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Autore: Nadine_Rose    16/10/2019    2 recensioni
Sarah ed Hermann sono rispettivamente due tra le tante vittime e i tanti carnefici nell’ora più buia della storia dell’umanità. Il campo di Fossoli, anticamera dell’inferno nazista, sarà la loro comune e perenne prigione d’amore malato.
Matteo, un giovane pescatore, sarà colui che proverà a sciogliere il cuore di Sarah dalle catene del tenente Hermann, nello speranzoso e disperato scenario del dopoguerra napoletano.
[Capitolo 65: Un amore a Fossoli]
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Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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Capitolo-3

Immagine dal film “Schindler’s List”

 

Dal capitolo 3:

 

Campo di Fossoli, febbraio 1944

 

Afferrandola per il braccio, il tenente la sollevò bruscamente dal pavimento.

“Tu farai quello che voglio io!” le disse, stringendole forte il braccio fino a quasi imprimere le dita nelle sue ossa.

Sarah sapeva benissimo di non avere alcun scampo, di non poter nulla contro tanta violenta forza ma era decisa a sfidarla, a combattere per proteggere la sua integrità. Tra lacrime e gemiti, tentò di svincolarsi dalla presa ma il tenente l’afferrò da dietro e la strinse forte contro il suo petto. Quasi le mancò il respiro e credette di morire. Una mano entrò nella camicetta, alla ricerca smaniosa delle sue nudità mentre l’altra le tappava la bocca per zittirne le flebili urla. Poi il tenente le strappò di dosso il vestito, graffiandole la pelle, lacerandole l’anima e, come se pesasse poco più di una piuma, la gettò sul letto, schiacciandola con il proprio corpo. Sarah tentò ancora di resistergli scalciando e colpendolo al petto con pugni ma dovette arrendersi dopo due forti schiaffi che la stordirono. Mentre il dolore accresceva, chiuse gli occhi per evitare il suo sguardo bramoso e si tappò le orecchie per non sentire i suoi spasimi di piacere. Tra le sue mani era come una bambolina di pezza da girare e rigirare, da scuotere e fare a pezzi, fino a quando non fu stanco di giocarci.

 

Capitolo 15

 

Bianco è il colore dei miei sogni infranti

 

“A volte due persone, per combaciare, devono prima rompersi in mille pezzi.”

Fabrizio Caramagna

 


Capitolo-15

Immagine dal film “Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey”

 

17 febbraio 1944

 

Era quello il prototipo geneticamente perfetto di razza ariana? Dormiva ancora la belva umana che non aveva disdegnato di approfittarsi di una ragazza ebrea. Perché lo aveva fatto, se i nazisti consideravano quelli come lei “vermi che si annidavano nei cadaveri in dissoluzione”, “coloro che avvelenavano tutto il mondo”, nemici pericolosi e ripugnanti? Trovò la risposta nella domanda stessa e si diede della ingenua per non averlo compreso prima: se l’obiettivo dei nazisti era quello di strappare agli ebrei ogni dignità, con lei vi erano riusciti alla grande.

Sarah ruzzolò dal letto e, strisciando lentamente per terra, tremante per il dolore, raggiunse una parete. Non c’era parte del corpo che non le facesse male, un angolo della propria anima che non bruciasse per le ferite. Sedette sul pavimento freddo, appoggiando le spalle al muro e, chiudendo forte gli occhi in una smorfia di dolore, si strinse la sottoveste fra le intimità. Non era così che aveva immaginato la sua prima volta.

Schiaffi, invece di baci. Ingiurie, invece di dolci parole. Sangue e lacrime, al posto di carezze e sospiri. La violenza, al posto dell’amore. Come sigillo, un vile compromesso, anziché una promessa, per diventare la concubina di un nazista, anziché una sposa virtuosa.

Ferita nell’innocenza, si sentiva sporca, umiliata, oltraggiata nel corpo e nell’anima, squarciata e trafitta fin dentro le viscere. Senza più lacrime da versare, sgranò gli occhi in un’espressione di vuoto e iniziò a vedere la belva nazista, sdraiato mezzo nudo sul letto, i mobili e tutt’attorno nella stanza come ombre sfocate. Poi vide tutto bianco.

Bianco, come le lenzuola che sua madre ricamava per lei da vent’anni, ovvero dalla sua nascita.

“Arriverà l’amore e sarà speciale e la tua attesa non sarà stata vana”, le aveva detto un giorno sua madre, mentre ripiegava il corredo nella cassapanca, notando la malinconia sul suo viso adolescente.

Bianco, come l’abito che non avrebbe mai indossato. Bianco, come i confetti che, alle sue amiche del quartiere, già sposate, non avrebbe mai potuto ricambiare. Bianco, come il riso che nessuno le avrebbe mai lanciato, fuori a una chiesa le cui porte per lei non si sarebbero mai più riaperte, neanche per accogliere il suo feretro. Sarebbe morta, o forse lo era già, schiacciata, soffocata dal peso di quell’uomo infame, e il suo corpo sarebbe stato gettato in una fossa comune, in un posto sperduto d’Italia.

Pensieri di morte si rincorrevano veloci nella sua mente, fino a quando, ritornata in sé, non si accorse di trovarsi in una vasca da bagno, con due occhi scuri puntati addosso che la guardavano impietositi.

“Pòra fia, anim”[1], le disse la donna, mentre, con una spugna in mano, si apprestava ad aiutarla a lavarsi, “quando ci avrai fatto l’abitudine, non farà così male.”

Sarah scoppiò in lacrime, mentre un senso di nausea le attanagliò lo stomaco. Meglio essere morta, pensò.

 

Sorrento, settembre 1946

 

Con il permesso e la benedizione del signor Gennaro, Sarah e Matteo avevano ricominciato a vedersi e uscire insieme. La loro relazione poteva già essere definita un fidanzamento ufficiale.

Quel giorno, Matteo aveva mantenuto la promessa fatta a Sarah di portarla a visitare “la terra delle sirene” e, adesso, passeggiavano mano nella mano tra i caratteristici vicoli della città, pieni di negozietti e botteghe artigiane. Sospinta dall’aria frizzante di fine estate, che danzava sugli orli del suo vestito color cielo, Sarah si sentiva leggera, viva, libera, felice e non riusciva a smettere di sorridere. Di tanto in tanto, si fermavano a qualche bancarella, per assaggiare caramelle al gusto di limoncello e provare cappelli di paglia, facendo espressioni buffe e poi riderne. Sarah ne scelse uno e Matteo insisté per regalarglielo.

Camminando lungo stradine in discesa, giunsero in una piccola insenatura che lasciò Sarah a bocca aperta: il porto di Sorrento era un quadro variopinto. Le casette dei pescatori, con i loro colori e panni stesi alle finestre, si affacciavano sul mare che luccicava polvere d’oro, mentre la spiaggetta di sabbia vulcanica sembrava brillare d’argento sotto i raggi del sole di mezzogiorno. All’ombra di una chiesa lì vicina, a pochi passi dal mare, mangiarono il pane appena sfornato e poi, sempre mano nella mano, risalirono verso le strade della città.

Un senso di pace accarezzava il cuore di Sarah, i cui occhi erano spalancati in uno sguardo luminoso e sognante e, dentro di sé, sentì vibrare la spensieratezza di una ragazzina al primo amore, quando, risalendo un vicoletto incorniciato da piante di limoni, Matteo improvvisamente la strinse in un abbraccio e le diede un bacio sonoro sulle labbra. Ma, in fondo, era Matteo il suo primo, vero amore. Matteo le sorrise con aria vispa e Sarah, ricambiando il sorriso, arrossì sulle gote. Lo amò, tra i profumi di zagare e ginestre.

Dopo non molto, giunsero in una villetta, che altro non era che una suggestiva terrazza a picco sul mare circondata da fiori e piante e con una stradina che conduceva al mare, e si appoggiarono alla ringhiera ad ammirare il panorama mozzafiato del Vesuvio, delle isole e della spiaggia sottostante. Qualcuno faceva ancora il bagno.

Estasiata da così tanta bellezza, Sarah alzò gli occhi verso la tela azzurra del cielo e, per un attimo, si sorprese a ricordare Hermann con un senso di gratitudine. Intanto, Matteo cercò la sua mano sulla balaustra e lei gli sorrise, intrecciando le dita alle sue. Era grazie a Hermann se adesso si trovava lì, in quel posto meraviglioso, accanto a un giovane uomo dolcemente innamorato, e non tra le fuligginose nuvole del cielo grigio di Auschwitz.

“Sarah”, proruppe Matteo con espressione tenera e seria, prendendole anche l’altra mano, “io ti amo e voglio trascorrere il resto della mia vita con te, che sei unica e straordinaria, la ragazza più bella, dolce e gentile che abbia mai conosciuto.”

Gli occhi di Sarah luccicarono, divenendo come cristalli dorati e il cuore iniziò a batterle forte, mentre Matteo proseguì più serio: “Vedi, Sarah, io non ho molto da offrirti. Ho solo queste mani”, le strinse fortemente alle sue, “per lavorare in un mare spesso ostile e che, a volte, non dà nulla. E ho questo cuore per amarti.”

Matteo avvicinò le mani di Sarah al proprio cuore e subito gliele lasciò, per poi inginocchiarsi e suscitarle stupore. Frugò nelle tasche dei pantaloni e Sarah, intuendo la sua intenzione, già portò le mani alla bocca per trattenere l’esplosione di emozioni.

Quel momento valeva tutti gli anni di attesa, tutte le lacrime versate a Fossoli per il caro prezzo della sua sopravvivenza, tutti i giorni e le notti spesi a credere in ciò che in realtà amore non era.

E Matteo tirò fuori dalla tasca un anello, un antico gioiello di famiglia e, con voce spezzata, pronunciò quelle parole che Sarah sognava sin da bambina: “Sarah, vuoi sposarmi?”

Sarah scoppiò in pianto, in singhiozzi di gioia. Lo abbracciò, si abbracciarono. Lacrime incontenibili bagnavano il suo viso e la guancia di Matteo, incollata alla sua.

“Sì! Sì! Sì!” ripeté Sarah con entusiasmo e un bacio appassionato sigillò quel momento, in cui il tempo e lo spazio sembrarono fermarsi, annullarsi attorno a loro, per loro.

Non c’era più nessuno, né persone con il loro brusio né panorama con i suoi profumi, suoni e sensazioni, né terra né mare. Poi un’improvvisa folata di vento tiepido rubò il cappello di Sarah, riportandoli alla realtà. Con goffi movimenti di braccia, tentarono invano di afferrare il cappello che finì giù, nella stradina che conduceva in spiaggia e Matteo, con uno scatto, si mosse a recuperarlo.

“Lascia perdere, Matteo!” fece Sarah apprensiva, mentre, tra riso e pianto, lo guardava rincorrere il cappello lungo la stradina.

Quando fu a metà strada, Matteo riuscì finalmente ad afferrare il cappello e, da lontano, lo sventolò vittorioso. Appoggiata alla ringhiera, Sarah rise più forte e alzò gli occhi al cielo, mentre tutto in lei traboccava di felicità. Un gabbiano spiccò il volo.

Arriverà l’amore e sarà speciale e la tua attesa non sarà stata vana.

 

“Ma si sveglierà il tuo cuore

in un giorno d’estate rovente

in cui il sole sarà.

E cambierai

la tristezza dei pianti in sorrisi lucenti,

tu sorriderai.

E arriverà

il sapore del bacio più dolce

e un abbraccio che ti scalderà.”

 

Emma Marrone & Modà, Arriverà 



[1]“Povera figlia, coraggio”, in dialetto milanese.

   
 
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