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Autore: Carme93    16/10/2019    5 recensioni
Era il 1996 e il mondo magico era in subbuglio: Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato era veramente ritornato e la comunità magica aveva chiesto a gran voce le dimissioni di Cornelius Caramell.
Era il settembre 1996 ed erano trascorsi pochi mesi dello scontro al Ministero della Magia quando alcuni importanti purosangue erano stati arrestati in quanto Mangiamorte.
Era il 1 settembre 1996 e Theodore Nott cominciava il suo sesto anno, Luna Lovegood il quinto.
E se le loro strade si intrecciassero?
[Questa storia si è classificata quarta al contest "Pesca la coppia" indetto da EstherGreenwood, giudice sostitutivo Dark Sider, sul forum di EFP]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Horace Lumacorno, Luna Lovegood, Neville Paciock, Theodore Nott | Coppie: Luna/Theodore
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Una notte di luna
 
 





Draco aveva flesso il braccio destro.
No, non era stato un caso: appena si erano visti sul binario, Theodore gli aveva chiesto, per pura formalità, come avesse trascorso le vacanze.
Perché tutti li sentissero.
Perché non avessero altro su cui spettegolare.
Altro, oltre tutto quello che era accaduto a giugno.
Draco, però, l’aveva guardato e, prima di rispondere con altrettanto distacco e formalità, aveva flesso il braccio. Nervosamente.
Si conoscevano da prima di Hogwarts, perché si conoscevano il loro genitori: un classico per due eredi delle Sacre 28. Era un’amicizia particolare la loro, fatta di serali chiacchierate in Sala Comune e lunghi silenzi durante il giorno, ognuno preso dalla propria vita: Draco, seguito dai suoi cagnolini, Tiger e Goyle, intento a mettersi in mostra e scontrarsi con Harry Potter; Theodore con i suoi libri e la sua solitudine.
Il gesto di Draco non era stato casuale. Involontario, sicuramente, ma non casuale: significava qualcosa di ben preciso.  
Non si erano scritti quell’estate, ma d’altronde che cosa avrebbero potuto dirsi? Nessuno dei due avrebbe tollerato la compassione dell’altro.
Mentre Theodore s’isolava dal mondo in un dei manieri di famiglia nella parte più occidentale della Scozia – il più lontano possibile da Londra – Draco compiva una scelta, più o meno consapevole, più o meno volontariamente.
E Theodore quella mattina aveva fatto altrettanto, sebbene non ne avesse ancora pienamente coscienza: aveva evitato i compagni di Casa, si era isolato in uno scompartimento verso la testa del treno, allontanando con uno sguardo truce tutti i ragazzini del primo anno che avevano tentato di sedervisi.
Ma la sua strada e quella di Draco si erano definitivamente separate? Quell’estate nessuno degli amici del padre l’aveva contattato. Non c’era stato neppure il minimo segnale. Eppure il Signore Oscuro era là fuori e le sue forze divenivano ogni giorno più potenti: le dimissioni di Caramell e la presenza di Scrimgeour non rendevano il Ministero più forte.
Lo avrebbero cercato?
Theodore si era lambiccato il cervello per tutto il viaggio, ma arrivato a Hogsmeade non aveva più idee di quello che sarebbe stato di lui in futuro di quante ne avesse avute quell’estate.
Sarebbe stato costretto a scegliere, lo sapeva. Avrebbe potuto non schierarsi?
Forse avrebbe potuto lasciare il paese, ma non ci credeva veramente: il Ministero aveva congelato il patrimonio di famiglia e così sarebbe rimasto fino a che non avesse compiuto diciassette anni.
Tirò la cravatta della divisa, come se sistemando quella avrebbe potuto fare altrettanto con tutto il resto.
Non aveva molte certezze, ma quell’estate solitaria con i suoi libri non l’aveva minimamente spinto a prendere posizione. Si sentiva vuoto, apatico. Perché avrebbe dovuto combattere una guerra che non lo interessava? Suo padre e le sue manie purosangue gli avevano avvelenato l’infanzia; Silente e il suo prezioso Ordine della Fenice che avrebbero potuto offrirgli? Eppure in cuor suo sapeva che il Signore Oscuro non avrebbe mai accettato una sua defezione, mentre Silente sì. Era questa la più elementare e chiara differenza tra buoni e cattivi?
L’aria umida d’inizio settembre gli sferzò il volto, ma non se ne lagnò anzi la trovò un’ottima scusa per sollevare il cappuccio e nascondersi agli occhi altrui.
Far comprare il materiale per il nuovo anno ai suoi elfi e partire per Hogwarts era stata l’unica sicurezza alla quale si era potuto aggrappare: finché ci sarebbe stata la Scuola, avrebbe avuto un obiettivo, che fossero compiti, lezioni o esami faceva ben poca differenza.
Immaginava i suoi compagni struggersi per i risultati dei G.U.F.O., per le reazioni più o meno felici dei loro genitori. Theodore avrebbe voluto avere un padre orgoglioso dei suoi risultati accademici, ma il suo anche quando c’era era più interessato a criticare la sua fragile corporatura e la sua mancanza di capacità nel Quidditch.
«Oh». Completamente perso nei suoi pensieri, abitudine che il padre gli aveva ripetutamente rimproverato, era andato a sbattere contro qualcuno.  E quel qualcuno era caduto a terra. Prima ancora di rendersene conto allungò la mano e aiutò la ragazza ad alzarsi. Era così semplice comportarsi civilmente lontano dagli altri Serpeverde, lontano dalla spocchia di suo padre.
«Scusa» disse laconicamente. L’aveva riconosciuta: era Lunatica Lovegood, la strana Corvonero un anno più piccola di lui.
«Tranquillo. È che avevo dei gorgosprizzi intorno alla testa. Cercavo di scacciarli e ti ho urtato. Forse hanno attaccato anche te e confuso, così non mi hai visto. Però ora se ne sono andati, tranquillo. Sono così dispettosi».
Theodore la fissò a bocca aperta. Non aveva mai parlato con lei, ma non ebbe difficoltà a capire perché l’avessero soprannominata Lunatica.
«Oh, Luna, sei qui! Non ti vedevo più». Theodore riconobbe all’istante la ragazza sopraggiunta: capelli rossi, lentiggini, toga di seconda mano. «Cosa vuoi dalla mia amica, Nott?» lo aggredì ella appena lo vide.
«Nulla, Weasley. Ci siamo solo scontrati» rispose.
Ginny Weasley gli lanciò un’occhiataccia e trascinò via l’amica.
 

 
*
 
 

«Ho conosciuto tuo padre» disse il professor Lumacorno scrutandolo.
Theodore rimase impassibile e ricambiò lo sguardo. Lo sapeva bene, ma sapeva anche che se suo padre non fosse stato arrestato con l’infamante accusa di essere un Mangiamorte, il professore non se ne sarebbe ricordato solo in quel frangente: aveva ascoltato il resoconto di Blaise sul pranzo nello scompartimento C. A Draco non era andata per nulla giù, lui amava trovarsi al centro dell’attenzione; Theodore invece no. Infatti in quel momento era veramente infastidito dalla situazione in cui si trovava e proprio non comprendeva perché Lumacorno perdesse tempo a fargli la paternale e non lo spedisse dal suo Direttore. In più era stato Blaise a lanciare la coda di lucertola nel calderone di Mcmillan, ma naturalmente uno dei prediletti di Lumacorno non poteva certo compiere azioni simili, perciò la colpa era ricaduta su di lui.
«Era un giovane scavezzacollo. Amava fare scherzi soprattutto alle ragazze. Tua madre ha avuto un bel daffare con lui!».
Sorpreso, Theodore lo fissò. Suo padre uno che faceva scherzi? Una tale scoperta gli permise perfino di mitigare il fastidio che lo coglieva ogni qualvolta qualcuno osasse nominare la madre.
Lumacorno ridacchiò alla sua espressione. «Eh, dimenticate sempre che sia gli insegnanti sia i genitori sono stati ragazzi».
Effettivamente suo padre sembrava essere nato vecchio.
«Oh, sei un bravo ragazzo, vero Theodore?».
C’era qualcosa di più profondo dietro quella domanda. Theodore si limitò ad annuire e scusarsi nuovamente per il comportamento di Blaise.
Lumacorno lo fissò con un’espressione indagatrice, non più celata dietro un sorriso bonario. «Vorrei che aiutassi una giovane intelligente ma con difficoltà a concentrarsi nella mia materia».
Che cosa? E quella era la sua punizione? No, preferiva di gran lunga essere appeso al soffitto per gli alluci come minacciava continuamente quello stupido magonò di Gazza. «Non credo di esserne all’altezza, signore» replicò Theodore bruscamente.
«Lo sarai». Il tono di Lumacorno era così definitivo che Theodore comprese di non aver altra scelta. E chissà se il trichecone si fidasse veramente.
«Allora farò del mio meglio, signore». Fare buon viso a cattivo gioco. Lui non era Draco. E poi erano finiti i tempi del “Lo dirò a mio padre” anche per il suo amico. Non che avrebbe mai osato chiedere aiuto al proprio, ma comunque adesso erano ad Azkaban entrambi, la Scuola era nelle mani di Albus Silente e Horace Lumacorno era suo amico di lunga data.
 
 
Era in ritardo. Doveva fare ripetizioni a una ritardataria!
«Ciao, Theodore Nott» cinguettò una voce all’improvviso riscuotendolo dai propri pensieri.
Theodore si voltò e si ritrovò a fissare gli occhi sognanti di Luna Lovegood. «Ciao» replicò guardingo. Che ci faceva lei lì? «Scusami» disse allora tentando di essere cortese, «ma il professor Lumacorno mi ha chiesto di dare ripetizioni a una ragazza e sicuramente sarà qui a momenti». O almeno lo sperava.
Ora la Lovegood lo fissava in modo ancora più inquietante. Possibile che i suoi occhi sembrassero divenire sempre più grandi?
«Oh, sono io».
«Tu? Ma sei una Corvonero». Avrebbe potuto dire qualcosa di più sciocco? Complimenti, Theodore! Un grande sfoggio della tua dialettica!
Lei inclinò leggermente il capo e continuò a scrutarlo.
«Scusa, non c’entra niente. Bene, allora, il professor Lumacorno mi ha detto che dovremmo lavorare sulla Bevanda della Pace… la chiedono spesso ai G.U.F.O…. Puoi smettere di fissarmi?» sbottò infine sempre più agitato. Se l’avessero visto i suoi compagni l’avrebbero preso in giro! Stava addirittura iniziando a sudare!
«Oh, ti stai agitando? Come mai? Forse i gorgosprizzi che ti hanno attaccato alla stazione hanno lasciato delle larve nelle tue orecchie. A volte lo fanno… Posso aiutarti se vuoi…».
Theodore la vide avvicinarsi alle sue orecchie a rallentatore, completamente paralizzato, ma all’ultima secondo riuscì a bloccarle le mani. «Ma che fai?» chiese scandalizzato. «Le mie orecchie sono pulite. Le lavo ogni mattina!».
«Oh, ma le larve di gorgosprizzi…».
«Non ho alcuna larva!» sbottò irritandosi Theodore. Oh, ma Blaise gliel’avrebbe pagata! Dopotutto era colpa sua se si trovava lì. Avrebbe mai potuto uscire da quella situazione? Forse rivolgendosi al suo Direttore… No, non l’avrebbe mai fatto: non sarebbe andato a piagnucolare da Piton! «Iniziamo» sibilò astiosamente, prima che la matta tentasse nuove ispezioni nelle sue orecchie per cercare solo Merlino sapeva cosa! Ma poi esistevano veramente quei gorgopazzi ? Sarebbe stato meglio fare una ricerca in Biblioteca.
La lezione, però, fu meno spiacevole di quanto avrebbe mai potuto credere. La Lovegood non aveva realmente bisogno di aiuto, o quanto meno non con la distillazione delle pozioni, no, il suo problema era la concentrazione. Ogni tanto si perdeva nel suo mondo e, se non fosse stato per Theodore, avrebbe mandato a fuoco l’aula di Pozioni.
 
 
 
«Ma insomma vuoi stare attenta?» sbottò Theodore una fredda sera di dicembre. «Vuoi far saltare in aria entrambi? Preferirei rimanere vivo fino a Capodanno almeno!». Lei lo fissò con tanto d’occhi, come chi si sveglia improvvisamente da un sogno. «A che pensavi, eh? A quegli stupidi gorgosprizzi? O al ricciocorno schiattoso? Guarda che non esistono! Ma noi invece siamo fatti di carne e ossa! Se non ci fossi stato io, avresti fatto una brutta fine!». Aveva alzato la voce sempre di più, sentendo la rabbia montare dentro di sé. Una rabbia dirompente, nata ben lontano da lì, stava per esondare e Lunatica Lovegood ne avrebbe pagato le conseguenze. Prese fiato per urlare ancora più forte, per sfogare quella rabbia che non aveva più spazio dentro di sé, ma si bloccò guardandola in viso. Piangeva.
«Lo so cosa succede se si sbaglia una pozione» mormorò Luna dolcemente. «Non volevo farti male, scusami».
Per la prima volta sembrava una ragazza come tutte le altre. Niente aria sognante, niente occhiate spiritate. Ma no, anche in quel caso era diversa: i suoi occhi erano tristi, nulla a che vedere con quelli civettuoli che si sentiva addosso quotidianamente. Non era per nulla come le altre ragazze. Eppure Theodore non riuscì a trattenerla. Dopo quel suo sfogo, la osservò raccogliere la sua borsa e andarsene lasciandolo solo in quella fredda aula.
Si lasciò scivolare a terra, appoggiando le spalle a uno sgabello.
Era arrabbiato perché suo padre non l’aveva mai calcolato e adesso se ne stava rinchiuso in una cella ad Azkaban.
Era arrabbiato perché Draco non troppo velatamente lo spingeva a prendere una decisione: era loro dovere continuare la strada tracciata dai loro padri. Ma perché mai dovevano pensarci adesso? Draco era convinto che il Signore Oscuro avrebbe preso presto il potere. Theodore annuiva a quei discorsi, ma non credeva veramente che sarebbero stati meglio.
Il suo essere purosangue, non era mai stato un bene per lui.
Era arrabbiato con sé stesso perché aveva fatto scappare quella ragazza che non lo   guardava come il figlio di un Mangiamorte.
 
 
Le vacanze di Natale furono quasi un tormento per lui. Draco era intrattabile dopo l’incidente capitato a Katie Bell e Theodore proprio non riusciva a comprenderne il motivo. In più Lunatica Lovegood con quel suo vestitino di paillettes argentate fianco a fianco con Harry Potter… beh, l’aveva infastidito e tanto.  
«Ma come hai potuto farti beccare da Gazza?» borbottò divertito Blaise in direzione di Draco.
«Non volevo imbucarmi» rispose con la sua consueta voce strascicata quasi noncurante, eppure Theodore e Blaise lo conoscevano abbastanza per scorgere la rabbia trattenuta. «Ho cose più importanti da fare che partecipare a una stupida festicciola».
«Ancora con questa storia?» sbottò Blaise.
Theodore non commentò, ma, a differenza di Blaise, non pensava che Draco si stesse semplicemente dando delle arie. No, c’era qualcosa di grosso in ballo. Qualcosa di cui Draco non poteva vantarsi esplicitamente. Qualcosa che lo logorava. L’avevano visto tutti perdere colore e peso: era l’ombra del ragazzo sbruffone interessato al Quidditch.
Blaise non poteva capire. Non poteva sapere che significa avere sedici anni e un padre Mangiamorte.
«E quindi la Lovegood si è divertita con Potter?» chiese Theodore quasi per cambiare discorso.
«Che vuoi che m’interessi?» sbottò Blaise con un gesto vago della mano. «Non è che ti stai prendendo una cotta per quella matta?».
«No, naturalmente. Ma come ti vengono in mente queste cose?» sibilò Theodore con rabbia.
«È una mezzosangue» dichiarò Draco lanciandogli un’occhiata severa.
Theodore annuì e disse: «Figurati se me la faccio con una schifosa mezzosangue». Erano parole che aveva sentito un migliaio di volte, dai Serpeverde, da suo padre, eppure non gli parvero mai tanto vuote e prive di significato come in quel momento. Le pronunciò perché doveva, ma sembrò che né a Draco né a Blaise interessasse davvero: quasi come se l’importante fosse verificare che non lo dimenticasse.
 
 
Gli ultimi giorni di vacanza Theodore prese l’abitudine di girovagare nella Sala d’Ingresso e nel parco, chiedendosi quando sarebbe ritornata la Corvonero - solo per parlare con lei delle lezioni, s’intende -, almeno finché Lumacorno non lo convocò per comunicargli che le lezioni non sarebbero più state necessarie.
«Theodore Nott».
Quasi soffocò con un pezzo di carne, quando, l’ultima sera, Luna Lovegood apparve alle sue spalle pronunciando il suo nome. Si voltò verso di lei sorpreso della sua audacia nel raggiungerlo al tavolo di Serpeverde come se nulla fosse. Era così sorpreso da non riuscire neanche a darsi un tono davanti ai suoi compagni. «Ciao».
«Questo è per te. Grazie per le lezioni».
«Che cos’è?» riuscì a chiedere Theodore, mentre i Serpeverde iniziavano a ridere.
Luna aveva allungato una mano mostrando uno zaffiro blu. «È l’occhio di un ricciocorno schiattoso. Mio padre l'ha comprato da un mercante straniero».
«Se te l’ha regalato, non dovresti darlo a me» replicò Theodore che non aveva nessuna intenzione d’intascarsi una pietra preziosa.
«Cacciala, che aspetti» sibilò Draco alzando gli occhi dal suo piatto.
«Oh, ma mi ha detto di farne ciò che voglio» ribatté Luna candidamente, incurante delle parole di Draco.
«Lo prendo io». Draco si era alzato e aveva letteralmente strappato lo zaffiro dalle mani della ragazza, che lo fissò vagamente sorpresa.
«Draco!» sbottò Theodore fronteggiandolo. Non aveva mai detto una parola quando aveva visto l’amico fare il prepotente con gli altri ragazzi. Spesso si era chiesto quale necessità avesse di mettersi in mostra, ogni volta che tornava a casa, però, sentiva su di sé lo sguardo disgustato del padre, e comprendeva che non era Draco quello sbagliato.
Questa volta, però, non sarebbe rimasto indifferente.
«Che c’è? Sei diventato una femminuccia e te la fai con le mezzosangue?».
Theodore si sentì avvampare: Luna non era una ragazza qualsiasi e Draco non doveva offenderla. «Lo zaffiro è mio» sibilò tendendo la mano.
La sorpresa sul volto di Draco fu quasi subito sostituita da un ghigno cattivo. «Ora è mio. Lo faccio per te, pensa se tuo padre sapesse che accetti regali da una schifosa mezzosangue».
La rabbia s’impadronì di Theodore che, estratta la bacchetta, colpì Draco con uno schiantesimo tanto violento da scagliarlo dall’altra parte del tavolo. Avrebbe fatto meglio a non nominare suo padre. Nessuno meglio di lui avrebbe dovuto comprendere. In quei mesi Theodore non aveva neanche osato accennare a Lucius Malfoy.
«Che ti è saltato in mente?» sibilò Severus Piton sopraggiungendo, ma limitandosi a lanciargli un’occhiata di sbieco mentre si chinava a verificare le condizioni di Draco.
«Mi meraviglio di lei, signor Nott» sbottò la professoressa McGranitt avvicinandosi a sua volta.
Theodore non fiatò e non si mosse finché non notò lo zaffiro a terra poco distante dall’amico. Lo recuperò proprio mentre Piton faceva levitare Draco per portarlo in infermeria.
«Che cos’è?» gli chiese la McGranitt.
«Un regalo. Mi appartiene» rispose freddamente Theodore.
Ignorando l’occhiata scandalizzata dall’anziana professoressa, Piton disse: «Aspettami nel mio ufficio, Nott», per poi allontanarsi con Draco che galleggiava sopra di lui.
Theodore si avviò fuori dalla Sala Grande. La rabbia minacciava di soffocarlo. Si appoggiò a una parete, sentendo gli occhi inumidirsi. Ora che si era sfogato su Draco, percepiva solo una profonda tristezza.
«Theodore Nott, grazie».
Una mano delicata sfiorò la sua, costringendolo a tornare alla realtà e a guardarsi intorno. Il volto della Lovegood gli sorrideva dolcemente.
«Non mi chiamare Theodore Nott!» gridò, la rabbia di nuovo intensa al pensiero della sua famiglia.
«Come ti devo chiamare?». Luna non era indietreggiata minimamente e lo scrutava con una sincerità disarmante.
«Theo».
Non seppe neanche perché glielo disse e perché permise che lei gli prendesse la mano e lo accompagnasse nei sotterranei.
 
 
Da quel momento in poi Theo iniziò a bramare la compagnia della strana ragazza. A volte non capiva quello che diceva, le strampalate teorie presentate dal Cavillo, le creature magiche che sembravano esistere solo per la sua famiglia.
L’inverno lasciò rapidamente spazio alla primavera o almeno così parve al ragazzo, completamente disorientato. Hogwarts era una turris eburnea ma, se non eri un bimbetto del primo anno, per giunta Nato Babbano, non potevi ignorare la realtà.
L’eterea presenza di Luna era come un balsamo per il suo cuore.
Dopo quanto accaduto a gennaio Draco gli aveva riservato un trattamento freddo e i suoi tirapiedi, Tiger e Goyle, avevano iniziato a infastidirlo. Blaise era convinto che si fosse preso una cotta per la Corvonero e lo punzecchiava, incapace di comprendere la tensione creatasi con Draco.
«È una bella giornata oggi» disse Luna con il suo solito tono sognante.
Erano seduti sulla sponda del Lago Nero vicino al parco.  Avevano preso l’abitudine d’ incontrarsi lì. Non parlavano molto di solito. O almeno non lui.
A volte Luna sembrava stupida. Una bambina, nonostante i suoi sedici anni compiuti. Eppure non era né stupida né infantile: ti sbatteva in faccia la verità e ti faceva sentire un vermicolo. Solo uno sciocco come Lumacorno poteva aver creduto che lei avesse bisogno di aiuto. Al contrario lei si concentrava anche più di quello che sembrava. Luna gli aveva confidato che le pozioni sbagliate, che avevano indotto Lumacorno a un giudizio errato, erano saltate in aria a causa di uno stupido Serpeverde.
«Vieni, ti mostro una cosa».
Theo si lasciò prendere per mano. «Dove pensi di andare?» domandò, però, rendendosi conto che lo stava guidando ben oltre i confini della Foresta Proibita.
«Ti mostro una cosa».
«Finiremo nei guai» borbottò il ragazzo, non tentando minimamente di liberarsi dalla stretta di lei e tornare indietro.
Luna non rispose, ma gli sorrise in quel suo modo fanciullesco e vago che lo faceva sciogliere e pensare che dopotutto il mondo non fosse così male.
Theo sperò ardentemente che lei sapesse ritrovare la strada visto che si stavano inoltrando un bel po’. «Non è pericoloso? È la Foresta Proibita» insisté, ma ella continuò a ignorarlo.
Luna lo condusse in una radura in penombra, perciò impiegò diversi minuti prima di accorgersi delle scure creature che vi pascolavano. Luna gli lasciò la mano e si mise ad accarezzarle.
Theo rimase paralizzato a quella vista e s’infastidì non poco. «Perché mi hai portato qui?» domandò bruscamente.
«Non portano sfortuna» rispose Luna. «Sono solo diversi. Come me e te».
Theo serrò la mascella: avrebbe voluto dirle che non era vero, che lui era identico agli altri. Ma agli altri chi? I ragazzi con cui aveva condiviso l’adolescenza? La sua famiglia? No, era diverso. Era diverso perché non riusciva a prendere posizione come aveva fatto Draco e perché non riusciva a far finta di nulla come Blaise.
Era diverso. Aveva ragione lei.
«Vieni, accarezzalo». Luna tornò da lui e prendendolo per mano lo trascinò vicino a un Threstal, appoggiandogli la mano sul dorso della creatura.
«Ce li ha mostrati Hagrid l’anno scorso» borbottò Theo.
«Tu chi hai visto morire? Io mia madre. Avevo nove anni. Era una strega straordinaria, ma un giorno una pozione andò storta ed esplose».
Diretta e concisa come sempre. Theo, che probabilmente non si sarebbe mai abituato a quel lato del suo carattere, raggelato, sollevò gli occhi su di lei e aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
Sua madre. Una pozione esplosa. Sua madre. La vista s’annebbiò e il fiato divenne corto. Il tocco caldo di qualcosa di morbido lo riscosse. La creatura l’aveva sfiorato con la sua testa e lo fissava. Allungò la mano e l’accarezzò.
«Mia madre» il suo fu poco più di un sussurro, ma Luna lo sentì ugualmente. Theo ne era certo.
Tacquero e al tramonto si avviarono verso il castello.
Sul confine della foresta le loro mani si sfiorarono e finalmente Theo alzò gli occhi che fino a quel momento aveva tenuti fissi a terra. I loro sguardi si incrociarono. Si fermarono e rimasero a fissarsi. Luna gli regalò un sorriso sghembo e vago.
Theo le si accostò maggiormente, tanto che le punte dei loro nasi si sfiorarono. Non avrebbe saputo spiegare cosa l’avesse spinto, ma si chinò leggermente e la baciò a fior di labbra.
Percepì l’irrigidimento della ragazza e fece un passo indietro. «Scusa» disse in fretta temendo di allontanarla.
Un sorriso incerto fu l’unica risposta di Luna, che lo scrutava come a indagarne l’anima.
Tornarono al castello senza più dire nulla.
Theo sapeva che avrebbero dovuto parlarne ma preferì rimandare e lasciarle tempo.
Un tempo, però, che non li era concesso. Tutto sembrò andare per il peggio: Draco era sempre più intrattabile e gli altri Serpeverde non era da meno tanto che Pansy Parkinson iniziò a prendere di mira Luna.
A giugno, poi, tutto andò a rotoli: Silente fu ucciso da Piton e Draco era coinvolto.
Eppure per tutte le esequie di Albus Silente, gli occhi di Theo indugiarono liberamente sulla figura di Luna, perfetta nella sua divisa, stretta in un abbraccio dalla Weasley.
 
 
 
*
 



«Theo».
«Non dovremmo trovarci qui» sussurrò lui turbato.
Luna inclinò leggermente il capo e lo fissò.
Una bellissima luna piena tremolava nel Lago Nero e illuminava soffusamente il parco verdeggiante.
Hogwarts era terribilmente silenziosa quella notte, un silenzio mesto e pesante: era il silenzio della guerra e del dolore.
«Dobbiamo parlare» replicò semplicemente Luna.
I loro bisbigli sembrarono rimbombare nella notte.
«Non mi sembra il momento giusto, se la McGranitt ci becca…».
«Mi hai evitato. Ho pensato che lontano dai tuoi amici mi avresti parlato». Gli puntò gli occhi lucidi in volto.
«È pericoloso stare qui» borbottò Theo evitando in ogni modo il suo sguardo.
«La guerra non è qui, a meno che non ce la portiamo noi» mormorò Luna, conscia che i Mangiamorte fossero riusciti a spezzare l’innocenza e l’armonia di Hogwarts grazie all’aiuto di Draco Malfoy. Theo, però, non rispose. «Ginny pensa che il pericolo sia tu. Mi ha detto che non si tratta più di Serpeverde e Grifondoro… Voi Serpeverde consegnereste Hogwarts a Lord Voldermort, se poteste».
Theo tremò a quel nome. Luna se ne accorse e avrebbe voluto stringere tra le proprie le mani del ragazzo che si contorcevano convulsamente.  
«Sì, è vero. La Weasley ha ragione».
Continuava a non guardarla e Luna non resistette a vederlo in quel modo: gli afferrò le mani e gli si accostò tanto da spingerlo finalmente ad alzare gli occhi su di lei.
«Tu non sei tuo padre, Theo».
«Non è così facile».
«Compiere la scelta giusta non è mai facile».
«Non puoi capire» sospirò Theo. «Io devo…».
«Chiudi gli occhi» gli intimò allora Luna. Notò la sua confusione prima che si convincesse a obbedirle. «Il tuo cuore che cosa vuole?».
Theo s’irrigidì, ma dopo un attimo l’abbracciò bruscamente e la baciò.
Questa volta Luna ricambiò.
 
*
 
 

«Ciao». Luna fissava il ruscello con occhi velati.
«Ciao» replicò Theo incerto. «Tuo padre mi ha detto che ti avrei trovato qui». Non era la prima volta che andava a trovarla a casa quell’estate.  
«Fa freddo».
A volte non sapeva come comportarsi con lei. Si chinò e le sfiorò la guancia con un bacio. «Già, è un’estate fredda».
Finalmente Luna sollevò gli occhi su di lui «Non è un’estate come le altre».
Theo deglutì e annuì: no, non era un’estate come le altre, ma non era solo per la guerra latente che minacciava di scoppiare da un momento all’altro, ma per lei. Per la prima volta nella sua vita c’era una persona diversa dal padre altezzoso e distante e da Draco e Blaise. Una persona che non sapeva come trattare.
«Peschiamo i plimpi».
Non era una domanda. Solo un anno prima avrebbe chiesto per quale assurdo motivo avrebbe dovuto pescare degli inutili pesci a malapena commestibili e avrebbe deriso chiunque glielo avesse proposto; ora invece sedette sull’erba umida e seguì le indicazioni della ragazza. Si divertì e per la prima volta si dimenticò di ogni cosa. Mai fu felice come in quel tardo pomeriggio estivo con i piedi nudi dentro il ruscello, mentre tentava di acchiappare i plimpi.
Andò tutto bene finché per gioco non legò le zampe di uno dei pesci catturati.
«Che fai?».
Luna aveva alzato la voce e lo fissava con le pupille dilatate. Sembrava spiritata e faceva paura. Theo si sentì come un bambino colto in fragrante durante una marachella.
«Gioco» balbettò incerto. Perché cambiava umore così velocemente? Si stavano divertendo!
Lei seria uscì dall’acqua.
«Guarda lo slego subito. Non pensavo ti desse fastidio» si affrettò a dire sentandosi sempre di più come un bambino.
«A Ginny non piace che sto in tua compagnia».
Theo non si sorprese di quella frase, ma lo turbò la mancanza della consueta vaghezza nelle sue parole.
«Perché sono un Serpeverde o perché mio padre è un Mangiamorte?» le chiese con un filo di voce: era perfettamente a conoscenza dell’ostilità della Weasley nei suoi confronti e così del resto dei Grifondoro amici di Luna.
«Entrambi» rispose ella con schiettezza.
Solo mentre si avviavano verso casa di lei, Theo trovò il coraggio di chiederle: «Tu che ne pensi?».
Luna si fermò e lo fissò, poi sorrise: «Non sei la tua famiglia, mi sembra di avertelo già detto».
Theo si sentì sollevato rendendosi conto di quanto avesse bramato quella risposta.
«Io e mio padre siamo stati invitati al matrimonio di Bill Weasley, il fratello di Ginny. Mi accompagni?».
«Cosa? Stai scherzando?» sbottò Theo bruscamente. «Io a un matrimonio dei Weasley? Non mi sembra il caso».
Luna lo fissò delusa.
«Senti… Beh, lo sai… non sono ben visto… sicuramente i Weasley sono vicini all’Ordine della Fenice, non mi vorranno in mezzo ai piedi…».
«Ginny mi ha detto d’invitarti. Ginny ha detto che una ragazza dovrebbe avere un accompagnatore».
Theo sbuffò. Quella Weasley! Lo stava mettendo alla prova!  Ma no, non avrebbe mai potuto accettare.
«Luna, a te non interessa chi è mio padre, ma agli altri sì. Mio padre è rinchiuso ad Azkaban. È e rimarrà fedele al Signore Oscuro».
«Lord Voldermort».
A sentire quel nome Theo incespicò e sgranò gli occhi. «Sei impazzita come ti viene in mente di pronunciarlo?».
«È solo un nome» ribatté Luna.
«Tu sei proprio matta» borbottò Theo, ma se ne pentì subito.
«Infatti mi chiamano Lunatica» borbottò la ragazza. «Harry dice che soli i Mangiamorte chiamano Voldermort Signore Oscuro»
«Scusa» si affrettò a dire Theo, percependo che qualcosa si era rotto.
«Verrai al matrimonio con me?».
«No». Per nessun motivo al mondo sarebbe andato a quel matrimonio.
«Sono arrivata. Non mi va di vederti domani».
Chiara e diretta come sempre, ma a Theo strinse il cuore a quelle parole. L’aveva ferita? Avrebbe voluto richiamarla, correrle dietro, parlarle ancora, ma non si mosse da lì e non osò appoggiare un solo piede sullo scalino: il signor Lovegood non lo vedeva di buon occhio e non era il caso che entrasse in casa.
 
 
 
*
 
 

«Maledizione, ma sono dappertutto».
«Stai calmo, Neville».
Luna si appiattì contro il muro, mentre Ginny nascondeva la bomboletta spray in una tasca del mantello.
Il respiro affannoso dei suoi amici sembrava forte quanto il battito del suo cuore. Luna fissò le mani sporche di vernice con un moto di tristezza: solo pochi mesi prima non si sarebbe aspettata di dover combattere anche tra quelle mura. E la guerra non ce l’avevano portata i Serpeverde alla fine, ma Lord Voldermort in persona.
I Serpeverde non erano altro che dei ragazzi come loro, che si erano schierati dal lato sbagliato. A lei, però, interessava un solo Serper verde in fondo: Theo.
La sera in cui il Ministro della Magia era stato assassinato Luna non l’avrebbe dimenticata facilmente: alla Tana si era scatenato il caos, chi che cercava di smaterializzarsi, chi chiamava angosciosamente amici e familiari da una parte all’altra del giardino, l’arrivo dei Mangiamorte.
Non si era mai sentita tanto impotente, non aveva mai sentito come in quel momento il peso della guerra.
Suo padre l’aveva trovato ferma in mezzo alla confusione, le aveva preso il braccio e si erano smaterializzati ben lontani. Non solo dalla Tana ma anche da casa. Suo padre evidentemente temeva che i Mangiamorte avrebbero onorato di una visitina anche i vicini dei Weasley. Il giorno dopo Luna aveva scoperto della fuga di Harry, Ron e Hermione, di cui non aveva più notizie da allora come d’altronde neanche Ginny, sebbene l’incursione dei tre al Ministero non fosse passata inosservata.
Luna e il padre erano rientrati a casa soltanto la mattina dopo il matrimonio e sui gradini d’ingresso avevano trovato Theo, che aveva tutta l’aria di aver dormito lì. Era stravolto e appena l’aveva vista era corsa ad abbracciarla.
Theo aveva saputo da Draco quello che era accaduto: il Signore Oscuro aveva preso il potere, la situazione era precipitata e non c’era più spazio per la resistenza.
Questo era il succo delle parole del ragazzo, ma il suo discorso era stato tanto disarticolato, frammezzato da balbettii e suppliche di lasciare il paese che era stato difficile comprenderlo pienamente. Per la verità Luna non sapeva che cosa Theo si aspettasse realmente: era un ragazzo intelligente e probabilmente non aveva mai nemmeno pensato che lei sarebbe scappata con lui. Luna l’aveva zittito con un abbraccio.
Theo era rimasto a casa sua fino all’evasione di massa da Azkaban. Il signor Nott era andato a cercarlo fin lì - Draco gli aveva confidato dove avrebbe potuto trovare il figlio. Fortunatamente vi era andato solo, voleva preservare la purezza e il buon nome della famiglia e nessuno doveva scoprire dove il figlio si era rintanato come un coniglio. Luna non aveva mai sentito nessun genitore insultare e minacciare tanto pesantemente un figlio.
Luna avrebbe voluto che Theo si ribellasse: erano tre contro uno, sebbene lei non fosse maggiorenne; Theo invece aveva chinato il capo e aveva ceduto alle minacce paterne.
Quando si erano rivisti a Scuola, non si erano né sfiorati né parlati. Il loro amore si era ridotto nient’altro che a un gioco di sguardi incatenati. La distanza tra il tavolo dei Corvonero e dei Serpeverde non era parso mai tanto ampia.
Luna soffriva per quella distanza, ma un commovente fiotto d’affetto la colpiva ogni qualvolta Piton o i Carrow si lamentavano in Sala Grande di fronte a tutti di nuove scritte inneggianti all’Esercito di Silente o contro Piton e Theo le piantava addosso occhi furiosi: aveva paura che quel gioco di forza le si sarebbe ritorto contro. Aveva paura per lei.
«Forse è meglio dividerci» sussurrò Ginny.
«No» replicò Neville cupamente.
«Andiamo di là allora» decise Ginny.
Luna li seguì in silenzio: pensare a Theo la rattristava.
Al quarto piano un improvviso miagolio li fece sobbalzare.
«Gazza» disse Neville a denti stretti.
I passi del vecchio guardiano rimbombarono nel corridoio silenzioso. Gazza era l’unico del corpo docenti che ancora denunciava gli studenti ai Carrow come se nulla fosse.
Era sempre più vicino.
«Di qua».
Una voce ben nota precedette delle braccia altrettanto familiari che la trascinarono oltre un arazzo, che celava un passaggio.
Luna, con il fiato corto e il cuore che batteva all’impazzita, incrociò gli occhi scuri di Theo e gli sorrise, anche se probabilmente le uscì più una smorfia.
«Tutto bene?» le chiese lui stringendola a sé.
«Sì» bisbigliò lei.
Theo le sollevò il mento che lei aveva appoggiato sul suo petto e la baciò.
«Ehi, ehi» bofonchiò Neville separandoli. «Grazie dell’aiuto».
Theo gli lanciò un’occhiataccia e Luna lo vide alterarsi.  «Siete matti! Non avete ancora capito che i Carrow non scherzano?».
«Sono stati fin troppo chiari» ribatté Ginny.
«A me non sembra» sbottò Theo provocatorio.
Ginny trattenne Neville e sbuffò: «Il tuo parere non c’interessa. Andiamocene».
«Voi Grifondoro siete degli incoscienti. Facendo gli eroi e rimettendoci la pelle, non salverete il mondo».
«Almeno noi ci siamo schierati» disse semplicemente Neville prima di voltargli le spalle e controllare che la via fosse libera.
Luna incrociò nuovamente gli occhi di Theo.
«Non avete speranza» disse Theo in tono supplichevole.
Luna chinò il capo e scosse la testa: «La speranza siamo noi».
 


 
*
 
 


Era inquieto. Ormai quasi non dormiva la notte e a malapena mangiava. Poco gli interessavano le lettere del padre che gli ricordava che dopo il diploma avrebbe preso il marchio e finalmente avrebbe dato lustro alla sua famiglia.
Il suo pensiero fisso era Luna.
Luna che non vedeva da mesi. Luna che era stata rinchiusa nei sotterranei del maniero dei Malfoy per mesi e fortunatamente salvata da Potter e dai suoi amici. Non era mai stato tanto grato a Harry Potter in vita sua.
Avrebbe voluto chiedere a Paciock se avesse notizie di Luna, ma anche lui alla fine era stato costretto a fuggire dai Carrow e comunque non poteva avvicinarsi a quelli delle altre Case senza insospettire i compagni. Sempre se quelli delle altre Case gli avrebbero mai risposto o meglio ancora risposto con sincerità: non si fidavano dei Serpeverde.
Ormai mancava poco più di un mese all’inizio degli esami ed era primavera inoltrata, ma nell’aria non c’era minimamente l’atmosfera degli anni precedenti: Theo sentiva freddo, un freddo che gli si era annidato dentro e nulla aveva a che vedere con la temperatura scozzese.
I sotterranei erano sempre più freddi rispetto al resto della Scuola e anche in quella sera d’inizio maggio un fuocherello scoppiettava nel camino disegnando inquietanti ombre nella Sala Comune.
«Theodore».
Theo sobbalzò nel vedere un pallidissimo Draco fare capolino dalla porta dei Dormitori maschili. Si alzò dalla poltrona, cogliendone l’agitazione.
«Sta succedendo qualcosa» disse Draco flettendo leggermente il braccio destro.
Theo deglutì e annuì. «Che facciamo?» chiese incerto. Nel momento in cui pronunciò questa semplicissima domanda comprese che la distanza tra lui e Luna non si sarebbe più colmata.
«Aspettiamo» replicò Draco sedendosi su una delle poltrone vicino al fuoco.
Theo non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimasero in silenzio a fissare il fuoco, ma all’improvviso la porta di pietra della Sala Comune si aprì e rivelò un affannato Horace Lumacorno. Il professore si passava un fazzoletto sulla fronte nervosamente ed era palesemente turbato. I suoi occhi fecero un guizzo nel riconoscerli.
«Ah, ragazzi, siete svegli».
«Che cosa succede, professore?» chiese Draco con tono intimidatorio.
Lumacorno sembrò ignorarlo, ma a Theo mancò un battito quando lo sentì rispondere: «Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sta per attaccare la Scuola, la professoressa McGranitt vuole tutti gli studenti in Sala Grande… Aiutatemi a svegliare i vostri compagni».
Theo non capì molto dei minuti che seguirono: meccanicamente svegliò i compagni, specialmente gli altri prefetti e tutti insieme si diresse verso la Sala Grande.
Le istruzioni della McGranitt sull’imminente evacuazione, la vista dei membri dell’Ordine della Fenice schierati alle spalle della donna non erano che immagini confuse nella mente del giovane Serpeverde. Quello che Theo non avrebbe mai dimenticato di quella notte infinita sarebbe stata la voce minacciosa del Signore Oscuro legata all’apparizione improvvisa al tavolo dei Corvonero di Luna in compagnia di Dean Thomas.
Luna era Hogwarts.
Luna era in pericolo.
Luna avrebbe combattuto.
La professoressa McGranitt non apprezzò, com’era prevedibile, la proposta di Pansy di consegnare Harry e un Gazza alquanto confuso si precipitò al loro tavolo per scortarli fuori come richiesto.
Theo seguì i compagni, ma in quel frangente fu consapevole di sé come non mai in quella notte: sarebbe scappato per andare dove? Gli altri studenti sarebbero stati rimandati dalle loro famiglie. La sua famiglia era fuori da Hogwarts: suo padre si preparava ad attaccare la Scuola insieme agli altri Mangiamorte.
«Non andiamo con gli altri».
Quello di Draco era stato poco più di un sussurro, Theo non avrebbe saputo dire se era un ordine venuto dall’alto o un’intuizione dell’amico. Gli rivolse un lieve cenno del capo: nemmeno lui voleva andarsene. Che senso avrebbe avuto? Non aveva mai usato la Maledizione Cruciatus sui ragazzini del primo anno e quella notte non avrebbe alzato la bacchetta contro i suoi compagni o i suoi insegnanti.
Non aveva avuto il coraggio di salvare Luna dai sotterranei dei Malfoy, ma quella notte non l’avrebbe lasciata sola.  
 
 
Da lì a qualche anno non avrebbe saputo dire come fosse sopravvissuto quella notte, forse non era male come mago e in cuor suo avrebbe serbato la fioca speranza che il padre, con il quale si era incrociato più volte nel pieno della battaglia, l’avesse visto e avesse rimpianto di non avergli voluto abbastanza bene.
L’alba del due maggio vide trionfanti i difensori di Hogwarts.
Theo si fece largo tra i tavoli e nessuno lo fissò male: ormai non portava più la cravatta tolta in un moto di stizza mal sopportando che amici e nemici gli puntassero contro la bacchetta; il serpente argentato risaltava ancora sul suo petto dietro la polvere e il sangue, ma a nessuno interessava più.
Luna lo vide e lo raggiunse all’istante. Si guardarono. Lei sorrideva e aveva i suoi soliti occhi svagati, Theo le sorrise leggermente conscio che se non ci fosse stata la guerra, se non ci fosse stata la sua famiglia, forse il loro amore sarebbe sbocciato e avrebbe resistito.
C’era un tempo per ogni cosa e quello non era il loro. I visi improvvisamente corrucciati di Paciock, Thomas e degli altri Grifondoro non lasciarono adito al dubbio: l’occasione per superare le barriere Theo l’aveva avuta, ma non l’aveva colta.
Ora era tardi.
Luna gli strinse le mani e Theo trovò il coraggio di parlare.
«Grazie».
Non aggiunse altro perché Luna non era come le altre e leggeva dentro le cose, leggeva dentro di lui. Non aveva bisogno di altre parole.
Quello che suo padre non avrebbe mai potuto comprendere era che lui quella notte aveva combattuto per amore, per amore di colei che l’aveva illuminato nei giorni più bui.
   
 
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