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Autore: MissAdler    14/10/2019    9 recensioni
Post Eurus, di ritorno a Londra dopo le vicende di Sherrinford. John sa che Sherlock sta soffrendo e vorrebbe disperatamente stargli accanto.
Genere: Angst, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A Koa

 

 

 

E ora viaggi, ridi, vivi, o sei perduto

 Col tuo ordine discreto, dentro il cuore

 

 

Il silenzio ci avvolge come una nebbia densa e surreale.

Voliamo su una distesa scura e sconfinata, su queste acque nere che paiono pece, senza riuscire a scorgere l’orizzonte. L'elicottero avvolto dal manto scuro della notte, tu che tremi senza guardarmi, voltato verso il nulla, verso quel cielo che non riesci a vedere, senza nemmeno una stella a cui aggrapparti per non perderti in pensieri che ti farebbero smarrire la rotta e finire chissà dove.

Sherrinford è dietro di noi, lontana, ma non abbastanza.

Musgrave resta avvolta nelle tenebre, le sue lapidi sferzate dal vento gelido, i muri di quel casale sbiaditi dal tempo, spettatori di una tragedia silenziosa che ti ha segnato più di quanto dai a vedere.

Ti guardo, decido che trascorrerò il viaggio in silenzio, contando i tuoi sospiri spezzati, poi cambio idea, mi viene da pensare che ora sei tu, il bambino che vola in solitudine su un mondo che non riesce a raggiungere, che non riesce a chiedere aiuto, che non sa come atterrare. Ti sei perso, Sherlock, lo sento, lo leggo nei tuoi occhi che si riflettono sul vetro gelido dell’elicottero, lo capisco dal modo in cui ti abbandoni sullo schienale dietro di te, dalla linea triste che disegnano le tue labbra.

Ci sono io, vorrei dirti, sono qui, guardami, non me ne vado.

Ma non sono bravo in queste cose, non lo sono mai stato, lo sai.

E allora ti tocco la spalla, stringendola forte, in quel modo che usano gli amici per darsi coraggio, e tu sobbalzi appena, come se ti avessi svegliato da un incubo, mi guardi senza voltarti, scorgendomi nel riflesso alla tua sinistra, inclini la bocca in un sorriso che non arriva agli occhi e che dura un istante, poi torni dentro di te, calato nelle profondità della tua mente tormentata, a cercare invano di mettere ordine nelle stanze distrutte della tua anima.

Una sorella che non credevi di avere ha ucciso un bambino senza pietà, il tuo migliore amico, l’unico che tu abbia mai avuto.

E serve a ben poco l’abbraccio che le hai donato per placare la sua follia, il tuo riprometterti di tornare da lei, di non abbandonarla perché sei sempre suo fratello, perché sta male ed è sola e perché tu sei troppo sensibile, accidenti! Sei troppo puro per questo mondo schifoso e finalmente capisco perché la tua solitudine ti faceva sentire protetto.

Sei fragile, Sherl, e non importa quanto cerchi di nasconderlo, io lo so, lo vedo chiaramente, e ora che l’ho capito non resterai mai più solo, te lo giuro.

 

 

Passerà anche questa stazione, senza far male 

Passerà questa pioggia sottile, come passa il dolore

 

 

Quando ci avviciniamo all’auto scura che ci riporterà a Londra entro l’alba, una pioggerella fine e silenziosa ha iniziato a cadere sui tuoi capelli arruffati, mentre indugi accanto allo sportello aperto, come se non ti sentissi pronto per tornare alla normalità, come se adesso non fossi in grado di ricominciare una vita che hai costruito su basi che sono appena crollate sotto i tuoi piedi.

“Sherlock.”

Ti chiamo con tono sommesso e per la seconda volta ti provoco un sussulto.

“Sherlock, andiamo a casa.”

E vorrei dirti che passerà, che starai bene, che ti aiuterò io, che ti proteggerò a costo della vita, facendoti da scudo contro la cattiveria umana, contro chi non riesce a vedere quanto tu sia meravigliosamente unico e straordinario.

Andiamo a casa Sherlock, la ricostruiremo insieme, mattone dopo mattone, tornerà com’era prima, te lo garantisco, e ricostruiremo anche te, il tuo cuore, un pezzo alla volta, e sarai ancora più forte, lo stesso di sempre, quello che amo disperatamente.

Voglio che tu mi faccia ancora impazzire, voglio trovarti insopportabile, fastidioso e saccente. Voglio credere che tu venga da un altro pianeta e che abbia tutte le risposte, ben sapendo che è da vigliacchi addossarti il peso di questa responsabilità, che forse le risposte che cerco non le ha nessuno. Voglio vedere di nuovo il tuo sorriso, ne ho disperatamente bisogno.

“Vuoi parlarne?” ti domando sottovoce.

“Magari dopo.” rispondi alzando le spalle e stingendoti nel cappotto.

Quando vuoi, piccolo. Mi troverai qui.

 


Ma dove, dov'è il tuo cuore?

Ma dove è finito il tuo cuore?

 


Siamo a casa mia, quella che in fondo non sono mai riuscito a sentire davvero mia.

Ti sei chiuso in un mutismo che mi fa paura, un silenzio che temo di non riuscire più a spezzare, come un muro impenetrabile che ti tiene inesorabilmente separato da me.

Sei entrato nella camera degli ospiti senza dire una parola, senza nemmeno toglierti il cappotto, senza far caso ai giocattoli di Rosie sparsi sul pavimento, senza guardarti intorno per dedurre gli ultimi residui della mia depressione, del mio alcolismo disperato, di vedovo incoerente, di padre egoista.

Chiudi la porta alle tue spalle ed io mi ci getto sopra con un tonfo, sbattendoci la fronte, i palmi delle mani, stringendo gli occhi così forte da vedere mille stelle luminose oltre le palpebre. Realizzo che sono semplici fosfeni passeggeri dati da uno squilibrio microcircolatorio. Le vere stelle stanotte non brillano più.

“Sherlock…”

Non chiudermi fuori, ti prego. Non andare dove non posso raggiungerti, abbracciarti, dirti quanto significhi per me.

Non allontanarmi come ho fatto io con te, ritrovandomi solo a desiderarti di più, a disperarmi di fronte alla realtà dei fatti, di ciò che provo da sempre, di ciò che voglio per noi due.

“Entra.”

Non finisci di dirlo che sono già dentro la tua stanza, la porta spalancata con forza, il buio che mi confonde per qualche istante.

Sei seduto sul bordo del letto, indossi ancora il cappotto, respiri velocemente, ti torci le dita con la violenza degli insofferenti, mentre mi avvicino in silenzio e i miei occhi si abituano all’oscurità.

Stai tremando, forse tremo anch’io: di dolore, di rabbia, di frustrazione.

Non sopporto vederti così, non sopporto la sensazione d’impotenza.

“Vuoi sederti?” riesco a sentirti a malapena, dov’è finita la tua voce calda e piena?

Lo faccio, con le mani in grembo, la mia coscia attaccata alla tua, il tuo profumo che mi sconquassa il cervello, la pioggia ancora imprigionata tra i tuoi capelli.

Non sembri nemmeno tu, Sherlock, eppure lo sei più di quanto tu non lo sia mai stato.

“Non so cosa devo fare, John…”

Lo ammetti con fatica, ed io lo sapevo già, perché ho imparato a leggerti, perché sei stato un buon maestro, perché ho giurato a me stesso di imparare ad osservarti con attenzione, perché, che tu ci creda o no, io conosco il tuo cuore molto più a fondo di quanto non conosca il mio.

“Non devi fare niente, Sherl” intreccio le dita alle tue, portandomele alle labbra, baciandoti il dorso della mano e guardandoti finalmente negli occhi, “ma io farò qualsiasi cosa vorrai, lo supereremo insieme.”

E solo ora scorgo il luccichio di una piccola lacrima solitaria sul tuo zigomo, il dolore nei tuoi occhi carichi d'acqua, come se piovesse anche dentro di essi, come se piovesse a dirotto dentro di te.

“Puoi restare qui?”

“Certo che sì.”

“Intendo a dormire.”

“Non mi muoverò di un centimetro.”

Ti aiuto a sfilare il cappotto, la giacca, le scarpe. Mi stendo accanto a te, guardo il soffitto, guardo te, i tuoi occhi fissi nei miei, le tue palpebre che cedono al torpore, il sale sulle tue guance, prova schiacciante di lacrime che non mi hai permesso di asciugare.

“Sherlock?”

“Mh?”

“Ci sarò sempre per te, lo sai vero?”

La tua mano si muove a cercare la mia, un sorriso ti si disegna lentamente sulle labbra, stavolta anche gli occhi socchiusi ti si inarcano appena come spicchi di sole, sorridendo anch’essi.

“Lo so.”

 


 Ma se ti svegli e hai ancora paura, ridammi la mano

Cosa importa se sono caduto, se sono lontano

 

 

 

 

FINE

 

 

 

ANGOLINO DELL’AUTRICE

La canzone che mi ha ispirato è Hotel Supramonte di Fabrizio De André.

Ho pensato ad un missing moment post Eurus, non credo che Sherlock possa averla superata tanto facilmente.

Spero vi sia piaciuta, se vi va fatemi sapere.

Bacioni

   
 
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