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Autore: lightvmischief    10/10/2019    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 21
 

KAYLA

Tossisco. Gli occhi ancora chiusi. Un dolore al petto improvviso, dovuto alla caduta improvvisa sul pavimento. Tossisco di nuovo. Le braccia mi coprono ancora la testa.

Faccio fatica a respirare tra la botta, la polvere, lo spavento e tutti i trascorsi di pochi minuti prima.

Ho paura ad aprire gli occhi. Io so di non essere finita sotto al tetto o alla parte di tetto caduta proprio attimi fa: oltre al dolore al petto e alle costole non sento nessun peso schiacciare il mio corpo.

Mi rannicchio, facendo strisciare le ginocchia sul pavimento e tirandomi le cosce al petto, provando ad alzarmi lentamente. Tossisco un’altra volta, ma ora riesco a prendere più aria di prima. Alzo il viso con le mani che mi abbracciano il capo. 

Apro gli occhi: la prima cosa che vedo sono lastre di ferro arrugginito e cemento davanti a me, proprio dove eravamo tutti quanti seduti appena prima. Sopra di qualche metro c’è una lastra che pende, ancora attaccata alla base, ma rotta a metà: infatti, vedo la parte caduta a un metro da me.

«Oh, mio Dio» dico senza fiato, la mia voce un sospiro tra i diversi scricchiolii della struttura ora completamente instabile. «Tracey! Ragazzi!» urlo questa volta, riprendendo parziale controllo della mia voce e del mio corpo, che si alza veloce in preda al panico. I fastidiosi puntini bianchi e neri mi annebbiano per qualche istante la vista.

Sento un colpo di tosse.

Mi butto tra le parti cedute davanti a me e affacciandomi vedo immediatamente il corpo di Blaine intero ed intatto. Ha fatto in tempo a spostarsi, altrimenti ora sarebbe completamente sepolto dalle macerie.

«Blaine!» esclamo, facendo un sospiro di sollievo, gli occhi che pungono per la mescolanza di emozioni dentro di me.

Il ragazzo tossisce ancora un paio di volte, sventolando la mano davanti alla faccia, cercando di far scomparire la polvere davanti a sè. «Sto bene!» risponde poco dopo, alzando il pollice.

Sorpasso un calcinaccio di cemento bianco e passo troppo veloce lo sguardo sulle macerie. In questo modo non riuscirò mai a capire dove sono le altre due donne. 

«Tracey! Elyse!» chiamo, sperando con tutto il cuore in una loro risposta o in un loro qualsiasi suono.

Erano riuscite ad alzarsi, ma non so se siano riuscite a spostarsi in tempo o se siano state abbastanza fortunate da non venire colpite.

«Lì!» esclama Blaine, indicando un punto alla mia destra e fiondandocisi tempestivamente.

Sento una scossa di adrenalina improvvisa percorrermi l’intero corpo mentre lo raggiungo, facendo attenzione a oltrepassare le macerie in modo cauto e cercando di rimanere stabile.

Il corpo di Tracey è steso in una posizione innaturale, ma per fortuna è cosciente. Avvicinandomi vedo che ha un braccio intrappolato in un piccolo e stretto spazio tra i calcinacci di cemento e sopra di esso una trave di metallo, rendedole impossibile tirarlo fuori.

«Tracey, ehi, mi riesci a sentire?» le chiede Blaine, accucciato di fianco a lei, assicurandosi che la donna non sia in uno stato di shock. 

Mi inginocchio dall’altra parte e insieme la mettiamo seduta, i nostri corpi che le fanno da appoggio.

«Sì… sì, ti sento» risponde la donna, inizialmente un po’ confusa. «Il braccio...» Si toglie la polvere dalla faccia con il braccio libero e poi fa segno verso l’altro.

«Adesso lo tiriamo fuori da lì, d’accordo?» cerco di rassicurarla, annuendo.

«Elyse… Dov’è Elyse?» chiede, l’agitazione nella sua voce fa immediatamente capolino, anche se il suo tono di voce è appena più alto di un sussurro.

«Riesci a stare seduta da sola?» le chiede Blaine, la preoccupazione e il panico ben evidente sul suo viso.

La donna annuisce quasi impercettibilmente, appoggiando la mano libera a terra in modo da avere più equilibrio. Sbatte diverse volte le palpebre e tossisce, ma poi mi fa cenno di aiutare Blaine a cercare la ragazza.

Ritorna a fare capolino il respiro accelerato e pesante, come se un macigno mi si fosse posato sul petto, impedendomi di prendere aria correttamente. Devo concentrarmi. Devo, dobbiamo trovarla. Viva.

«Oh, mio Dio!» Sento a malapena l’esclamazione di Blaine a pochi metri di distanza davanti a me, che subito dopo si china velocemente, cadendo sulle ginocchia sulle macerie sotto di lui. «È qui!»

Mi precipito immediatamente da lui, facendo attenzione a non inciampare nei diversi spigoli appuntiti delle lastre e travi di ferro e dei pezzi di cemento. Mi chino al suo fianco, aiutandolo a spostarne un pezzo e buttarlo dietro di noi.

Il volto di Elyse è macchiato dal sangue che scende da una ferita alla testa, ha gli occhi chiusi. Vedo solo fino al suo collo, rendendomi impossibile capire se sta ancora respirando, se è ancora viva.

Blaine ed io continuiamo a spostare le macerie in modo frenetico, anche se faticoso. I muscoli tirano fastidiosi sotto i miei vestiti, ma cerco di non farci caso: c’è in ballo la vita di una persona, non ho tempo di preoccuparmi di questo.

«Ti prego» Blaine sussurra tra sé e sé e scommetto che i suoi occhi sono lucidi, anche se non riesco a vederlo in faccia.

Il ragazzo scende dall’ammasso di macerie e calcinacci e si accovaccia a terra, a fianco della testa di Elyse, inginocchiandosi nel piccolo spazio libero e appoggiando entrambe le mani sul suo viso, chinando la testa di lato per sentire il suo respiro. Poi sposta lo sguardo davanti a sè e la sua espressione cambia completamente.

«Brutta stronza» dice, lasciandosi scappare una risata di sollievo.

A questo punto lo osservo completamente allibita. Che problemi ha?

Copio i suoi movimenti e, una volta lanciato lo sguardo nella sua stessa direzione, lascio andare un sospiro incredulo e liberatorio.

Il corpo di Elyse è completamente intatto: sopra di lei c’è una trave di metallo caduta così perfettamente da aver impedito alle macerie di schiacciarla completamente. La trave si è appoggiata al muro dietro di lei e al pavimento, lasciandole così lo spazio minimo bastante per non averla uccisa.

«Respira, Kayla. Respira!» mi informa Blaine, lasciando libero sfogo alle lacrime che gli rigano il viso - questa volta lacrime di sollievo - e appoggiando la sua fronte su quella di Elyse.

Appoggio le mani sulla mia testa sollevata, finalmente, e mostro il pollice in su a Tracey con un sorriso sulle labbra. La donna si copre la bocca e stringe gli occhi, alzando la testa al cielo e stringendo poi la mano in un pugno vittorioso sopra la sua testa.

La mia attenzione ritorna alla ragazza stesa non appena la sento tossire.

«Piano» le ordina Blaine, aiutandola ad alzare la testa, sicuramente dolorante. 

L’unica ferita che mostra è appunto quella alla testa: deve esserle caduto addosso un calcinaccio e potrebbe avere un commozione cerebrale. Ora ci resta solo capire se sia lieve oppure grave, ma l’importante è che sia viva.

«Che diavolo-?» inizia, la voce sottile e roca. «Smettetela di fare rumore!» dice dopo alcuni attimi, incespicando un po’ nelle sue parole.

«Come ti senti?» le chiedo, dopo aver lanciato un’occhiata veloce a Blaine. C’è completo silenzio, non stiamo facendo alcun rumore.

«Come se fossi appena caduta da un palazzo» risponde mentre tenta di mettersi a sedere, sbattendo le palpebre per riabituarsi alla vista. «Anzi, come se mi fossi appena presa una sbronza pesante.»

Appoggia una mano alla testa, strizzando gli occhi non appena lo fa. 

«Hai provato a uccidermi?» mi chiede una volta aver visto il sangue sulle sue dita.

«Non sarei così teatrale nel farlo» appuro, alzando gli occhi al cielo alla sua accusa. «Adesso vuoi dirmi cosa ti senti?» ripeto con insistenza.

«Mal di testa, sembra che una bomba sia esplosa nelle mie orecchie e giuro che se non la smetti di farmi domande idiote potrei vomitarti addosso.»

«D’accordo, sta bene. Dobbiamo solo metterti qualcosa su quella ferita, non ti si può proprio vedere così» interviene Blaine, puntando sull’ironico della sua ultima affermazione e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.

«Ha parlato Miss Universo.»

«Dai, ti tiriamo fuori di lì.» Sbatto le mani sulle cosce, provando a far riprendere la circolazione e a far arrivare abbastanza sangue.

«Sarebbe anche ora.»

Metto una mano sotto la sua ascella e l’altra sulla sua spalla, Blaine mi copia nei movimenti. Una volta contato fino a tre, la tiriamo fuori assieme, tirando il suo corpo nel modo più delicato possibile, anche se la vedo fare delle smorfie di dolore con la coda dell’occhio.

Una volta messa seduta con il busto completamente fuori, Blaine la prende da sotto le ascelle e la aiuta a tirarsi su in piedi, stando sempre pronto dietro di lei nel caso perdesse l’equilibrio.

Una volta essermi assicurata che il ragazzo ce la facesse da solo, ritorno da Tracey: ora dobbiamo occuparci di tirare fuori il suo braccio da tutto quel macello.

«Tracey, ora ti libero da qui sotto. Devi dirmi se ti fa male quando sposto i pezzi, okay?» La donna annuisce subito alla mia richiesta e, con sguardo determinato, mi fa cenno di iniziare.

Con qualche intoppo e rallentamento calcolato alla missione - sia per i suoi giusti lamenti, sia per il mio sforzo fisico -, riesco a togliere abbastanza detriti per riuscire a farle muovere il braccio e toglierlo da lì sotto.

La aiuto nell’azione, provando ad essere il più delicata possibile, tentando di non aggiungere ulteriore dolore a quello che già prova e alla fine ce la facciamo.

«Credo sia rotto» dice dopo qualche secondo di silenzio, portandosi l’arto vicino al petto, provando a piegarlo ma fallendo.

«Dovrei avere qualcosa per fissarlo nello zaino...» inizio, interrompendomi subito dopo. Gli zaini. Devono essere finiti sotto alle macerie. «Dannazione!» impreco frustrata, passandomi veloce una mano sui capelli.

Non ci sarebbe stato di modo di provare a recuperarli. Avremmo perso troppo tempo e inoltre, saremmo stati solo io e Blaine in grado di alzare il peso di alcune macerie, ma delle lastre di metallo non se ne parlava.

Per non parlare poi del fatto che tra poche ore sarebbe calata la sera e con lei il freddo gelido che, se prima era controllato e gestibile dalle mura e dal tetto dell’edificio, tra poco no. Sarebbe insostenibile passare la notte qui dentro se dovesse rimettersi a nevicare, per non parlare della neve che gravava sul tetto, ora sparsa per il pavimento e che ha già cominciato a sciogliersi.

Dobbiamo spostarci, il problema è: dove?

E soprattutto, come? Siamo rimasti senza cibo, acqua, senza la cartina per poter orientarci in questa nuova zona. Elyse ha quello che sembra un lieve trauma cranico e Tracey ha un braccio rotto. Io ho ancora addosso il coltello - fortunatamente -, ma gli altri?

Eravamo appena riusciti a sfuggire ad un’orda enorme di Morti, solo per ritrovarci in una situazione anche peggiore appena minuti dopo.

E io non so cosa fare.

«Taglia la mia manica, useremo quella» Tracey si è già tolta il suo giubbotto mentre io stavo pensando.

La guardo incerta per qualche istante, pesando le diverse possibilità, ma annuendo alla fine. «Per il dolore non possiamo fare niente, mi dispiace.»

«Credo di riuscire a sopportarlo.» Sfila la manica del suo maglione dal braccio rotto con un po’ di fatica, facendo smorfie ogni volta che muove l’arto in questione.

«Attenta» suggerisce Blaine a Elyse, che vedo avvicinarsi con la coda dell’occhio, l’uno cercando di mantenere in piedi e in equilibrio l’altra.

Sfilo il coltello dai pantaloni e passo la lama più e più volte sulla stoffa del maglione, riuscendo lentamente a tagliarla. Una volta staccata, Tracey si rimette il giubbotto e sistema il braccio infortunato piegato sul petto, con la mano sulla spalla opposta. Posiziono la manica sotto al suo braccio e gliela lego al collo, facendo più nodi in modo che tenga.

«Qualcuno ha qualche idea sul cosa fare ora?» chiede Elyse, guardandosi attorno e prendendo atto della situazione.

«Stai bene?» le chiede Tracey, avvicinandosi preoccupata alla ragazza con una mano alzata verso il suo viso per spostarle una ciocca di capelli impregnata di sangue dal viso. 

«Non sono morta, quindi direi che sto abbastanza bene.»

«Gli zaini sono andati, vero?» chiede Blaine sconsolato, già conoscendo la risposta. La sua espressione si infrange non appena mi vede annuire.

«Quindi, in pratica, non sono morta sotterrata per morire di fame, sete e assideramento. Ottimo!» esclama Elyse con un tono più che sarcastico. Per quanto mi costi darle ragione, questo sarà esattamente ciò che succederà se non decidiamo immediatamente cosa fare.

«Okay, allora: non possiamo tornare indietro-»

«Dicci qualcosa che già non sappiamo, genio» mi interrompe bruscamente la ragazza, osservandomi con le sopracciglia alzate.

Serro la mascella irritata dalle suo solite frecciatine, tentando in tutto e per tutto di mantenere la calma. So che lo fa apposta e so che in realtà è solo spaventata della situazione e se le rispondessi darei inizio a una discussione completamente inutile.

«La cartina è qui sotto da qualche parte, così come i nostri zaini. Dobbiamo uscire di qui al più presto prima che anche il tetto rimanente decida di cadere sulle nostre teste. Come siamo messi ad armi?» Mostro il mio coltello, aspettando con speranza di vedere le loro pistole ma, purtroppo, solo Elyse lo fa. «Fantastico...»

«Ragazzi, se la mente non mi gioca brutti scherzi, dovrebbe esserci una via secondaria per tornare al campo, ma-»

«Fammi indovinare? È più lunga» interviene Blaine, interrompendo Tracey e aprendo le braccia amareggiato.

«Non è l’unico problema» riprende la donna, sedendosi poi su un pezzo di cemento. «Abbiamo una sola pistola e un solo coltello. Io non ho una buona mira con il braccio destro e tu, Elyse, non mi fido a darti un’arma con la botta che hai preso.» La ragazza nominata prova a contestare, ma Tracey la blocca con uno sguardo severo,  continuando a parlare.

«In poche parole, siamo fottuti» conclude Blaine, lasciando cadere le braccia ai suoi fianchi.

Tracey si lascia andare un sospiro frustrato, pizzicandosi il labbro inferiore con pollice e indice in cerca di una soluzione ragionevole. Il punto è che non ce ne sono: non c’è alcuna certezza che uscendo da qui o rimanendoci potremo riuscire a sopravvivere, ma non ho intenzione di starmene seduta un attimo di più senza fare assolutamente niente.

Non ho rischiato la mia vita per niente. Avremmo trovato una soluzione al più presto e tutti saremmo tornati sani e salvi al campo. Da Ebony. Non sono disposta a lasciarla andare per una seconda volta e non sono disposta ad avere altre morti sulla coscienza.

«Ce ne andiamo da qui.» Mi passo le mani sulle gambe, ravvivando la circolazione e risvegliando i muscoli. «Adesso.» ordino, facendo ammutolire ogni prova di contestazione.

Mi avvio verso il portone da cui eravamo entrati pochi minuti prima, evitando calcinacci appuntiti. So che questa potrebbe essere una decisione ancora più avventata di quella di Tracey di scendere dalla macchina poco fa, ma non abbiamo altra scelta. 

So che potrei guidarci direttamente verso la morte non appena mettiamo piede fuori dal fabbricato, ma so anche che rimanere qui dentro a sperare in un segno divino ci porterà dritti alla morte in ogni caso.

«Spero tu sappia ciò che stai facendo.» Sento Tracey sussurrare poco lontano da me, scuotendo leggermente il capo.

Sì, lo spero anche io.

***

Siamo stati abbastanza fortunati da trovare un altro di quei distributori d’acqua appena ci siamo addentrati nei vicoli di quel nuovo paese. Due di loro trovati precedentemente erano relativamente rotto e bloccato. 

Elyse deve camminare lentamente rispetto al suo solito ritmo ed ha constantemente il braccio di Blaine allacciato in vita, il quale si preoccupa di chiederle ogni cinquecento metri di come lei stia e se ce la faccia a continuare o abbia bisogno di una pausa. Si è occupato anche di prenderle la pistola e infilarla nella cintura dei suoi pantaloni, in modo che riesca a tirarla fuori facilmente se qualcosa dovesse succedere e allo stesso tempo non rischi di perderla.

Tracey è, invece, al mio fianco. Il braccio destro sostiene il sinistro nella fasciatura fai-da-te allacciata al suo collo in modo piuttosto precario. Lei mi guida, cercando di ricordarsi il più possibile le vie della cartina. Se solo avessimo un pezzo di carta e una penna, almeno potrebbe fare una mappa abbozzata di un possibile percorso.

«Dobbiamo trovare un rifugio» comincia Tracey, sfiorandomi la spalla per catturare la mia attenzione, facendomi irrigidire i muscoli al contatto improvviso. «Tra poco sarà buio e la temperatura andrà sotto zero. Non possiamo rimanere all’aperto e vagare alla cieca.» 

Annuisco, rimanendo concentrata però sulla strada davanti a me. «D’accordo, Blaine dobbiamo trovare un posto sicuro, guardatevi intorno» ordino, girandomi indietro.

 Blaine fa un cenno positivo con la testa. Sposto il mio sguardo preoccupato su Elyse, rivolgendole un pollice all’insù come per chiederle se ce la fa a camminare per ancora un po’, ma per sua risposta ricevo il suo dito medio alzato davanti al suo viso. Mi volto proseguendo per il percorso, ignorando il suo gesto.

Dopo alcuni minuti, Blaine richiama la mia attenzione verso uno dei tanti palazzi ricoperti dall’edera disposti in fila sulla via che abbiamo appena imboccato. 

«Che ne dite?» chiede, raggiungendo me e Tracey e parlando sottovoce. A qualche metro da noi ci sono un paio di Morti e non vogliamo attirare la loro attenzione. Nonostante siano, appunto, solo due, vorrei evitare ogni tipo di intralcio, che potrebbe verificarsi in un totale disastro data la nostra recente fortuna degli avvenimenti.

«Avviciniamoci» rispondo, tirando fuori il coltello e facendolo roteare nella mia mano nervosamente. «Voi rimanete qui, io vado a controllare. Senza obiezioni.» Faccio cenno ai tre di mantenere gli occhi aperti e poi entro nel vialetto che porta dritto dritto all’ingresso del palazzo.

Questa giornata mi sembra infinita. Voglio solo avere un po’ di tempo per riposarmi e non pensare a niente. Mentre mi avvicino sento il mio stomaco contorcersi, un po’ per la fame e un po’ per la costante tensione di queste ore. 

Noto che la porta doveva aprirsi con l’elettricità, notando un interruttore proprio alla sua sinistra. Sospiro frustrata, osservando dall’alto al basso la porta davanti a me, cercando un possibile modo per aprirla, senza successo. Nonostante l’idea che mi balena per la testa sia piuttosto stupida, provo lo stesso a premere l’interruttore accanto alla porta: il massimo che può fare è clic, non può di certo far aprire una botola mortale sotto ai miei piedi.

Con grande sorpresa, invece, la porta si apre.

C’è ancora l’elettricità. E per quanto questo possa sorprendermi allo stesso tempo mi sconcerta. Com’è possibile che sia rimasta l’elettricità in questo luogo completamente abbandonato a sè stesso? O almeno, questo è quello che sembra.

Lancio uno sguardo confuso ai miei compagni, accorgendomi che mi stanno guardando le spalle da quando mi sono addentrata qui dentro. Con un cenno della mano mostro loro che sto per entrare.

Grazie alle numerose finestre sulle infinite scale, riesco a scorgere i dettagli fondamentali della struttura. Il mio sguardo guizza veloce da una parte all’altra del lungo e largo corridoio che mi si presenta davanti. Scelgo di proseguire a sinistra, dato che è la parte più illuminata. C’è una porta a pochi metri dall’ingresso e credo che sia l’abitazione del custode, quindi senza troppi indugi ruoto la maniglia qualche volta e spingo sulla porta per aprirla, riuscendoci. Purtroppo, questa volta l’unica luce presente è quella che viene da fuori della porta: evidentemente l’ultima persona che è stata qui dentro deve aver bloccato tutte le finestre o qualsiasi fonte di luce, probabilmente per precauzione dai Morti, dato che è al piano terra. Orientarsi qui dentro sarà difficile.

Stringo la presa sul coltello, fermandomi dal farlo roteare ancora una volta con la paura che possa scivolarmi dalla mano e che non riesca più a ritrovarlo. Devo essere prudente e perdere così una delle due uniche armi che ci sono rimaste sicuramente non lo è.

Apro completamente la porta, lasciando entrare un fascio di luce che ricopre l’area davanti a me di un’aura quasi malata per colpa del colore giallognolo che proviene dal sole in tramonto. Da questo capisco anche che non abbiamo più molto tempo. Cerco sulla parete un interruttore: se la porta si è aperta prima, forse riesco anche ad accendere le luci. Tasto il muro a vuoto per qualche istante, strizzando gli occhi e avvicinandomi con il viso alla parete e dopo alcuni secondi trovo l’interruttore e lo schiaccio. 

Un tremolio di luce si fa spazio nell’oscurità e negli istanti che proseguono finalmente riesco a vedere in modo nitido il salotto. È arredato con mobili scuri, i quali contribuiscono all’aria tetra e quasi sinistra dell’ambiente, ma per il resto non vedo alcun pericolo. Niente Morti, niente persone, niente animali. 

«Ragazzi, è sicuro.» Avverto gli altri, uscita velocemente dall’edificio per rassicurarli. «Potete entrare e sistemarvi.» Nei loro sguardi c’è sollievo misto a spossatezza.

Ritorno dentro, facendomi un promemoria mentale di fare un giro delle altre stanze dell’appartamento per tenerle chiuse. Non abbiamo tempo di rovistare - nonostante trovare qualcosa da mettere sotto ai denti sarebbe davvero comodo ora - e nel caso ci sia qualche Morto in quelle stanze, almeno siamo sicuri che rimanga lì.

«Non pensavo esistesse ancora qualche topaia con l’elettricità» esordisce Elyse una volta entrati tutti quanti dentro all’appartamento.

Chiudo la porta alle mie spalle, tirando il chiavistello appena sopra la maniglia. Degli interrogativi mi balenano in testa perchè mi sembra troppo nuovo. E poi, perchè mettere un chiavistello quando appena sotto c’è la serratura? Non credo ai tempi ci fossero grandi problemi di sicurezza o forse il mio cervello è troppo stanco e io mi sto preoccupando inutilmente.

«Già, chi l’avrebbe mai detto!» esclamo sarcastica, piegando la testa di lato. «Per una volta la fortuna ha girato dalla nostra parte.»

Tracey si sistema con la schiena appoggiata alla base del piccolo e malmesso divano al lato destro del salotto. «Evitiamo di parlare di fortuna» dice, quasi ammonendomi, cominciando a sciogliere il nodo della fascia al collo.

«Ti fa molto male?» le chiedo, spostandomi dalla porta d’ingresso e raggiungendola. «Magari posso cercare se c’è qualche antidolorifico qua in giro.»

«No, no. Non ti preoccupare, non è niente che non possa gestire» mi rassicura la donna, rivolgendomi un sorriso tirato. «E poi, dovremmo riposarci tutti quanti adesso. Non voglio che tu caschi in qualche trappola.»

La guardo per qualche istante incerta prima di annuire. «Vado a bloccare le porte delle altre stanze.»

«Ti aiuto.» Blaine si alza subito dal suo posto - ormai fisso - vicino ad Elyse. Gli faccio un cenno negativo con la mano.

«No, Blaine. Piuttosto occupati della sua testa» gli suggerisco, indicando la ferita di Elyse. Non avevamo avuto molto tempo per ripulirle il viso dal sangue ormai secco e nemmeno di medicarla, soprattutto perchè non avevamo i mezzi. Non che ora ce li abbiamo, ma almeno ha un po’ di tempo e tranquillità per farsi venire in mente qualcosa.

Il ragazzo annuisce e credo che stavolta anche Elyse sia troppo stanca per ribattere qualsiasi cosa. Allora, dopo aver fatto un cenno con la testa a Tracey, mi avvio per il corto corridoio per bloccare le porte.

Una volta averle bloccate tutte senza troppi intoppi - il problema era solo trovare qualcosa con cui bloccarle, ma non è stato troppo difficile, grazie alle numerose sedie nel corridoio -, ritorno in salotto, notando con piacere che tutti e tre sono già crollati in un sonno quasi angelico. Non ci metto molto a prendere posto sul tappeto impolverato e ad addormentarmi.

***
«Kayla.» Strizzo gli occhi prima di aprirli lentamente. La voce di Tracey mi risveglia e assieme a me, anche tutti i miei muscoli dolenti. Faccio una smorfia, passandomi una mano sulla spalla e piegando il collo a destra e sinistra per scaldare la cervicale.

«Come state?» chiedo a Tracey ed Elyse subito dopo aver preso un sorso d’acqua.

«Potrei stare meglio» mi risponde la prima, alle prese con la fasciatura. Annuisco all’informazione e sposto il mio sguardo su Elyse, che mi porge un pollice all’insù.

«Dovremmo rimetterci in marcia...» dice Blaine, spuntando dal corridoio. Lo guardo sorpresa e preoccupata. «Non ti preoccupare, il bagno è sicuro» mi rassicura, infatti, alcuni secondi dopo.

«Buono a sapersi.» Elyse si alza dal divano, provando a scacciare dal suo viso la stanchezza con una mano.

Dopo esserci sistemati tutti quanti - e dopo aver ignorato il nostro stomaco vuoto e il mal di testa causato dalla fame -, Blaine apre la porta, seguito da Tracey, Elyse ed infine io, che me la chiudo alle spalle. Alcuni gesti sono difficili da far andare via.        

Guardo distratta il pavimento mentre ci avviamo verso l’uscita del palazzo, preparandomi mentalmente ad affrontare un altro giorno di marcia. Per questo, non mi accorgo che le tre persone davanti a me si sono fermate bruscamente e quasi gli finisco addosso, confusa, prima di sentire una voce maschile, profonda e roca.

«E voi chi diavolo siete?»

Sento quasi la mia anima lasciare il mio corpo, notando che davanti a noi ci sono cinque persone fin troppo armate che ci puntano addosso i loro fucili.

«Ehi, ascolta, non abbiamo cattive intenzioni-»

«Ti ho per caso dato il permesso di parlare?» Blaine viene interrotto bruscamente dall’uomo che ci ha colti di sorpresa. Ha i capelli castani e lunghi, sporchi e ondulati. Ha una brutta cicatrice sulla mano che tiene la canna del fucile puntata dritta verso di noi. Lanciando un’occhiata veloce a Blaine lo vedo deglutire inquieto.

Oltre a lui, davanti a noi ci sono tre uomini e una donna. Sembra quasi che dalla loro posizioni abbiamo studiato come schierarsi davanti a noi: l’uomo con la cicatrice è nel mezzo, avanti di qualche passo rispetto ai suoi compagni. Subito dietro di lui ci sono gli altri, due ad ogni suo lato. Se le circostanze fossero diverse, forse troverei la cosa quasi comica.

Seguono attimi interminabili di silenzio dopo la sua ultima domanda retorica, riempiti solo dal battito accelerato del mio cuore. La tensione è fin troppo palpabile.

«Tu, con i capelli rossi. Tu puoi parlare» interviene di nuovo l’uomo con la cicatrice.

Elyse gli porge un sorrisino accomodante e poi gli mostra il dito medio. Tracey impreca sottovoce, richiamando Elyse per il suo comportamento.

Con nostra estrema sorpresa, invece che lo scoppio di un proiettile sentiamo una forte risata, seguita poi da quella degli altri “scagnozzi” del tipo.

«Sei simpatica, sai?» dice l’uomo, facendo qualche passo avanti. Poi, con un movimento repentino, fa passare il fucile da una mano all’altra e lo punta dritto al petto di Elyse, il dito pronto sul grilletto.

«Ehi, ehi, non c’è bisogno di tutto questo, okay?» interviene prontamente Tracey, alzando subito la mano libera verso l’alto. «Siamo solo venuti qui per riposarci. Non siamo armati. Vogliamo solo andarcene.»

L’uomo lancia uno sguardo dietro di sè ai suoi compagni. La donna gli fa un cenno con la testa. «Chi c’è oltre a voi?» chiede dopo qualche istante, il fucile ancora davanti al petto della ragazza.

«Nessuno. Siamo solo noi e, come puoi vedere, non siamo messi nelle condizioni migliori» risponde Tracey con un tono di voce fermo e sicuro di sè. «Vogliamo solo andare via e non faremo ritorno nel vostro territorio.» riprende, soppesando con cura le sue parole, cercando di convincerli.

«Ragazzi, insomma, cos’è tutto questo chiasso?! Lo sapete che non voglio essere svegliato prima delle-» Un’altra voce maschile si fa spazio nella stanza, ma nessuno dei quattro presenti davanti a noi sta parlando. Ha un qualcosa di familiare, mi sembra di averla già sentita, il che non mi tranquillizza affatto.

L’uomo con la cicatrice abbassa immediatamente la sua arma ed abbassa la testa, spostandosi di lato per fare spazio al volto della voce. 

Lo sguardo scioccato che si presenta sulle nostre facce non appena questo viene allo scoperto non può che avere una nota terrorizzata. «Come… Come fai ad essere vivo?»

   
 
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