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Autore: Alice Jane Raynor    11/10/2019    0 recensioni
ROMANZO A PUNTATE - Ogni due settimane posterò un nuovo capitolo. Potrete leggere l'anteprima sul mio blog.
TRAMA
Dicono che chi ama la musica non possa essere malvagio. Non è così, altrimenti i musicisti non spezzerebbero i cuori.
Da qualche anno Sofia frequenta il conservatorio e la sua vita viene travolta in pieno dalle sensazioni dell'adolescenza, come l'amicizia e l'amore. Si ritrova a dipendere da un cellulare che non lampeggia e dalla volontà capricciosa di chi le ha rubato il cuore.
Ma Sofia non è fatta per essere schiava di un sentimento che le ha rubato la tranquillità.
Sofia riuscirà a dire il fatidico no e allontanarsi da una persona che le sta facendo del male? Oppure si sottometterà alle regole dell'amore e dirà di no al suo orgoglio?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Ero davanti la porta del maestro Reau da qualche minuto ormai. Fissavo il legno graffiato in cerca di coraggio. Inoltre dall’interno sentivo suonare ed ero troppo in imbarazzo per interrompere chiunque fosse lì dentro. Non mi sentivo in confidenza e non volevo mancare di rispetto a un maestro che voleva aiutarmi. Sarebbe stato un inizio catastrofico.

Carmela mi fissava ma non fiatava. Forse finalmente l’ansia aveva fatto effetto sulla sua parlantina. Anche lei sembrava restia ad aprire la porta, tutta la sua spavalderia si era persa in un nonnulla. Aveva provato prima a spingermi ad aprire ma al mio cenno, riferito alla lezione in corso, si era ammutolita.

Stavo lì per trovare il coraggio per bussare, quando la porta si aprì sotto il mio naso. Mi ritirai quel tanto per evitare la porta in faccia e feci la mia prima figuraccia.

«Ciao Carmela, questa penso sia la tua amica. Non dovevate entrare?»

Non era ancora ciò che mi aspettassi da un pianista ma era molto più giovane del maestro Gimmo, dai capelli e gli occhi mori. Tutti i suoi tratti rivelavano una certa gentilezza e anche le sue parole lo erano state. Nei suoi occhi si poteva leggere un certo scintillio di divertimento e cordialità. Non mi sentivo a mio agio con la gentilezza: non ero abituata a riceverne. Oltretutto non dopo aver fatto una scenata prima ancora di cominciare a suonare.

«Sì, lei è Sofia, è di lei che abbiamo parlato a telefono!»

Al gesto dell’uomo mi ero affrettata a entrare in aula e per fortuna non poté vedere il mio viso quando sentii Carmela alle spalle dire questa cosa. Ero stata oggetto di una chiacchiera? L’imbarazzo cresceva a dismisura.

«È un po’ timida, ma vi troverete bene».

Un altro colpo al cuore. Capivo di essere riservata e spesso impacciata, ma potevo gestire la situazione senza queste raccomandazioni. Forse avrei dovuto provare gratitudine per Carmela, ma non riuscivo a provarne. Aprii la borsa e ripercorsi con gli occhi lo spartito del Valzer di Brahms op. 39 n. 15, il pezzo che dovevo portare all’esame. Non era molto difficile, anche se il passaggio finale mi suggestionava al punto di sbagliarlo sempre anche se lo avevo studiato più volte. Ero anche preoccupata per una questione di suono. Spesso non mi sentivo e ancora non avevo un orecchio ben raffinato. Desideravo il giudizio di un estraneo e competente perché mi avrebbe aiutato a crescere; ne avevo paura perché avrebbe potuto ritenermi inadatta a suonare. La porta si chiuse, lasciando fuori Carmela. Mi sentivo cattiva a pensarlo, ma respiravo più liberamente.

Il maestro Reau sorrideva ma mi guardava di sfuggita, per non mettermi né imbarazzo né pressione. Mi sentii più sollevata dalle preoccupazioni che avevo nel petto. Aprì la finestra e iniziò una banale conversazione per rompere il ghiaccio.

«Sofia è un bel nome, da queste parti l’ho sentito ben poco. Da quanto ho capito usate sempre gli stessi nomi della famiglia qui. Hai delle origini greche?»

Mi fermai a metà dall’aggiustare i fogli sul leggio. Mi passai una mano tra i capelli. Non era la prima volta che me lo chiedevano, ma non ne avevo mai capito il motivo. Non poteva essere il nome: me lo chiedevano a volte anche senza conoscerlo. Credevo fosse perché avevo la pelle chiara e i capelli e gli occhi scuri, a differenza dei tratti italiani e spagnoli che spesso avevano una carnagione più scura. Il bello è che non avevo mai incontrato un greco, quindi non sapevo dire se questa ipotesi che mi ero fatta in testa corrispondesse al vero.

«No!»

Avevo risposto più duramente di quanto volessi. Lo vidi strabuzzare gli occhi, mi affrettai a mitigare i toni.

«Non è la prima volta che me lo chiedono».

Ottimo! Complimenti, questa sì che è la sdrammatizzazione del secolo. Perché fossi sarcastica solo nei pensieri, rimaneva un mistero.

Ci scambiammo qualche altro discorso formale. Mi chiese anche del maestro Gimmo. Apprezzai il fatto che non parlasse male di un suo collega anche se un’allieva aveva fatto delle rimostranze. Rimasi sul vago, non sapendo ancora cosa dire al riguardo. Oltretutto dovevo fidarmi di lui e per il momento non me la sentivo di lasciarmi troppo coinvolgere dalla sua disponibilità. Poteva essere una trappola o semplicemente non avevamo nessun tipo di affinità. Alla sua richiesta suonai, cercando di fare del mio meglio.

Respirai profondamente prima di cominciare, immaginavo i suoni e le sfumature che volevo fare. Sfiorai i tasti con incertezza, le dita presero a tremare e la mia mente pensò ad altro. Da un lato mi sforzai di andare avanti nonostante stessi suonando malissimo, dall’altro sentivo tutte le imprudenze appena fatte passarmi sotto gli occhi. Sentivo anche la rabbia per Carmela emergere e l’imbarazzo sempre più crescente di farsi sentire in quelle condizioni penose da un maestro, a detta di molti, molto bravo.

Conclusi il pezzo senza fermarmi, sbagliai il finale e sporcai tutto il suono. Era appena una pagina scarsa ma quando finii mi sentivo distrutta. Quasi non osavo guardare in volto il maestro. Mi sentivo di averlo disturbato inutilmente.

Lui non mi sgridò, né diede a vedere un malcontento, se ne aveva. Mi aiutò a migliorare alcuni punti e mi dedicò del tempo per raffinare alcune parti. Cercai di eseguire tutto ciò che mi diceva e cercavo di mantenerlo nella mia memoria. C’era però un altro pensiero che aveva preso a farmi tremare le mani.

Non si scollò di dosso nemmeno quando uscii dall’aula, soddisfatta di tutte le informazioni e conoscenze che mi erano state affidate. Accesi lo schermo del telefono, sperando di trovare qualcosa.

Era vuoto. Nessuno mi aveva scritto.

Mi sentii rattristata e per tutto il tragitto verso casa non potei evitare di accendere e spegnere lo schermo, in attesa di una notifica che non arrivava mai.

Carmela poi si fece sentire. Non mi chiese come fosse andata ma mi chiedeva se il maestro non fosse meraviglioso e da sposare. Questa discussione mi metteva a disagio. Un po’ mi sentii anche invidiosa nel pensare che lei poteva scrivere a lui e che magari sparlassero di me. Avevo letto delle loro chat, il maestro Reau sembrava molto alla mano su queste faccende.

Non volevo che si parlasse di me.

Ma da qui a pensare che si potesse pensare a un matrimonio con lui era tutt’altra questione.

   
 
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