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Autore: Celtica    11/10/2019    4 recensioni
Soulmate!AU! SanSan
Sandor lavora in un bar, e Sansa è cliente.
A Sandor piace Sansa, ma non trova il coraggio di avvicinarsi. Quando finalmente si decide ad andare a parlare con lei, entra Petyr e le siede vicino.
Questa storia è ispirata a un prompt di Relie Diadamat, e partecipa alla Ottobre Challenge: Trick or Treat? indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joffrey Baratheon, Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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2. Chiuso

Questa storia partecipa a Ottobre Challenge: Trick or Treat? Indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp.
Prompt: coprire le spalle di qualcuno.

 

 

Chiuso

 

 

 
Non c’era più nessuno nel locale, solo loro. E Sandor sapeva di non aver bisogno di girare il cartello su “Chiuso”, che la voce si sarebbe sparsa in fretta e nessun individuo si sarebbe avventurato lì dentro. Non quel giorno.
Sansa fece un altro passo indietro. «Mi fai paura. Voglio andare via.»

«Tutto ti fa paura. Allora vattene, uccelletto.»

«Uccelletto?» bisbigliò lei, indietreggiando. «Vorrei andarmene, ma ci sei tu tra me e la porta.»
«Fai il giro.» Sandor avanzò di nuovo.
Sentiva il cerchio stringersi intorno a loro e, nonostante il gelo fuori dal locale, percepiva anche il calore furente dentro di sé. E dentro di lei.

«Spostati, per favore.»

Lui non si mosse. La vide arretrare ancora. Poi si bloccò sentendo il tavolo alle sue spalle, gli occhi sgranati, in trappola.

«Non volevi andare via, ragazzina?»
«Ci sei tu in mezzo!»

Gli occhi di Sansa correvano da una parte all’altra del locale, come se stesse cercando una via di fuga. Forse si domandava se sul retro c’era un’altra uscita, una che avrebbe potuto imboccare in quel momento.
«Non mi sposto.» Sandor incrociò le braccia al petto. «Sono un bruto, hai detto.»

«Mi dispiace… Ora lasciami andare.»

«Non sei prigioniera, uccellino.» Iniziava a trovare la cosa divertente. «Puoi andartene quando vuoi.»
Sansa deglutì, poi si lanciò di lato, superandolo di corsa. Lui intercettò il suo polso – così sottile che avrebbe potuto spezzarlo senza nessuno sforzo – e la voltò verso di sé.
Ora iniziava a essere arrabbiato. Sul serio.

«Davvero credevi che ti avrei fatto del male?» Trattenne a stento un ringhio. «Volevi andartene? Allora vattene! Va’ via! E non tornare più qui dentro, hai capito, ragazzina?»

Poi la sospinse verso la porta e aspettò che uscisse.
Sansa rimase interdetta tra lui e l’uscita, indecisa se andare o restare. Se fosse fuggita via, lui non le avrebbe permesso di tornare. Sembrava rendersi conto di questo, di non poter più sedere a quel tavolo, leggendo tutto il pomeriggio dopo aver ordinato la solita tazza di tè.

Sandor si chiese cosa stesse aspettando. Lui si era stancato di aspettare lei. Lo faceva impazzire. A tratti così dolce e gentile, e altri così insopportabile, così spaventata.
Ma se aveva così paura di lui, perché tornava?
C’erano un’infinità di locali in cui poter ordinare il suo solito tè. Eppure Sansa si presentava lì ogni giorno.

«Allora?» le gridò. «Ti decidi ad andartene? Così posso chiudere e tornarmene a casa.»

Sansa si guardò le punte dei piedi. I capelli scivolarono a coprirle il volto, mentre fuori scendevano le prime gocce di pioggia.
Sandor emise un profondo sospiro, cercando di calmarsi. Sentiva la solita tempia – quella a cui ormai aveva dato il nome di Joffrey – scoppiare.

«È meglio se ti sbrighi, ragazzina. O tornerai a casa con le tue belle piume tutte bagnate.»
Lei si intirizzì, proprio come un uccellino. «Potresti smetterla di chiamarmi ragazzina?»

«Perché? Non lo sei?»
«No, non lo sono.»
«Tu mi hai chiamato bruto.»
«Ti ho chiesto scusa.» Sansa arrossì, restando dritta tra lui e la porta. Pronta a scappare.

«Ma lo pensi.»

«Che cosa?»
Sandor le diede le spalle, camminando verso il bancone. Aveva bisogno di bere qualcosa di forte. Dalla prima volta che Sansa aveva messo piede lì dentro, lui aveva desiderato un momento come quello. Loro due soli, il locale vuoto.

«Che sono un bruto.»

Prese un calice da vino e lo riempì di whiskey fino all’orlo. Niente ghiaccio, niente che potesse ammorbidirglielo un po’. Fissò il liquido ambrato come si fissa una bella donna, e passò la lingua sulle labbra, pregustandone il sapore. Era l’intorpidimento che bramava più di tutto, quel senso di pace, quel cerchio alla testa.
Si portò il calice alla bocca, quando sentì una vocina alla sua sinistra.

«Non è troppo?»

Le lanciò solo un’occhiata, poi scolò mezzo bicchiere in una volta sola. Si pulì sul dorso della mano, prendendosi un momento per guardare Sansa.
«Non dovresti essere già a casa?»
Lei scrollò le spalle. «Sta piovendo.»

Era solo una scusa, lo sapevano entrambi. Sandor rise, poi finì il whiskey.
«Quante canzoncine canti, uccelletto. Anche un sordo si accorgerebbe che stai mentendo.»

«Io non dico bugie.»

«Che c’è? Te l’ha detto la maestra a scuola che non devi dirle?»
«Non le dico e basta.»

Sandor prese un altro calice e lo riempì a metà. Non riusciva quasi a sentire l’odore del whiskey, solo il sapore che aveva ancora sulle labbra.
«Non starai esagerando?» disse ancora Sansa.

«Questo non è per me.» Sandor spinse il calice davanti a lei. «È per te.»

Sansa si tirò indietro. «Io non bevo alcolici, e nemmeno superalcolici.»
«Che c’è? Non hai l’età per bere?»
«Certo che ce l’ho» si risentì lei. «È che non mi va. Non mi piacciono.»

«Non si bevono per il sapore, uccellino.»

Sandor riempì il suo calice un’altra volta e lo ingollò davanti a lei.
«Se non lo bevi, lo prendo io.»
Allungò una mano verso il bicchiere, ma Sansa lo afferrò prima di lui. Sentì la sua pelle sotto le dita, liscia e fredda, come se fosse rimasta sotto la pioggia fino a quel momento.

«Ti scalderà» le sussurrò.

Sansa si portò il whiskey alle labbra, ne assaggiò solo un sorso e sembrò trattenere un colpo di tosse.
«È orribile» disse, mentre lui non riusciva a smettere di guardarla.

«Solo il primo goccio.»

Lei ci riprovò, un sorso dopo l’altro, mentre una goccia le scivolava lenta sul mento, lungo la linea sottile del collo, fin dentro la camicetta inamidata.
«Hai ragione» mormorò, appoggiandosi al bancone. «È meglio se continui a bere.»
D’impulso, Sandor le strappò il calice dalle mani, posandolo dalla parte del barista. «Sì, ma direi che per essere la prima volta hai bevuto abbastanza.»

«Non puoi deciderlo tu.»

Lui la sospinse verso la porta, accorgendosi che fuori aveva smesso di piovere.
«Dovresti andare a casa. È ora.»
«Sono già le sei?» disse, poi sembrò rendersi conto di qualcosa. «Un momento. Come sai che me ne vado alle sei?»

Sandor non rispose, si limitò ad afferrare la sua giacca e a mettergliela sulle spalle. Sentì la mano di Sansa, fredda e piccola e morbida, come se un uccellino si fosse posato su di lui. Continuò a stringere il bavero per non interrompere quel contatto.
Che fosse lei a togliere la mano, se proprio voleva. Lui sarebbe rimasto lì tutta la notte e anche il giorno dopo, cercando il coraggio di prenderle le mani e scaldarle tra le sue.

«Grazie» la sentì sussurrare.

La vide girarsi verso di lui, sollevare gli occhi fino a incontrare i suoi. Si perse nell’azzurro. Mentre fuori il cielo era grigio e terso, lui volava nel cielo limpido, nuotava in un lago estivo e intrecciava una corona di fiori per Sansa.
Solo guardandola, ebbe visione di un tempo lontano in cui non era stato, di una vita che non aveva vissuto. Di una fanciulla che non aveva amato.
E al posto della sua giacca scura, immaginò una cappa bianca, e le stesse piccole mani che ora stringevano lui.

«Tornerò domani» bisbigliò Sansa, come se la stanza fosse stata piena di gente e lei avesse voluto farsi sentire solo da lui.

Ti aspetterò, pensò Sandor. Ma non lo disse ad alta voce.

n
 

 
N.d.A.:

Rieccoci! Avrei voluto aggiornare prima, ma ho scritto così tante drabble per il fandom di Death Note da non riuscire ad aspettare qualche giorno prima di pubblicarne qualcuna. E “La voce dell’Inverno” arriverà in questi giorni.
Solo una cosa: questa storia è breve, e nel prossimo capitolo capirete il perché della “Soulmate!AU!”.
Fatevi sentire!

Celtica

   
 
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