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Autore: Mai Valentine    10/10/2019    1 recensioni
In una giornata di pioggia di fine aprile Franca Piano giovane professoressa di filosofia, bloccata nella sala professori si ritrova a pensare come sia possibile che si sia innamorata per sbaglio proprio di una sua collega, la professoressa di matematica. Ma infondo l'amore non colpisce per sbaglio? Entrambe dovranno fare i conti con quello che provano l'una per l'altra, sotto le note della canzone Complici.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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La luce bianca del neon si spegnava e accendeva a intermittenza. Un lampo squarciò il cielo, subito dopo il boato del tuono. Franca si alzò dalla sedia, avvicinandosi alla finestra con in mano il bicchiere colmo di caffè, ancora caldo. Appoggiò la schiena ai termosifoni spenti. la luce saltò per qualche secondo, la terza volta. Era impossibile lavorare così, doveva aggiornare il registro di classe, preparare le schede, i voti. Un nuovo lampo, questa volta ancora più vicino. Sorseggiò il caffè portando il bicchiere di plastica alle labbra, il neon saltò ancora, “inutile” pensò. Restò con le braccia chiuse e col capo basso. Alcuni studenti scendevano le scale facendo confusione, avevano terminato il rientro pomeridiano. Sentì le voci informi giungere oltre la porta chiusa, il chiasso durò dieci secondi, dieci secondi poi il silenzio. Sospirò, era rimasta sola o almeno credeva. Tanto valeva tornare a casa, chiudere la borsa e lasciare la scuola. Lo fece. Era inginocchiata in terra a raccogliere i libri che le erano caduti sotto al braccio quando la porta fu aperta con un colpo secco.
«Sì, signora Maria sto uscendo, tanto è impossibile restare qui a lavorare». Non giunse risposta, si aspettava una lamentela, un richiamo, la signora Maria non si teneva una parola. «Non sono Maria». Franca sollevò lo sguardo, la professoressa di matematica Selvaggia Agostini con indossò i suoi attillati pantaloni neri di pelle, il giubbino da motociclista leggermente aperto dal quale si intravedeva la scollatura sulla quale le cadde l’occhio per qualche secondo, i folti capelli neri, occhi scuri era lì che la fissava sorpresa quanto lei.
«Dovevo immaginarlo, non potevi essere la signora Maria avrebbe già urlato» disse raccogliendo le ultime cose e gettandole nella borsa il più in fretta possibile.
«Perché sei ancora qui?» domandò Selvaggia osservando i movimenti frettolosi di Franca.
«Avevo da lavorare, tu?» domanda idiota pensò.
«Ho appena finito il rientro e sono venuta a prendere il casco» disse avvicinandosi al tavolo chiudendo la porta con il tacco degli stivali.
«Bene, ti auguro una buona serata». Franca avrebbe voluto andarsene in fretta, fuggire ma Selvaggia la fermò incastrandola contro la porta, le sue mani a tener ferme quel pezzo di legno e ferro, il corpo della professoressa di matematica contro il suo.
«Ora mi dici perché mi stai evitando da giorni». «Io, evitando? Stai scherzando. Dai ora non ho tempo, ho da fare la spesa» disse cercando di non guardarla in volto.
«Il sabato mangi la pizza, sempre. Se questo non è evitare, dimmi cosa diavolo è» rispose Selvaggia nervosa, ravvivandosi i capelli con le mani gettandoli all’indietro. Franca ingoiò la saliva, sentendo il cuore in gola. Era alla resa dei conti. Fissava Selvaggia che a sua volta la guardava. Occhi scuri, occhi caldi come braci e labbra morbide, più morbide del velluto. Balbettò, ormai completamente in balia dei suoi sentimenti e dei suoi desideri. Cercò una scusa convincente. Non ne aveva.
«Non ti sto evitando, ho solo avuto molte cose da fare in questi giorni» disse abbassando lo sguardo scostando una ciocca di capelli dal volto.
«Certo, da fare come fuggire appena mi vedi nel corridoio, alle macchinette del caffè, in sala professori o al consiglio di classe. Spiegami perché». “Perché” pensò Franca. “Perché… perché sapeva che sarebbe stato un errore, era stato un errore tutto quello che c’era stato, tutto quel flirt adolescenziale a 35 anni, le canzoni dedicate, le poesie. Quel bacio. Quel dannato bacio alle tre di notte sotto all’insegna dell’albergo a tre stelle, dove studenti al terzo piano fumavano una canna e bevevano birra mentre le ragazze ascoltavano una stupida canzone d’amore.

Complici,
ogni volta che scappiamo è per riprenderci
quanta voglia ci toglie il fiato
mangiami e stringimi
oltre quello che verrà

Ricordava a memoria il ritornello e le veniva in mente proprio adesso, in quella situazione assurda ma perfetta. Aveva capito di amare Selvaggia qualche mese prima, aveva sperato di sbagliarsi ma quel bacio, quel bacio lungo e intenso aveva confermato ciò che provava per la donna che ora l’osservava con sguardo felino pronta a divorarla. Franca non aveva paura della sua omosessualità, aveva fatto i conti con essa tempo prima ma di quella di Selvaggia. Selvaggia che non si era mai accettata, che odiava i gay pride, gli unicorni, le bandiere arcobaleno e i coming out ma di nascosto guardava Carol, la Vita di Adele e la Diseducazione di Cameron Post. Selvaggia che aveva appeso alla parete un calendario di Play Boy in una casa di campagna nella quale nessuno metteva più piede da anni, tranne loro due. Sì, evitava Selvaggia per tutti i baci dati di nascosto, per aver fatto l’amore in un fienile, per averle detto ti amo piangendo quando l’aveva lasciata sotto casa, col trucco sbavato e il cuore a pezzi. E poi Selvaggia aveva preso a scriverle, a chiamarla di notte, a cercarla ovunque e lei, lei aveva iniziato a spegnere il telefono a evitarla come se avesse la peste.
«Perché è sbagliato» le uscì in un soffio di voce.
«Cosa?»
«Tutto questo. Non lo vedi? Non è professionale».
«Professionale… che stupida parola. Il motivo è un altro e io lo so. Lo so di aver fatto la stronza con te. Sono sempre stronza con te ma voglio che me lo dici in faccia che non vuoi più vedermi, che non vuoi avere niente più a che fare con me». Selvaggia sembrava impassibile, fredda, eppure percepì quell’incrinarsi di voce, quelle note spezzate e gli occhi lucidi. Le mancò il respiro. L’amava ancora, nonostante tutto, nonostante le notti insonni.
 
Complici,
ogni volta che scappiamo è per riprenderci
perché ti voglio
e posso solo perderti un'altra volta
e baciami un po' come ti pare però baciami (amore no)
non chiedermi di andare perché resto (rimani qui)
inutile ripetermi un capriccio
conosco troppo bene come prenderti
che se ti incazzi dopo poco piangi c
he se ci provo ancora poi mi stringi,
mi stringi

La canzone che le tornava in mente, il respiro di Selvaggia, il suo profumo, i tuoni, la pioggia, il neon che si spense e poi si riaccese, accadde tutto in un attimo. in un dannato attimo. le mani di Selvaggia sui suoi fianchi, le loro labbra in un lungo bacio dal sapore di lacrime e di desiderio. Franca spinse Selvaggia contro il tavolo della sala professori, scivolarono sul legno continuando a cercarsi l’una sull’altra. «Chi c’è ancora qui? Si può sapere?» disse la signora Maria spalancando la porta chiusa della sala professori. Franca e Selvaggia osservarono la signora Maria, Maria guardò loro.
«Embé? Ancora qui a quest’ora, non avete niente meglio da fare di sabato?»
«Stavamo giusto per andarcene» rispose Selvaggia prendendo il casco e lo zaino «buona serata signora Maria» disse Franca la seguì bisbigliando un saluto. La Signora Maria le guardò mentre uscivano e non le sfuggì che si tenevano per mano, scosse il capo e borbottò spazzando «come se non lo sapesse nessuno, il segreto di pulcinella».
Franca col casco in testa, abbracciava la schiena di Selvaggia, lasciandosi andare. La moto sfrecciava sull’asfalto, contro la pioggia.
   
 
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