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Autore: Ksyl    13/10/2019    6 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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6. Castle

La seguì affannosamente verso l'uscita, accorgendosi troppo tardi che il temporale, annunciatosi pochi minuti prima dell'atterraggio, aveva finalmente conquistato i sobborghi della periferia in cui era ubicato l'aeroporto.
Era stato troppo frastornato – forse meglio dire travolto - dall'incontro a sorpresa con Beckett per rendersi conto del cattivo tempo che imperversava al di fuori delle mura soffocanti che era stato così desideroso di abbandonare in tutta fretta. Forse avrebbe dovuto pensarci meglio.

Fece un balzo all'indietro, quando la prima grossa goccia di pioggia lo colpì sulla nuca, seguita presto da molte altre, che si riversarono impietose su di lui, infilandosi nel colletto e correndogli lungo la schiena, infradiciando abiti e l'intero bagaglio nel giro di poco.
Quello era senza dubbio un segno tangibile del funesto giudizio che gli dei avevano riservato al suo comportamento, non poteva essere più lampante di così. Non ebbe comunque tempo di preoccuparsi troppo del biasimo divino, perché Beckett, molto più equipaggiata di lui nell'affrontare il nubifragio, era corsa verso il parcheggio poco distante e si era prontamente rifugiata in quella che, dedusse, dovesse essere l'auto attualmente in sua dotazione. Una scelta interessante.

Le andò dietro, non poteva fare diversamente. Non gli era chiaro che cosa avesse inteso quando lo aveva invitato a seguirla, Beckett continuava a rimanere un mistero per lui, in qualsiasi continente si trovasse. Non doveva necessariamente significare – come aveva dedotto o ardentemente sperato - che lo avrebbe accompagnato da qualche parte in città, non dopo che lo aveva minacciato di volerlo tenere lontano con un ordine restrittivo. Magari voleva solo che si congedassero civilmente all'aperto, prima che lui prendesse un taxi e lei la via di casa, da sola. Buio completo. Nonostante avesse contato sul suo spirito di improvvisazione, navigare a vista – era il caso di dirlo, con tutta quella pioggia – si stava rivelando meno facile del previsto.

Aprì la portiera e si infilò nell'abitacolo, senza riuscire a impedire che la pioggia battente si riversasse all'interno. La richiuse con un tonfo, mentre i vetri iniziarono gradualmente a ricoprirsi di condensa.
Se la sua intenzione non era stata quella di dargli un passaggio – magari verso l'Inferno – l'avrebbe implorata di offrirgli protezione fintanto che fosse durato l'acquazzone. Lei però non parve lamentarsi della sua intrusione, il che lo riempì di sollievo.
Mentre cercava di riprendere fiato e si sforzava di rimettere ordine nei pensieri che rimbalzavano frenetici per via degli ultimi stupefacenti eventi, non si accorse che Beckett si era voltata nella sua direzione tenendo in mano un contenitore di plastica, che gli stava porgendo pazientemente, in attesa che lui tornasse a concentrarsi sul presente e non sulle sue solite fantasie – l'espressione era facilmente decifrabile.

Dopo averlo fissato stupefatto per un lungo istante, convinto che gli stesse offrendo una bomba a mano, si ricordò all'ultimo delle buone maniere. Lo afferrò con cautela, non prima di essersi fugacemente ravvivato i capelli bagnati che gli erano scesi sulla fronte. Non era qualcosa di cui facesse esperienza abitualmente, ma non si sentiva del tutto a suo agio a starsene in sua compagnia con i vestiti stazzonati grondanti acqua, esausto e malconcio, quando lei, invece, una volta abbassato il cappuccio, si dimostrò essere più asciutta e fresca che mai. Gli spiaceva dirlo, ma quella città pareva donarle.
Nel timore di farsi sorprendere a fissarla con troppo fervore – qualcosa contro cui aveva dovuto lottare fin da quando si erano incontrati poco prima -, si concentrò sull'inatteso dono di benvenuto che teneva tra le mani quasi fosse stato una reliquia. L'aroma era inconfondibile.

"È caffè?", domandò stupefatto, consapevole che fosse una domanda retorica, incapace di stare zitto e mostrarsi così provvisto di acume.
Erano ancora in grado di comunicare telepaticamente, proprio come un tempo? Solo qualche minuto prima di incontrarla avrebbe ucciso per mettere le mani su un caffè che si potesse definire tale, ed ecco che lei l'aveva magicamente materializzato a suo beneficio.
Lo annusò con sospetto.
"Coraggio, Castle, non ho nessuna intenzione di avvelenarti", lo canzonò. "Ho solo pensato che dopo il viaggio avessi bisogno di qualcosa di forte per tenerti sveglio".
La fissò incredulo. "Sei stata molto premurosa", balbettò.
"Lo dici come se ritenessi più probabile l'opzione avvelenamento".
La battuta gli fece recuperare un po' di prontezza di spirito.
"Dopo le minacce di morte che mi hai rivolto, sarebbe stupido non tenere in considerazione tutte le ipotesi". Il lieve sorriso divertito gli diede coraggio. "Ero convinto che non volessi avermi intorno, dopo la tua...". Si fermò prima di dire sfuriata. "Decisa espressione verbale della preferenza che io scomparissi seduta stante".
"È così, Castle, non ho cambiato idea. Ti sto solo dando un passaggio, non montarti la testa".

A lui non sembrava che la spiegazione fosse completamente coerente con la sua posizione fermamente oppositiva nei suoi confronti, ma ritenne saggio non pronunciarsi a riguardo, temendo che esaurisse la pazienza e lo ricacciasse sotto il temporale.
Si concentrò sul caffè. Lo assaggiò quasi con riverenza, godendosi l'immediata sensazione rinvigorente di cui aveva avuto assoluto bisogno, proprio come lei aveva previsto, quando gli era venuta in soccorso. "Non credevo che in zona si potesse trovare del caffè così buono. Mi ero preparato a un lungo periodo di brodaglia. O astinenza".
Beckett gli lanciò un'occhiata sospettosa, prima di accendere il motore e immettersi nel traffico serale congestionato per via della pioggia. "Lungo periodo?", sottolineò con fare circospetto. "Quanto hai intenzione di fermarti, Castle? È vero che la città offre molte attrazioni turistiche, ma non sono infinite".
Castle fece un gesto vago con la mano, risentito con se stesso e la propria stanchezza che lo faceva straparlare senza valutarne le conseguenze. "Era solo un modo di dire. Anche pochi giorni di caffè cattivo sembrano eterni, non trovi?".
Non trovava, evidentemente. Non lo degnò di uno sguardo, concentrata in apparenza sul movimento regolare dei tergicristalli. "Ma il problema non si pone perché sei riuscita a scovarne una versione molto più che accettabile", blaterò con sempre meno convinzione, reso insicuro dal suo silenzio.

Beckett si voltò di scatto a guardarlo e lui si ritrasse d'istinto verso il proprio lato dell'abitacolo. Non era ancora sicuro di essere fuori pericolo. "Perché dai per scontato che non te l'abbia preparato io?"
"Perché tu prepari caffè orribili, è risaputo. Inoltre, è ancora bollente e tu vivi troppo lontana dall'aeroporto, a questo punto sarebbe già dovuto essersi raffreddato, a meno di versarlo in un contenitore termico, cosa che non hai fatto".
Ops. L'espressione di lei si incupì, avendone ogni motivo. Le aveva appena confessato di conoscere il suo indirizzo, e, insieme, di essere uno stalker professionista. Se avesse voluto arruolarsi come spia avrebbe fatto meglio a non citare sul suo curriculum questo scivolone.
Era già pronto a imbarcarsi in una lunga e arzigogolata spiegazione che sarebbe dovuta servire da diversivo, ma lei lasciò naufragare la conversazione in procinto di muoversi verso sentieri accidentati. A quel punto l'ordine restrittivo si rendeva più che mai necessario, se ne rendeva conto perfino lui, mettendosi nei suoi panni. Perché si era comportato in maniera così goffa?

"Dove ti porto, Castle?", gli domandò con voce appena più fredda, che avrebbe ingannato un interlocutore distratto, cosa che lui non era affatto.
"È un appuntamento? Perché preferirei cambiarmi e mettermi qualcosa di asciutto addosso, se dobbiamo trascorrere la serata insieme", rispose senza nemmeno pensarci. Gli veniva naturale stuzzicarla.
"Nemmeno per sogno!", lo rimbeccò scandalizzata. "Volevo solo sapere dove alloggi, in modo da portartici sano e salvo e dimenticarmi della tua esistenza".
Decise di comportarsi bene, senza infastidirla più del necessario. Le comunicò il nome dell'hotel che aveva prenotato, rendendosi perfettamente conto di averle consegnato su un piatto d'argento un'ulteriore prova dei suoi intenti moralmente riprovevoli, ma non poteva tenerglielo nascosto, o darle un nome a caso.
Si era già bruciato quasi tutte le possibilità che aveva di rivederla, mentire avrebbe peggiorato la situazione ormai appesa a un filo.

L'hotel che aveva scelto era infatti situato a pochi isolati dal suo appartamento e lei doveva ormai averlo realizzato, anche se preferì chiudersi in un rancoroso silenzio che non lo lasciò tranquillo.
"Vuoi l'indirizzo?", chiese con l'aria più innocente che riuscì a simulare.
"No, grazie, Castle, so dove si trova", gli rispose cupa, accelerando, forse per levarselo di torno il prima possibile.
Si muoveva con estrema naturalezza nel traffico a suo avviso spaventoso, nel quale lui non sarebbe riuscito a raccapezzarsi con tanta disinvoltura. Forse nella sua nuova vita faceva la tassista. Tutto era possibile.

Dopo qualche tempo trascorso immersi in una quiete che avrebbe potuto definire inaspettatamente confortevole, con il rumore della pioggia a far loro compagnia, Castle si rese conto che iniziava a riprendersi dal tumulto interiore sperimentato al suo arrivo.
Era ancora molto stanco, ma non più così scombussolato. Cominciava a godersi semplicemente la sua vicinanza, che era il motivo per cui aveva fatto migliaia di chilometri, l'esito sperato di ore e giorni trascorsi a sentire la sua mancanza, preoccuparsi per la sua sicurezza, dibattere se fosse segno di squilibrio mentale precipitarsi da lei. Non intendeva sprecare nemmeno un secondo a lambiccarsi il cervello su come mettere in ordine eventi apparentemente incoerenti tra loro. Prima l'aveva minacciato e poi era andata in suo soccorso, invece di abbandonarlo al suo triste, fradicio destino.
Per ora preferiva crogiolarsi nell'inebriante sensazione che provava nel trovarsi in auto con lei, come erano stati abituati a fare nella loro vita passata. Sbirciò il suo profilo, attento a non farsi notare. Voleva studiarla meglio, andare un po' più in profondità rispetto all'esame superficiale a cui l'aveva sommariamente sottoposta. Stava bene in questa sua nuova improbabile vita, di cui non conosceva quasi nessun particolare? Di nuovo, non seppe deciderlo con sicurezza.

"Eccoci arrivati", annunciò Beckett con un tono che gli parve un po' troppo trionfante. Era evidente che non vedesse l'ora di scaricarlo. Per fortuna non in un luogo desolato, legato, e alla mercé di formiche rosse. Poteva considerarsi un successo.
Il temporale si era ormai spostato verso nord, lasciando tracce rosate nel cielo notturno.
Era arrivato il momento di salutarla.

Scese dall'auto, recuperò il bagaglio, chiuse piano la portiera – patetici tentativi di guadagnare tempo, aveva pur sempre le sue debolezze – e si voltò finalmente nella sua direzione. Era scesa anche lei e lo aspettava sul marciapiede. Era sempre stata così bella? C'era qualcosa che lo attraeva e insieme lo teneva alla larga nell'espressione del volto più ombrosa di quanto ricordasse. Qualcosa che lo induceva a sospettare che ci fosse molto di cui non era a conoscenza, molti strati da individuare e portare alla luce con ogni delicatezza, prima di arrivare alla verità.
Lei rimase zitta a fissarlo con aria sardonica, non ricordava che fosse mai stata così silenziosa, di questo era più che certo. Lo metteva nella posizione scomoda di dover sempre trovare qualcosa da dire, a rischio di infilarsi nei pasticci da solo, disorientato com'era a causa dell'esaurimento delle energie psicofisiche e della perdita di precisi punti di riferimento temporali.

"Grazie per il passaggio", la ringraziò in modo stringato.
Se si fosse attenuto a brevi frasi di circostanza, forse sarebbe riuscito a non indurla a farlo scomparire in una discarica nel cuore della notte. Conosceva benissimo l'impianto di fognatura della città, lo aveva letto in un romanzo.
"Non c'è bisogno di ringraziarmi, Castle. Considero mio dovere aiutare un compatriota all'estero". Si espresse in modo cordiale, ma distaccato, che gli rese difficile interpretare quella terribile scelta semantica. Compatriota? Si stava divertendo alle sue spalle, come la vecchia Beckett avrebbe sicuramente fatto? Difficile dirlo, avvolta com'era da un'aura di impeccabile compostezza. Si sentì sempre più intrigato da questa nuova versione ancora più indecifrabile della precedente.
"È stato molto gentile da parte tua", rispose compito, adeguandosi al suo stesso tono."E io considero mio dovere ricambiare le premure di una mia compatriota tanto solerte, invitandola a cena, visto tutto il trambusto che ho causato".
Finse che si trattasse di uno scambio di cortesie, ma avrebbe lottato fino alla fine pur di conquistarsi l'opportunità di rivederla. Non c'era limite a dove la sua dignità si sarebbe spinta pur di strapparle uno straccio di appuntamento.
"Non serve, Castle, non ho fatto niente di speciale".
"Dovrai pur mangiare. E anche io ho bisogno di mettere qualcosa nello stomaco, dopo il cibo insapore servito sull'aereo. Possiamo farlo insieme".
Dopotutto, era una proposta pratica e ragionevole, non necessariamente interpretabile come un invito.
"Mi sembri uno che ha bisogno di una buona dormita, più che altro. Non credo che riusciresti a star sveglio fino al termine della cena".

Sapeva di non essere nelle condizioni migliori, ma aveva sperato di non essere del tutto impresentabile. Che razza di impressione doveva averle fatto, dopo tutto quel tempo? Solo dopo aver superato quel piccolo imbarazzo estetico si rese conto che non si era trattato un vero e proprio rifiuto. Non si era scandalizzata alla sola idea di stare in sua compagnia.
"Questo significa che quando mi sarò ripreso, accetterai di uscire a cena con me? Domani sera, magari?", propose speranzoso, facendole una versione più discreta degli occhi da cucciolo che avevano sempre avuto tanto successo. Non necessariamente con lei, ma valeva la pena tentare. Dentro di sé iniziò a illudersi che la vittoria fosse a portata di mano.
"I tuoi impegni da turista ti ruberanno molto tempo, temo", rispose asciutta.
Avrebbe dovuto fingere di dedicarsi sul serio a visitare qualcosa di culturalmente inattaccabile, perché lei sarebbe stata implacabile e avrebbe preteso prove certe delle sue frequentazioni giornaliere.
"Proprio per questo avrò bisogno di qualcuno che mi consigli un buon ristorante del posto, per non finire in qualche trappola turistica a mangiare pollo di plastica. Sempre per via di quell'aiuto tra compatrioti di cui parlavi prima". Annuì, per risultare più convincente. Gli occhi da cucciolo non avevano sortito nessun effetto.

La vide tentennare e si rese conto con una punta di rammarico che forse stava cercando il modo migliore di rifiutare senza ferire il suo amor proprio. Avrebbe preferito di gran lunga essere strapazzato come al solito. Non era semplicissimo avere a che fare con la nuova Beckett. O lui aveva perso un po' la mano, o lei era cambiata in modi ancora tutti da scoprire.
Con un improvviso fiotto di lucidità, di cui avrebbe fatto volentieri a meno, realizzò che poteva esserci un motivo molto più prosaico per cui era costretta a declinare il suo invito – sempre che fosse un sacrificio per lei farlo, cosa di cui dubitava.
Poteva esserci un altro uomo. Il solo pensarci gli fece tremare le gambe. Era un elemento non privo di importanza, che però aveva disinvoltamente rimosso, in primo luogo perché Beckett non aveva mai fatto cenno ad altri che non se stessa e poi perché era molto bravo ad allontanare tutto ciò che riteneva potenzialmente sgradevole. Semplicemente, non gli aveva fatto comodo annoverare quella possibilità.

A questo punto però non poteva più negarne l'ipotetica esistenza. Era vero che si erano sentiti con una rassicurante regolarità, ma era fin troppo consapevole che nessuna giuria l'avrebbe ritenuta una prova valida per dichiarare oltre ogni ragionevole dubbio l'assenza di un eventuale incomodo. Nemmeno se li avesse pagati, cosa che avrebbe fatto volentieri.
"È solo una cena tra amici, proprio come il passaggio che mi hai offerto", cercò di convincerla. Amici era meglio che compatrioti, tutto sommato. "Se il problema è che hai un fidanzato che ti aspetta a casa e temi di sentirti in imbarazzo nei suoi confronti, puoi invitare anche lui", concluse sommessamente.
Non avrebbe potuto mostrarsi più altruista di così. Ed era già abbastanza doloroso da farlo sentire quasi un eroe. O solo molto idiota. Naturalmente l'ultima cosa che avrebbe voluto era un incontro a tre, con lui infilato nella posizione peggiore. Ma era disposto anche a questo estremo sacrificio, pur di rivederla.

Al solito, non riuscì a comprendere lo sguardo incuriosito con cui parve studiarlo dopo la sua eclatante uscita, quella che doveva convincerla delle sue onorevoli intenzioni.
"La tua generosità è ammirevole", commentò alla fine, stringendo le labbra. Era sarcastica? Stava ridendo di lui? Sperava di sì. Incrociò le braccia, assumendo la tipica postura autorevole e vagamente minacciosa, quella che inchiodava chiunque durante i suoi interrogatori.
"Mi pare il minimo, se non fosse per te a quest'ora starei ancora aspettando un taxi sotto la pioggia, dietro a una fila di persone di pessimo umore". In effetti, sarebbe stato uno scenario verosimile. E lui quello più irascibile di tutti.
Socchiuse gli occhi, preparandosi alla sentenza definitiva che stava per sopraggiungere, lo capì dal modo in cui si mordicchiava le labbra, incerta. Non era un bel segno. Non avrebbe scommesso a favore di se stesso.

"D'accordo", concesse alla fine un po' a malincuore, lasciandolo allibito. Si era convinto che si fosse perfino pentita di avergli dato un passaggio, data la sua insistenza. Che capitolasse era ormai fuori dal novero delle probabilità statistiche. "Immagino che altrimenti continuerai a insistere per sdebitarti, per quante volte io ti assicuri che non è necessario. Va bene per domani, così la facciamo finita una volta per tutte", concluse non esattamente lieta della prospettiva di rivederlo e incurante di nasconderlo. Poteva comunque considerarsi una vittoria? Non ne era sicuro.
A peggiorare la situazione, non aveva negato la presenza di qualcuno al suo fianco, il che gettava sgradevoli ombre sulla prospettiva felice di trascorrere qualche ora con lei.
Non era però abbastanza audace da insistere nel chiederle conferma dei suoi peggiori timori e temeva che facendolo avrebbe superato il confine delle buone maniere.

Non sapeva che cosa fosse opportuno commentare. Ringraziarla? Per quale motivo, oltre ad apparirle patetico e privo di autostima? Si astenne dal dire qualsiasi cosa che potesse farle cambiare idea.
"Ti mando l'indirizzo più tardi. Ci vediamo direttamente lì", lo informò lapidaria. Gli spiaceva notare che l'atmosfera tra loro si fosse raffreddata di colpo, il che gli confuse ulteriormente le idee.
Anche se l'intera situazione non era molto incoraggiante e avrebbe voluto indagare più a fondo, sapeva che era arrivato il momento di fare buon viso a cattivo gioco e ritirarsi dignitosamente. Ce l'aveva vicino – se avesse fatto qualche passo avrebbe potuto toccarla – ma era più lontana che mai.
"Perfetto", rispose con il suo migliore sorriso. "A domani".

La vide indietreggiare, quasi accartocciarsi su se stessa. Era il modo in cui era abituato a salutarla un tempo, dandole appuntamento per il giorno seguente. Lo aveva infatti pronunciato quasi senza rifletterci, lieto che la ruota della vita fosse girata al punto da aver cambiato tutto, ma mantenuto le cose che davvero contavano.
Le vide disegnarsi sul volto una strana smorfia che non seppe definire e che si dissolse nel giro di qualche istante. Se non fosse stato attento si sarebbe perso quel tuffo nel suo caleidoscopico mondo interiore. Avvertì la familiare, ineffabile sensazione che ci fosse qualcosa che non andava, quella che aveva messo in moto le sue meningi e l'aveva spinto a sorvolare l'oceano per raggiungerla.
"Notte, Castle".
Si voltò rapidamente e salì in auto, lasciandolo da solo sul marciapiede a fissarla con una miriade di pensieri a ronzargli in testa che, lo sapeva per certo, non lo avrebbero abbandonato facilmente.

Edit (16.10.2019) Le pubblicazioni della FF si fermeranno per un po'. A presto, Silvia

(13.10.2019) Come ho scritto su Twitter, sono felicemente sorpresa dal numero di visualizzazioni di questa nuova storia, ero davvero convinta che nel tempo ci sarebbe stato un naturale declino, invece c'è ancora molto amore per Castle. Forse anche di più di un tempo, il che riempie il cuore.
Grazie a chi legge e a chi commenta, io questa volta risponderò alla fine, anche perché c'è ben poco che possa dire tranne (spoilerarvi ed) esservi grata e questo lo sono immensamente, a ogni capitolo, ogni visualizzazione, ogni commento, messaggio, like, su questo mi auguro non esista alcun dubbio.
Mi sono convinta nel tempo (perché prima non ho mai scritto niente) che ogni storia spicchi il volo e acquisisca vita propria una volta scritta, a prescindere dal suo autore, diventando molto di più di quello che era stata creata per essere. Io posso solo dire che questo è esattamente il modo in cui ho voluto che fosse per esserne soddisfatta ed entusiasta.
Buona domenica!

   
 
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