Anime & Manga > Hypnosis Mic
Ricorda la storia  |      
Autore: rainbowdasharp    10/10/2019    0 recensioni
[Hypnosis Mic]
[Hypnosis Mic]
«È un “relitto”, quello che vedo?»
«Bah» rispose Dice, gli occhi chiusi perché l'emicrania data dal caldo lo stava massacrando. «Il relitto di uomo? Può essere, può essere. Che spirito poetico».
Fantastico, adesso aveva persino iniziato a sentire delle voci. Forse era segno che non mancava molto alla sua dipartita.
«“Poetico”? Oh, come i musicali componimenti in lingua umana, certo».
«Certo, certo, proprio quelli».
… Un momento.
| gendice, pirate!AU, mermaid!Gentaro, pirate!Dice, prompt: Pirate Story |
Questa storia partecipa all'iniziativa Writober 2019 di Fanwriter.it.
Genere: Avventura, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
(where) love lies


Non riusciva a crederci.

Anche se il mare infinito che lo circondava, la sabbia candida sotto le sue mani, il sole cocente non erano che prove della sua immensa stupidità – no, non riusciva comunque a crederci.

Dice si sollevò in piedi, barcollando; i postumi della botta in testa che aveva preso (almeno, lui se ne ricordava una sola) erano solo l'ulteriore prova, e pure inconfutabile, che era davvero un imbecille.

«Ho fatto un vero casino, stavolta...»

Si portò le mani tra i capelli, mentre gli occhi percorrevano inquieti quel lembo formato da terra dorata, una ventina di ciuffi di tronchi e palme e qualche metro d'ombra. La prima conclusione era anche quella definitiva: non poteva fuggire da lì. Insomma, era vero che non era stato particolarmente furbo da parte sua giocarsi a dadi la sua dannatissima nave, ma era anche vero che la sua stradannatissima ciurma avrebbe potuto avere un po' più di pietà per lui. Avrebbero potuto abbandonarlo a Tortuga, oppure in qualche porticciolo senza gloria... e invece no, avevano deciso che oltre a meritare di subire un ammutinamento in piena regola (… o forse no, considerando che ci aveva scommesso lui per primo sopra...), meritava anche di crepare in mezzo al nulla, come uno stoccafisso.

A pensarci bene, forse non avevano tutti i torti.


Erano passati tre giorni, più o meno, dal suo risveglio.

Colto da un insolito spirito di iniziativa, Dice aveva diligentemente costruito una parvenza di rifugio, usando quel poco che aveva a disposizione, tra cui la sua camicia. Aveva anche tentato di sostentarsi con la miseria di noci di cocco che l'atollo proponeva e qualche pesce che era riuscito ad afferrare a mani nude, non senza imprecazioni ad ogni dio esistente.

Ma era evidente che fosse solo questione di tempo, prima che ci lasciasse le penne: la calura caraibica era quasi insostenibile durante il giorno e l'ombra dove aveva improvvisato il suo giaciglio non lo proteggeva sempre. Aveva tentato, per disperazione, di rimanere pure immerso per qualche ora in acqua, ma niente da fare.

Gli bruciava la testa e non aveva neanche del rum con cui cercare, momentaneamente, di dimenticare che la sua fine si avvicinava.

Anche in quel momento, stava galleggiando passivamente in acqua. Si lasciava cullare dal mare, dalle sue correnti calde e subdolamente agitate, forse sperando che uno squalo o chissà cos'altro ponesse fine alle sue pene.

Non si era reso conto di essersi allontanato dalla riva, a suon di rimanere inerme in balia delle onde.

«È un “relitto”, quello che vedo?»

«Bah» rispose Dice, gli occhi chiusi perché l'emicrania data dal caldo lo stava massacrando. «Il relitto di uomo? Può essere, può essere. Che spirito poetico».

Fantastico, adesso aveva persino iniziato a sentire delle voci. Forse era segno che non mancava molto alla sua dipartita.

«“Poetico”? Oh, come i musicali componimenti in lingua umana, certo».

«Certo, certo, proprio quelli».

… Un momento.

Dice scattò, ritrovandosi immediatamente a realizzare di essersi decisamente allontanato un po' troppo dalla riva, perché non riusciva più a sentire il fondale sotto i suoi piedi, neanche sfiorarlo. Era una fortuna che sapesse quanto meno nuotare, oppure sarebbe morto affogato.

Il motivo per cui si era improvvisamente risvegliato dal suo torpore di autocommiserazione era che la voce che gli aveva parlato era completamente diversa dalla sua; inoltre, era abbastanza sicuro di sapere che cosa “poetico” volesse dire – ma come poteva esserci un'altra persona nel bel mezzo dell'oceano, in quelle acque dimenticate da Dio?

Eppure, di fronte a lui, stava un ragazzo. Era immerso, come lui, fino alle spalle, nude, e pareva perfettamente a suo agio: aveva occhi grandi, di un verde vibrante, come le sommità delle querce; i capelli di un singolare color castano, pallido persino quando inumidito dall'acqua, ricadevano ondulati ai lati del suo volto, sottile, effimero, quasi di un altro mondo tanto era bello.

Dice rimase a fissarlo con la bocca aperta forse un po' troppo a lungo perché, dopo un po', lo sconosciuto poggiò le proprie dita sotto il suo mento e lo aiutò a richiuderla col massimo dell'innocenza (doveva aver pensato che avesse la mandibola rotta) e Dice notò solo in quel momento che aveva non solo le spalle scoperte, ma—le mani ricoperte a tratti di una leggera sfilza di squame violacee, cangianti da una tonalità più chiara ad una immediatamente più scura, senza gradazioni tra le due.

«Porc--» si ritrovò ad imprecare il marinaio, scattando indietro; l'essere non ne parve turbato, anzi: si limitò a guardarlo con fare incuriosito, quasi divertito da quell'improvviso movimento. In un battito di ciglia, infatti, fu di nuovo vicino, troppo vicino e Dice, da bravo pirata qual era, sapeva perfettamente perché.

Squali? Macché squali – sarebbe stato meglio morire tra le fauci di una bestia normale come uno squalo. Quello che aveva davanti era... una sirena. O un sireno? Oppure un tritone? Beh, non conosceva le differenze, ma sapeva perfettamente che erano esseri subdoli, magnifici quanto letali, che prima incantavano le proprie vittime col canto e poi le facevano sparire nelle profondità del mare. Affogate e mangiate.

«Mh, porco. Riferito agli animali che vivono nella sporcizia, o a uomini dagli istinti sessuali espliciti» dedusse, gli occhi ancora incollati sul suo volto.

Era morto. Beh, almeno morire per mano di una sirena rendeva un poco più gloriosa la sua misera fine, no? «Stai—stai lontano da me!» esclamò, mentre gesticolava nell'imbarazzante tentativo di tenerlo a distanza.

Beh, forse il suo istinto di sopravvivenza non era proprio d'accordo.

«Sei stato tu ad avvicinarti» gli rispose con semplicità la creatura, girandogli attorno con curiosità invadente. «Galleggiavi come un pesce morto. O come un relitto».

Poteva dire di essersi beccato la sirena meno incantevole esistente? Perché era altamente probabile.

«Tra i due, sei tu quello che mangia gli esseri umani, non io! Quindi, non ti avvicinare!»

Gli occhi smeraldo della sirena si affilarono d'un tratto, quasi irritati da quella che, era evidente, riteneva un'offesa bella e buona.

«Bugia» sibilò, prima di allontanarsi qualche metro. «Dici cose non vere. E anche se mangiassi gli umani, non prenderei un relitto».

Dice non seppe bene come, ma quell'affermazione lo fece sentire così in colpa che, poco dopo, non solo si lasciò avvicinare, ma addirittura riaccompagnare a riva; la sirena lo aveva infatti afferrato per un polso e, senza preoccuparsi troppo e rischiando quindi di farlo affogare almeno un paio di volte, lo aveva riportato lì dove il fondale non era troppo profondo, dove entrambi potevano toccare terra.

E poi, senza aggiungere nient'altro, la sirena sparì nell'azzurro dell'acqua cristallina.


Beh, si era detto, impossibile che si rifaccia vivo.

Nelle ore che seguirono quell'assurdo incontro, però, si era reso conto che forse avrebbe preferito essere mangiato vivo da una sirena antipatica che ritrovarsi di nuovo su quel maledetto atollo, da solo. Ci pensò mentre sorseggiava le poche stille di acqua che ancora aveva con sé, ci rimuginò mentre si rigirava nel suo giaciglio scomodo e freddo e quando riaprì gli occhi al sole cocente, impietoso torturatore.

«Avrei—dovuto farmi mangiare!» imprecò ad alta voce, mentre cercava di acchiappare, per l'ennesima volta, i pesci a mani nude, immerso nell'acqua fino alle ginocchia: ma quelli sfuggivano, maledetti, più veloci della luce. O forse lui non era capace di prenderli e probabilmente nel giro di qualche giorno, forse settimana, sarebbe morto di stenti.

«Io non mangio relitti».

Dice sollevò lo sguardo, non proprio sicuro di aver sentito bene; eppure, la sirena era di nuovo lì, di fronte a lui, quasi divertito dallo spettacolo della sua inettitudine mentre esibiva con naturalezza parte della sua coda di pesce, di un viola tenue, su cui il sole si posava pigramente, lasciando che scintillasse.

«Ma che--» si lasciò sfuggire, ma stavolta non arretrò: finché i suoi piedi toccavano il terreno, poteva almeno avere possibilità di scappare sulla terraferma il più velocemente possibile. «Ti sei affezionato, per caso?!»

«Noia» si limitò a rispondere la creatura, prima di osservarlo a lungo – non capiva se gli piacesse giocare con la sua preda oppure davvero cercasse semplicemente di ammazzare il tempo (e non lui). «Perché sei solo? Gli umani viaggiano in gruppo, sempre, soprattutto per mare».

Dice storse appena la bocca. «Beh, gli umani sanno abbandonare i propri compagni in mezzo al mare, se ne hanno voglia».

«Oh, sei odiato» osservò con tono placido la sirena, prima di farsi impercettibilmente più vicino.

«E tu?» replicò l'ex-capitano, irritato. «Che ci fa un mezzo pesce tutto solo in mezzo all'oceano a parlare con un umano?»

«Gentaro» sibilò l'altro, improvvisamente minaccioso. «Il mio nome è Gentaro».

«E il mio è Dice. E non pensavo che le sirene comunicassero con gli umani».

«Ho osservato e imparato» mormorò, ovviando così alla domanda che gli aveva posto poco prima; perché, in effetti, un essere sì pericoloso, ma solo, rischiava davvero tanto, avvicinandosi alla riva. «E so che dite cose non vere su di noi».

«Stai sprecando fiato» lo interruppe subito, passandosi una mano tra i capelli, esasperato. «Anche se mi stessi simpatico e non è questo il caso, non potrei raccontare a nessuno che ho incontrato un sirenetto chiacchierone e gentile, che non mi ha fatto diventare la sua cena».

Gli occhi di Gentaro si illuminarono di una strana luce, che portava con sé una malinconia che evidentemente Dice non era in grado di comprendere.

«Neanche tu mi stai simpatico».


Nonostante questo, Gentaro tornò all'atollo ogni giorno. Si presentava all'improvviso, si teneva ad una distanza sempre via via più ridotta e lo osservava, ridendo di tanto in tanto della sua incapacità di cacciare, delle sue imprecazioni – in poche parole, delle sue disgrazie. E per quanto Dice trovasse la sua presenza a dir poco irritante, si rese ben presto conto che non poteva e voleva rinunciarvi: avere Gentaro lì bastava a tranquillizzarlo, a dargli un motivo per non lasciarsi morire in quel luogo dimenticato da Dio, sulla spiaggia. E lentamente alle imprecazioni si sostituirono storie, aneddoti divertenti, racconti di episodi sulla sua vita che blaterava ad alta voce affinché la sirena lo ascoltasse. E Gentaro, ormai seduto elegantemente sul fondale marino, immerso in acqua solo fino alla vita, ne rideva e chiedeva di più, curioso come un bambino.

L'abilità di Gentaro nel parlare la sua lingua cresceva di giorno in giorno, perché apprendeva dalle loro conversazioni con una velocità terrificante; intanto, lo aiutava a prendere i pesci quando Dice era troppo nervoso o stanco per riuscirci da solo.

Uno strano fascino avvolgeva la creatura, che cominciava ai suoi occhi a sembrare sempre più umano e sempre meno una sirena.

«Gentaro, ma perché sei sempre solo?»

Alla domanda, non aveva mai avuto voglia di rispondere. Fissava, coi suoi occhi verdi e malinconici, un'orizzonte che pareva improvvisamente insopportabile.

«Dicono che racconto bugie» rispose sorprendentemente una sera, mentre il sole si inabissava nel rosso del tramonto. Non lo guardava, certo, ma era forse la prima volta che parlava di sé.

“Bugia” era una parola che Gentaro ripeteva di continuo e Dice non riusciva a capire se ne trovasse piacevole il suono oppure vi fosse legato in qualche modo.

«E perché?»

«Un umano mi ha salvato, tempo fa. Si è preso cura di me. Mi ha insegnato molte cose».

Dice avvertì una punta di fastidio all'altezza del petto e un saporaccio crearsi nella sua bocca, come se l'idea, da sola, fosse bastata a non fargli digerire la cena, ovvero: un pesce che Gentaro aveva acchiappato e cocco.

«E i tuoi amici non ti credono? E perché?»

«Odiano gli umani e gli umani odiano noi. Abbiamo paura gli uni degli altri perché siamo diversi».

Dice sbatté le palpebre, sorpreso da quell'affermazione. Ricordò con quale tono offeso gli avesse replicato quando lo aveva accusato di volerlo mangiare e, in parte, si sentì colpevole.

«Per questo ti sei avvicinato a me? Volevi essere sicuro di non sbagliarti?»

I loro sguardi si incrociarono e a lungo: Gentaro sembrava sorpreso da quell'osservazione, ma Dice non era sicuro che fosse perché aveva indovinato – pareva, piuttosto, che neanche lui sapesse perché aveva deciso di rimanere nei paraggi, a favorire della sua compagnia. Nel diverso, forse, entrambi avevano trovato qualcosa che li distogliesse dalle proprie miserie, che ammutolivano di fronte alla voce e alla presenza dell'altro.

«Volevo... che non fosse una bugia». Agitò appena la coda squamata a pelo dell'acqua, poi si spinse con le mani verso l'alto, per tuffarsi in acqua. «Dormi, Dice. Sarà freddo, stanotte».


Non fu solo freddo, quanto umido.

Dice ebbe sogni agitati ma dormiva troppo pesantemente per svegliarsi; non ricordava con certezza, ma era sicuro di aver sognato Gentaro, i suoi occhi che nel buio della notte quasi brillavano di una luce paurosa, che sorrideva appena scoprendo canini che non aveva mai visto. Che calava su lui con cautela, col silenzio del più perfetto dei predatori e lo assaggiava, con labbra e lingua.

Poi sognò di trovarsi inabissato in acque agitate, salate. Di essere trascinato e disperso nelle correnti dell'oceano, troppo vasto perché vi trovasse un appiglio.

Perso per sempre.


Quando si svegliò, sembrava che il mondo dondolasse.

Ma letteralmente: non solo il suo corpo, ma tutto ciò che lo circondava pigramente ciondolava un po' a destra e un po' a sinistra. Inoltre...

Non era più sul suo atollo. Era sdraiato su di una brandina, in una stanza fatta completamente in legno. Era coperto da delle lenzuola di stoffa vera e non da quella robaccia improvvisata fatta di palme che aveva messo insieme da solo. Aveva vestiti puliti, una pezza bagnata sulla fronte.

Era in una cabina di una nave, all'asciutto.

Aveva dolori ovunque, anche; qualunque cosa fosse successa, sembrava avesse avuto un eccesso di febbre. Sentiva il corpo pesante, la testa confusa.

Cosa era successo?

Nel momento in cui provò a sollevarsi a sedere, la porta della nave si aprì e rivelò un ragazzino di modesta statura, i capelli di un rosa acceso, gli occhi azzurri come il mar dei Caraibi. Eppure, era vestito di stoffe pregiate e il cappello da capitano (decorato in modo vistoso ma elegante) spiccava sul suo capo con naturalezza.

«Oooh, il nostro ospite d'onore si è svegliato! Come ci sentiamo, signor relitto?»

Relitto?
“Gentaro!”
«Io—io ero su un'isola e... come sono arrivato qui? Non posso... c'era un'altra persona con me!»

Il ragazzo gli sorrise e, in un attimo, Dice vi scorse una malizia che lo fece rabbrividire. L'estraneo saltellò, quasi, vicino a lui, fino a sedersi su quello che con tutta probabilità solitamente era il suo letto.

«Persona? Questa pare una bugia, signor ex-capitano Dice!»

Nonostante non lo stesse ammettendo di persona, era chiaro che il ragazzo conoscesse la sirena che per giorni gli aveva tenuto compagnia. E se era davvero così, allora...

«Gentaro mi ha portato qui, vero? Ma perché? E dov'è, adesso?»

Possibile che lo avesse portato via da quell'isola così, all'improvviso, senza dirgli niente? E perché non gli aveva parlato di una nave nelle vicinanze? Questo capitano dall'aspetto di bambino era forse l'umano di cui gli aveva parlato, quello che, tempo prima, lo aveva salvato?

“Perché non me l'ha detto?»

«Pin-pon! Hai indovinato. Gentaro ti ha portato qui, prima che la verità diventasse una bugia» gli rispose cripticamente il ragazzo, facendogli l'occhiolino. «Sono davvero pochi gli umani disposti a chiacchierare con le sirene, sai? Ma lo conosco da tempo e so che ha buoni intenzioni. Quindi ti ha addormentato, credo... ? E poi ti ha portato fin qui a nuoto. Non eri messo troppo bene, quando ti ho fatto caricare sulla scialuppa ma ehi, sei vivo! Dovresti esserne felice!»

Dice rimase così, senza parole e senza neanche sapere il nome dello sconosciuto, che invece tutto sembrava conoscere di lui; lo guardava, curioso, con un sorriso da malefico complottista sulle labbra – studiava la sua reazione, come se si aspettasse qualcosa di incredibile ed eclatante.

E come avrebbe dovuto reagire? Gentaro lo aveva forse avvelenato a sua insaputa e lo aveva salvato, prima che un'illusione andasse in frantumi. Di quale illusione il tizio parlasse, però, Dice non riusciva assolutamente a capirlo. Si riferiva forse alla convivenza tra umani e sirene? O...

Io non mangio relitti.

«... Tu chi diavolo sei?» fu l'unica cosa che riuscì a dire.

«Ramuda, piacere!», e si tolse il cappello, chinando appena il capo. «Benvenuto a bordo della Fling Posse! Chissà...» e gli fece l'occhiolino, consapevole di poter catturare il suo interesse con facilità. «... se rimani con me, magari rivedrai la tua sirena chiacchierona!».


Note: Questo prompt mi aveva mandato in vera e propria crisi. Ho scritto, a suo tempo e a quattro mani, un'intera AU piratesca con degli OC miei e di una mia amica, ma è passato così tanto tempo che non sapevo più cosa inventarmi; insomma, chi gestire in una AU strampalata come questa?
Un po' complice la mia attuale lettura di un saggio sui pirati (sì, ho un problema), alla fine la mia scelta è ricaduta sulla GenDice. Ammetto di avere un po' di dubbi circa la riuscita di questa storiella, anche perché è la primissima volta che li muovo e, per me, ogni nuovo personaggio che mi ritrovo a scrivere è un salto nel vuoto.
Spero, in ogni caso, che vi piaccia! Mi spiace che sia un poco inconcludente, ma volevo lasciare l'atmosfera di mistero irrisolto, di verità nascoste e di "bugie d'amore" o dove "l'amore giace", come dice il titolo.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Hypnosis Mic / Vai alla pagina dell'autore: rainbowdasharp