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Autore: Spoocky    15/10/2019    4 recensioni
Missing moment fra "Duello nel Mar Ionio" ed "Il Porto del Tradimento": l'equipaggio della Surprise affronta le conseguenze dello scontro con le navi turche. Una battaglia che ha segnato tutti profondamente, in modi diversi.
La versione precedente di questo racconto è stata pubblicata con il titolo "Words and Scars". Il titolo è una citazione dal paragrafo iniziale de "Il Porto del Tradimento" che ha ispirato questo racconto.
Genere: Angst, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Scusate per l'attesa, prometto che mi farò perdonare ^^

Disclaimer: Non guadagno nulla da questo scritto, i personaggi appartengono agli aventi diritto.

Buona lettura ^^


Chiuso nella sua cabina, Jack era chino sul diario di bordo.
Aveva appena congedato il commissario, che gli aveva fatto rapporto sui danni, e Mowett, che faceva le veci dell’invalido Pullings. Il suo umore, già di solito inverso dopo una battaglia, era anche più nero del solito perché Stephen non gli aveva ancora presentato il conto del macellaio e nemmeno aveva più saputo nulla del suo primo tenente, dopo averlo affidato alle sue cure.
L’ ora di cena era arrivata e passata senza che lui dicesse nulla, ma Killick gli aveva portato comunque un bricco di caffè ed un piatto di formaggio grigliato. Li aveva appoggiati sul tavolo, alla sua portata ma in disparte, e si era ritirato senza dire una parola. 
Se il famiglio aveva notato lo stato della giacca indossata in battaglia, per una volta aveva tenuto le proprie considerazioni per sé, e per il bene della sua incolumità era stato meglio così.

Stephen bussò alla porta e, non ricevendo risposta, mise discretamente dentro la testa per valutare la situazione. 
Poiché l’amico non gli apparve ostile, fece qualche cauto passo in avanti. Dato che persisteva nel suo silenzio, entrò una volta per tutte e si chiuse la porta alle spalle facendo il minor rumore possibile.
Il tavolo era ingombro di carte, fogli accartocciati e macchiati d’inchiostro, penne spezzate, e strumenti di navigazione. Un bricco di caffè ancora quasi pieno faceva compagnia ad un intonso piatto di formaggio grigliato, in una composizione involontaria, quasi fosse una natura morta manierista.
Il volto tirato di Aubrey era illuminato dalla lanterna, ed il pallore della cute faceva risaltare il sangue incrostato di una ferita sulla fronte. Avvicinandosi, Maturin vide anche due macchie cremisi sul panciotto color crema, una per fianco, e ringraziò di aver portato con sé gli strumenti.
Sapeva però di dover avvicinare l’amico con cautela perché la sua quiete apparente celava una profonda tensione, che traspariva dalla rigidità della postura e dalla contrazione dei muscoli facciali. Persino i suoi occhi, di solito vivaci, erano spenti e fissi sul libro che stava compilando.
Era come un serpente a sonagli, arricciato su sé stesso, pronto a scattare al minimo pretesto. 

Stephen si limitò ad accomodarsi al suo solito posto, quasi senza far rumore, attendendo che fosse lui a prendere la parola.
Non lo fece attendere a lungo. Terminò la frase che stava scrivendo e, senza staccare gli occhi dal foglio, gli pose la fatidica domanda: “Come sta?”
Il medico dovette prendere un respiro profondo e valutare con attenzione come affrontare la questione. Decise di prenderla alla larga, per dare all’amico il tempo di digerire con calma le informazioni: “Dorme, che Dio lo benedica. Ora c’è Graham con lui. Mi manderanno a chiamare se dovesse succedere qualcosa.”
Jack annuì leggermente, ma la sua postura non si sciolse di un millimetro: “Quanto è grave?”
“E’ una brutta ferita, ne ho viste poche tanto impressionanti. Oltre all’aspetto, ha perso anche molto sangue, almeno tre pinte . Però l’occhio non corre alcun pericolo e sono certo di potergli rimettere naso e fronte al posto giusto, ma bisogna aspettare domani per dargli il tempo di riposare un poco e per disporre di tutta la luce necessaria perché sarà un lavoro di una precisione minuziosa.  Se andrà tutto come deve andare lo squarcio si richiuderà completamente e, una volta cicatrizzato, non sarà poi così terribile a vedersi.”
“Sono felice di sentirlo, davvero mi togli un peso dal cuore!” Aubrey ripose la penna e si stese contro lo schienale della sedia, sfregandosi il volto con le mani prima di rivolgere lo sguardo al dottore “Dimmi la verità, fratello: ce la farà?”
“Come ti ho già detto, è una brutta ferita: Tom è giovane e molto forte ma l’emorragia lo ha provato notevolmente. Bisogna pregare che non sopravvenga un’ infezione perché, in questo stato, il suo corpo non ha le forze per combatterla e soccomberebbe di certo. Purtroppo esiste anche la possibilità che il trauma cranico sia più grave di quanto sembri e che non riprenda più conoscenza. Sto facendo tutto il possibile, il resto è nelle mani di Dio.”
Jack non rispose ma gli rivolse un sorriso mesto, come se non fosse del tutto convinto da quell’ultima frase ma ne prendesse comunque atto. Poi si allungò sul tavolo per avvicinarsi il piatto ma una delle sue tante ferite gli diede una fitta, strappandogli un grugnito che mise in allarme Stephen: “Lasciami dare un’occhiata a quelle ferite, fratello, vuoi?”
“Se anche mi rifiutassi aspetteresti che dorma e lo faresti comunque. Quindi prego: accomodati.”
“Giusta osservazione.” Mormorò il medico, inforcando gli occhiali e chinandosi su di lui per esaminarlo. 

Iniziò dalla ferita di pistola sul fianco destro, slabbrata ma superficiale. Doveva essersi riaperta quando Jack aveva allungato il braccio perché stava sanguinando leggermente, ma forse non avrebbe avuto bisogno di punti: “Hai avuto anche tu la tua dose di mali oggi, fratello.”
Con un sorriso tirato, Aubrey appoggiò il mento sulle braccia incrociate ed allungò le gambe, per consentire all’altro maggior accesso alla sua ferita: “Non mi posso lamentare. E’ stato un inferno, là in mezzo, ancora non so come abbiamo fatto a… Tira via quel dito, per l’amor di Dio!” 
Le sue grida misero allarme Killick, che fuoriuscì dal suo pertugio, sporgendo la testa nella stanza come una murena che esca circospetta dalla tana. Diede una rapida occhiata, mugugnò qualcosa tra i denti e si ritrasse nel suo antro come se nulla fosse.
Una volta finito di sondare e palpare la ferita a suo piacimento, Stephen ritrasse finalmente la falangetta incriminata: “Scusa, mio caro, ma in quel punto mi sembrava leggermente più profonda e dovevo controllare che non ci fosse rimasto dentro nulla.” Si pulì il dito in un lembo della camicia e procedette ad esaminare il colpo di spada sull’altro fianco “Anche questa è un morso di pulce. Non credo ci sia nemmeno bisogno di suturarle. Sfilati la camicia che devo bendarti.”
Una volta terminata la medicazione, controllò anche la ferita sulla fronte: “E questa? Come te la sei fatta?”
“Bisogna ringraziare quello scimmione di Davis: per poco non mi ammazzava con quella sua dannata mannaia! Avevo anche pensato ad un gioco di parole sul fuoco amico ma poi mi è passato di mente. Date le circostanze, forse è meglio così.” 
La sua espressione si fece di nuovo cupa e non parlò più, se non quando l’amico ebbe riposto i propri strumenti: “Dici che sarebbe un problema se scendessi un momento da Tom? Avrei piacere a…” avrebbe voluto dire ‘a salutarlo’ ma in quel momento anche un’espressione così innocente assumeva una connotazione di fatalità quindi all’ultimo la corresse in “a vederlo di persona. Insomma, per vedere se sta meglio, capisci?”
“Certo, capisco. Ma dovrai essere molto delicato. Ha assolutamente bisogno di riposare, per recuperare le forze, ma non solo: il dolore della ferita è molto intenso e almeno finché dorme sente poco o nulla. “
“Ti prometto che farò del mio meglio per non disturbarlo. Dammi solo il tempo di rivestirmi e possiamo andare.”
Non aveva ancora finito di parlare che una voce arcigna invase la cabina, gracidando stridula da dietro una porta: “Sarebbe cosa buona e giusta che qualcheduno lasciasse la camicia sporca sulla sedia, perché qualchedun altro possa sprecare la nottata a cercare di farla venire pulita. Sarebbe proprio cosa buona e giusta, sarebbe!” 
 


Il professor Graham sentì un rumore sommesso di passi e si alzò dal capezzale del tenente Pullings per permettere al dottor Maturin ed al capitano Aubrey di avvicinarsi.
Aubrey lo salutò con un cenno del capo e si chinò sul comandante in seconda, osservandolo in silenzio.

Stephen invece prese lo scozzese da parte: “E’ andato tutto bene?”
“Sì, dottore. Quel povero giovane dev’essere molto provato: da che ve ne siete andato non ha fatto che dormire. Ha ripreso i sensi quel poco che bastava per chiedere dell’acqua. Gliene ho dato mezzo bicchiere, somministrandola con un cucchiaino da tè, come mi avevate ordinato.”
“Avete fatto bene. E come vi è sembrato, in quel momento?”
“Non saprei dire. E’ rimasto cosciente, se così si può definire, per pochissimo. Non credo nemmeno mi abbia riconosciuto: ha solo chiesto da bere con un filo di voce e ha ringraziato dopo averne avuto, tutto qui.” Rivolse uno sguardo mesto alla branda del ferito ed alla schiena di Jack “Ora ho capito perché quegli uomini ridevano e scherzavano poco prima della battaglia: per non dover pensare a questo.”
Stephen rimase molto colpito da quell’interpretazione: quel pensiero lo aveva già sfiorato altre volte ma non aveva mai assunto una consistenza tanto concreta. Sia Jack che Pullings avevano grande esperienza di battaglie navali: entrambi conoscevano alla perfezione i rischi a cui andavano incontro e sapevano che ogni volta sarebbe potuta essere l’ultima. Risa e scherzi potevano essere un modo per allontanare la paura che, nel profondo del loro cuore, non si rendevano conto di provare.

Un’ inquietudine profonda si era fatta strada nell’animo del capitano Aubrey anche in quel momento, mentre osservava il suo inestimabile comandante in seconda, il giovane che aveva cresciuto e che nel proprio cuore sentiva come un figlio. 
Il suo viso tanto famigliare era nascosto da bende macchiate di sangue lungo la linea della ferita, mentre altre gli sostenevano la mandibola slogata. L’unico occhio scoperto era inesorabilmente chiuso, velato dalle palpebre livide e gonfie. Il corpo nudo era avvolto dalle coperte ma il collo e le spalle erano di un pallore mortale. Per via dei danni subiti alla cartilagine del naso, ora respirava con la bocca semiaperta e con evidente fatica.
Nonostante Stephen gli avesse assicurato ripetutamente che Pullings stesse solo dormendo, esausto per la perdita di sangue e sedato dal laudano, non riusciva a non pensare che fosse ormai in agonia e che da un momento all’altro avrebbe smesso di respirare davanti ai suoi occhi, addormentandosi per sempre.
‘Nemmeno trent’anni e ridotto in questo stato.’ Pensò  ‘Potrebbe andarsene qui ed ora, in una misera branda da infermeria come un terrazzano qualunque. Non può succedere! Non così!’
Un moto profondo dell’animo lo spinse ad allungare una mano per sfiorare la testa del giovane con una carezza, ma all’ultimo desistette e per non provocargli dolore gliela posò sulla spalla, sentendo la pelle fredda e sudata, il palpito del sangue rapido sotto le sue dita. Avvolse la testa dell’omero con il palmo e la strinse appena, carezzando il trapezio con il pollice.
Il petto di Pullings sussultò leggermente nello sforzo di trarre un respiro profondo ma il giovane non emise un suono, né diede cenno di aver percepito la presenza del capitano al suo capezzale.

“Com’è potuto succedere?”  si ritrovò a chiedere Jack, quasi senza rendersene conto, sentendo gli occhi iniziare a bruciare.
“Dillo tu a me, fratello.” Gli rispose Stephen, compartecipando del suo dolore da una discreta distanza per non metterlo in imbarazzo, mentre Graham si ritirava rispettosamente.
“Io… non lo so. E’ successo tutto così in fretta!”Ammise il capitano, sconsolato come lo aveva visto ben di rado “Stavamo lottando fianco a fianco, poi all’improvviso si è aperta una breccia, lui ci si è lanciato ed è caduto. Dio, Stephen! Il suo sguardo! Non lo avevo mai visto così: non capiva cosa fosse successo. Era così smarrito! Così perso! E quella lama! E’ calata all’improvviso ed un momento dopo era steso lì, faccia in giù in una pozza di sangue.”
Stephen sentì la voce dell’amico rompersi e gli si avvicinò fino a posargli una mano sul braccio, unendosi alla sua veglia silenziosa.

 


Faceva freddo, tanto freddo, e il peso delle coperte che Tom si sentiva addosso non contribuiva a mitigare quella sensazione. Era tutto buio, ed i suoni gli giungevano cupi ed ovattati, come se l’onnipresente sciabordio delle onde provenisse da distanze siderali e non stesse invece avvolgendo il guscio di legno che accoglieva la sua branda. 
La tela del suo giaciglio lo aveva accolto come un abbraccio famigliare ed oscillava dolcemente, sospinta dal rollio della Surprise. Di solito quel movimento lo rilassava ed era abituato ad associarlo al meritato riposo dopo una giornata di duro lavoro, ma in quel momento peggiorava solo il senso di nausea causato dal dolore pulsante che sembrava diramarsi dalla sua testa, accanendosi sul suo volto al punto da farglielo percepire come se premuto su una brace ardente. Piccoli focolai di sofferenza erano sparsi in tutto il suo corpo ma erano futili in confronto al male che provava alla testa e che gli pareva a tratti immanente e a tratti lontano, alleviato da momenti di vuoto totale.
Voci soffuse accompagnarono il posarsi sulla sua spalla di un qualche arnese caldo e ruvido, una mano capì dopo un po’, che sostò in quel punto e non diede segno di volersi staccare presto. Il suo tocco aveva qualcosa di famigliare e, con uno sforzo immane, riuscì a socchiudere l’occhio destro. Dal sinistro provenne solo una stilettata di dolore, accompagnata da una sorta di lampo, che gli strappò un gemito. 

Di nuovo quelle voci, più concitate.
Qualcuno gli prese una mano e la strinse forte, dandogli un appiglio.
Socchiuse l’occhio sano e attraverso una fitta nebbia gli apparve una macchia dorata, circonfusa di luce. Pensò che fosse un angelo, venuto ad accompagnarlo nel Regno dei Cieli. 

Ebbe paura: non voleva morire, non ancora. 
Non era pronto! Il suo capitano contava su di lui e la sua Patria rischiava di essere invasa da un pazzo generale francese! C’erano tante cose da fare, sulla Surprise, e non poteva abbandonare il capitano ed il dottore da soli: chi li avrebbe aiutati altrimenti? William non poteva sobbarcarsi tutta la responsabilità da solo o ne sarebbe rimasto distrutto. 
Cercò di spiegare tutto questo all’angelo ma dalle sue labbra non uscì che un sospiro, prima che il dolore prendesse il sopravvento. Poi un liquido amaro gli bruciò la bocca ed il buio lo reclamò di nuovo.


Sotto lo sguardo impotente di Jack, Pullings socchiuse l’occhio sano, e subito il suo corpo si contrasse in un violento spasmo che spinse il capitano ad afferrargli istintivamente una mano. Il povero giovane diede un gemito per il forte dolore e Stephen si affrettò a premerlo sul cuscino, ripetendogli di stare tranquillo, che andava tutto bene.
Pochi minuti dopo Tom riaprì le palpebre ed il suo sguardo appannato si fissò sul volto di Aubrey, illuminato da una lanterna. Aprì la bocca come per dire qualcosa ma emise solo un flebile singulto; ormai tutto il suo corpo tremava per l’agitazione e la fatica.
Jack si chinò su di lui e cercò di tranquillizzarlo come poteva, ma ormai il giovane era sopraffatto dal dolore al punto da non rendersi conto di non essere solo.  Stephen riempì un cucchiaino con del laudano e lo versò tra le labbra esangui del suo paziente, assicurandosi che lo deglutisse.
In breve Pullings si rilassò con un sospiro nella branda e quel poco del suo viso che era ancora visibile si distese mentre sprofondava nel sonno profondo ed indolore dell’oppio.

Stephen gli rimboccò amorevolmente le coperte e lo osservò con attenzione, cercando sul suo corpo il benché minimo segno di sofferenza. Non trovandone alcuno, poggiò una mano sul gomito dell’amico e lo sospinse con dolce fermezza verso l’uscita: “Vieni, fratello: lasciamolo riposare.”
  
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