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Autore: rainbowdasharp    09/10/2019    3 recensioni
Aveva paura di non avere più tempo. Avrebbe dovuto dirgli non di stare attento, ma che in qualsiasi momento sarebbe potuto tornare a casa.
| chengxian, modern setting, reincarnation AU, prompt: bromance |
Questa storia partecipa all'Iniziativa Writober 2019 di Fanwriter.it
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jiang Wanyin/Jiang Cheng, Wei Ying/Wei WuXian
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Pennello bianco


«Sicuro di aver preso tutto?»

Gli occhi vispi di Wei WuXian dapprima incrociarono i suoi e poi il cielo, in alto, sopra di loro.

Era nuvoloso, quel giorno e Jiang Cheng pensò che fosse quasi di cattivo auspicio.

Avevano trovato traffico, uscendo di casa quella mattina e, giunti trafelati al binario giusto, avevano scoperto che il treno era in ritardo. Ora, poi, aveva preso pure a tuonare minacciosamente in lontananza e nessuno dei due aveva un ombrello, con sé.

«Sembri tua madre. Andrà bene, Jiang Cheng, so badare a me stesso».

Ecco, di questo, nello specifico, Jiang Cheng dubitava. E il suo disaccordo si palesò immediatamente sul volto, perché aggrottò involontariamente le sopracciglia in un'espressione diffidente.

«Oh, andiamo! Hai davvero così poca fiducia in me?» Jiang Cheng non avrebbe saputo dirlo, in realtà. Da una parte, sapeva che Wei WuXian sapeva cavarsela in ogni situazione, ma dall'altra era anche perfettamente consapevole della sua abilità nel creare caos ovunque andava. E l'idea di farlo frequentare l'università lontano dalla loro casa, dalla loro città... sì, lo impensieriva. Soprattutto quando era abituato a cercare di dissuaderlo dalle sue idee folli o cercare di coprirgli le spalle quando era ormai troppo tardi.

«Dovrei averne?»

Ma non era solo questo. Erano i sogni che lo perseguitavano da anni, seppur sporadicamente, quelli che lo lasciavano sempre senza fiato, col sudore sulla fronte, gli occhi colmi di lacrime e che non si era mai saputo spiegare. Erano immagini slegate tra loro, barlumi di vita che non gli appartenevano – eppure, in quegli incubi c'era sempre Wei WuXian: il suo sorriso da ragazzino, il suo abbraccio pieno di affetto, il suo sguardo furbo. Poi, improvvisamente, c'era sangue ovunque: sangue, morte, un grande vuoto dentro di sé. Ma Wei WuXian era ancora lì, al suo fianco, finché una pennellata bianca non se lo portava via, troppo lontano affinché potesse raggiungerlo.

E, un attimo prima di svegliarsi, si rendeva conto che una parte della sua anima, fuori e dentro il sogno, lo odiava. E si detestava, per questo.

Erano sempre gli stessi incubi, a cui si era abituato col tempo – non importava quali strane storie cercasse di narrare la sua mente, lui sapeva qual era la realtà: Wei WuXian era suo fratello adottivo, il suo migliore amico, il suo unico confidente; compagno di risse, di avventure e, in parte, anche di studi.

Ma da quando aveva deciso a quale università andare, Jiang Cheng aveva come avvertito un fastidioso ticchettio farsi spazio nella sua testa, come se il tempo a sua disposizione stesse venendo meno e così gli incubi erano tornati, con quella pennellata bianca che ogni volta lo strappava dal suo fianco.

Aveva paura di non avere più tempo. Avrebbe dovuto dirgli non di stare attento, ma che in qualsiasi momento sarebbe potuto tornare a casa. Che qualunque cosa fosse accaduta, lui lo avrebbe accolto.

Che gli voleva bene.

Lo sbuffare del treno lo riscosse da quei pensieri, quasi mandandolo nel panico – era tardi. Era tardi e lui non aveva fatto niente perché, al solito, l'orgoglio glielo impediva. Era un masso sul petto di cui non riusciva a liberarsi, neanche quando sentiva che era importante dirglielo.

Una volta controllato il vagone sul biglietto numerato, lo aiutò a caricare le valigie. Sulla porta della carrozza, Wei WuXian gli sorrise – un sorriso luminoso, di quelli di cui solo lui era capace. Lo stesso sorriso che lo abbagliava da quasi venti anni e che lo perseguitava nel sonno.

«Allora ci vediamo, mh? E fai vedere allo zio quanto vali! Sono sicuro che sarà felice di averti dato fiducia». Gli tese il pugno, come faceva sempre e, come sempre, Jiang Cheng ricambiò il gesto.

«... Mi farò valere. Tu cerca di non fare casini».

«Me l'hai già detto, sì. Forse un milione di volte» ridacchiò e, proprio quando si avviava al proprio posto, nella cabina prenotata, quando ormai si trovò alle strette, Jiang Cheng trovò il coraggio di inghiottire il suo orgoglio.

Fece un passo sul primo scalino di metallo del convoglio e si affacciò al suo interno – aveva paura di non farcela, che non lo sentisse più. E allora urlò.

«Ricorda che hai sempre un posto dove tornare!»

E lo vide, Wei WuXian, la maniglia della porta del vagone nell'unica mano libera, voltarsi verso di lui con aria sorpresa – un'espressione che da sola bastò per far pentire Jiang Cheng di quanto aveva appena fatto. Ma proprio mentre imprecava a bassa voce contro se stesso e contro il rossore che sentiva di dover combattere in fretta, proprio quando decideva di balzare giù dal treno il più velocemente possibile, le braccia del fratello lo raggiunsero e lo strinsero, forte, calorosamente.

«Lo so» gli sussurrò. «E io tornerò sempre».

E Jiang Cheng gli credette. Lo abbracciò di rimando, stretto, per un'ultima volta e se anche quella pennellata bianca fosse giunta... sapevano entrambi che niente avrebbe potuto distruggere quel legame tra loro.

Neanche la loro stupidità.


Note: Mo Dao Zu Shi è una serie che amo e odio al tempo stesso e credo che questa storia possa farne intuire il motivo. Nonostante tutto, però, mi ha lasciato quanto meno la voglia di rivincita e di ripicca per i miei due stupidi figli - aka, Wei WuXian e Jiang Cheng.
Credo che il loro rapporto sia davvero uno dei più belli e dei più conflittuali che abbia mai avuto sotto mano: la voglia di vedere felici entrambi, seppur in modi diversi, magari, è quello che mi ha spinto a scrivere questo primo, timido tentativo di sfogare la mia frustrazione.
Perché anche Jiang Cheng si merita una (1) gioia, oh.

   
 
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