Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: PiscesNoAphrodite    10/10/2019    2 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 


 

[…] Il manufatto baluginò percorso da un guizzo di vita, da una luce in grado di fendere l'oscurità più profonda. E non fu solo Misty a percepire il fulgore che si era sprigionato dall'oggetto di forma cubica: lame di luce si proiettarono a raggiera investendo di chiarore immacolato ogni anfratto occultato alla vista; lui stesso ne fu avvolto senza subirne l'abbaglio, bensì pervaso da una serenità ineffabile e da un calore tale da contrapporsi al gelo che gli induriva il cuore. Dai singoli lati dello scrigno si era aperto uno spiraglio e il suo contenuto si animò come permeato da pura energia, le varie parti si scomposero per ricomporsi dopo aver aderito singolarmente alle membra del cavaliere. Un brusio sovrastò il silenzio sacrale per poi zittirsi in un istante. Il bagliore si attenuò svelando agli occhi dei Santi il loro compagno bardato d'oro... […] “Gli Eletti”, capitolo V

***

In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?


 

(Disclaimer – I personaggi che compaiono in questa storia non mi appartengono ma sono proprietà di M.Kurumada.)

Avvertimenti: situazioni e personaggi rispecchiano l'headcanon dell'autrice. Grazie infinite per il vostro interesse, in ogni caso.



☆☆☆

 



I prati d'asfodelo
(Sequel de “Gli Eletti”)


misty214

 

 

I

 

Santuario di Atene, settembre 1990.


Sfiorai la fronte febbricitante e deglutii un sorso d'acqua prima di affacciarmi alla finestra: il sole mattutino lambiva le pietre, i marmi, e le rose di cui percepivo l'odore al dischiudersi delle corolle di petali. La tranquillità mi avrebbe di sicuro aiutato ad alleviare quel malessere persistente che mi privava della capacità di concentrazione, ma non dell'inquietudine. Mi domandavo dove trovassi la motivazione per adempire a ogni compito realizzando, in un battito di ciglia, che non erano mai state semplici scelte, non c'era quasi nulla che decidessi di mia spontanea volontà in questa vita. Rinfrescai il viso con l'acqua fredda, avevo gli occhi gonfi, dolenti, come se avessi pianto, come se vi fossero conficcati all'interno pagliuzze o minuscoli aghi. Indossai una tunica grigia con una sfumatura acquamarina, l'avevo estratta a caso tra gli altri indumenti, e mi avviai in direzione del roseto scrutando per un istante il cielo turchino solcato da uno stormo di uccelli. Materializzai una rosa accostandola alle narici e inalando il profumo mi sovvenne il ricordo della sera precedente.

 

Non avevo l'abitudine di attardarmi davanti allo specchio. Indugiai ancora un poco, appuntando un fiore tra i capelli, convinto che sarebbe stata una notte insonne, ma all'improvviso vidi il mio riflesso tremolare. Puntai un dito contro la superficie e questa si deformò alla stregua di uno schermo d'acqua in cui piomba un sasso. L'immagine riflessa si dissolse come risucchiata da una corrente vorticosa e fui catapultato in un'altra dimensione.

 

Dopo un breve attimo di smarrimento mi ero finalmente deciso a percorrere il sentiero sterrato che si diramava dal crocevia. La brezza stormiva tra le fronde diffondendo l'odore resinoso degli abeti. Dalla fitta vegetazione filtrava il chiarore della luna che dominava dal punto più alto di un cielo di velluto nel quale brillavano incastonate le stelle. Passo dopo passo, attento a non incespicare nelle radici che affioravano dal terreno, mi approssimai alla meta di un pellegrinaggio arcinoto sebbene il declivio fosse alquanto impervio. Si delineava una viuzza tortuosa, cosparsa di aghi di pino, nel bosco di conifere denso di un sentore umido e acre ma al contempo inebriante. Il Tempio sorgeva sulla spianata di un'altura nella cornice di altre vette innevate, lo si poteva scorgere in lontananza, evanescente, quasi fosse una visione onirica e si materializzò davanti ai miei occhi, tra nembi cumuliformi, erto sulle rocce del monte. I marmi candidi rifulgevano del bagliore lunare.

Percorsi la scalinata, costeggiata da bracieri nei quali ardevano fiamme azzurre, fino a giungere nei pressi dell'atrio colonnato e, da lì, mi inoltrai all'interno celandomi all'ombra del timpano scolpito che sormontava l'architrave.

Trovai la servitù ad attendermi, come di consueto e con l'ordine di scortarmi fino a destinazione. Tuttavia mi feci largo senza preoccuparmi di sembrare scortese, incamminandomi risoluto verso la sala principale: in quella dimensione d'intangibile realtà così concreta nella solidità delle strutture dove echeggiava la melodia di un dolce arpeggio. Rischiarata da torce e bracieri che proiettavano ombre bizzarre contro le pareti istoriate. Avevo dapprima indugiato, inspirando la gradevole fragranza dell'ambiente, per poi piegare il ginocchio e rendere omaggio all'anfitrione.

Avete bisogno dei miei servigi, padre? È per questo che mi avete aperto le porte del vostro regno?”

No, mio prediletto. Necessitavo di un poco della tua compagnia” rispose Apollo, sdraiato sul triclinio. Una luce soffusa lambiva la sua figura enfatizzandone l'aura sovrannaturale.

Distolsi l'attenzione dalle decorazioni del pavimento a mosaico, dalle ninfe che allietavano il mio divino congiunto, e assursi ritto sulle gambe volgendo un labile sguardo alle unghie ben curate: “Gli dèi non sono soliti lagnarsi a causa della noia.”

Non vi sono pretesti per una guerra, se ciò può rasserenarti. Il modo in cui i mortali contendono tra loro non mi tange né impensierisce gli altri dèi; se sono così stolti da volersi estinguere che facciano pure” sospirò con noncuranza l'immortale, scostando un ciuffo di capelli da davanti agli occhi limpidi. “Al momento mi aggrada la pace, trovo impagabile un tale idillio. Athena è irreprensibile.”

In cosa posso rendermi utile?” domandai, staccando un acino dal grappolo d'uva che mi aveva sporto. Non sapevo se credere alle sue parole, tuttavia in esse avevo colto bastante franchezza per trarre un sospiro di sollievo e volevo crederci, senza lambiccarmi la mente con altre inutili e fuorvianti congetture.

Tuo fratello, parlami di tuo fratello. Dicono somigli a Giacinto.”

Perdonate il mio ardire ma voi siete onnisciente, perché mi domandate cose che già sapete?”

Tu limitati a rispondere come se io non sapessi. È indice di insolenza rispondere a una domanda con un'altra domanda.” Apollo mi trafisse con un'occhiata implacabile per poi addolcirsi, probabilmente sedotto dai miei modi. Avevo sfilato la rosa dai serici petali, dapprima inserita tra i capelli, rigirandola tra le dita, e dal fiore si sprigionò un dolce profumo che si fondeva con gli altri aromi.

Soprassederò alla tua protervia in virtù del legame di sangue che ci unisce.”

Non volevo offendervi" replicai distogliendo l'attenzione, sebbene con un occhio lo avessi scrutato di sottecchi. “Misty è l'attuale Santo di Libra." Risolsi di assecondarlo rispondendo alla sua richiesta, conscio del fatto che i potenti bramassero un'adulazione indiscussa.

Sappi che un giorno potrei reclamare la vostra presenza al mio fianco” esordì lui e al contempo fui scosso da un brivido senza scompormi. Mi sentivo osservato e mi voltai di scatto, indugiando a contemplare i vacui occhi in pasta vitrea delle statue di cui era adorno il Tempio. “Siamo votati ad Athena, la nostra presenza nelle sue schiere è insostituibile” risposi pacato, ma schietto. Apollo era perfettamente consapevole di questo ma non avevo esitato a ribadirlo affinché non sorgessero equivoci. Non mi fidavo di quell'ostentata benevolenza e dopotutto, noi mortali, da tempi immemori, siamo come burattini nelle mani degli dèi. Non aveva ribattuto, limitandosi a schiarirsi la voce dopo essersi attardato a riflettere, avrei dato qualunque cosa per avere la possibilità di sondare in quella mente imperscrutabile.

Athena vi ha riportato in vita, ed è naturale vi sentiate in debito” aggiunse dopo, abbandonando il triclinio per apprestarsi ad attingere del vino da un cratere di ceramica a figure rosse.

Perché mi avete convocato?”

Desideravo contemplare la bellezza di mio figlio, frutto dell'unione con una mortale.”

Già” esordii con un sorriso a fior di labbra, quel pretesto era fin troppo labile per essere convincente. “A volte le divinità amano tramare inganni sotto mentite spoglie.”

Non essere irriverente. I privilegi ti sono stati concessi in virtù della benevolenza degli dèi. Se così non fosse, tu e tuo fratello, vivreste un'esistenza ordinaria in qualche anonimo ricetto del mondo: in un villaggio in Provenza e nell'isola di Värmdö in Svezia” rimbeccò, dispiegando il manto immacolato dietro le spalle, e vidi i suoi occhi brillare da sotto le folte ciglia, come le stelle del firmamento.

Quelle sue parole mi avevano indotto a riflettere e ricordavo quanto – alcune volte – avessi desiderato vivere una vita normale, tra la gente comune, e rimpianto l'infanzia serena che non avevo mai vissuto. “Scusate la franchezza, ma non è lusinghiero essere considerati il frutto del divertimento di una notte” insinuai distogliendomi da quelle riflessioni.

Non ho mai detto questo, Aphrodite. Non è questo il punto, ma veniamo al dunque. Tuo fratello sa di esserlo?”

Mi strinsi nelle spalle perché mi sentivo in difetto, colpevole, in qualche modo: “Non gliel'ho mai confidato.”

Per quale motivo?” domandò, porgendomi una coppa. Era sempre così premuroso, mi avrebbe perdonato qualsiasi mancanza – o almeno era quello che credevo.

Non l'ho ritenuto importante. Non volevo che Misty divenisse oggetto di favoritismi. Ciò che ha conquistato è dovuto alle sue doti e non a interferenze esterne quali la discendenza divina. E, poi, non vorrei mi credesse disposto a concedergli un trattamento di favore in quanto fratelli. Non gioverebbe al suo ego, alla sua personalità fragile e instabile” risposi scuotendo il manufatto d'oro allo scopo di mescere il liquido all'interno. Speravo che le mie ragioni facessero presa su quell'indole caparbia ma, al tempo stesso, ero tranquillo, forte della sincerità insita nelle mie affermazioni.

Una motivazione encomiabile, non c'è che dire. Dunque, tu puoi ostentare il tuo ego e a lui sarebbe precluso?” sorrise, ironico. “In merito ai favoritismi potrei tranquillamente affermare che la mia progenie non ne abbia beneficiato, a differenza dei pupilli di Athena.”

Mi avete rassicurato sul fatto che vogliate mantenere la pace...” rimarcai dopo aver leccato una goccia del vino che, con tutta certezza, mi aveva imporporato le labbra a giudicare dalla consistenza corposa. Il cuore mi era balzato in gola.

E sarà così, non temere. Sarebbe insensato scatenare un conflitto per un motivo così futile." Il viso rifulse splendente di luce e sembrava davvero sincero, ero certo avesse colto il mio stato d'animo sondando nel mio cuore com'era solito fare. Prese la cetra per poi accingersi a intonare una soave melodia.

Febo...

Sedetti in un angolo intento ad ascoltarlo – soggiogato dalla grazia con cui le dita affusolate pizzicavano le corde – dovevo avere gli occhi languidi di malinconia.

 

Mi riscossi dal rivivere quei momenti, da quei pensieri, ero imbambolato al punto di non sapere come iniziare la giornata e risolsi di sedermi su un gradino a fissare il riverbero del sole che s'infrangeva sulla pietra.

Tutto aveva avuto inizio qualche tempo fa, quando avevo notato pendere dal collo del mio apprendista un ciondolo che recava impressa l'effigie dell'astro diurno. Ne ero sorpreso poiché possedevo un pendaglio di eguale fattura – praticamente identico nella sua unicità – e avevo iniziato a pormi delle domande: non avevo pensato all'esistenza di un fratello mai conosciuto ma la curiosità non si era spinta oltre, non m'interessava. Si trattava soltanto di illazioni. Non sapevo chi fossero i miei genitori né avevo interesse a scoprirlo; come potevo preoccuparmi di coloro che mi avevano abbandonato in tenera età come fossi un fardello?

Apprendere di essere progenie di un dio, in parte, non mi aveva sorpreso in quanto nelle nostre vite si avvicendava un costante connubio di eventi ordinari e sovrannaturali. Avevo dovuto ricredermi in merito ai dubbi che mi ero posto sulla predestinazione.
I Santi di Athena sono dei predestinati – nella buona o nella sfavorevole sorte.
Febo, dopo la rivelazione, non si era premurato di mantenere stretti i contatti. Sembrava volermi abbandonare di nuovo al mio destino...
ma adesso si è rifatto vivo.

 

Smisi di rimuginare sul passato, avevo già deciso di non trattenermi al Dodicesimo Tempio bensì d'intraprendere il percorso alla volta della valle sacra.

 

...

 

“Chi si rivede... non hai una bella cera, dormito male?”

Dopo aver udito quelle parole afferrai un pugno di sabbia, gliel'avrei scagliata in faccia, ma lasciai scorrere la rena tra le dita aperte; mi levai in posizione eretta incrociando quello sguardo traboccante di sfrontatezza e indolenza.

“Irritato?” esordì lui, con le mani intrecciate dietro la nuca.

“Non mi metto allo stesso livello di un imbecille” sibilai, voltandomi col chiaro intento di abbandonare l'Arena per raggiungere la postazione più vicina sugli spalti.

Sedetti strofinando i palmi delle mani impolverate contro le ginocchia: forse non era stata una buona idea spingermi fin quaggiù, lo avevo fatto per schiarirmi le idee invece ero ancora più confuso, conclusi scoccando un'occhiata in tralice ai Santi intenti ad allenarsi. Ponderai sulle ragioni che mi avevano indotto a rifuggire la quiete della Dodicesima Casa ed esse mi sovvennero all'istante: desideravo condividere il mio turbamento con qualcuno in particolare e quella persona indisponente non era altri che Death Mask di Cancer, con cui ero solito scherzare, ma anche renderlo partecipe di argomenti che richiedevano un certo riserbo. Instaurammo una comunicazione non verbale, senza tuttavia avvalerci di espedienti telepatici, era uno scambio gestuale. Mi raggiunse e mi ghermì un braccio esortandomi a uscire dall'Anfiteatro: “La tua espressione corrucciata tradisce qualche problema” disse inducendomi a imboccare il percorso lastricato che conduceva fino alla polis. Ripiegai verso la strada sterrata dove avrei potuto parlare lungi dalle orecchie indiscrete delle genti del Santuario, nonché semplici soldati e servitori.

“Nessun problema” negai, in un primo momento. “Solo un po' di preoccupazione dovuta all'intemperanza degli dèi” soggiunsi dopo aver riflettuto.

“Ti ha richiamato?” domandò. Era più arguto di quanto molti pensassero ed era l'unica persona al Santuario, insieme a Capricorn, a essere al corrente di ciò che serbavo gelosamente, quasi fosse un segreto inconfessabile, ma in realtà non avevo mai avuto la necessità di condividerlo con chissà chi. Ero solo un tipo dall'indole riservata, forse troppo.

“Sì, a breve distanza di tempo” annuii facendomi strada tra le fronde. “Credo voglia incontrare mio fratello" confidai emettendo un sospiro di rassegnazione. Non volevo riconoscerlo ma quella situazione mi indisponeva.

“Non sembra essersi mai interessato delle vostre sorti prima d'ora.”

“Esattamente, ma adesso qualcosa, qualcuno, ha risvegliato il suo interesse. Non per affetto, sia chiaro... amore e affezione sono sentimenti umani.” Strinsi i pugni, percorrendo il tratto in discesa che sbucava su un rigagnolo d'acqua dolce ombreggiato da piante ad alto fusto. “Per un semplice capriccio. Tu non puoi immaginare quanto i vizi degli dèi ricalchino quelli dei mortali.”

Sedetti su una sporgenza rocciosa che si affacciava sul ruscello e ansimai rendendomi conto di sudare freddo.

“Dovresti dirgli la verità, prima che la scopra da sé" suggerì Cancer dopo essersi seduto al mio fianco, lanciando un sassolino nell'acqua, un secondo, e poi un terzo. Infrangendo volutamente quel silenzio che si era interposto tra uno scambio di battute e l'altro. Una tranquillità dalla quale sembravo trarre beneficio e che lui stava violando. Gli afferrai il polso in malo modo.

“Ci ho già pensato, ma non ho trovato il sistema di...”

“Cosa ti trattiene?”

“In teoria nulla” ribattei, sebbene dal tono della voce temevo si potesse evincere un certo nervosismo. “Ma ho paura che l'idillio si spezzi. Misty è migliorato, tuttavia l'indole di un individuo non può mutare radicalmente” sbottai, incapace di trattenermi. Dopodiché tacqui intento a fissare una foglia ingiallita trasportata dalla corrente. Si scorgevano i sassi nell'alveo: l'acqua era così limpida da riflettere l'argentea corteccia degli alberi e la chioma cangiante che li sovrastava.

“Non dovresti fasciarti la testa prima di rompertela...”

“Intendo dilatare i tempi il più possibile.”

“Non gli dirai la verità?”

“Non ora” conclusi, pur sapendo che l'attesa di ulteriori sviluppi sarebbe stata solo una scusa per temporeggiare.

 

***

 

II

 

Mi soffermai a scrutare tra il folto fogliame degli alberi, alla ricerca dello scorcio di mare che non si sarebbe mai potuto intravedere da quella posizione. Il pendio sul quale si ergeva il Tempio era distante da quelle sponde e la boscaglia che lo circondava troppo fitta.

Scesi qualche gradino giungendo sullo spiazzo antistante la dimora sacra, affacciandomi sulla scalinata sottostante intervallata da colonne doriche, una svolta a gomito, e poi altre scale bianche e polverose. Sfilai l'elmo trattenendolo sotto un braccio, mi piaceva sentire il vento tra i capelli. Non mi sarei più potuto prendere la libertà di imboccare il sentiero verso il mare Egeo, all'alba, né rompere quei rigidi schemi imposti.

 

Trattenni il respiro per poi rilasciarlo in silenzio, rilassando i muscoli del dorso e delle spalle, mi sentivo rigido e impacciato. Ricollocai l'elmo sul capo come per darmi un contegno autorevole, con lo sguardo vigile, fisso sulla persona che stava sopraggiungendo diretta verso l'ingresso della Settima Casa.

Kanon di Gemini protese un braccio avanti ponendo il palmo della mano contro il pettorale della mia corazza: “Spostati, smidollato, se non vuoi che ti spedisca in un'altra dimensione.” Mi indusse a indietreggiare con malagrazia, affinché gli consentissi di varcare la soglia indisturbato. Assolutamente calmo, ligio al suo temperamento schivo e ombroso, la sua non era un'esternazione scherzosa di quelle cui ero avvezzo udire dalla bocca dei miei ex-commilitoni e, d'istinto, a passarci sopra. No, qualcosa mi suggeriva che Gemini fosse davvero convinto di ciò che affermava. Dischiusi le labbra, dovevo essere rosso in volto sul punto di prorompere in insulti o scagliare un turbine di vento per travolgere quell'insolente. Ma fu solo un fugace pensiero a passarmi per la mente ed evitai di servirmi del mio potere poiché in tal modo avrei infranto il protocollo con gravi conseguenze.

“Non mi hai chiesto il permesso di passare” replicai, limitandomi all'uso della diplomazia. “Se non ti fermi dovrò farlo io. Dovremmo essere tutti rispettosi delle regole, non è il rango o l'età a fare la differenza” insistetti.

Si arrestò a metà strada farfugliando qualcosa e si voltò atteggiando le labbra in una parvenza di riso sardonico, ma nel contempo sembrava serio, imperturbabile. Mi sentivo così a disagio da non riuscire a sostenere il suo sguardo, come se avesse il potere di minare la mia autostima, sebbene fossi insignito dell'onere di presidiare la Settima Casa. Ricordai il passato, le testimonianze degli eroi. La differenza abissale che intercorreva tra me e loro, tra le mie e le loro imprese. Il mio labile passaggio in questo mondo, l'insignificante ricordo che vi avevo lasciato sprofondando negli Inferi dove il mio spirito era stato destinato al Cocito e le mie spoglie all'oblio sulla Terra.

Invece lui – come altri – era assurto a gloria nella morte, forte di eclatanti gesta a edificazione dei prescelti, di atti eroici che gli erano valsi la redenzione.

“Sono stato convocato al Tredicesimo Tempio, e non sono tenuto a dare spiegazioni a uno come te” sentenziò, destandomi da un triste rimuginare.

Sì, aveva quasi il doppio dei miei anni, ma proprio per questo avrebbe dovuto rapportarsi con un certo riguardo e porsi da esempio. Fremetti, non risposi ma gli girai le spalle temendo di far trasparire emozioni che mi avrebbero reso vulnerabile ai suoi occhi. Era una replica inammissibile, la sua, intrisa del peggior disprezzo.

Rientrai attraversando le sale del Tempio per raggiungere il naos. Serrai le labbra per non imprecare e sfilai l'elmo. Pezzo dopo pezzo, mi liberai dagli altri elementi disponendoli con deferente attenzione a ricomporre il Totem che riluceva con rinnovata intensità in quell'antro semibuio, rischiarandolo, investendo anche il mio volto di un bagliore fulgido: era magnifico, regale. Non ne sono degno... mi dissi con un groppo in gola, imboccando il corridoio per giungere nelle stanze private al fine di recuperare la semplice uniforme di addestramento. A cosa mi sarebbe servito indossare le Sacre Vestigia se non avevo voce in capitolo tra i parigrado? A nulla, non mi sarebbe servito a nulla. Eppure l'armatura mi aveva scelto nonostante i più sembrassero reputarmi un incapace, ero confuso, di chi dovevo fidarmi? In cosa dovevo credere? Ero combattuto tra il sentirmi una persona speciale o una completa nullità; il modo in cui mi trattavano mi esortava a convincermi di una cosa o dell'altra, ogni volta, neanche fossi una banderuola in balia del vento.

Uscii per inumidirmi le mani sotto il getto della fontana e passarmele sul viso per lavare via le lacrime, dovevo cancellarle affinché nessuno le scorgesse solcarmi il volto. Inspirai lentamente, ero riuscito a mantenere la calma con un atteggiamento consono al mio ruolo. Dovevo ritenermi orgoglioso di me stesso.

Occupai lo spazio a ridosso del basamento di una colonna, smarrendo lo sguardo tra le fronde ondeggianti delle piante a foglie caduche che circondavano il Tempio. Riflettei e pervenni alla conclusione che alcuni timori fossero fondati: non era più una questione di scarsa fiducia nelle mie possibilità. Dovevo affrontare la fase più difficile, alcuni Santi mi erano ostili a causa di una radicata avversione; purtroppo il passato non si poteva cancellare perché era ben impresso nella memoria di ognuno – disonorevole o edificante che fosse – e il mio era stato inglorioso, non riuscivo a dimenticarlo del tutto. Mi rialzai prendendo un respiro, non potevo più permettermi di soggiacere alle insinuazioni, più o meno esplicitate, di alcuni Santi. Tutto ciò non faceva che ferirmi nell'orgoglio e provocarmi dolore, come una lama che affonda nella carne. Avevo bisogno di nuove e costanti conferme ma erano passati solo pochi giorni dall'investitura ed era assurdo pretendere che lo stato attuale mutasse come per magia; sentivo di dover agire affinché qualcosa si smuovesse. Savoir-faire... non era una dote che mi mancava sebbene, a volte, stentassi a reprimere l'istinto di affrontare le incomprensioni in modo diretto.

 

...

 

Le bandelle dei battenti ruotarono nei cardini, mi apprestai ad accedere nella Sala delle Udienze senza previa autorizzazione; avevo glissato sulle domande poste da Aphrodite ed eluso il presidio di sentinelle preposte alla sorveglianza con una scusa. I sentimenti avevano sopraffatto il raziocinio – come spesso accadeva.

Il rumore echeggiò nella volta a cassettoni. Dohko si stava intrattenendo a parlare col gemello di Saga – due sagome ammantate da un'aura argentea sullo sfondo cinereo – ma udì e scorse la mia presenza da lungi. Alzò una mano nell'atto di interrompere la conversazione e, con l'altra, fece cenno di avanzare. Non ero ancora riuscito a inquadrare i sentimenti di quell'uomo: a volte sembrava ostile, a volte conciliante, sebbene presumessi che in quel frangente mi avrebbe trattato come terzo incomodo. Ero convinto che l'udienza fosse già terminata da un pezzo e mi sbagliavo perché era stata più lunga del previsto, sembrava avessero ancora molte cose da dirsi. Avevo calcolato male i tempi ma non m'importava, ero determinato più che mai a esporre le mie ragioni.

Mi piegai per poi assurgere – odiavo quei convenevoli – e, nel mentre, i due persistettero a fissarmi in silenzio. Provai un fastidioso imbarazzo.

“A cosa dobbiamo questa intrusione inopportuna?”

“Dovrei parlare con voi...” ribattei avvolgendo come d'abitudine un ricciolo tra le dita e rivolsi al tempo stesso uno sguardo obliquo a Kanon, lo scrutai da capo a piedi a sua insaputa. “In privato” sottolineai, scandendo le parole.

“Stai abusando della mia pazienza, oltre ad aver violato uno dei precetti. Ma, grazie agli dèi, mi trovi ben disposto, terminata quest'udienza mi premurerò di ascoltarti” disse Dohko indicandomi la biblioteca adiacente alla sala, e a quelle parole un rivolo di sudore mi colò lungo il volto, forse avevo osato troppo senza avvedermene per tempo.

 

...

 

Ero assorto, intento a sfogliare un libro illustrato, quei manoscritti avevano già catturato il mio interesse in altre circostanze. Mi voltai quando udii Dohko schiarirsi la voce in modo da destare la mia attenzione, non avevo avvertito la sua presenza alle mie spalle.

“Esponi pure il tuo problema" esortò, dopo essersi sfilato il copricapo e averlo deposto sul tavolo. Lo fissai badando a non lasciar trapelare alcuna emozione.

Deposi il volume sul ripiano dove lo avevo preso, sperando che il disagio improvviso non trasparisse dal volto che sentii avvampare. Presagii che la mia determinazione sarebbe ben presto sfociata in argomentazioni prive di mordente. Il Sommo sedette senza invitarmi a occupare la poltrona di fronte alla scrivania, forse intenzionato a liquidarmi in fretta.

“Quell'individuo mi esaspera...” esordii, esponendo i dettagli dell'alterco con Kanon, mentre con un dito rimuovevo un velo di polvere dalle volute di uno specchio barocco appeso alla parete; soffermandomi – con discrezione – sull'immagine riflessa. Mi ero ripromesso di non esternare il mio nervosismo ma stavo fallendo miseramente.

Il Sommo non interloquì lasciando che continuassi aggrottando, di tanto in tanto, le sopracciglia folte. Ascoltò con infinita pazienza lo sfogo che definì puerile senza mezzi termini, ferendo i miei sentimenti, incurante di avermi recato un'offesa. Credetti di odiarlo in quel momento. Abbandonò le mani in grembo rigirando i pollici.

“E sei giunto fin qui per tediarmi con queste sciocchezze?” soggiunse dopo aver afferrato i braccioli del seggio per levarsi in piedi. Il pesante scranno si mosse stridendo contro il pavimento.

“Sciocchezze? E se lo avesse fatto con voi!?”

Dohko arrivò a fronteggiarmi in modo che ci trovassimo viso a viso, occhi negli occhi, serrai le palpebre intimorito perché temevo fosse intenzionato a colpirmi.

“Kanon di Gemini ha agito con cognizione di causa. Sta a te saper distinguere tra buone o cattive intenzioni ma non hai ancora maturato capacità di discernimento” incalzò.

Mi stavano salendo le lacrime agli occhi e deglutii facendo attenzione a non sbattere le ciglia.

“Non m'interessano gli improperi che vi scambiate. Ciò non costituisce un problema, una motivazione valida che giustifichi l'azione di aver varcato la soglia del Tredicesimo Tempio senza essere stato convocato. E sono magnanimo... se ci fosse stato Shion, al mio posto, non l'avresti passata liscia.” Mi redarguì. Quelle parole sottintendevano e confermavano quanto il Santuario fosse un'istituzione permeata da ipocrisia; falso moralismo da esibire a seconda delle occasioni.

“Le vostre affermazioni contraddicono il fatto che io sia deputato alla custodia delle dodici armi” ribattei con tutto il coraggio di cui potessi disporre ma Dohko ignorò – di proposito, credo – le mie provocazioni, senza lasciarsi prevaricare dalla collera che stava montando poco a poco, riuscivo a percepire l'intensità del suo cosmo.

“Adesso torna a presidiare la Settima Casa, non è un compito così difficile” ordinò gelido, indicando la porta.

“Gran Sacerdote...” insistetti lottando con lo sguardo, sebbene stentassi a sostenere l'intensità di quelle iridi smeraldine che mi scrutavano con piglio inquisitorio. “Ho saputo che alcuni apprendisti si contenderanno le Sacre Vestigia d'Argento. Perché non mi avete assegnato alcun allievo?”

“Perché devi ancora assimilare le competenze relative al ruolo che ricopri, e quest'oggi ne hai dato ulteriore prova. Alcuni Santi non sono predisposti all'insegnamento. Niente di personale" spiegò facendo strada verso l'uscita. Provai rancore verso di lui, verso quel luogo... nei confronti dei Santi di Bronzo che avevano il privilegio di condurre un'esistenza normale a villa Kido. Quella conversazione aveva rievocato fantasmi dalla mia coscienza, un astio che credevo ormai sopito.

 

 

Percorsi il tragitto all'inverso, costeggiando la distesa di rose occhieggianti al mio passaggio. Udii il frullo d'ali di una civetta che mi tagliò la strada, distraendomi, facendomi volgere gli occhi al cielo e alle prime stelle che si accendevano all'imbrunire.

Quell'atteggiamento ostile dimostrava quanto a Dohko non fosse andato giù il fatto che avessi ottenuto l'armatura di Libra al posto di Shiryu. Non avevo le prove ma ne ero più che certo. Oltrepassai la soglia della Dodicesima Casa e svoltai in direzione del roseto, imboccando il portico colonnato che mi avrebbe condotto all'ingresso sul giardino. Sapevo che, a quell'ora, il mio mentore era solito concedersi un diversivo leggendo un libro, sorseggiando una tisana o del tè che avrebbe condiviso volentieri. Desideravo confidargli l'ennesima disavventura, forse avrei trovato una spalla su cui piangere; oppure no, e Pisces avrebbe rincarato la dose ponendo l'accento sulla mia stupidità. Cambiai idea, non gli avrei detto nulla.

Lo trovai seduto sulla panchina, sotto il pergolato, sembrava confondersi con le ombre del crepuscolo. Quella sua figura solitaria rifulgeva di una pallida aura contrapposta al vermiglio delle rose che ondeggiavano nella brezza come un mare inquieto. Mi avvicinai notando gli occhi cerchiati spiccare sul volto terreo. Aphrodite languiva avvolto nel mantello di lana, con un'aria stanca, ma si riscosse in mia presenza ravviandosi la chioma fluente come la spuma del mare – era sempre così bello, perfetto come le sfaccettature di un diamante. Sganciò l'alamaro che tratteneva la clamide bianca per riporla con cura accanto a sé.

“Ho pensato che non ti saresti fermato. Avevi qualcosa d'importante da comunicare al Gran Sacerdote?” Si premurò di versarmi del tè nell'unica tazza di cui disponeva al momento.

“Niente d'importante. Tu, invece? Andavo di fretta ma non mi è sfuggito il tuo volto stanco, posso rendermi utile?” interloquii staccando un frutto dalla pianta di agrumi.

“No, piccolo Misty. Sono un po' debilitato. Sarà a causa dell'insonnia, ma non è niente di preoccupante.”

“Hai provato con un infuso di valeriana? Dicono sia efficace contro i disturbi del sonno.” Gli suggerii mentre ero intento a dividere il limone a metà con un temperino per spremerne il succo nella bevanda. Accostai la tazza di tè fumante alle labbra, deglutendo a piccoli sorsi, dopodiché la riposi: la mia attenzione fu catturata da un oggetto, appoggiato sul medesimo tavolo, che rifletteva il fastidioso riverbero di una lanterna. Era un piccolo specchio dall'impugnatura e dalla cornice d'argento, finemente cesellato. Lo afferrai per guardarci dentro ma Pisces mi dissuase strappandomelo di mano e abbozzò un sorriso pervaso da blanda insofferenza.

“Ti infastidiscono i miei vezzi...” confermai, incrociando le braccia sul petto.

“Dovresti saperlo” replicò e ripose l'oggetto badando che la superficie riflettente fosse rivolta contro il tavolo. Una reazione prevedibile? Forse no. Mi strofinai il naso, credevo di conoscere Aphrodite come le mie stesse tasche, ma in alcuni momenti non riuscivo a comprenderlo. Mi convinsi che dietro quella forzata e ingiustificata indignazione ci fosse ben altro; il mio mentore sembrava geloso di quell'oggetto insignificante, ma importante per lui a giudicare dalla rapidità con cui me l'aveva sottratto.

 

...

 

Stupido che sono... nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile. Ma adesso sono uno di loro a tutti gli effetti. Cosa temo, di non essere all'altezza? No di certo... sono anche meglio e lo dimostrerò. Ma prima dovrei vincere questa maledetta ritrosia, pensai scrutando i Santi nell'Arena da una posizione elevata: con una mano mi schermavo il viso per riparare gli occhi dal sole aguzzando la vista. Sentii una goccia di sudore scendere lungo le tempie e il collo, un brivido mi percorse la spina dorsale. Assicurai le bende attorno agli avambracci, annodando e tirando con i denti i lembi di tessuto all'estremità. Mi apprestai a scendere le gradinate raggiungendo il cerchio di mura che delimitava l'Arena, spinto da un impulso incontenibile.

Scorsi alcuni membri della mia Casta, tranne Aphrodite, Saga, e pochi altri: osservai Milo e Kanon ingaggiare un fittizio combattimento, poco più di una scaramuccia. Li studiai in silenzio, quel poco che sarebbe servito a carpire alcuni dettagli. Quando Milo decise di abbandonare il campo, allora, mi feci avanti delineando un circolo virtuale con i passi intorno al Santo di Gemini, e questi sorrise. Un prevedibile riso di scherno.

Kanon raccolse tacitamente la sfida e si mosse al contrattacco. Gli altri non interferirono supponendo – probabilmente – che si trattasse di uno scontro amichevole; sebbene credevo ricordassero che non amavo partecipare a quel tipo di giochi, tanto meno frequentare l'Arena. Realizzai di essere mosso da interessi personali e questo era in antitesi con la vocazione di un Santo di Athena, ciononostante non riuscivo a sentirmi in colpa perché non tolleravo l'ingiustizia.

Rifuggivo il contatto fisico e schivai i primi colpi sferrati dall'avversario. Incurante della polvere che si sollevava dal suolo, infiltrandosi tra le vesti, insudiciando volto e capelli, sarei stato altrettanto indifferente alle ferite? Ero certo che alcuni non si spiegassero lo strano comportamento di chi aveva sempre sostenuto il contrario di tutto in contrasto con le virtù di un guerriero. Era strano per loro vedermi rotolare nella sabbia avvinghiato al contendente, per poi svincolarmi, spiccare un balzo e assestargli un paio di poderosi calci in pieno volto. Strano anche per me, in quanto non avrei mai immaginato che l'orgoglio ferito mi spingesse a tal punto – al punto da rendermi incline a lavare l'onta col sangue.

Kanon sputò benché in un primo momento non avesse dato segni di aver accusato il colpo che lo aveva fatto barcollare senza gettarlo a terra. Si ripulì poiché sanguinava anche dal naso. Doveva aver subodorato che facessi sul serio, ravvisando nel mio gesto sleale un sentimento di rivalsa, equiparandolo a un affronto, e se questo fosse stato il suo pensiero, beh... non s'ingannava.
A buon rendere. Accennai quello che doveva essere un vago sorriso.

Era indubbiamente molto forte anche senza ricorrere al cosmo: si avventò contro di me afferrandomi le mani, obbligandomi a una prova di resistenza, e il confronto era impari in quanto a forza. Mi vidi costretto a cedere piegandomi sulle ginocchia. Quando non riuscivo a eguagliare gli avversari ricorrevo ad altri espedienti che, immobile in quella posizione, non mi sovvenivano. Se avesse continuato avrei, di sicuro, avuto la peggio. Dovevo arrendermi? Ebbi un sussulto d'orgoglio e mi rialzai lentamente, quel poco da destabilizzare l'antagonista che lasciò la presa; ma fu un susseguirsi di colpi da parte di quest'ultimo, ripetuti colpi al costato, calci all'addome, al basso ventre. Aveva deciso di reagire alla mia provocazione, con pari se non maggior veemenza, e a giudicare dall'accanimento nei miei confronti realizzai di averlo istigato al punto giusto. Fui sopraffatto da un dolore sordo, viscerale. Resistere, dovevo resistere. Con gli occhi semichiusi e la vista annebbiata osservai quello che aveva fama d'essersi redento, ma – a mio giudizio – privo del carisma di suo fratello Saga. Un essere subdolo. Tossii tenendomi una mano sul ventre, percepivo l'odore e la consistenza della polvere nelle narici e in gola, il sapore del sangue, tuttavia mi trattenni dallo sputare saliva. Non ebbi il tempo di formulare altri pensieri che fui scaraventato contro le mura che racchiudevano l'Arena. Piegato su me stesso dal dolore aprii gli occhi e notai i miei ex-commilitoni discutere – sagome nere contro il cielo terso – non potevo udire le loro parole ma riuscii a intendere che Asterion fosse sul punto di intervenire e Algol lo dissuase. Perseus sapeva bene che non avrei tollerato ingerenze su questioni che non li riguardavano.

Nel frattempo scorsi Milo strattonare a forza Kanon, me ne compiacqui poiché avevo già ottenuto ciò che volevo, ma il mio entusiasmo si raffreddò quando Camus mi si parò davanti puntandomi il dito contro: “Sors d'ici” intimò con la tranquillità abituale. Aquarius era di un'antipatia unica. La favilla di orgoglio che ardeva nel mio cuore non si smorzò nonostante l'imposizione. Fu l'amor proprio a spronarmi a rimettermi in piedi malgrado fossi prossimo a un travaso di bile. La sfida si era conclusa e non potei esimermi dal rallegrarmi vedendo Kanon col volto tumefatto e il naso rotto: una lezione che non avrebbe dimenticato.

 

Algol mi raggiunse apostrofandomi: “Sei un idiota.”

“Come osi...” rimbeccai indignato, accettando di porgli un braccio intorno al collo per farmi aiutare. L'arroganza con cui si poneva nei miei confronti era intollerabile ma faceva ormai parte del nostro rapporto d'amicizia, da lui avrei potuto accettarla senza battere ciglio, o quasi. Era difficile ammettere che, seppur trascorsi solo pochi giorni, ne sentivo la mancanza: mi mancava quella feccia, brillare in mezzo a loro mi faceva sentire importante. Avevo nostalgia della valle sacra, dei Santi d'Argento. Tra i membri di un'élite è arduo primeggiare... realizzai ripensando alla levatura dei Santi con cui dovevo condividere l'onere del mio nuovo status e ciò mi rattristava. La loro nobiltà sembrava mettermi in ombra.

“Senti dolore inspirando? Fai fatica a respirare?” La sua domanda mi destò da quei pensieri e annuii con un flebile cenno. Sì, provavo dolore a tratti insopportabile, tuttavia la soddisfazione riusciva a compensare la sofferenza.

“Allora, è probabile che ci sia qualcosa fuori posto.”

“Hai visto la sua faccia?”

“Sì, l'ho vista, ma adesso andiamo...” Mi rispose Algol con un tono un po' brusco ma usuale da parte sua.

“Non so perché tu l'abbia provocato, ma qualcosa mi dice che avevi una buona ragione per farlo. Quel marciume non ti romperà più le palle, stanne certo...” Una terza persona si era intrufolata nel discorso. Death Mask aveva fatto capolino alle nostre spalle, con un'espressione sibillina impressa sul volto; una favilla baluginò in quegli occhi blu pervasi dall'arroganza di chi è sicuro di sé.

“Devo prenderlo come un complimento?” ribattei con sarcasmo.

“Prendilo come vuoi” soggiunse, allungando il passo per dirigersi altrove.

 

...

 

Avevo lasciato Algol là fuori, seduto su un gradino della rampa, sapeva che sarei comparso da un momento all'altro. Avrebbe desiderato aiutarmi, accertate le mie condizioni; ma nulla poteva se non rispettare la mia volontà, malgrado avessi l'assoluta certezza che non sarebbe riuscito a contenere l'impulso irrefrenabile. Infatti squarciò quella cortina di riservatezza, eludendo il divario gerarchico successivo all'investitura che si era frapposto tra noi, inoltrandosi per la prima volta nelle stanze private della Settima Casa.

Languivo immerso nella vasca quadrangolare e rilevai la sua presenza dopo aver udito alcuni passi. Feci finta di nulla, ero concentrato su me stesso – sul dolore che provavo, un vanto per qualcuno, ma non secondo la mia personale concezione del valore – mi sforzai di inspirare più a fondo sebbene fitte lancinanti mi trafiggessero a ogni tentativo. Avevo rimosso gli indumenti temendo di scorgere lividi, graffi e abrasioni. Erano ferite superficiali, di poco conto, ma non riuscivo a sopportare l'idea che deturpassero la mia purezza... Alzai gli occhi e mi riscossi dai pensieri, degnando Algol della mia attenzione. Ero troppo stanco per rispedirlo indietro. Mi alzai in piedi uscendo dall'acqua. Mi lusingava la consapevolezza di quanto ad altrui sguardo apparissi alla stregua di una visione sublime – fuorviante – nella cornice dei marmi, delle statue opalescenti: l'emblema della perfezione esteriore, a dispetto delle contraddizioni che si dibattevano del mio animo. Scorsi miriadi di scintille luminose attraverso le palpebre chiuse e il capo iniziò a dolermi. Non dissi nulla lasciando che si accostasse alle mie spalle offrendomi il telo per asciugarmi.

Gli concessi di accompagnarmi nella mia stanza. Era una sala rivolta a nord - dove la luce del tramonto filtrava attraverso i tendaggi e ne riproduceva la trama, riflettendosi contro le pareti - di un'eleganza austera, dovevo ancora abituarmici.

“Non hai chiesto spiegazioni riguardo ciò che è successo” esordii mosso da semplice curiosità.

“Non credo tu me ne debba, hai agito in accordo con i tuoi principi.”

“Ti ringrazio” replicai, riconoscente a mio modo per la sua discrezione; un insolito riserbo, a dire il vero, considerando l'indole del personaggio. Meglio così, conclusi senza pormi altre domande.

“Ricordati di non trattenerti dall'inspirare profondamente, anche se fa male.” Mi raccomandò prima di andarsene. “A domani.”

 

***

 

III

 

Mi ero messo in disparte, dopo aver visto Saga intenzionato a discutere con suo fratello Kanon, il quale era giunto all'improvviso interrompendo la nostra conversazione.

“Cos'è successo l'altro giorno? Conosco quella persona abbastanza bene, e non è sua abitudine attaccare briga senza un motivo valido.” Saga interrogò Kanon di ritorno da un breve incarico assegnatogli dal Gran Sacerdote. Stazionava immobile sulla soglia della Terza Casa – tra i bassorilievi speculari dei Gemelli – intenzionato a impedirgli l'accesso, e Kanon, dal canto suo, fece spallucce avendo notato il cipiglio del fratello. Prese tempo...
Mi domandavo di chi stessero parlando.

“Non ti smentisci. Sempre a sentenziare come se tu fossi un esempio di perfezione...” sbuffò Kanon, levando gli occhi al cielo. In verità sembrava essere lui a non smentirsi. Continuai ad assistere, appartato in un angolo, senza prendere parte al diverbio.

“Non mi reputo migliore di te.” Gli rispose Saga con una certa condiscendenza. In fondo lo aveva perdonato, conosceva il suo percorso, quantunque alcuni difetti insiti nell'indole umana non si potessero cancellare, né smussare.

“Se proprio insisti... ti dirò che l'attuale Custode della Settima Casa è quanto di meno adatto possa esserci a ricoprire quel ruolo” esordì il gemello minore, un vago sorriso s'impresse sul volto che recava i postumi di una lotta. “Ma l'ho apostrofato per divertimento, come si fa tra compagni d'arme.” Si schermì con un contegno tutt'altro che scherzoso.

Era finalmente chiaro a chi si riferisse. Le solite bambinate di cui ne avevo fin sopra ai capelli...

“Allora ha fatto bene a spaccartela quella faccia di bronzo. Ed è stato astuto a farlo in un contesto neutro.” Uhm, interessante... Saga sembrava essersi fatto serio, il suo tono si era inasprito, ma in realtà era un riflesso condizionato, istigato dalla pungente ironia dell'altro, una peculiarità che sembrava persistere anche nella nuova vita. Lo vidi sospirare, concentrarsi sulla visuale splendida dell'Attica che si stagliava da quella posizione – forse per prendere tempo – lasciando libero l'accesso al Tempio.

Kanon increspò le labbra abbozzando un sorriso, ponendo una mano sulla spalla del fratello. “Non cambio opinione in merito” concluse.

La controparte scosse il capo in segno di disapprovazione e fece un passo indietro, non sembrava intenzionato a infierire.

 

Mi scostai dalla balaustra rigirando la rosa tra le dita, ne collocai lo stelo tra i denti per avere le mani libere in modo da poter calzare l'elmo. Mi congedai da Saga, avevo discusso con lui di problemi relativi alla ripartizione degli oneri prima di assistere al siparietto con Kanon...

E così il mio discepolo e il gemello di Saga si erano accapigliati per un motivo talmente futile da rasentare il ridicolo. Misty avrebbe dovuto soprassedere, ma era più permaloso e vendicativo di quanto non si evincesse dal suo serafico contegno. Risolsi di far finta di nulla... non ne avrei fatto parola con lui, nemmeno per avere un chiarimento dal suo punto di vista.

Mi approssimai alle scale intraprendendo il percorso in salita. D'un tratto, dalla svolta che precedeva la rampa verso la Settima Casa, comparve il Santo di Perseus. Mi rivolse un saluto di circostanza che non degnai di ricambiare se non con un cenno d'insofferenza. Quell'incontro ebbe l'effetto di smuovere qualcosa dentro di me e non era un sentimento conciliante.

Si trattava di un Santo di rango inferiore e non doveva trovarsi qui, bensì nell'area che circoscriveva la valle sacra. Era quello il compito dei Santi d'Argento. Mi si contorsero le viscere dall'indignazione perché intuivo da dove provenisse. Un momento, mi dissi, se è giunto fin quassù è perché qualcuno gliel'ha consentito... e come mai non l'ho incrociato prima?

Doveva essere sbucato alla Settima percorrendo un sentiero alternativo. Malgrado quella considerazione razionale non riuscii a frenare i miei istinti. Emisi un sospiro e inspirai per incamerare una sufficiente quantità d'aria nei polmoni e ossigenare il cervello. Calmo, dovevo restare calmo.

Incontrai Misty in prossimità dell'ingresso ad arco aperto tra le colonne e la trabeazione del Tempio: la consueta espressione innocente impressa sul volto d'angelo, uno sguardo annacquato, languido, dal quale traspariva quella parte d'indole remissiva e senza nerbo che aborrivo – in antitesi al suo contegno arrogante. Come se due personalità distinte convivessero nello stesso essere.

“Ciao, Pisces” esordì il mio dolce fratellino.

“Non indossi la tua armatura, come mai? Durante il presidio quotidiano dovresti indossarla” osservai.

“Ah, sì. È vero” replicò senza opporre alcuna giustificazione, un simile atteggiamento denotava una leggerezza imbarazzante. Mi infastidiva quella superficialità da parte sua.

“Mi sono imbattuto in uno dei tuoi ex-commilitoni, i Santi di rango inferiore non dovrebbero mettere piede sull'Acropoli, a meno che non siano convocati dal Sommo in persona.”

“Io lo facevo.” Si schermì. Forse credeva che quel pretesto gli avrebbe offerto una scusante.

“Tu sei il mio discepolo. Perseus chi sarebbe? Cosa rappresenta per te?” sbottai in preda a un incontenibile furore. Mi balenò un dubbio: che la mia non fosse gelosia? No, che assurdità!

Misty mi fissò perplesso, e convenni si fosse persuaso di non rispondere.

“Sei pregato di porre fine alla vostra tresca, almeno in questo luogo, per decenza. Sei deputato a presidiare una dimora sacra, e l'accesso all'Acropoli è precluso ai Santi d'Argento e di Bronzo. Qualunque rapporto tu abbia con quell'individuo, fa che non si consumi tra queste mura. Non puoi fare sempre tutto ciò che vuoi.” Ebbi appena il tempo di pronunciare l'ultima parola che un vortice di vento mi travolse scaraventandomi contro una colonna. Mi si oscurò la vista, la schiena doleva in modo atroce, come se una lama si fosse conficcata tra le vertebre; realizzai di aver sbattuto la testa udendo lo sferragliare dell'elmo scalzato che rotolava giù dalle scale. Saggiai il sapore metallico del sangue in bocca.

“Non è accaduto nulla di ciò che sospetti, le tue sono solo vergognose insinuazioni.”

Quelle parole giunsero alle mie orecchie come un sussurro appena percettibile. Mi riebbi, incolume, il tempo di mettere a fuoco l'immagine che si stagliò nel mio campo visivo: un turbine di fiamme parve sfavillare in quello sguardo altero, simile al bagliore del sole che permeava di riflessi la chioma fulva. Mi soffermai a guardarlo, istupidito, prima di riprendermi completamente.

Presi un respiro per raccogliere le idee, se la mia collera si fosse abbattuta su di lui lo avrei annientato in virtù dei miei poteri. Lo fissai con uno sguardo che forse ebbe facoltà di intimorirlo, si evinceva dal pallore che il volto acquisì in brevi istanti, dagli occhi sbarrati... vacui. Avrebbe pagato il fio per la sua insolenza.

“Adesso basta.” Lo afferrai per la tunica e il tessuto cedette, strappandosi, forse era l'ira ad accrescere il mio impeto. Privo delle Sacre Vestigia mi dava l'impressione di essere fragile come un vaso di vetro, lo sospinsi scagliandolo contro la parete, dove sbatté violentemente il capo. E poi lo riagguantai per un brandello di stoffa, senza alcun rimorso per la mia condotta. Ricordai di aver avuto degli screzi non dissimili in passato ma, nel momento in cui mi apprestai a colpirlo, ebbi un ripensamento. No, non dovevo abbassarmi allo stesso livello di quel narciso tronfio di presunzione, ritrassi la mano e lo lasciai andare.

Udii la voce di qualcuno, alle mie spalle, del quale riconobbi l'intensità del cosmo: “Che succede qui!?”

Scorpio...

Non risposi e non mi voltai, soffermandomi a osservare il volto angelico di mio fratello: corrugò le sopracciglia dal disappunto e una favilla luccicò negli occhi azzurri, li aveva alzati sfoderando un enigmatico sguardo. Non si era pentito, ne ero certo, tuttavia qualcosa in quell'espressione sprezzante tradiva arrendevolezza – o disillusione – che mi indusse a trattenermi dall'accanirmi con insulti. Mi riscossi da quella fascinazione senza lasciarmi intenerire, era di sicuro una tattica per manipolarmi a suo piacimento. Misty non aveva ancora acquisito la maturità necessaria per svolgere il suo compito.

“Farò rapporto” sentenziai lapidario.

Il Santo dell'Ottava Casa mi guardò esterrefatto, non aveva idea di cosa avesse innescato la mia reazione.

“Ha usato il cosmo contro di me senza alcun motivo.”

Milo non si oppose, apprendendo le mie ragioni, forse perché il comportamento del mio discepolo non aveva scusanti; sebbene lessi in quello sguardo un'esortazione che mi voleva incline alla diplomazia. Ma non riuscivo a immedesimarmi nel suo sentire, io ero io... non tolleravo un attacco alla mia persona, sarei stato intransigente.

Girai sui tacchi recuperando l'elmo ai piedi della rampa, e mi diressi verso il Tredicesimo Tempio.

 

...

 

Dopo avermi annunciato, un servitore mi condusse in uno dei giardini racchiusi nell'intimità silente della corte. Non ci speravo, temevo che il Sommo mi negasse l'udienza in un ordinario momento della giornata. Invece mi aspettava all'ombra del portico nel quale, a spezzare la quiete, echeggiò il solo scandire dei miei passi e il soffio blando del vento che spirava a recarmi un po' di sollievo. Ero accaldato e stanco.

Dohko indossava gli abiti civili, mi scrutò con attenzione avanti di pronunciare qualsiasi parola, mi stava studiando, forse non ero così abile a dissimulare l'inquietudine come avevo sempre creduto di saper fare. Doveva essere a causa dei miei trascorsi: mi ero dimostrato così subdolo in passato da ritrovarmi a essere fin troppo trasparente nel presente, quasi per contrappasso. Il Sommo mi indusse a rilassarmi in virtù di un espressivo moto dello sguardo, trasponendomi la tranquillità necessaria.

“Sei nervoso” esordì, infrangendo la solennità del silenzio che pervadeva quel luogo, esortandomi a levare lo sguardo che avevo sviato ostinandomi a mantenerlo fisso sul lastricato di pietra. “Solo a mente fredda sarai in grado di riportare correttamente i fatti.”

Sospirai. Dokho conservava immutato il discernimento – ad appannaggio del vegliardo – nelle sembianze di un uomo giovane e forte; e le sue parole erano rassicuranti, quel tanto da indurmi a riordinare i pensieri nel tentativo di esporli senza eccessivo trasporto. Risolsi di confidargli ogni cosa e lui se ne stette in ascolto con due dita accostate al volto, investito di lodevole compostezza e, di concerto, anche la mia collera sbollì.

Sfilai l'elmo deponendolo sul parapetto di marmo, scostando ciocche di capelli impregnate del sudore che mi colava lungo la fronte.

“Cosa dovrei fare secondo te, Pisces?” Domandò, dopo essersi attardato a pensare, probabilmente immerso in una riflessione volta a produrre la conclusione adeguata. Quell'interrogativo sortì l'effetto di accrescere il mio disappunto, ma speravo che il mio scaltro interlocutore non se ne avvedesse, dopo avermi esortato, già una volta, a mantenere la calma.

“Ma voi non siete indignato?” replicai.

“Hai le prove di ciò che sostieni? Hai assistito con i tuoi occhi a riprova di quanto affermi?” Ebbene sì, dovetti ammettere che Dohko mi colse impreparato e la sua replica mi ridusse al silenzio.

“Vedi? Non sai rispondermi. Pertanto le tue sono semplici illazioni, nulla di più. Accusare una persona sulla base di mere supposizioni equivale a calunniarla” soggiunse in difesa di Misty, volgendomi le spalle. No, era troppo, non riuscivo a concepirlo nella mia mentalità gretta e rigida.

“Concordo con voi in merito a questo punto, ma che dire a proposito dell'aggressione nei miei confronti? Se avesse avuto la coscienza pulita non avrebbe osato!”

“Calmati. Non puoi affermarlo con certezza. È sbagliato generalizzare basandosi sul principio di causa-effetto.” Si voltò fissandomi con gli occhi di giada, non lo si poteva contraddire poiché, pur senza imporsi, si poneva con disarmante assennatezza. Ma ero così adirato da volerlo istigare contro Misty, e purtroppo quell'affronto aveva riesumato il lato più spregevole del mio essere.

“Non prenderete provvedimenti? Lascerete correre!?” incalzai con insistenza tanto ch'egli – ne fui certo – colse il mio intento malevolo.

“Anche le parole possono offendere se usate a sproposito, si dice feriscano più della spada. Possono ledere o rafforzare l'autostima di un individuo. Pensaci.”

“Provo troppo sdegno per essere concorde con voi.”

“Sei orgoglioso. È diverso. Metti da parte l'orgoglio; il tuo discepolo ha bisogno del tempo necessario per assuefarsi a quello che per lui è stato un drastico cambiamento.” Dohko riuscì a zittirmi, non riuscivo a discernere che sagome distorte, gli occhi si erano velati di lacrime, di lì a poco mi avrebbero solcato le guance. Avevo ancora un lungo percorso da compiere per giungere a quella rettitudine che credevo a portata di mano.

 

 

 

 

 

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: PiscesNoAphrodite