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Autore: Badboy116    15/10/2019    0 recensioni
Pride è la storia di Giovanni, un bambino e poi un uomo bello e diligente. La vita di Giovanni è caratterizzata da una persona: Elena. Il loro è un legame troppo forte, un amore indistruttibile, che va oltre ogni relazione. Giovanni ha un segreto troppo profondo che non sa nemmeno di avere. Ma la loro amicizia, il loro amore, andrà oltre ogni cosa.
Pride è ambientato in una realtà cupa e grigia, in un rione dove la follia raggiunge il limite. Giovanni incrocerà Elena proprio in quella realtà.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 10

Avevo sempre odiato il capodanno. Mia madre diceva che era la festa in cui si verificavano più morti ed era vero. Già da qualche tempo nacque una sfida di potere tra la famiglia Cirillo e la famiglia Ruggiero. Come successo due anni prima, la famiglia Cirillo organizzò una festa in cui invitarono tutto il rione, eccetto i Ruggiero, questa volta a casa loro per festeggiare l'arrivo dell'anno 2002. Tutto il rione collaborò nelle compere degli alimenti, nell'allestimento della tavola e nella preparazione dei pasti. La mattina del 31 dicembre era solito che le madri mandavano i figli a fare la spesa. Elena ed io ci incontrammo a mezzogiorno sotto al mio palazzo e ci dirigemmo verso il supermercato, nel rione nuovo. C'era una marea di gente proveniente non solo dal rione ma anche da Fuorigrotta e Bagnoli. Attendemmo due ore di fila e, verso le tre del pomeriggio, ritornammo a casa. Don Matteo Cirillo ci accolse con grande cordialità, anche se era evidente la sua depressione. Il viso era pallido e i capelli bianchi non erano al loro solito posto. Non si presentarono tutte le famiglie del rione, ma la cosa non dispiacque la famiglia Cirillo. La cena fu squisita, anche se mangiammo molto scomodi. Infatti la casa era molto grande, ma non poteva contenere troppe persone. Io mi sedei vicino ad Elena che rideva a crepapelle con Anita su fatti imbarazzanti durante i suoi rapporti sessuali. Parlavano del pene maschile con ironia e la cosa mi diede ribrezzo. Scattata la mezzanotte e fatto il consueto brindisi di inizio anno, tutti i ragazzi, accompagnati dai loro genitori, scesero di giù per sparare i fuochi d'artificio. Poiché mio padre non era presente, dissi a mia madre che sarei sceso con Nando. Lei sembrò tranquilla. Gli adulti erano tutti ubriachi, compresa mia madre che iniziò a ridere senza alcun ritegno raccontando alle altre donne momenti imbarazzanti della sua vita. Il rione, visto dal basso, sembrava un grosso cimitero oscurato dalla nebbia, a causa della polvere da sparo. In un momento mi venne in mente quando andai in uscita scolastica alla solfatara, in mezzo a quei fumi che emanavano un odore sgradevole, simile a quello delle uova marce. Intorno a me vedevo ragazzi e bambini felici che sparavano ogni tipo di botto. Il cielo di tutta Napoli fu squartato dalle esplosioni, la quiete fu spezzata dal rumore e l'odore fu inquinato dalla polvere da sparo. Tutto divenne nitido: i palazzi, gli alberi, le auto scomparirono e al loro posto intervenne una fitta nebbia bianca. Restai sulla soglia del portone d'ingresso del palazzo per qualche istante a vedere quella scena. Elena non c’era , ma solo Nando che aiutava gli altri bambini con le stelline. Mi guardai intorno e finalmente la vidi seduta per terra sulle scale della macelleria, posta di fronte al palazzo dei Cirillo. Temevo per la sua vita, dovevo metterla a sicuro come fece lei in passato quando mi difese dai Ruggiero. Attraversai lo stradone e la raggiunsi, ma lei mi respinse. Voleva starsene lì seduta ad osservare i fuochi che esplodevano nel cielo, ai bambini divertirsi e a pregare per sua madre. Non replicai. Appoggiò la testa sulla mia spalla e mi strinse forte la mano. Accanto al palazzo dei Cirillo, giunse la famiglia Ruggiero con tre pacchi di fuochi. I due fratelli, in compagnia di altri familiari, iniziarono a sparare senza sosta e a gareggiare contro i Cirillo e gli altri del rione. Elena ed io eravamo disposti di fronte a quella battaglia di spari, come se fossimo due giudici pronti a proclamare il vincitore di quello la gara. Questo era certo: i fuochi dei Ruggiero erano più belli.  

“Ad ogni capodanno cerco sempre un luogo rumoroso per pregare mia madre. Lo faccio da quando è morta”

La guardai di scatto e le sue labbra sibilavano un padre nostro con le mani congiunte. Quella gara fu interrotta da un grido disumano proveniente dal palazzo dei Cirillo: Elena si alzò dalle scale della macelleria e accorse, senza fregarsene dei detriti che cadevano dal cielo, dall'altra parte del marciapiede. Un bambino era stato ferito gravemente al volto. Sanguinava dal naso e sul lato sinistro della faccia aveva una profonda ferita. Nando e il signor Ciompi portarono il bambino in ospedale. Si salvò. Di quella notte, di festa e pericolo, mi rimase impresso il volto di Elena mentre pregava. Non mi aveva mai detto che dopo la morte di Teresa, pregava ad ogni capodanno. Inoltre non mi spiegavo perché andava alla ricerca di luoghi rumorosi. Questo, ancora oggi, rimane uno dei tanti misteri che avvolgeva la figura di Elena Esposito.

Quando avevamo sedici anni, una notizia ci colpì particolarmente: il suicidio di Don Matteo Cirillo. Era quasi il tramonto quando Don Matteo si recò con la sua Ford Ka sul molo del porto di Pozzuoli. Quel mattino, infatti, aveva detto ai suoi familiari che sarebbe partito per Milano per alcuni lavori e che avrebbe passato la notte fuori casa. L'uomo aveva debiti fino al collo e tutte le sue ricchezze erano scomparse in seguito all'incendio che coinvolse la fabbrica di droga, situato nei pressi di Nola. Si fece prestare molto denaro per salvaguardare la posizione di nobile ricco nel rione. Erano le sette di sera quando aprì il portiera della vettura e si accostò al mare amareggiato per il forte vento. Le onde che si infrangevano sul molo creavano una schiuma biancastra e il vento forte schizzava gocce di acqua sul volto dell'uomo, in procinto di buttarsi. Estrasse una pistola dalla giacca di seta blu e se la puntò alla tempia. Uno sparo e pose fine alla sua vita. Il suo corpo cadde nel mare in burrasca. Di seguito il suo corpo fu trasportato sulla spiaggia di Miseno. Fu ritrovato sulla riva da dei marinai che lo soccorsero e lo portarono all'ospedale inutilmente. Era morto. La notizia si diffuse nel rione. La sua morte non stupì nessuno di quelli che gli erano affezionati. Il suicidio di Don Matteo fu accolto positivamente, senza nessun dramma o scenata da parte né della famiglia e né delle sue numerose amiche. Oramai tutti sapevano che il poveretto era zeppo di debiti ma lo illudevano e lo facevano vantare che fosse ricco e che la sua fosse la famiglia più ricca del rione e di Napoli. Dopo il funerale mi angosciai molto sul significato di morte. Dov'è adesso Don Matteo? Posi questo interrogativo a Elena, la quale si mostrò molto indifferente per la notizia. Diceva che se lo meritava e che adesso la famiglia Cirillo avrebbe finito di fare i signori col sudore altrui. Era momento di alzare le maniche e andare a lavorare. Diceva quelle cose con molto odio e astio. Mi spaventò il suo linguaggio, i suoi occhi arrabbiati, per i modo in cui gesticolava.  

“Perché sei così cattiva?”

“Sei tu troppo buono, qua se non sei cattivo non vai da nessuna parte”

Elena diceva che ora l'anima di Don Matteo era all'inferno, tra le fiamme ardenti e lacerato e squartato da lame affilate. La sua anima doveva affrontare quelle torture per l'eternità e che non aveva via di fuga. Chi commette peccati in terra deve pagarli all'inferno. Lo diceva persino Dante Alighieri della Divina Commedia. Quelle parole mi turbarono e me ne andai. Raccontai quell'evento a Carmen che si mostrò molto comprensiva. Diceva che nessuno doveva morire in quel modo e che aveva sbagliato ad uccidersi, solo i codardi lo fanno.

Dal quarto liceo il rapporto mio e di Carmen andò oltre l'amicizia.

Una sera stavamo studiando biologia sul terrazzo di casa sua. Studiavamo la riproduzione sessuale quando di punto in bianco iniziò a toccarmi sotto con le dita dei piedi. La guardai imbarazzato e le sorrisi. Le dissi che c'erano i genitori a casa e che non era il momento. Lei si alzò dalla sedia e si sedé sulle mie gambe e iniziammo a baciarci appassionatamente. Ci fidanzammo e rendemmo ufficiale la cosa: i suoi genitori erano molto felici. Ma la persona più felice di tutti era mia madre che già pensava ad un eventuale matrimonio con una donna ricca come Carmen. Si vantava con tutti per il mio legame con la figlia di un ingegnere che viveva a Posillipo, luogo sempre invidiato da tutte le donne del rione. Presto la portai a conoscere i miei suoceri. Era abbastanza turbata perché non sapeva come comportarsi di fronte a signori di alta fama. Ma presto si mise a suo agio e parlò soprattutto con Diana, la madre di Carmen. Elena, invece, mi trattò con freddezza. Non capivo quel suo comportamento e mi fece molto male. Le chiesi cosa le prendeva. Aveva paura che mi sarei sposato con quella e che non l'avrei mai più considerata. Quella paura mi giovò e ne rimasi felice perché ci teneva a me, ma allo stesso tempo vederla soffrire mi rattristiva. Diceva che era gelosa, ero la sua unica famiglia, non voleva perdermi, iniziò a maledire quella signora del cazzo di Carmen. La conversazione terminò con una difficile scelta: continuare l'amicizia con lei o l'amore per Carmen. In effetti quello per Carmen non lo chiamavo amore, ma solo interesse. Mi piaceva perché era una ragazza molto bella ma non provavo le cosiddette farfalle allo stomaco. Ma soprattutto quando voleva fare sesso con me, svincolavo. Al quinto liceo, diventammo la coppia più invidiata dell'intero Mercalli: io ero bellissimo, denti bianchi, con un bel fisico nonostante non facessi nessuno sport, capelli ricci molto folti e lei capelli neri, un po' più bassa di me, magra e soprattutto ricca. Scoprii che ero amato da tante ragazze del liceo, anche di classe nostra. La notizia del nostro fidanzamento giunse anche ai professori. Lo capimmo quando un giorno il professore Gallo ci chiamò entrambi alla lavagna e ci fece disegnare un grafico. L'equazione era

(x2+y2-1) 3 – x2 y3 = 0

Carmen non riuscì a svolgere l'esercizio mentre io si: dal grafico sbucò proprio un cuore. Guardai il professore con occhi imbarazzati mentre lui se la rideva sotto ai baffi bianchi. Poi con un'ironia mai vista prima urlò

“Viva i piccionncini”

In cinque anni di liceo, non avevo mai visto il professore Gallo così ironico. Mi chiamò persino per nome, cosa mai successa a nessuno dei suoi alunni. Preferiva avere le distanze e chiamare i suoi studenti per cognome.

   
 
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