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Autore: Emmastory    15/10/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXVI

L’occhio di mille tempeste

Fino a pochi attimi prima mi ero sentita debole, impotente e senza forze, e avevo rischiato più volte di scoppiare in lacrime nell’udire le metaforiche eppure reali grida della foresta che il mio elemento mi permetteva di scorgere nel mezzo del silenzio più totale, quando, cadendo, perfino uno spillo avrebbe fatto rumore. Ormai sicura della sua fonte, avevo deciso di uscire di casa, anche Christopher si era unito a me senza perdere tempo, e ora, insieme, correvamo. Non facevamo altro che correre, e con ogni passo, la testa mi doleva come mai aveva fatto prima. Per quanto ne sapevo, non ero malata, né avevo la febbre, e costretta a fermarmi, presi un respiro profondo. “Kaleia, amore, stai bene?” chiese Christopher, con lo sguardo serio e la voce rotta dalla preoccupazione. “Sì, certo, dobbiamo… dobbiamo…” provai a rispondere, faticando ad esprimermi e sentendo ogni parola trascinarsi fuori dalla mia bocca come una preda morente ma ancora viva fuori dalla tana del proprio aguzzino. A quella vista, il mio amato sbiancò, diventando pallido come un cencio, e più severo che mai, arrestò la sua corsa. “Fermati.” Mi ordinò, in tono duro. Sorpresa, non me lo feci ripetere due volte, e lottando per respirare, avvertii un nuovo dolore, stavolta al fianco. Eravamo fermi, ed era vero, ma quasi ignorandoci, crudeli e incapaci di perdono, il tempo e il vento continuavano a scorrere e soffiare, mentre ogni istante e ogni folata mi ferivano, arrivando puntualmente a scuotermi il corpo e l’anima, lasciandomi quasi senza respiro. Poco dopo, il silenzio fu tale da renderci sordi, e tenendoci per mano, marciammo ancora. La nostra corsa si era trasformata in un cammino di morte, dolore e distruzione, poiché ovunque mi guardassi non vedevo altro che questo. Rami spezzati, alberi sradicati, fiori appassiti e animali spaventati. Uniti, una madre e i suoi leprotti avevano trovato rifugio sotto un mucchio di foglie secche, e come loro, anch’io stavo ancora tremando. Fra un passo e l’altro, mi passavo le mani sulle braccia per ritrovare il calore ormai perso e scaldarmi, ma senza successo. Stoico, Christopher non diceva una parola, ma i suoi occhi e il suo povero corpo parlavano per lui. Potevano essere passati dieci minuti, o forse anche meno, e sforzandomi perfino per deglutire, sentii il respiro spezzarmisi nuovamente in gola. Dopo il vento, anche il freddo iniziava a plagiarci, e nonostante fosse estate, attorno a noi sembrava pieno inverno. “Chris, la grotta.” Dissi appena, le mie parole un sussurro gelato. Mantenendo il silenzio, lui si voltò a guardarmi, poi annuì. “Hai ragione, muoviamoci. Sembrò voler dire, stringendosi nella sua giacca leggera e cercando la mia mano ancora una volta. Un gesto d’amore e complicità davanti al quale spesso sorridevo arrossendo come una bimba intimidita, ma che in quel preciso momento, assumeva tutt’altro significato. “Sono qui per te, puoi fidarti.” Cinque parole che non diceva, ma che il suo sguardo mi comunicava. Spaventata, mi voltai a guardarlo, e fu allora che davvero mi calmai. Nonostante la legge che vigeva al bosco e il pensiero comune, lui non era soltanto il mio protettore, ma anche mio marito, e quella era solo una delle centinaia o forse migliaia di ragioni per cui lo amavo così tanto. Ad unirci era stato il caso, o come le anziane non avrebbero esitato a dire, la legge stessa, ma a me, a noi, non importava. Ci eravamo rimasti accanto in ogni momento, in quelli di calda luce e freddo buio, senza mai separarci né lasciarci andare. Era successo, e non lo negavo, e ogni volta, come lui stesso amava dirmi, facendo sapientemente ricorso a uno dei tanti adagi umani, aveva calmato la mente e il cuore, lasciando che questo agisse da bussola e lo riportasse da me. Divorata dalla tensione, mi concentravo su quei pensieri per mantenere la calma, e all’improvviso, un altro, totalmente diverso mi balenò in mente. I miei amici. Dov’erano? Che era successo loro in questa catastrofe? Stavano bene? E se erano feriti, si sarebbero ripresi? Tutte domande che mi ponevo in silenzio, torturandomi le membra. Tesa, continuavo a guardarmi intorno con occhio indagatore, affidandomi anche alle capacità del mio ciondolo, ma niente. Ci provavo, ma tristemente, niente. Non avvertivo alcuna scia magica, eppure ero sicura di esserne circondato. Non vedevo né sentivo Lucy, Lune, sua madre Isla, suo padre Oberon, e nemmeno la piccola Sunny, che nel pelo aveva e avrebbe sempre avuto tracce della magia delle padroncine. Fra un passo e l’altro, continuavo il mio viaggio verso la grotta, e pur non potendo distrarmi o avvicinarmi a loro, speravo ardentemente che non gli fosse accaduto nulla di infausto. Insicura, continuavo a pregare, e con le mani fredde e il cuore in tumulto, tenevo lo sguardo alto e dritto di fronte a me. Scuotendo la testa, mi riscossi da un ennesimo brivido, e con la tensione e la preoccupazione sempre fermi nel suo animo, Christopher non riusciva a staccare gli occhi da me. “Come ti senti? Va tutto bene? Vuoi… vuoi che ci fermiamo?” chiese, la voce addolcita eppure spezzata dai sentimenti. Innamorata come sempre, gli regalai un dolce sorriso, e proprio allora, un’improvvisa stanchezza mi fece barcollare. Svelto, Christopher fu lì per sorreggermi per evitare che cadessi, e ben presto, un secondo sorriso mi si dipinse in volto. Felice, il mio amato sorrise a sua volta, e nel mezzo di quel disastro, le nostre labbra si sfiorarono. Tremante come una foglia in autunno, trovai conforto fra le sue braccia, e per qualche sporadico attimo, non provai più paura né dolore. Ad occhi chiusi, mi godetti quel momento, e restando abbracciata a lui, potei solo dire che era bellissimo. Nulla di dissimile da un abbraccio, qualcosa che avevo sperimentato più e più volte, ma comunque bellissimo. Lì, in mezzo alla foresta, circondati da un vero inferno, eppure felici. Quella sola consapevolezza mi rendeva felice, e in un gesto lento e pieno di tenerezza, gli presi la mano, posandomela sul ventre. Proprio lì riposava la creatura che un  giorno avremmo accolto come nostra nella famiglia che avevamo intenzione di creare, e dopo interminabili secondi di silenzio, ci baciammo ancora. Concentrata, non pensai ad altro che a quel contatto, e quando ci staccammo, avidi sia d’amore che d’aria, tornammo a non aver tempo che per la nostra missione. Fortunatamente più tranquilla, camminai lentamente, e nonostante il solito fare guardingo affinato nel tempo, azzardavo ogni tanto qualche sorriso e qualche stretta di mano, così che Christopher sapesse che stavo bene e che nulla mi turbava. Tutto ciò era vero soltanto in parte, ma si era preoccupato già abbastanza per un solo giorno, e amandolo profondamente, forse perfino di più di quanto amassi me stessa, non intendevo causargli altro dolore. Così, con lo sguardo fiero e il corpo più rilassato, finalmente notai qualcosa. incredibilmente, il freddo aveva cessato di esistere, e così anche il vento, che aveva taciuto dando tregua agli alberi e alla natura che avevamo intorno. Abbassando poi gli occhi, li fissai sul terreno, iniziando inconsapevolmente a contare i passi che ci separavano dalla nostra meta. Chiudendo gli occhi, trassi un nuovo respiro, e incrociando lo sguardo di Christopher, mi strinsi nelle spalle, chiedendomi perché mi fissasse con così tanta insistenza. “A quanto pare, tua sorella si è calmata.” Disse soltanto, scherzoso come al solito. Tacevo, non lo dicevo quasi mai, ma era stato anche il suo modo di fare ad avermi attratta e spinta fra le sue braccia, come succedeva alle falene ogni volta che incontravano la luce. In molti guardandole le avrebbero chiamate stupide, avrebbero dato loro delle pazze, ma sicuramente non io. Vederle schiantarsi contro le lanterne mi faceva ridere, certo, ma nonostante questo, io le reputavo coraggiose e determinate, decise a raggiungere ciò che amavano anche se quest’ultima le avrebbe uccise. Pensandoci, ricordavo bene che qualcosa di simile era successo anche a me poco dopo l’inizio della mia relazione con Christopher e l’avvento del ciondolo che teneva sotto controllo le due parti della mia anima, una umana e l’altra fatata, e per fortuna, come spesso ripetevo, le stelle avevano deciso di sorridermi, e sin da quel bellissimo giorno, avevo potuto godere a pieno dell’amore del mio fidanzato, che oggi guardavo negli occhi, e fra un sorriso, un sospiro innamorato e un battito del mio giovane cuore, ero felice e orgogliosa di chiamare mio marito. Preso da me fino all’inverosimile, Christopher provava le stesse cose, e ne ero sicura, specialmente perchè ogni volta scorgevo nuovi dettagli di puro amore nel verde dei suoi occhi e nel caratteristico luccichio che li pervadeva quando era felice. “Probabilmente mia madre è con lei.” Risposi, abbozzando in quel momento un sorriso che non raggiunse i miei occhi. Triste a quel solo pensiero, e al dolore che la mia povera mamma doveva star provando mentre soffriva per Sky, feci il resto della strada con gli occhi bassi e le mani nelle tasche della veste, e quando lo rialzai, la vidi. La grotta. La meta che tanto avevamo agognato, finalmente davanti a noi. Sorpresa, rimasi a bocca aperta, e sfiorando il braccio di Christopher, sperai d attirare la sua attenzione. “Chris, tesoro, guarda. Siamo arrivati.” Dissi in un sussurro, con il fiato corto per l’incredulità. Contento come e forse più di me, lui quasi non riuscì a parlare, e annuendo lentamente, mi decisi. “Andiamo.” Gli feci capire, prendendogli la mano e compiendo al suo fianco gli ultimi passi di quel viaggio. Sicuro di sé e del nostro obiettivo, il mio amato mi seguì senza proteste, e di lì a poco, eccoci. Finalmente, dopo quelle che ci erano sembrate ore di cammino, arrivati sani e salvi alla grotta delle ninfe. Quasi aspettandosi il nostro arrivo, Aster e le sue sorelle ci accolsero con muto calore, e con loro anche Anya, la compagna di Red. Ora lui non era con noi, ma da ciò che vedevo ogni volta che al mattino chiedeva di uscire per raggiungere la sua nuova e più recente tana, cambiata dopo l’incendio che aveva rovinato parte di Primedia e del mio bosco di nascita, mai davvero lontano dai suoi cuccioli. Quattro, due maschi e due femmine, tutti il ritratto della salute. A differenza loro, la madre aveva una cicatrice in prossimità dell’occhio, ma da ciò che vidi salutandola, la garza che Christopher ed io avevamo applicato aveva fatto il suo lavoro, e unita alla magia curativa delle ninfe, lenito quella ferita fino a farla sparire. Intenerita dalla vista dei suoi piccoli, li chiamai a me battendomi una gamba, e veloci, i quattro corsero nella mia direzione, dando inizio a una buffa gara e sfidandosi l’un l’altro per ottenere la mia attenzione. Ridendo divertita, li accolsi fra le mie braccia, e dopo qualche carezza, tornai a concentrarmi sul problema più importante. Rialzandomi da terra, incontrai lo sguardo di Aster, e tesa come mai l’avevo vista, questa non riuscì a sorridere. Era felice di vedermi, lo notavo guardandola, ma la luce nei suoi occhi fu presto sostituita da un freddo glaciale, mentre le foglie e i fiori nei suoi capelli perdevano lucentezza. “Qualcosa ti turba, mia cara. Lo sento.” Disse, la voce un basso e roco mormorio che risuonò nella caverna. “E hai ragione. Si tratta di mia sorella. Non so se l’hai vista, se tu e le tue sorelle avete notato qualcosa, ma la tempesta che c’è stata…” l’ennesima frase che pronunciai e lasciai in sospeso, troppo spaventata e indecisa per completarla. Avrei potuto, ovvio, ma nonostante Aster fosse mia amica, ero mortalmente certa che il peso del suo eventuale giudizio mi avrebbe schiacciata. “È stata lei a causarla, lo sappiamo.” Rispose un’altra voce, diversa e più profonda, confusa, non seppi da dove o da chi provenisse, e solo allora un nuovo volto smise di nascondersi nell’ombra. “Carlos!” chiamò lei, attonita. “Aspetta, chi?” non potei evitare di chiedere, più confusa di prima. “Scusate, ragazzi. Voi non lo conoscete, ma lui è Carlos, il mio…” tentò di rispondere Aster, balbettando per la vergogna e guardandoci come se ci avesse notati per la prima volta. “Aster, ninfetta mia, che ti succede? Hai per caso paura a presentarmi ai tuoi amici? Ci siamo già visti, non credi sia ora che conoscano il mio nome?” le fece notare il misterioso individuo, che in quel momento assunse per me una vera identità. Nel silenzio della spelonca, un ricordo si fece spazio nella mia mente, e fu allora che capii. Avevo davvero visto prima quell’uomo, e il suo essere per metà umano e per metà capra confermò le mie teorie. Ricordavo bene, ed era un satiro, ma non uno qualunque, bensì quello che aveva rubato il cuore della mia cara amica. “Un attimo, io so chi sei!” dissi con convinzione, quasi urlando e dando vita a un’eco infinita. “Esatto, cara fata naturale. Sono Carlos, il ragazzo di Aster.” Continuò lui, sorridendo debolmente, negli occhi a metà fra l’oro e l’ambra la calma tipica della scintillante acqua del lago dei cigni. Sempre loro, sempre gli stessi, sempre Honor e Promise, ai quali sorrisi muovendo appena una mano come per salutarli. Notandomi, i due rimescolarono l’acqua con le ali, e incuriositi, alcuni boccioli volarono verso di me. Tranquilla, attesi che fossero abbastanza vicini da essere sfiorati, ma per mia sfortuna, quel momento non arrivò mai. “Carlos! Mi metti in imbarazzo!” protestò poco dopo Aster, arrossendo in volto e pestando i piedi come una bambina. Facendo uso di una calma che avrei definito mostruosa, il suo ragazzo non si scompose, e al contrario, si limitò a guardarla, e non appena i loro sguardi si incrociarono, un bacio unì le loro labbra. Immobile, Christopher ed io guardammo il loro amore fiorire, e assieme a questo, anche una chiazza d’erba ai loro piedi. Una sorta di malfunzionamento dei suoi poteri e anche dei miei, anche se almeno in quell’occasione la colpa non era mia. Sorridendo con la bocca e con gli occhi, mi sforzai di trattenere una risata, e guardando altrove, diedi loro la riservatezza che si meritavano. Quel momento fra di loro non durò poi molto, e con la sua fine, la mia amica tornò ad essere sé stessa. Spazzolandosi la veste con le mani, sperò di liberarla dalla polvere magica che la sporcava, e a lavoro finito, tornò a guardarmi, e dalle sue labbra fuggì una sola frase. “Kaleia, ascolta. So, anzi, sappiamo che quello che succede a Sky e alla foresta è orribile, ma per fortuna non è grave, ma solo un forte legame vi farà uscire dall’occhio di mille tempeste.”  

 
   
 
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