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Detesta il suo sorriso.
Detesta la spontaneità con la quale curva la bocca sottile in una melliflua e falsamente angelica mezzaluna, senza mai esimersi dall'impregnarla di uno stucchevole accenno di positività, l'ottimismo in cui affonda le radici la sua sensibilità - la sua percezione della realtà.
Detesta la fasulla dolcezza che trapela da quel compromettente sfolgorio, perennemente dipinto sul suo viso delicato, l'innocenza fanciullesca che le brilla nelle iridi di cioccolato - in quegli occhi nei quali vorrebbe sputare fiele, per il mero piacere di infangarne lo struggente splendore.
Detesta la purezza che trabocca da quell'effimero e soffuso scorcio di luce - che le impreziosisce le labbra -, un fulgido raggio di sole capace di mitigare il buio, di fendere la notte, di strapparne con furia i lacci.
Detesta la forza magnetica che esercita quel leggiadro e continuo stirare di nervi, fonte di rancore, l'eterea primavera che le germoglia nello sguardo quando vagheggia atmosfere di miele o si proietta in sfondi magici e fatati.
Detesta il fatto che sogni di intrecciare una storia d'amore con Keroro, che con la mente spicchi il volo verso il mondo delle nuvole, sospesa tra illusione e fantasia, che sia disposta a sfidare i temporali, a pungersi con le spine delle rose del mese di maggio perché si avveri il suo desiderio.
Detesta quel disgraziato tratto di pelle, che si accende di speranza nel momento in cui nel suo cuore si diffonde un certo calore - che suscita l'invidia delle stelle, silenziose e docili amiche della luna.
Detesta il coraggio che ha di entrare nei boschi più fitti e tetri per assaporare l'incanto di una fiaba e lasciarsi cullare da una scia di nettare, di petali di fiori di ciliegio, i mille colori di cui adora tingere l'aria, alla stregua di un pittore impressionista che spennella furiosamente su una tela.
Detesta la mitezza con la quale tesse frammenti di cielo, sebbene resti incatenata all'immobilità del suolo, e disegna sprazzi di aurora, il maledetto chiarore di vitalità che semina l'espressione del suo volto.
Detesta concepire che pur di sciogliere il gelo degli animi più mesti, pur di attenuare la malinconia, si ostini a fare a botte con il destino e il suo funesto zampino, con le insidie tese dal passar delle stagioni.
Detesta quell'illogico barlume di brio, specchio di uno spirito privo di macchie di peccato, nettamente in contrasto con l'eterno e lugubre nero dell'essenza del girino, corrosa dall'astio e dalla morbosa gelosia, logorata dal veleno del livore.
Detesta la bontà che le si annida all'altezza del petto, là dove si nascondono anche sentimenti di zucchero filato, quel sottile granello di estate che tradisce l'obiettivo effettivo per il quale sia giunta sulla Terra in un giorno lontano - distruggerla in qualche secondo con la sua lancia fatale - e che stridendo come una nota stonata con l'orgoglio di Tamama non cessa di bruciarlo.
Detesta il suo sorriso.






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