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Autore: Emmastory    11/10/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XXV

Natura impotente

Contrariamente a ciò che pensavo, usare la magia nel mezzo della notte per sentire e seguire la traccia magica di Sky mi aveva come debilitata, e pur avendo dormito per ore, con le mie leggere coperte a farmi da scudo contro il freddo che sfidando l’estate già si preparava a tornare, quasi volesse anticipare l’autunno. La stagione più mite dell’anno, che a ogni suo arrivo mi faceva sorridere mentre osservavo le foglie staccarsi dagli alberi a cui appartenevano e andavano a posarsi sul terreno, restando unite negli ultimi colorati istanti di vita prima della morte, dopo la quale non diventano altro che l’ombra di sé stesse, e poco dopo, colorata polvere nel vento. Faticando a svegliarmi, mi tirai la coperta fin sopra al mento, e sospirando mestamente, mi voltai a guardare Christopher. “Tesoro…” lo chiamai, con la voce bassa e rovinata dal sonno. “Che c’è, Kia? Pensi ancora a tua sorella?” mi chiese, voltandosi a guardarmi e scivolando nel silenzio. Calmo, attendeva una risposta, e conoscendomi, non mi avrebbe mai forzata a parlare se non avessi voluto. Triste, non dissi una parola, e muta come un pesce, annuii. Sorridendo debolmente, Christopher tentò di rincuorarmi, e ignorandolo, mi rigirai fra le coperte. Sapevo che mi amava, ne ero certa ormai da anni, ma in un momento del genere, con il pensiero di Sky che continuava a torturarmi le membra, ero anche sicura che l’amore non mi sarebbe servito. Lo desideravo, ed era vero, ma allo stesso tempo non me la sentivo. Con quale coraggio potevo abbandonarmi al romanticismo se mia sorella, la mia unica sorella, soffriva a quel modo? Ad essere sincera, non sapevo cosa la turbasse, e fermandomi a pensare, compresi che la sua decisione di affidare i suoi malesseri proprio al vento che controllava doveva avere un senso. Per quanto ne sapevo, poteva essere sia freddo che caldo, sia gentile che tagliente, e quella mattina, decidendomi ad alzarmi e osservare il panorama visibile dalla finestra della stanza, notai qualcosa. La cittadina appena fuori appariva agitata, e con essa, anche lo stesso vento, che ormai lontano dalla sua solita calma, scuoteva le fronde degli alberi, spaventava umani e animali e faceva tremare i vetri delle finestre. Stoico, il sole continuava a splendere mantenendo il controllo sul suo regno purtroppo non più azzurro e terso, e senza parole, rimasi ferma a guardare. Onesta con me stessa e con gli altri, cercavo sempre di essere positiva, di reagire di fronte alle difficoltà, e perfino di lottare con i denti e le unghie quando si trattava dei miei amici e dei loro problemi, facendo quanto in mio potere nel tentare di risolverli. L’avevo fatto quando Lucy si era addossata parte della colpa per quanto riguardava i miei svenimenti, quando sua sorella Lune ancora si autopuniva mordendosi le mani di fronte alla consapevolezza di non riuscire a parlare, quando Christopher aveva avuto dubbi sul desiderio di rivedere la sua famiglia prima e sulla sua competenza come mio protettore poi. In tutte quelle occasioni, io c’ero sempre stata, assieme ai miei amici avevo sempre lottato e vinto, ma ora, proprio ora che anche indirettamente qualcuno mi chiedeva aiuto, io non riuscivo. Ero come bloccata, congelata negli istanti che uno per uno sparivano davanti ai miei occhi come umida nebbia. Provando pena per Sky, posai una mano sul freddo vetro della finestra, sentendolo tremare per l’ennesima volta. Preoccupato, Christopher si alzò dal letto, e attraversando la stanza, mi fu accanto. “Ti manca molto, non è vero?” azzardò, sicuro di star andando a toccare un nervo scoperto. Voltandomi a guardarlo, negai con un solo cenno della testa. In realtà aveva ragione, non potevo negarlo, ma il mio malumore non dipendeva da quello. Sky era mia sorella, le volevo bene, e sapere di non potermi muovere per lenire le sue pene mi stringeva il cuore, facendo sanguinare copiosamente una ferita che la figlia dell’aria, come Noah amava chiamarla, aveva provocato. Persa nei miei ora cupi pensieri, sentii un groppo in gola, e con uno sforzo che mi parve immane, inspirai a fondo per calmarmi. Istintivamente, mi protessi il ventre con una mano, e solo allora, sempre ferma e debole come spesso accadeva dopo i miei svenimenti, guardai il mio protettore. Accennando un sorriso, provò a farmi felice, e rinfrancata da quel gesto, intrecciai brevemente le mani dietro al suo collo. “Credi che starà bene?” non potei evitare di chiedere, preoccupata come non mai per la povera Sky, costretta a crescere prima del tempo e a costruirsi una dura corazza per proteggersi da eventuali nuove ferite, di volta in volta sempre più gravi e profonde fino all’anima. Inizialmente non capivo perché esitasse, perché nascondesse le ali e perché provasse un misto di vergogna e paura nel mostrare il suo vero essere di fata, e anche se ci era voluto del tempo, alla fine avevo compreso ogni cosa. Poco dopo il mio fidanzamento con Christopher, anche lei aveva trovato la felicità in Noah, ma stando a ciò che vedevo, al paesaggio che si lamentava lanciando vere e proprie urla, e alla realtà che sembrava disfarsi davanti al mio corpo inerme, ora probabilmente non era più così. Lontana com’ero, non conoscevo la verità né ero sicura di nulla, e nel mezzo di quell’autentico e innaturale marasma, una sola cosa era certa. Dovevo aiutarla, o almeno provarci. Senza proferire parola, tornai a specchiarmi negli occhi del mio protettore, e la sua reazione confermò ognuno dei miei timori. “La conosci, Kia. Sai che è sensibile anche se non lo mostra, e ora quello che accadeva a te sta accadendo anche a lei.” Spiegò, calmo e serio al tempo stesso. Ascoltandolo parlare, mi ridussi al silenzio, e di lì a poco, la nostra stretta si sciolse come neve al sole. “Intendi…” provai a dire, sentendo quella frase morirmi in gola senza conoscere mai una vera fine. “Esatto.” Mi rispose lui, mantenendo la sua storica compostezza e stringendo la presa sulla mia mano, che intanto aveva cercato e trovato con la sua. Di lì a poco, il silenzio calò nella stanza, e con lo scurirsi del cielo anche in pieno mattino, non sentii altro che freddo. Tremando, lo sentii pungermi la pelle come migliaia di minuscoli aghi, e con la mano libera sempre sul ventre, restai ad osservare il panorama e il paesaggio, entrambi rovinati dalle emozioni di mia sorella, ora fuori controllo per ragioni che non comprendevo. Pur conoscendola, non avevo piste da seguire, e nonostante non fossi sola, il freddo e la paura mi paralizzavano. Un solo passo falso avrebbe potuto peggiorare la situazione fino a farla precipitare, e cauta, fissai lo sguardo sulla porta della stanza ancora chiusa. “Dobbiamo fare qualcosa, e forse so chi può aiutarci.” Dichiarai, decisa. Annuendo lentamente, Christopher fu lì per sostenermi, e afferrandomi un polso, mi pregò di rallentare. Testarda, tentai di dimenarmi, ma all’improvviso, un guizzo di memoria mi saltò in mente. Proprio sotto al mio cuore custodivo una vita, il bene più prezioso che possedevo, e per quanto preoccupata potessi essere, non avrei mai osato metterlo in pericolo, non adesso che questo si nascondeva dietro ogni angolo. Scuotendo la testa, mi liberai dai brutti pensieri, e stringendo la mano del mio amato con forza ancora maggiore, mi preparai a lasciare la stanza e uscire di casa, alla volta di una dimora ormai conosciuta. Stando ai miei ricordi, la grotta delle ninfe non era lontana, e in quanto più saggia ed esperta, a mio parere Aster era l’unica in grado di riportare la quiete ad Eltaria, luogo di assoluta pace in cui ora la natura che tanto amavo mi appariva avvelenata e impotente.

 
   
 
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