei mancino?”
“È indifferente”
“Piede destro davanti dritto, piede sinistro dietro, i talloni si devono toccare, ora amplia lo spazio, esatto devono formare un angolo retto. Piega le ginocchia, baricentro in mezzo, braccio destro ad angolo retto, coccia rivolta verso l'avversario, lama piegata leggermente verso l'interno, l'altra mano distesa o dietro la schiena. Questa è una guardia.”
 
Zoro lo fissò attento. “E poi? Quand'è che attacco?”
Mihawk espirò scuotendo la testa andandogli vicino. 
“Prima devi imparare a colpire” 
Il ragazzo lo guardò come se gli avesse appena tirato una sberla, e l'uomo represse un ghigno divertito. 
 
Shanks aveva suonato diverse volte ma a casa Mihawk non c'era nessuno, così si era incamminato verso la palestra, sapendo che quel giorno non erano previsti corsi e che quindi il suo vecchio amico si sarebbe potuto allenare senza distrazioni. 
Certo non si aspettava di trovarlo a fare una lezione privata ad un ragazzino dai capelli verdi. Guardò la scena nascosto dalla porta, notando le microespressioni del moro e notando che, nonostante tutto, si stava divertendo. 
Questo, capí, non gli faceva piacere. 
Si riscosse quando vide una ragazza dai capelli rosa avvicinarsi ai due; Perona era un nome che gli sembrava familiare, Zoro invece non gli diceva granché. 
 
“Roronoa sei un disastro, manchi di tecnica e disciplina” 
 
La voce di Mihawk lo riscosse; Roronoa Zoro, ma certo. Roronoa
Il cognome gli fece collegare i punti e si ricordò che lo aveva sentito nominare parecchie volte in altre città, era conosciuto come il Cacciatore di Taglie perché sfidava tutte le persone che erano abbastanza potenti da essere riconosciute, e non si preoccupava che fossero capi di palestre o malavitosi. Nel secondo caso, dopo averli battuti, li lasciava direttamente davanti al commissariato più vicino, da lí lo strano soprannome. 
Nessuno sapeva come fosse fatto, giravano voci che fosse un samurai di altri tempi, oppure un eroe mascherato. 
Ed invece era solo un ragazzino, assurdo. 
Se era venuto a sfidare Mihawk non capiva perché quest'ultimo gli stava dando lezioni di scherma. E Perona, la sottoposta di Moria? Un'accoppiata decisamente fuori dal comune. 
Si allontanò dalla porta ed uscí dalla palestra senza far rumore. 
 
 
Mihawk guardò Perona con la coda dell'occhio; Zoro aveva capito come fare gli affondi e come girare la lama per riprodurre le varie parate. 
Ma la ragazza stava passando in esame le varie armi da taglio con occhio attento, come se stesse cercando qualcosa. 
L'uomo riportò la sua attenzione alla testa d'alga e al manichino di fronte con indosso la maschera in metallo. 
“Parata di quarta, terza, quinta e seconda” disse mostrandole mentre le elencava, muovendo il braccio in maniera fluida. 
Zoro lo fissò stralunato; era palese che non si trovasse davanti ad una persona comune, ma ogni movimento che eseguiva era accompagnato da una grazia disarmante. Il dislivello che c'era tra loro era più simile ad un abisso, e questo non faceva altro che eccitarlo di più; voleva impegnarsi per riuscire a batterlo, poi poteva anche morire. 
“Tu non sai neanche la differenza tra le varie parate” 
“Certo che la so!” sbottò, punto sul vivo. 
“Ah, e quale sarebbe, illuminami”
“I numeri”
 
Drakul Mihawk non era una persona nota per il suo senso dell'umorismo, ma dovette davvero impegnarsi per non ridere in faccia al ragazzino. 
“Ci sarà molto lavoro da fare” disse invece, mentre Zoro ghignava dicendo che sapeva che aveva riso, con gli occhi, ma aveva riso. 
Mentre stavano parlando uno spostamento d'aria li fece immobilizzare: si girarono verso il manichino trovandolo con una freccia conficcata dove ci sarebbe dovuto essere il cuore. Non fecero in tempo a voltarsi che un'altra freccia si conficcò esattamente dentro l'altra, aprendola come un bulbo di cavolo, e cosí anche la terza. 
Quando riuscirono a distogliere lo sguardo, si voltarono dalla parte opposta per vedere Perona con in mano un arco che, per tutta risposta, nascose l'arma dietro la schiena e sorrise in modo angelico. 
Mihawk alzò nuovamente gli occhi al cielo; aveva dato una casa a due persone normali. 
“Ma sei un cecchino!” 
“Ho preso qualche lezione da piccola”
“Assurdo, e che altro sai fare?”
“Cucino, pulisco, mento benissimo, so lanciare il malocchio e pratico esorcismi”
 
Normalissime. 
 
 
 
-
 
 
 
Dopo aver lasciato Ace e Rufy al Moby Dick e aver preso da Satch i fascicoli fotocopiati del caso, Kidd e Law rientrarono in macchina e si diressero all'officina. 
Law sfogliò e lesse qualcosa ma notò che molte informazioni erano già in loro possesso. 
Kidd parcheggiò l'auto all'intero e scese, imitato dall'altro, entrambi si sgranchirono i muscoli. 
 
“Ti ho detto tutto quello che sapevo, ora mi merito un premio”
“Il premio è il fatto che respiri ancora. Si può sapere perché sei ancora qui?”
“Perché la tua presenza mi rilassa, cioè, non così tanto, ha anche un altro effetto che non definirei proprio rilassante”
“Vattene”
 
Kidd si girò in tempo per schivare una chiave inglese. 
“Killer porca troia!”
Law, che aveva riconosciuto la voce con cui stava parlando la Barbie assassina, rimase interdetto; guardò il rosso avvicinarsi al duo, che si trovava vicino ad una macchina col cofano aperto. Osservò meglio Penguin, che non aveva distolto lo sguardo neanche un secondo da Killer e scoppiò a ridere. 
I tre si voltarono a fissarlo, non abituati a vederlo in quello stato; Trafalgar Law non ride, al massimo sorride o sogghigna. 
E invece, notando la palese infatuazione del suo vecchio amico per Killer non potè fare altro, perché la situazione era di uno humor terribile. 
 
“Law! Quanto tempo, ti trovo in forma” gli buttò lí il mercenario, sapendo quanto il dottore potesse essere una palla al piede per certe cose. Avrebbe dovuto notare la sua presenza, ma era talmente imbambolato a mangiarsi con gli occhi l'intera figura di Killer che non si era accorto di lui. 
Capí di aver fatto un errore quando lo vide sghignazzare. 
 
Trafalgar conosceva Penguin da anni, era una delle poche persone di cui si fidava e su cui sapeva di poter fare affidamento nei momenti difficili. Il tipico amico che ti aiuta a nascondere un corpo, a distruggerlo e a procurarti un alibi, letteralmente, ma era anche un buon confidente. 
Sapeva quindi che durante tutta la sua vita, Penguin non aveva mai provato attrazione verso un altro essere umano che non fosse fisica, non gli era mai venuto in mente di conoscere qualcuno nel vero senso della parola. Era già abbastanza il suo lavoro, mercenario e informatore, non aveva voglia di sprecare tempo per qualcuno che poi sapeva si sarebbe rivelato noioso. 
Il dottore non si aspettava certo di vedere il tipico sguardo perso e innamorato sul volto del suo amico, era un pensiero che non gli era mai passato per la mente. 
Ed invece,eccolo lí, in un brodo di giuggiole davanti al migliore amico del tizio che lui si stava portando a letto e verso cui cominciava a provare qualcosa, oltre alla semplice voglia di tortura, ovviamente. 
 
La situazione era paradossale. 
E Penguin lo capí soltanto guardandolo e capendo che era meglio andarsene e portarsi via Law prima che aprisse la bocca. 
“Penguin, ti trovo bene anche io, anzi, un po’ troppo bene, mangiato troppi zuccheri a colazione?”
Killer arricciò il naso. “Come diavolo fa a sapere cos'hai mangiato?”
Law ampliò il suo sorriso. 
“Siete già andati a mangiare fuori e non mi dici niente?” commentò mentre l'uomo dal cappello si alzava e si avvicinava. 
“È da tanto che non ci vediamo, è il caso di fare una rimpatriata, non credi?”
“Pensavo fossimo amici, tra amici ci si confida e-”
Il mercenario lo caricò in spalla come un sacco di patate e si diresse all'uscita. 
“Kira-chan ti chiamo io” disse alzando l'altra mano, quella non impegnata a tenere fermo un Trafalgar parecchio divertito. 
“Ciao Eustass-ya, fammi sapere cosa ne pensi dei fogli! Penguin, quante cose abbiamo da dirci, quante.
 
Kidd fissò lo strano duo uscire dalla porta e si voltò verso Killer. 
“Penguin. Quel Penguin.”
“Kidd non ne voglio parlare”
“Chiedimi se mi interessa, l'ultima volta sei scappato senza darmi nessuna informazione” grugní il rosso incrociando le braccia al petto. 
“Pensavo fossimo amici” aggiunse, mentre un ghigno sinistro si formava sul suo volto. 
“Trafalgar è una pessima influenza” 
“O sono io una pessima influenza per lui, considerando Doflamingo”
Killer lo fissò abbassando il volto, in modo che il suo sguardo preoccupato gli arrivasse senza ostacoli. 
“Dimmi che non c'entra la corsa in macchina di poco fa”
“Do ut des. Io ti racconto se tu ricambi”
“Vado a prendere il rhum”
 
 
 
-
 
 
Mihawk chiuse la porta di casa trascinandosela dietro mentre entrava in casa. Zoro si diresse nella direzione opposta alla sua camera e Perona lo spinse indietro, dicendo che perdersi in casa propria era davvero da idioti. 
L'uomo imitò i due ragazzi e si concesse una doccia calda per lavare via la stanchezza.
Una volta rivestito uscí e ordinò la pizza; Zoro e Perona ne furono stanchezza contenti. 
Dopo cena, mentre Perona sparecchiava e portava una bottiglia di scotch sul tavolo, Mihawk le rivolse la parola. 
“Ho visto Moria di recente, sicura che non vuoi tornare da lui?”
La ragazza assunse un cipiglio degno di un bambino a cui hanno tolto le caramelle. 
“È lui che mi ha cacciata, non tornerei nemmeno se mi pregasse. Gli devo molto ma ho una dignità.”
Zoro sorrise, annuendo, per poi voltarsi verso il suo oramai maestro. 
“Come hai fatto a vederlo? Che sfiga, quell'uomo non ha una buona fama”
“Una serie di sfortunate coincidenze”
I due annuirono. 
Perona si riscosse. “Mentre mettevo a posto il salotto ho dimenticato di dirti che ho trovato questo in mezzo ai libri che mi hai chiesto di rimettere nella libreria” commentò alzandosi e prendendo qualcosa dal mobiletto. 
Allungò la mano con il segnalibro e entrambi i ragazzi si fermarono sbigottiti. Mihawk deglutí alla vista dei fiori e il suo sguardo si addolcí mentre sfiorava l'oggetto ancora nella mano di Perona. 
Come se si fosse riscosso dai suoi pensieri lo prese velocemente, non senza grazia, e lo mise sul tavolo davanti a sé. 
“Non pensavo fosse importante, perdonami” sussurrò lei sedendosi di nuovo, mentre Zoro aveva perso improvvisamente la voglia di bere alla vista dello sguardo ferito dell'uomo. 
Lo conosceva da poco tempo, ma non lo aveva mai visto esprimere molte emozioni, sapeva che non ne era privo, ma vedere quel velo di commiserazione sul suo viso, anche se si era trattato di qualche secondo, lo destabilizzò. 
“È un vecchio regalo” commentò sbrigativo distogliendo lo sguardo e riassumendo la solita espressione fredda. 
I due ragazzi annuirono e non chiesero altro, cambiando argomento. 
 
Quando fu sicuro che dormissero tutti e due, Mihawk aprí la porta della sua camera e lanciò uno sguardo infastidito all'orologio, che segnava le due di notte. 
Prese la bottiglia mezza piena di quella sera e la portò con sé in salotto; era da tanto che il suo pensiero non si fermava in quel determinato giorno in cui aveva incontrato Sora. 
Dopo anni, ricordare il suo volto si era fatto più difficile, ma la sua voce invece era sempre chiara, dolce come i cioccolatini che lui le aveva portato per rispondere ai suoi complimenti. La sua prima cotta. 
 
Stappò la bottiglia e ne bevve due sorsi, poi appoggiò la testa alla poltrona e fissò il soffitto. 
 
Nella sua vita aveva provato attrazione per due persone: la prima era finita uccisa in un canale, e la seconda aveva come obiettivo averlo come amico, non mancando mai di ricordargli quanto gli piacessero le donne, soprattutto formose. 
Prima lo aveva considerato come un compagno, poi, quando la piattola rossa si era messo in testa di imparare ad usare la spada solo per tornare a parlare con lui, nonostante la cosa all'inizio non lo interessasse, quello lo aveva smosso. Smosso come quei complimenti del tutto sinceri sui suoi occhi e come aveva fatto quel segnalibro. 
Si ritrovava in una situazione paradossale; aveva provato amore nel corso della sua vita, per sua madre, per i suoi amici, per lei, ma con lui era diverso. 
Voleva cose che non aveva mai desiderato, provava emozioni quasi amplificate quando era in sua presenza, e questo lo destabilizzava.
 
Bevve un altro sorso e chiuse gli occhi. 
 
“Drakul! Lo so che mi hai visto, non ignorarmi”
Mihawk continuò per la sua strada. 
Shanks lo affiancò sbuffando. 
“Sono arrivato addirittura ad accamparmi sotto casa tua per parlarti, so che c'è qualcosa che ti ha fatto soffrire, puoi anche non parlarmi, ma non puoi rifiutare una sfida!”
Il moro si fermò a guardarlo alzando le sopracciglia per poi ricominciare a camminare, seguito dall'altro. 
Una volta arrivati alla palestra estrassero le spade e combatterono; Mihawk odiava ammetterlo, ma il Rosso migliorava ogni volta, durava sempre qualche minuto in più, qualche minuto in più, ancora e ancora. 
Erano arrivati a far durare un duello ore, espellendo il mondo esterno dalle loro menti e concentrandosi solo sui movimenti e sulle lame. 
Rayleigh non mancava mai di dirgli che quando le persone del vicinato sentivano la voce squillante di Shanks urlargli di combattere si radunava sempre una folla davanti al bar, e Shakky ne approfittava per far decollare gli affari. 
In poco meno di qualche mese erano diventate una sorta di rituale, il giovedì pomeriggio, alle sei, Shanks e Mihawk incrociavano le loro spade e le persone che accorrevano per vedere le leggendarie sfide erano sempre di più, tanto che i due si guadagnarono i soprannomi che si sarebbero portati dietro per tutta la vita: Rosso e Occhi di Falco. 
E per Mihawk, quello era l'unico momento della settimana a contare, l'unico in cui riusciva a sentire una connessione completa con qualcuno. 
I loro duelli durarono nel tempo, non più tutte le settimane, ma mantenendo sempre giorno e ora. Entrambi erano cresciuti e avevano un'arma personale, Gryphon, la spada di Shanks dalla lama bianca e dalla coccia dorata, trovava una degna avversaria in Kokutou Yoru, la spada a due mani dalla lama nera con un’elsa dorata intagliata finemente. 
 
 
Mihawk aprí gli occhi e sbattè più volte le palpebre; i problemi erano iniziati quando aveva capito che il sentimento che provava quando trascorreva il tempo a leggere con Sora, in silenzio in mezzo ad un parco, cullato dal vento che accarezzava le foglie degli alberi, era meno intenso di quello che provava quando duellava con Shanks, circondato dal rumore del metallo su metallo e dal silenzio del mondo. 
In quei momenti si sentiva capito, compreso, leggero. 
Ed era troppo da sopportare, soprattutto se l'uomo dai capelli rossi non mancava mai di invitarlo agli strip club che frequentava o gli raccontava delle donne con cui passava il tempo. 
Dopo che la storia con Makino era finita, Shanks non aveva più cercato storie serie, dicendo che l'unica donna al mondo che avesse mai amato era lei, e questo non sarebbe mai cambiato. 
Una volta aveva provato a chiedere il motivo della conclusione della storia storica dell'amico. 
 
“Come hai detto?”
“Ho chiesto cosa è successo con Makino, blateri sempre di lei da anni, ma è da qualche settimana che non la nomini”
Shanks lo aveva guardato con uno sguardo vacuo, quasi preoccupato, per poi riprendere il suo sorriso sornione e alzare le spalle. 
“Ci siamo lasciati, ma siamo rimasti amici, è stata una decisione condivisa, nulla di cui tu ti debba preoccupare, sto bene” 
Mihawk lo guardò negli occhi, confuso ma non accennando a chiedere altro. Si sarebbe accontentato di quella spiegazione semplicistica per il momento.
 
Erano passati parecchi anni da allora, eppure il Rosso non gli aveva ancora spiegato niente, anzi, quando affrontava un discorso che non voleva tirare fuori si rintanava dietro il solito sorriso e le solite battute. 
Una maschera che ormai si era cucito addosso, quella della persona gentile e sorridente, che sembrava impossibilitata ad arrabbiarsi per natura. Mihawk sapeva, come avevano imparato anche altre persone come il Governo e i capi malavitosi, che quella era una mezza finzione. Shanks era capace delle più grandi gentilezze e delle più terribili crudeltà. Proprio come da lui nessuno si aspettava un sorriso comprensivo, dal Rosso nessuno si aspettava uno sguardo gelido o un atto di violenza. 
Quando per la prima volta lo vide perdere la calma, davanti a degli uomini che cercavano di spingere una donna dentro una macchina, molestandola verbalmente e toccandola, Mihawk smise di respirare. 
Quando si ricordò di farlo deglutí, con davanti a sé l'immagine di quattro uomini in un bagno di sangue e Shanks con il volto e le mani sporche di rosso; gli occhi neri che bruciavano con una fierezza incomparabile sarebbero rimasti a lungo un pensiero fisso. 
 
Per questo aveva deciso di smettere di combattere contro di lui, di punto in bianco, senza dare una vera spiegazione all'altro, che ovviamente aveva deciso di invadergli casa ogni giovedì, o quasi. 
‘Non vuoi darmi una spiegazione?’ aveva detto, ‘bene, se pensi di liberarti di me in questo modo ti sbagli’. 
E infatti si era sbagliato, più cercava di espellerlo dalla sua vita, più il soprannome che gli aveva affibbiato a scuola diventava calzante. 
Una piattola rossa. 
 
“Ehi” 
Mihawk distolse lo sguardo dal soffitto e si voltò verso l'entrata del salotto. 
Quando si parla del Diavolo… 
 
“Esci da casa mia, non è nemmeno giovedì” rispose a bassa voce; non che giustificasse totalmente le intromissioni in quel particolare giorno, ma gli sembravano più sopportabili. 
“Perché parliamo a bassa voce?” commentò Shanks ignorandolo e avvicinandosi, sedendosi poi sulla poltrona affianco alla sua. 
Il moro digrignò i denti. 
“Perché c'è gente che dorme” 
Alzò lo sguardo in tempo per vedere la mascella dell'uomo contrarsi e il sorriso sparire. 
“Non pensavo avessi visite” rispose, il tono completamente atono e dissonante rispetto al solito allegro. 
Mihawk lo guardò incuriosito; era irritato, questo era palese, ma non capiva da cosa, dal fatto che ci fossero persone che dormivano in casa sua? 
“Non ho mai capito i tuoi gusti in fatto di donne, non me ne hai mai parlato.”
 
A quanto pare mi piacciono i capelli rossi. 
Pensò distrattamente, per poi fermarsi a guardarlo con gli occhi leggermente più sgranati del solito. 
“Ho detto gente, non donna, ho dei nuovi coinquilini e sono due ragazzini senza casa” rispose, riconoscendo lo sguardo di Shanks in uno che aveva visto anni prima, quello di un Doflamingo che guardava Crocodile chiedendosi chi fosse al telefono con lui. 
Uno sguardo di gelosia. 
Ma il perché lo stesse rivolgendo a lui era un mistero, mai aveva espresso un interesse in quello che faceva nel suo tempo libero. 

Perché solitamente a me non piacciono le persone e non esco con nessuno. 
Scosse la testa scacciando il pensiero e vide l'uomo di fianco a sé rilassarsi leggermente. Ma non del tutto. 
“Ragazzini? Sei diventato caritatevole tutto d'un tratto?” 
 “Chissà”
I due restarono in silenzio per qualche minuto fino a quando non sentirono dei passi nel corridoio. 
Zoro, palesemente sonnambulo, passò davanti alla porta del salotto dirigendosi in cucina; i due uomini aspettarono e poco dopo lo videro ripassare con in mano una bottiglia d'acqua. 
Quando sentirono la porta della camera chiudersi, Shanks si rivolse nuovamente a Mihawk. 
“Roronoa e Perona? Ragazzini normali” 
Occhi di Falco gli scoccò uno sguardo infastidito, non dandogli la soddisfazione di chiedere come facesse a sapere chi fosse Zoro e dell'esistenza di Perona, ben sapendo delle fonti dell'uomo. 
“Le persone normali mi annoiano. Sei venuto per un motivo preciso?”
Il Rosso alzò le spalle. 
“Nulla di importante, devo avere un motivo preciso per venire da te?”
Il proprietario di casa continuò a fissarlo senza dire nulla. 
“Se ti chiedessi di passare la notte qui mi butteresti fuori o mi lasceresti restare, come i due ragazzini?”
“Ho finito le camere per gli ospiti e le poltrone non sono comode”
Shanks continuò a fissarlo negli occhi, senza dire altro, poi inspirò e si alzò velocemente, sotto lo sguardo interrogativo dell'altro. 
“Buonanotte Mihawk” 
 
Il moro rimase a guardare il punto in cui qualche minuto prima si trovava il corpo dell'altro, prima che saltasse come una molla ed uscisse da casa sua. 
L'occhiata che gli aveva rivolto era stata molto intensa, come se volesse dire qualcosa che non doveva e potesse solo limitarsi a guardare. 
Mihawk non era uno stupido, ma non era neanche un ottimista. 
 
Di letto ce ne sarebbe un altro, ma perché mai dovrebbe dormire nel mio di letto. 
 
Si chiuse la porta alle spalle e si sdraiò, addormentandosi. 
 
 
-
 
 
Shanks uscí dalla casa di Mihawk e si diresse verso l'auto che lo stava aspettando per riportarlo a casa. Si chiuse la portiera alle spalle e guardò fuori dal finestrino. 
 
‘È fantastico se ci pensi’, gli aveva detto un pomeriggio Shakky mentre puliva un bicchiere, con lo sguardo fisso su Mihawk che si allenava in palestra, ‘un cuore non produce alcun rumore quando si rompe, ma può rompersi davvero soltanto una volta’. 
Lui non aveva capito al principio, poi quella frase gli era tornata in mente quando Makino aveva deciso di parlargli, finendo per arrivare alla conclusione che la loro storia doveva concludersi. 
Doveva concludersi perché Shanks non passava più tanto tempo con lei, preferendo a lei l'allenamento e la spada, ma soprattutto Mihawk. 
‘Non puoi non avere capito cosa provi per lui’ aveva detto mentre gli stringeva la mano, ‘so che mi ami, lo vedo da come mi guardi, ma quando guardi lui i tuoi occhi brillano.’
 
Dopo che si erano lasciati ed avevano deciso di rimanere amici, Shanks aveva cominciato a bere più del solito, pensando che Makino fosse impazzita, ma amandola troppo aveva deciso di rispettare la sua decisione. 
Aveva cominciato ad uscire con altre donne per passare il tempo; in vita sua ne aveva rotti di cuori, aveva visto le speranze e la felicità in lui riposte sgretolarsi nello sguardo di tante. 
Non era colpa loro e neanche sua, forse non era fatto per amare, non di nuovo. 
Sulle sue spalle aveva qualche cotta e diverse infatuazioni, ma la sola relazione seria che aveva avuto era finita a causa sua. 
Amava Makino, ma di un amore dolce e confortante, non distruttivo, che ti travolge come un fiume in piena, che ti tiene sveglio la notte, che ti uccide lentamente. Lei era la sua roccia, la calma e la tranquillità in una giornata di sole. 
 
Amare voleva dire dare all'altra persona un pistola carica sperando non ti spari; amare voleva dire morire un po’ tutti i giorni, era una morte lenta quella che ti riservava Amore. 
E lui lo sapeva, lo aveva capito che qualcosa era cambiato da quando l'idea di farsi logorare lentamente da Mihawk gli era sembrata una dolce morte, del tutto apprezzabile. 
Aveva sempre ucciso pezzo per pezzo gli altri, e ora che era nella stessa situazione capiva come mai si arrivasse a fare pazzie nel nome di quel sentimento che ti promette il mondo. 
Il mondo, che diventa quella persona. 
Lo sapeva che la sua era una speranza vana, ma se si tiene davvero a qualcosa, l'ultimo tentativo è sempre il penultimo.
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 

Angolo dell'autrice:
Booom, questo capitolo mischia molto le carte e mostra finalmente il rapporto tra Shanks e Mihawk. 
Dopo quei 50 capitoli, dai, sono stata veloce. 
Ho preferito dedicarlo interamente ad entrambi, con l'intermezzo di quei quattro disgraziati (Kidd, Law, Penguin e Killer) perché meritavano più spazio, almeno per capire quella frase pensata da Mihawk qualche capitolo fa sul ‘si era innamorato dell'unico uomo che non avrebbe mai avuto avere’. 
Spero vi sia piaciuto, a presto! 
AO. Spades. 
  
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