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Autore: SuperTeleGattone    13/10/2019    1 recensioni
Non ha visto molto bene la strada finora; non si è mai fatto luce col fuoco finora.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shouto Todoroki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due cose due, di numero: una giappomeenchiata, ikemen, ovverosia bel figliolo, perché sia mai usare l'italiano; l'altra, il delicatissimo hanbun-yarou di nostra santità Kacchan, reso come bastardo a metà per squisito opportunismo. Chiedo venia in anticipo, sigh.









 

T o r c e









 

A volte ci pensa; ma subito dopo devia, si allontana.
Capita durante le lezioni, un'occhiata distratta oltre i vetri delle finestre; di pomeriggio, nella penombra intermittente di un vagone del treno. I rumori bassi sembrano favorirlo, o forse dipende dalla luce, poca o troppa, sporca. Può darsi siano solo vecchi scheletri e abitudini, porte lasciate aperte e mai chiuse.
Vi sono però condizioni precise, affatto fraintendibili, che lo istigano –luoghi, suoni, temperature. In quei frangenti la ragione risponde per ultima, ed è unicamente sensazione –l'aria in ristagno della cucina, il fischio del bollitore, la pelle strappata da una vampa d'acqua. Funzionano come lo schianto a terra di un quadro: quando giungono, sono improvvisi e non concedono terreno. Lui li detesta.


Capita ci pensi; spesso basta poco –le bacchette del pranzo separate in malo modo, un bicchiere incrinato, la crepa obliqua di un pavimento– e lui ci pensa.
A osservarlo, in effetti, l'impressione è sia sempre un po' assorto e con la mente altrove, nel meditare sui massimi sistemi –quel bel mutismo da ragazzo tenebroso e con un passato difficile, che tanto fa sognare Hagakure e Ashido. Sarebbe interessante raccontar loro come sovente, in realtà, lui non pensi a chissà che, se non proprio a niente; ma l'aspetto fa metà del lavoro.
Sovente non pensa a chissà che, è vero; altre volte, invece, pensa a quello.


Quello non è facile da convertire in parole, dacché nemmeno l'intento è di lasciarlo trapelare. Reca svariate cose con sé, difficili da gestire, avanguardia a un corteo di ombre lunghe e lacere del passato.
Vi sono condizioni precise e affatto fraintendibili a innescarlo –la cucina, il bollitore, il calore dell'acqua. Ogni tanto, però, si presenta senza avviso: basta poco, anche delle immagini –le bacchette del pranzo, un bicchiere incrinato, una crepa nel pavimento.
Dovesse mai descriverne una delle tante ad altri, forse partirebbe da quella di un albero o un fiore –un fiore, pensate, un vero ikemen. Dopo una lunga pausa, muoverebbe da un albero o un fiore diviso in due, dall'alto, con sotto, giù, un'unica radice. Lo hanno spezzato in due quando quello era uno, commenterebbe, per poi offrire ancora silenzio.
Arrivati a quel punto, vedete, a lui occorre fermarsi; lui deve fermarsi, per forza: da lì in poi i pensieri rischiano di farsi troppo pericolosi, per questo conviene non procedere oltre e stringersi, così da tenere insieme i pezzi.


Bakugou lo chiama bastardo a metà: nel sentirlo, la prima volta, ha quasi riso dopo un iniziale disorientamento –in fin dei conti il dinamitardo non c'era andato troppo lontano.


In passato ha evitato gli specchi; li ha scansati attento, nel terrore profondo di quanto avrebbe potuto trovarvi –se stesso, o peggio, quello là.
Da piccolo, molto piccolo, li ha fissati e fissati così a lungo e con così tanta rabbia, che l'impressione era stesse dando caccia feroce a qualcosa –un papà che era un orco cattivo, di fuoco e grida; ed era colpa sua se quel fuoco stava anche sulla sua testa; ed era colpa sua e solo sua se la mamma piangeva e piangeva e lo guardava così, in quel modo a volte triste, a volte brutto; era tutta colpa sua, solo sua, del papà.
Soltanto da poco ha ripreso a bere tè caldo; qualche anno. Sono cose trascurabili, certo, ma il diavolo sta nei dettagli –la soba servita fredda, per esempio.
Il corpo non dimentica e nemmeno serba rancore, immagazzina in modo da progredire e non farsi male; per le persone tuttavia è un po' diverso, più complicato.


A volte ci pensa, e non gli riesce di valutare quanto questo sia un bene e quanto, un male.
Se quel giorno fosse stato suo padre a bruciarlo in volto... sarebbe stato molto meglio.
Sono pensieri pericolosi e poco miti; confessarli a qualcuno risulterebbe sconveniente perché comprensibili così, senza dissezioni, a lui solo –e ai suoi fratelli probabilmente; ma non ne hanno mai parlato per davvero, a cuore aperto, perciò non saprebbe dire. Parlare non è mai stata pratica consueta nella loro casa –nella loro famiglia, lo ammonisce una voce, e lui se ne dispiace, perché a venirgli spontaneo resta comunque casa.
È paradossale, ma considerandolo dal suo punto di vista neanche troppo: se solo fosse stato suo padre a sfigurarlo, sarebbe stato tanto meglio.
Se solo fosse stato lui a guardarlo con quegli occhi, occhi a volte tristi, a volte cattivi, sarebbe stato tanto più semplice; se solo fosse stato lui a chiamarlo mostro, mio figlio, no, quello non può essere mio figlio, sarebbe stato tanto più agevole e tanto più giusto odiare. Se solo fosse stato lui, maledizione... Invece era stata lei.
Venire a patti con una cosa del genere è tutt'altro che semplice, o facile.


Lo avrebbe detestato di meno e allo stesso tempo di più, suo padre. È paradossale ma, ancora, nemmeno così tanto dal suo punto di vista: quello di un figlio messo al mondo per essere il migliore e non, ecco, se stesso. Essere uno, anche senza l'ordinale.
Se solo fosse stato suo padre, quel giorno, avrebbe potuto odiarlo bene e in forza, come il lupo azzannato dal capobranco; con vigore e rabbia e dolore, ma senza fantasmi e occhi grigi a volte tristi, a volte cattivi, ma sempre in lacrime; sarebbe stato unicamente fra loro due, appena fra loro due, e lei... lei ne sarebbe rimasta fuori. Lei si sarebbe salvata.
Se soltanto fosse andata così, avrebbe avuto un solo genitore a fargli del male; uno –ancora–, non due.
Capita ci pensi, e quando accade, ne ha paura.


Come si sta in piedi da spezzati? È una domanda fondamentalmente retorica, perché non crede davvero ci siano modi; per quanto, forse, non ne abbia mai cercati. Così lo hanno conciato, si è detto; così quella carogna lo ha conciato. Se almeno si fosse fermato a quanto già guastato, sarebbe anche andato bene, lo avrebbe sopportato; ma non si era fermato, no, era andato oltre... e lo aveva fatto attraverso lei.
Non ha voluto rimedi a questo, non gli sono interessati: non c'era cura a questo; gli lasciava solo una crepa dentro e una cicatrice fuori, sul lato sinistro, quello del cuore.
Il corpo guarisce se gliene si dà occasione, sa come medicarsi; per le persone sfortunatamente è un po' diverso, più complicato.


Ha incassato, ecco: la pelle si è cicatrizzata, si è rifatta benché di un altro colore; l'occhio ancora vede e ancora evita il riflesso nei vetri, dando caccia feroce a solo il cielo sa cosa; lui si è mantenuto silenzioso nell'incubare una tempesta, maledicendo il suo sangue, quello schifo di Unicità e quel pezzo di merda che farneticava sull'essergli erede.
Col tempo e la volontà ha imparato a farne combustibile, dell'impotenza, dell'odio, della rabbia, del dolore –e del dolore camuffato da rabbia, anche.
Congelare il fuoco, ci sarebbe riuscito, sì, dannazione: meglio crepare piuttosto che dargliela vinta.
Ma si è rivelato più logorante del previsto conservarsi sempre, tenacemente arrabbiati; lo ha ammesso solo di recente –avere sotto il naso Bakugou lo ha favorito di parecchio.


Molto in lui vuole restituire un determinato giudizio: lascia perdere, ti avvisa, non c'è modo di farlo scaldare, letteralmente; non è accidentale. Risultare distaccato, imperturbabile, è invece più collaterale e caratteriale che altro.
Quella prima impressione è ovviamente fuorviante, perché sotto strati e starti di magma coagulato si nascondono svariate cose, affatto imperturbabili: si rimescolano sedici anni in cattività di un vulcano pronto a eruttare.
Il corpo non dimentica e non serba rancore, ma remargli contro costituisce un'azione ben poco produttiva.


È stato un globo di nitroglicerina sull'arena del festival sportivo.
Fortuna e sfortuna hanno voluto, al nono giro di giostra, la sua rotta abbia colliso con quella di un nanerottolo suo coetaneo, tutto occhi, sogni di eroismo e ossa rotte; uno che, si domandi pure in giro, parte al salvataggio senza invito.
Forza, fatti sotto con tutto ciò che hai!, ha berciato dopo quello, col pugno viola stretto dal male e dall'ostinazione –nonché una chiara vena di masochismo nel fomentare gli animi. Pericoli dell'avere contro un bravo ragazzo impiccione, probabilmente; ma bisogna riconoscerlo, anche lui se l'era andata a cercare, letteralmente: gettargli il guanto di sfida prima, e accusarlo di parentele illustri e non dichiarate poi, suvvia.
Con tutto ciò che hai, Shouto Todoroki: è risuonato così nella sua testa, forse più provocatorio di quanto inteso o preventivato dal nanerottolo impiccione; ha preso il tono di una paternale e, in un momento, l'ha sentita sbraitare da suo padre.
Basta sorprendentemente poco per mandare in frantumi qualcosa, o per incendiarla: la pressione giusta dove serve; il combustibile adatto; una piccola scintilla; non occorre chissà che.


Con tutto ciò che hai, le grida di suo padre, in piedi, Shouto!, e sua madre che lo pregava di smettere; io non voglio essere come lui!, era arrabbiato e aveva paura quando la cercava, però vuoi diventare un eroe, vero?, sì, lo desiderava, ma non sarebbe mai ricorso a quello.


Non serve chissà cosa; e tu vorresti vincere soltanto a metà?!; ma nemmeno una qualunque; non farti incatenare dal tuo sangue; solo quella giusta; ma è anche il tuo potere!


Che strano, fino a quel momento non lo ha mai provato; in effetti non lo ha mai neanche usato: non se lo è mai sentito addosso, il suo fuoco.
Quando si allena, quando fatica, quando è in affanno e gli serve una spinta, una qualunque per avanzare; persino quando erge onde di ghiaccio bianchissimo, la voce nella testa è ed e sempre stata quella del vecchio.
È paradossale riflettendoci a posteriori, ma forse nemmeno così tanto: sempre in mente lui, quando il potere è invece quello di lei. Paradossale, vero, ma comprensibile: può illudersi d'essere fatto di ghiaccio, a destra quanto a sinistra; non certo di pietra comunque.
Per restare in piedi e non crollare, per tenersi insieme è necessario: qualcosa si deve sacrificare.
Il corpo sa bene come difendersi e così il cuore, sebbene in modo un po' crudele.


Ha finito per scordarsene, chissà perché.
Sono sicura che ce la farai, lo aveva detto accarezzandogli la testa tenera da bambino; non farti incatenare dal tuo sangue, la testa e la chioma, sia bianca che rossa; diventa solo ciò che desideri.
Ha finito per scordare anche una cosa simile, dannazione.
Arrivati a quel punto lui si è sempre fermato: per forza, si è detto; per paura, è forse più vero. Lo ha perso; gli è scivolato via dalle mani e caduto a terra, lungo la strada; eppure, potendo, avrebbe preferito finirci lui a terra, in pezzi.


Il ragazzo cova un bel po' di problemi irrisolti e faccende in sospeso, un sentiero di porte aperte e mai chiuse: converrebbe allora capire cosa farci, se sradicarle o sbarrarle per sempre. La luce, lì, non è neanche molta; c'è un istante, tuttavia, entro cui questa cambia.
Sull'arena del festival sportivo, per un attimo, si è accesa bianca e chiara: una torcia.
Su quell'arena e su quella strada, in un istante, il pensiero non è più andato a suo padre... ed è tornato il ricordo di sua madre. Dopo tanto tempo lei, benché il potere fosse quello di lui. Non è paradossale, affatto: è complementare.
Che strano, non l'avrebbe mai detto del fuoco, ma sa anche essere caldo –come una carezza, quella di sua madre.


A volte ci pensa; ma subito devia, si allontana.
Lo fa con una forza che suona troppo simile al dolore per non instillare paura. È una lancia arrugginita che scende giù, dove la fenditura nasce. La pena che reca è difficile da gestire, perché si tratta di legami e si tratta di sangue.
Fa e ha sempre fatto male pensare a sua madre... Scoprire di non ricordarla bene poi, oltre la nebbia delle lacrime e il fischio del vapore, diavolo, dire fa male sarebbe riduttivo.
Nella memoria le immagini non sono molte, quelle poche che il se stesso marmocchio gli concede. Lì, la luce non è benevola, non accarezza, li brucia i contorni; nella maggior parte di quelle rimaste, lei piange.


Non si è impegnato abbastanza a ricordarla, a trattenerla: forse è così. La paura è stata più forte del desiderio di averla vicino: può costituire un'altra spiegazione; più forte del volerla accanto anche con quello sguardo a volte triste, a volte brutto. Il freno, ora, è qualcosa sostenga ci sia un rapporto di colpa e perdono da sbrogliare.
Che assurdità... La colpa è del vecchio, non c'è neppure da discuterne. La bega è fra loro due, su questo è inamovibile; lei devono lasciarla fuori. Può darsi, tuttavia, il nodo di tutto dimori proprio in quel fuori dove l'hanno lasciata.


Chissà perché lo ha confidato a Midoriya, quella volta. Non crede di aver mai introdotto l'argomento, e con altri. Non che se ne penta, però... Parlare di lei gli pare ancora impossibile. Doveva essere realmente fuori di sé. Si guardino bene dal psicanalizzarlo in ogni caso; sono affari suoi e di nessun altro.
Può sembrare –va bene, non paradossale, non questa volta almeno– ridicolmente dolce, volendo: non ci sono ragioni né vuole addurne; non deve rendere conto a chicchessia di quello che prova per sua madre. Ha sedici anni in fin dei conti, un po' di comprensione.


La scomodità di questo intreccio è anche la sua utilità; il fatto che, purtroppo, ne possegga una.
Vi sono frangenti in cui serve qualcuno da odiare: può costituire un riparo, una copertura; può giustificare, scusare molte cose, fra cui molti errori. Lui, date le circostanze, ha trovato quel qualcuno senza affannarsi a cercare: gli si è offerto spontaneamente, dalla nascita –chi meglio del padre, dopotutto.
Chiudersi in se stesso, a doppia mandata; l'atteggiamento brusco, al limite della scortesia; non sono qui per farmi degli amici, levati dai piedi, sei d'intralcio, parole sue, no? Sue, già, e di suo padre prima di lui –di cosa accidenti non è capace il sangue.
Tutto sommato è riuscito a modellare il suo erede, Endeavor, eccome; peccato non come auspicato.
Può accadere, però, nemmeno un genitore egoista e violento basti allo scopo; così, a volte, si insinua il dubbio e uno se lo chiede: forse la colpa... è mia?
Sono pensieri pericolosi, terribilmente, più di quanto possa credere un adolescente infuriato col mondo.
Se lo è chiesto in passato, e ogni tanto se lo chiede ancora; ma forse converrebbe smetterla di cercare colpevoli. Non che non ve ne siano, per carità; converrebbe smetterla perché il farlo lo ha riparato, certamente, ma non più di così. Serve altro ora.
Parlare di perdono, a conti fatti, è ancora fuori luogo e fuori tempo; pensarci al perdono, dopotutto, fa ancora troppa rabbia e troppa paura.


Il cielo non voglia, ma sembra realmente avere ragione Bakugou nel chiamarlo come lo chiama: bastardo in quanto incrociato, ibrido, eppure non interamente perché tutto, fuorché di padre ignoto. Bastardo, ecco, a metà.


A volte ci pensa; ma subito dopo devia, si allontana.
Capita durante gli allenamenti, uno sguardo di troppo alla mano sinistra; al crepuscolo, in quel rosso sconfinato che sembra poter avvolgere tutto; quel rosso del colore del fuoco, che mai avrebbe detto caldo come una carezza.
Sta procedendo a tentoni, lo si nota bene: è ancora parecchio individualista e un po' ruvido; quell'aria tragica da principe senza un regno probabilmente se la porterà appresso finché campa, ma si sta impegnando, glielo si deve riconoscere.
Sarà il caso di lavorare su franchezza e nervi scoperti, dopo la bella pensata di azzuffarsi con quel ragazzone dello Shiketsu durante l'esame per la licenza temporanea, per non rivangare lo sbotto col commissario Tsuragamae; ma è stato sincero con Yaoyorozu, quando le ha dato il voto e la fiducia, è stato d'aiuto. Perfino il collaudo delle interazioni sociali conta sparuti progressi: se ne è uscito con un mirabile Hand Crusher dopo i fatti di Hosu, in stanza con altri due debosciati giustizieri della notte; e Watchman Iida, qualche tempo dopo, sempre nel mezzo di scorribande da balordi in calzamaglia.
Distaccato e ikemen quanto desiderano; certo però ne ha combinate di fesserie! Ma vuole diventare un eroe, no? Be', lo spirito è quello giusto.


Sono tutti passi piccoli e forse trascurabili, ma il diavolo sta nei dettagli –accendere il fuoco per il curry, ad esempio. Che vada pure allora, purché tenga ben a mente non sarà una scampagnata: andrà a volte avanti e a volte indietro, in tondo persino; ogni tanto tornerà a pensare ancora a quello, è inevitabile, e ancora farà male –così male da regalargli quel bell'aspetto tormentato da ragazzo tenebroso e con un passato difficile, che tanto fa sognare Hagakure e Ashido. Pazienza, va bene anche così.
Sta procedendo a tentoni, ma come tutti loro; non ha visto molto bene la strada finora, occorre ribadirlo.
Tienti stretto chi vuoi diventare e non farti frenare.
Non si è mai fatto luce col fuoco finora.
Con tutto ciò che hai, Shouto Todoroki.
Sarà tutt'altro che facile, ma poco male.
Vedi di non scordartene.
Basterà seguire le torce.










 

Cerini
 

Chiedo umilmente scusa a tutti i fan del roscio a metà, ma anche ai non fan, senza contare quelli della lingua italiana (si fa il segno della croce): perdono se ho trattato male l'uno e peggio l'altra; se è un mattone che il rosario quaresimale levati; se i tempi fanno avanti e indietro senza criterio e senza cintura, signorina, favorisca patente e libretto gentilmente. Un mal di testa 'sta cosa, e un mal di mare (snocciola compresse). Ecco poi, il titolo: non è campato in aria, nooo, figuriamoci; mannaggia ai titoli (e al Wall Maria). C'entra poco barra niente, in ogni caso Torches sarebbe pure la canzone di chiusura dell'adattamento animato di Vinland Saga (AsheraddO best girl). Che c'entra? Poco barra niente, appunto (evoca Calcutta). Auguriamoci comunque il possente Odino la mandi buona a Wit Studio; per la stagione in corso e per quelle a venire (coffcoffSNKcoffcoff). Chiedo di nuovo scusa, per questa cosa ma pure in generale, si sa mai. E bene, un'altra giornata nel corpo di ricerca~!

Disclaimer: BokuNoPicoAcademia è di Kōhei Horikoshi, Torches di Aimer e AsheraddO miOmUAhAHah.


 

  
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