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Autore: merty_chan11    15/10/2019    1 recensioni
[ sabigiyuu ] [manga spoiler ] [capitoli 130/131 ]
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Giyuu aveva corso e corso ed era caduto così tante volte da non sentire più il dolore. Quello dello spirito, più che il bruciore delle ginocchia sbucciate e dei graffi provocati dai rovi, rovi che all’epoca gli erano parsi più come delle mani protese sul suo piccolo corpo per afferrarlo e condurlo nello stesso luogo dove riposava l’anima di sua sorella.
L’avrebbe preferito, forse. Avrebbe preferito quel castigo all’essere rimasto in vita. Lui, l’essere più inutile sulla Terra, incapace perfino di proteggere la sua famiglia.
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Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo un raggio di luce




 

La notte è un tormento.

Giyuu l’ha sempre odiata, ma dopo la morte della sorella il calar del sole quasi lo terrorizza. Ad ogni tramonto osserva estraniato dal mondo che lo circonda ogni singolo movimento della gigantesca palla di fuoco del cielo che corre dietro le montagne e lascia il posto alla luna. 

Sua sorella amava la luna. Ma a Giyuu fa paura. Perchè la luna indica la venuta del regno dei demoni, di quelli che hanno portato via la sua famiglia, e Giyuu ne è terrorizzato. Non sa bene se sia per la possibile presenza di quei mostri o per il ricordo di quei versi di beste che risuonano nella sua mente sin da quel giorno, dal rumore dei loro denti che cozzano contro le spade del Corpo Ammazzademoni a quello delle loro fauci che lacerano le carni. Non lo sa, è solo un bambino.

Un bambino che come tanti altri è dovuto crescere troppo in fretta.

La notte rappresenta un tormento e nemmeno quella ne é esente. La presenza di Urokodaki non calma la sua anima come invece sembra succedere a Sabito, che subito chiude gli occhi e ronfa come un vecchio.

A Giyuu il sonno coglie impreparato poche volte, e quando si palesano quelle rare notti in cui la sua anima riesce a ritrovare ristoro, ecco che una tempesta compare all’orizzonte e per lui è troppo tardi per evitarla.

Giyuu non ha mai imparato a nuotare, non ne ha mai sentito l’esigenza. E da quella tempesta lui, che nell’acqua non è capace a muoversi, non ha alcuna possibilità di uscirne.

Annaspa e tende le mani verso un cielo che si allontana mentre gli abissi marini lo trascinano verso il fondo, verso il basso, in un luogo in cui la luce più non lo raggiunge e l’aria si fa rarefatta.

È esattamente come quella notte. Non c’era luna, ad assisterlo, quando sua sorella era stata uccisa. Anche le stelle si erano nascoste, quasi non volessero essere spettatrici di quella crudeltà che si stava consumando sotto il loro dominio.

Giyuu aveva corso e corso ed era caduto così tante volte da non sentire più il dolore. Quello dello spirito, più che il bruciore delle ginocchia sbucciate e dei graffi provocati dai rovi, rovi che all’epoca gli erano parsi più come delle mani protese sul suo piccolo corpo per afferrarlo e condurlo nello stesso luogo dove riposava l’anima di sua sorella.

L’avrebbe preferito, forse. Avrebbe preferito quel castigo all’essere rimasto in vita. Lui, l’essere più inutile sulla Terra, incapace perfino di proteggere la sua famiglia.

Non sa di preciso quando arrivano le lacrime, se nell’istante in cui l’aria lascia il suo corpo o quando la luce scompare definitivamente. Non dovrebbe piangere, non se lo merita. Non si merita di rendere il suo corpo più leggero liberandolo dalla tristezza grazie alle lacrime. Si merita di affondare, come il codardo che è sempre stato.

Eppure, Giyuu non riesce a smettere. Scorrono come fiumi lungo il suo viso, incorniciandolo in uno strano dipinto da cui trasuda un dolore antico, un dolore inestinguibile che si fonde all’acqua che gli sta attorno, acqua in cui si sta perdendo. Acqua di cui lui stesso è fatto, a cui ritorna.

Poi, all’improvviso, una luce. Il sole rompe l’acqua come se sia di vetro, e la luce rischiara quell’oscurità in cui è caduto. Lo risolleva nonostante abbia smesso di combattere. Lo tira fuori dal suo pianto, gli dà conforto.

È di una forma indefinita, quella luce. Ma è vita. Giyuu lo sa, lo avverte. Perchè il suo pianto cessa, perché le sue ferite invisibili vengono risanate da una magia che è più forte della sofferenza, più resistente della morte stessa.
Si muove verso il calore, in bilico nel suo sogno, in quel calore così diverso da quello sprigionato dal sangue, più simile al fuoco di un camino ravvivato in una giornata di festa. È un calore che sa di casa, di conforto, di protezione. E Giyuu si protende verso di esso illudendosi, per un breve ma fatale istante, che quei fasci luminosi non siano in realtà le braccia della sorella che lo attendono. E che si sgretolano, non appena Giyuu cade preda delle illusioni del suo cuore. braccia della sorella che si sgretolano non appena le tocca. Qualcosa fa resistenza. È  la lana spessa delle coperte che lo ostacolano ma che nel suo sogno paiono più come un muro che lo separa dalla dimensione in cui lei è finita e non può raggiungerlo. 

Continua ad agitarsi nel sonno e lo sa, è consapevole che quello sia un incubo ma non riesce ad uscirne, a riaprire gli occhi. È come essere intrappolati in una tela di un ragno ma essere vigili, vedere perfettamente come il predatore tortura la sua preda e Giyuu si trova nel mezzo, senza possibilità di fuga.

Poi, tutto tace.

Forse si è mosso, o forse no. 

Ma adesso ha due braccia che lo stringono, diverse da quelle della sua amata sorella ma ugualmente forti, capaci di sostenerlo. Braccia che sono andate incontro ad un destino simile al suo, braccia piene di cicatrici che mettono in risalto il più disperato attacco alla vita. Così diverse dalle sue, che non hanno la forza di combattere. 

Ha una mano che passa tra i suoi capelli e che cerca di calmarlo, compiendo piccoli giri tra la sua chioma di carbone. Allontanano via il suo incubo, quelle mani, lo riportano in quella spiaggia che Giyuu avrebbe rischiato di non trovare mai se qualcuno non l’avesse salvato.

Si sente inutile, ancora una volta. Perchè non ha la forza di risollevarsi da sé ma si appoggia sempre agli altri. Altri che, forse, sono più degni di vivere di quanto lo sia lui.

Non si è accorto di piangere, non si è accorto di essersi svegliato. Incrocia gli occhi di Sabito, quello stesso sguardo del colore del glicine che tiene lontano i demoni, che scaccia i mali con la sua sola presenza.

Preme forte il viso contro il suo petto e crolla, esausto, cullato dal suo abbraccio.

Forse è lui, in realtà, la luce che l’ha salvato dall’annegare nei suoi stessi sogni.

 


 

Non c’è nessuno, al suo risveglio. Nessuno a salvarlo dall’oscurità dei suoi incubi, nessuna mano che passa tra i suoi capelli a confortarlo, a mandare via con la sua consueta delicatezza gli spettri che lo tormentano la notte.

Non c’è nessuno.

Ma c’è la luce. La luce di una tenue alba invernale che gli annuncia un nuovo giorno. Come a salutarlo, come faceva lui con un buffetto su una spalla o con una mano che gli scompigliava i capelli. O con un bacio, dato con timidezza, in un’epoca in cui Giyuu a malapena aveva sentito parlare dell’amore.

C’è il vento che ancora ulula con la furia della notte, ma la luce che si fa strada tra gli alberi e gli oggetti della sua spoglia abitazione fino al posarsi sull’acciaio della spada che riluce come un monumento funebre nella stanza.


 

N.d.A:
Il 2019 said ama le ship dove x è morto e y vive e soffre per questo e chi sono io per voltare la faccia a questo concept? Che mi distrugge ogni giorno, aggiungerei 
Non pubblico in questa piattafroma da tantissimo tempo e mi mancava, tantissimo. Non potevo che riprendere con questa

A Giyuu e Sabito ho donato il cuore e honestly come primo tentativo a scrivere di loro sono soddisfatta; spero davvero di continuare a produrre anche piccole fic perché mi piacciono proprio tanto, mi piace la loro dinamica e sopratutto mi piace il personaggio di Giyuu, che per certe cose sento forse un po' mio
Spero di aver fatto un buon lavoro!
Enjoy!!!

  
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