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Autore: ChiiCat92    17/10/2019    0 recensioni
"Kadaj stava riempiendo lo zaino con tutto il necessario per la spedizione. Non sarebbero stati via molto, dato che la mamma voleva che tornassero prima del tramonto, ma c’era sempre bisogno di avere tutto, così da essere pronti ad ogni evenienza.
Prese la torcia elettrica, controllando prima che funzionasse, e la spinse sul fondo: con un po’ di fortuna sarebbero riusciti a intrufolarsi in quella tana tra le radici degli alberi che avevano trovato il giorno prima. Elastici per i capelli, le biglie colorate (nessuno poteva sapere quando ci si sarebbe imbattuti nel posto perfetto dove giocare con le biglie), e…
« Cerotti? »"
Questa storia partecipa al Writober2019 di Fanwriter.it, lista PumpINK.
#writober2019, #fanwriterit, #halloween2019
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kadaj, Loz, Yazoo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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16/10/2019

 

Cerotto


La mamma si era raccomandata: non allontanatevi troppo, fa buio presto adesso, poi rischiate di perdervi nel bosco. La mamma aveva sempre ragione, quindi non avevano motivo di disubbidirle. 

Però il richiamo del bosco, dell’intricato susseguirsi di alberi, arbusti, e ombre. C’erano tante ombre nel bosco, alcune buone, quelle degli animali per esempio, e ombre cattive: di quelle non si capiva mai la provenienza. 

Kadaj stava riempiendo lo zaino con tutto il necessario per la spedizione. Non sarebbero stati via molto, dato che la mamma voleva che tornassero prima del tramonto, ma c’era sempre bisogno di avere tutto, così da essere pronti ad ogni evenienza.

Prese la torcia elettrica, controllando prima che funzionasse, e la spinse sul fondo: con un po’ di fortuna sarebbero riusciti a intrufolarsi in quella tana tra le radici degli alberi che avevano trovato il giorno prima. Elastici per i capelli, le biglie colorate (nessuno poteva sapere quando ci si sarebbe imbattuti nel posto perfetto dove giocare con le biglie), e…

« Cerotti? » 

Kadaj alzò la testina sul fratello. Non l’aveva sentito entrare, probabilmente perché era troppo impegnato a riempire il suo zainetto.

Yazoo gli sorrideva, un sorrisetto storto, porgendogli la scatola di cerotti con gli animali che piacevano tanto a Loz. Lui si faceva male così spesso che ormai avevano imparato a portarsi dietro tutto il necessario per medicarlo.

Tra i tre era quello più goffo e lento e spesso per correre dietro ad uno scoiattolo per immortalarlo con la sua polaroid finiva per non guardare più dove metteva i piedi e cadere tra gli aghi di pino. L’incisivo davanti gli era saltato via così, e la mamma li aveva messi in punizione per una settimana. 

Kadaj accettò i cerotti, poi tirò i cordoni dello zaino per chiuderlo e se lo gettò in spalla. Non era pesante, ad esserlo era la responsabilità che rappresentava. 

« Oggi proviamo ad entrare in quella tana? » chiese Kadaj, gli occhioni verdi che brillavano di aspettativa.

Sapeva che, anche se i fratelli maggiori non sarebbero stati d’accordo, gli sarebbe bastato guardarli in quel modo, piegando pian piano la testa, lasciando che i capelli d’argento scoprissero il visetto rotondo, arricciando le labbra un pochino, e loro avrebbero acconsentito a qualsiasi sua richiesta. 

« Certo. » fu infatti la risposta di Yazoo.

Kadaj esultò, gettando le braccia verso l’alto. 

« Andiamo a vedere se quel pigrone è pronto, dai, non ci rimane molto tempo. »

Yazoo annuì alle parole del fratellino e lo seguì, zelante, in corridoio mentre saltellava verso la stanza di Loz.

Lui era a terra, sul tappeto, e stava disperatamente cercando di tenere incollato il braccio di un robot con scotch e parole dolci. 

« Lozzie! » Kadaj gli si gettò addosso a capofitto, facendolo gemere. Cercò di proteggere il suo robot giocattolo tenendolo lontano dall’esuberanza del fratellino, ma il braccio che aveva appena fermato con il nastro adesivo cadde comunque. « Lascia stare quel coso, andiamo in esplorazione! » 

Loz allontanò un poco Kadaj, solo per accertarsi delle condizioni critiche del suo robot, e poi scosse la testa. « Oggi non ne ho voglia. » bofonchiò. 

« Certo, se la smettessi di farti male tutte le volte che andiamo nel bosco… » sbuffò, irritato, Yazoo, le braccine incrociate al petto. Sebbene Kadaj fosse magrolino ed esile, Yazoo era come un giovane cipresso, alto, stiracchiato, ma flessibile. Sia lui che Loz sarebbero cresciuti in altezza molto più di Kadaj, ma questo non lo preoccupava, non ancora almeno. 

Loz mise su un broncio, cercando con lo sguardo l’appoggio del fratello minore. « Non è per quello che non voglio. » brontolò. « È che, non so, non ne ho voglia! Fa freddo e non mi va. Possiamo andarci domani mattina dopo colazione? Mamma ha fatto la crostata per dopo cena. »

« Possiamo mangiare la crostata comunque, perché torniamo prima di cena. » fece Kadaj, tirandosi in piedi e prendendo una mano del fratello. Era più grande e forte delle sue messe insieme. 

Tutti e tre avevano grandi occhi verdi, ma quelli di Loz erano pieni della luce delle stelle, lui riusciva a vedere cose che a Kadaj e Yazoo erano precluse. 

Quando guardò Kadaj con quegli occhi lui sentì un piccolo cedimento dentro di sé, simile a quello che i due fratelli maggiori dovevano provare quando era lui a guardarli in quel modo. 

« Kaddie...io...non lo so, ho un… » portò una mano al petto, come massaggiandoselo. « Un presentimento, non lo so. »

Kadaj scoppiò a ridere, una risata intenerita, certo, ma anche canzonatoria. 

« Dai! Perché fai lo scemo? » lo tirò di più, costringendolo a mettersi in piedi. Lo superava già di una spalla. « Non ci allontaniamo troppo e torniamo prima che faccia buio, come sempre. D’accordo? » Loz dondolò un po’ sui piedi, indeciso, allora Kadaj batté le palpebre un morbido sorriso sulle labbra. « D’accoooordo? »

Il maggiore non poté non sorridere, intenerito, e annuì, pianissimo.

Kadaj esultò e strinse tra le braccia il fratellone, dopo di che trascinò entrambi i fratelli fuori dalla stanza.

Nello scendere le scale fecero un sacco di confusione, ridendo e scherzando tra loro, tanto che la mamma lasciò la cucina per accertarsi che fosse tutto a posto. 

« Uscite? » chiese, fintamente autoritaria. C’era ancora il sole, la giornata era splendente, e anche se si andava verso la sera non era affatto preoccupata. La vita in montagna era semplice e circoscritta, soprattutto quando si viveva molto lontani da altre abitazioni. 

« Sì, mammina. » sorrise Kadaj, mellifluo. Aveva l’impressione di avere un potere fortissimo sulla mamma, poteva farle fare quello che voleva quando voleva ma...in realtà anche lei poteva fare lo stesso: era un potere che influenzava entrambi. 

« Sapete che…. »

« Dobbiamo tornare prima di sera. » completarono all’unisono la frase i tre fratelli. 

La mamma ridacchiò e, asciugandosi le mani sul grembiule, andò a dispensare baci per i figli. Uno grande per Loz, uno grande per Yazoo, e uno grandissimo per Kadaj, il suo preferito (anche se quello era un segreto). 

« Fate attenzione. »

« Siiiii! » canticchiò Kadaj.

Primo a lasciare la casa, primo volto verso l’avventura. 

 

Sotto le chiome degli alberi faceva più freddo e il sole passava a stento, facendosi strada a fatica tra i rami. 

I primi metri intorno alla casa, però, erano luogo familiare per i fratelli che vi passavano tutto il tempo possibile, escluso quello che dedicavano alle lezioni che gli faceva la mamma.

Conoscevano ogni tronco, ogni sasso, ogni arbusto, e Loz, che era il più bravo a disegnare, aveva sempre con sé un quaderno sporco di grafite su cui aveva disegnato le piante con bacche commestibili.

C’erano rovi stretti, in cui non si azzardavano mai ad avventurarsi, da cui passando prendevano sempre le more, e una zona piena di mirtilli e fiori bianchi in cui andavano con la mamma quando era tempo di fare la marmellata. 

Ma loro erano diretti più avanti, nel folto.

Loz si guardò indietro per un momento, incerto.

Avevano scoperto la tana la mattina prima, quando il giorno era lungo e il tempo, e la luce, a loro disposizione era tanto e tanto lungo. Adesso gli sembrava pericoloso andarla a cercare, nonostante lui avesse disegnato il percorso da seguire sul suo quaderno e, onestamente, ne aveva paura.

La tana, o quello che pensavano loro essere una tana, era un grosso buco più o meno circolare scavato nella roccia tra le radici pensili di due alberi.

Yazoo, l’appassionato di lettura, aveva ipotizzato che una frana doveva aver fatto cedere parte della collina, snudando così le radici degli alberi, probabilmente il buco c’era già, e il crollo ne aveva ampliato l’apertura. 

Non avevano avuto il tempo di ispezionare la tana, un po’ perché non erano proprio certi che fosse disabitata, un po’ perché non avevano portato con sé le torce elettriche, un po’ perché come al solito Loz aveva avuto “un presentimento” e avevano deciso di tornare il giorno dopo. La mamma, però, li aveva tenuti tutta la mattina a studiare, e loro avevano concluso davvero poco dato che il pensiero era sempre rivolto alla loro scoperta. Solo nel pomeriggio erano riusciti ad organizzarsi per l’avventura.

Kadaj camminava in testa al trio, percorrendo con sicurezza un sentiero che credeva di conoscere bene. Quando non era certo di dove andare si voltava verso Loz, che consultava l’abbozzata “mappa” che aveva sul quaderno e annuiva o scuoteva la testa, Yazoo invece si riempiva gli occhi di tutta quella natura, e i polmoni dell’odore di resina. Conosceva le piante medicinali perché le aveva viste in un libro, sapeva quali erano irritanti e quali potevano essere ottime in un té, ne aveva persino portato un mazzetto alla mamma, ma in quel genere di spedizioni il maggiore era molto più utile di lui. Per questo si limitava a seguire i due, guardando tutto con occhi curiosi. 

Camminarono, dimentichi del tempo che scorreva, giocando a chi vedeva più animali.

Yazoo, identificate le impronte di un cervo, vinse su tutti, anche se dell’animale in sé non videro neanche l’ombra.

Le altre ombre invece c’erano, il sottobosco ne era pieno, ma finché il sole era alto non c’era da preoccuparsi: non facevano così paura.

A metà del tragitto fecero una pausa merenda, sgranocchiando un pacchetto di crackers a testa. 

Seduto il tronco di un albero caduto, Kadaj osservava le formiche. Sbriciolò per loro un pezzetto di cracker e le guardò affaccendarsi per prenderne quanto più possibile. 

Yazoo descriveva a Loz una pianta che aveva visto lungo il tragitto e lui faceva del suo meglio per disegnarla sul quaderno seguendo le sue indicazioni. 

Era tutto perfetto, caldo e confortante. 

Kadaj avrebbe voluto vivere nei boschi con i suoi fratelli per sempre. Quel posto gli piaceva, lo faceva sentire al sicuro. 

In lontananza si sentiva lo scrosciare di un fiumiciattolo che i fratelli avevano già scoperto ed esplorato: il punto di riferimento più importante per trovare la strada verso la tana. 

« Pronti? » chiese il piccolo, alzandosi. Se lui aveva finito, tutti avevano finito. 

I due annuirono e lo seguirono subito, ubbidienti. 

 

Per un po’ si fecero distrarre dai pesci nel ruscello. Ce n’erano parecchi, guizzanti e argentei, che rimanevano incastrati in una piccola bozza cinta da pietre vicino alla riva. 

Era bello vedersi agitare nel tentativo disperato di salvarsi, sbattendo le pinne contro il fondo sabbioso, e poi riuscire a sgusciare via con un unico movimento.

Loz ne disegnò un paio nel suo quaderno, con gli occhi spalancati per l’ammirazione. 

Finalmente giunsero alla tana, e lì si resero conto di esserne più spaventati che affascinati.

Il buco era nero, non si intuiva quanto fosse profondo, radici sottili pendevano dal soffitto insieme con ragnatele fumose.

Quando l’avevano scoperto non era sembrato così tetro e freddo, anzi, spirava curiosità e faceva venire voglia di inoltrarsi al suo interno.

Forse dipendeva dal fatto che ombre scure, gelide, cominciavano a espandersi nel bosco, il cielo andava scurendosi e il sole non scaldava più come prima.

« Forse dovremmo tornare a casa. » propose Loz, tremante. Teneva stretto il suo quaderno dei disegni come se avesse paura che il buio potesse strapparglielo di mano.

Yazoo lanciò uno sguardo nervoso a Kadaj, tutto dipendeva da lui, da quanta voglia avesse di esplorare la tana, e di quanto valutasse alto il rischio. 

« Ormai siamo qui. » disse il piccolo, anche se un po’ titubante. Tutto d’un tratto non aveva voglia neanche lui di entrarci. « Abbiamo fatto un sacco di strada, e non mi va di tornarci anche domani. » si volse a guardare i suoi fratelli e abbozzò un sorriso d’incoraggiamento. « Una volta che avremo visto cosa c’è dentro non ci torneremo più, la considereremo conquistata! » 

Yazoo e Loz si scambiarono un’occhiata incerta poi, come sempre, annuirono.

Kadaj fu il primo, dopo aver preso la torcia dallo zaino, ad inoltrarsi nella tana.

Le radici degli alberi spingevano e spingevano nella terra, lentamente ma inevitabilmente, e piccoli rivoli di polvere cadevano a tratti dal soffitto, come una pioggia di terra. Era umido e l’odore di muffa prendeva alla gola.

Non riuscirono a trovare tracce di animali, se non molto vecchie: chiunque avesse abitato quella tana se n’era andato, o era morto, da un pezzo. 

« Torniamo indietro. » disse, lamentoso, Loz.

La tana era solo l’ingresso di una serie di cunicoli che si inoltravano sempre più in profondità nella terra, dove l’aria si faceva viziata e pesante e alle loro spalle la luce del giorno andava affievolendosi.

« Ci siamo quasi. » gli rispose Kadaj. Ma anche lui cominciava ad avere una strana sensazione di claustrofobia.

Faceva dondolare la torcia su e giù, prima a illuminare i suoi piedini poi a illuminare la strada davanti a sé. 

Terra, terra ovunque, ora scura, ora inumidita da rivoli d’acqua provenienti, probabilmente, dalla superficie. Gli unici animali che incontrarono furono ragni e vermi, immobili e grassi. 

« Fermi! » mormorò Kadaj, bloccandosi di colpo.

Alle loro spalle ormai l’ingresso del cunicolo era svanita nel buio, e davanti avevano un bivio che si perdeva nell’oscurità.

« Torniamo indietro. » ribadì il maggiore, nervoso, il fascio della sua torcia continuava a spostarsi alle sue spalle, come per assicurarsi che non ci fosse nessun’altro oltre a lui. « Abbiamo esplorato abbastanza, la tana non ha uscita e non ha fine! »

« Deve avere una fine, Loz. » sbuffò paziente Kadaj. « Solo che non sappiamo dove sia. Cosa può avere scavato una cosa così complicata? » 

Anche se nel buio, Yazoo seppe che quella domanda era rivolta a lui. « È possibile che fosse la tana di un tasso, o qualche altro mammifero del genere. Tendono a scavare molti tunnel come questi. » 

« C’è solo terra! » Loz, sempre più nervoso. « Non c’è altro da vedere, non ci sarà mica un tesoro alla fine del tunnel. Può bastare così, no? » 

Kadaj illuminò l’imbocco del tunnel di destra e poi di quello di sinistra, come se stesse soppesando un pensiero, un pensiero che ignorava il panico di Loz e che era venato di una curiosità morbosa.

Aveva ragione lui, certo, e dato che Yazoo aveva dato la conferma che si trattava della vecchia tana di un qualche animale non avrebbero trovato niente di interessante, eppure...si chiedeva se per caso qualcuno, curioso quanto erano stati curiosi loro, non fosse passato di lì qualche tempo prima, lasciando qualcosa da trovare, qualcosa da scoprire. Non un tesoro, non era così ingenuo, ma una prova, la traccia di un’esistenza.

« Andiamo avanti ancora un po’. » annunciò, sicuro, Kadaj. Le possibilità erano misere, ma la curiosità galoppava in petto. Voleva almeno trovare la parete finale del tunnel, così da poter raccontare alla mamma che non aveva avuto paura in quel buio terroso e che era andato avanti per tutta la lunghezza del cunicolo e che aveva addirittura appoggiato la mano sulla parete finale! Almeno per quello ne valeva la pena. 

I fratelli si limitarono ad andargli dietro mentre il fratellino sceglieva il tunnel di sinistra camminando di buon passo. 

Scalpiccii di zampe invisibili si udivano provenire dalle pareti, il continuo sgocciolare dell’acqua, e l’eterno movimento della terra: un respiro che la faceva sembrare quasi viva. 

Kadaj ascoltava tutti quei rumori tenendo gli occhi socchiusi, i fasci di luce delle torce lo infastidivano, ed era quasi sicuro che avrebbe proseguito con più tranquillità se fosse stato al buio.

Per questo, forse, non si accorse della radice rialzata di fronte ai suoi piedi, o della voragine che si apriva proprio davanti a lui. 

Inciampò, e mise le mani avanti per attutire la caduta, ma con suo sommo orrore si ritrovò a cadere nel vuoto oscuro, giù, giù, giù, sempre più giù, finché il piccolo corpo non atterrò su una superficie viscida, fatta di fango.

Il suo grido risultò ovattato persino alle orecchie del fratelli, a risuonò a lungo lungo le pareti della voragine, rimbalzando avanti e indietro, amplificato centinaia di volte.

« KADAJ! » strillò Loz, il cuore a mille nel petto.

La luce della torcia non riusciva a fendere il buio, tanto profondo doveva essere la voragine dov’era caduto il fratellino. 

« Dov’è! Non riesco a vederlo? Kadaj! Kadaj! » 

« Sono qui. » una lucetta spaurita, intermittente, si alzò dal basso, dove era caduto il bambino. Aveva dolore in tutto il corpo, le braccia bruciavano, il viso era in fiamme per le lacrime, ma la gamba...la gamba urlava

« Kadaj! » Yazoo, accovacciato sull’orlo della voragine, guardava in giù freneticamente, cercando di distinguere la figura del fratello tra il buio e la luce della torcia. « Ti sei fatto male? » 

« N-no...io...sì. » balbettò il bambino. Strisciò come poté finché la schiena non toccò la parete del pozzo di terra che l’aveva inghiottito. Spinse la luce della torcia di fronte a sé. Una scheggia rovente di fuoco e paura gli bruciò lo stomaco quando si accorse che c’erano ossa con tessuti ancora in fase di decomposizione poco distante da lui, e che nella parete di fronte si apriva un altro buco, rotondo, più scuro, dove ombre vive si agitavano come le code di un serpente. Batté le palpebre, respirò a fondo, sudore caldo gli colò tra le ciglia. Le ombre erano solo ombre, lo sapeva. 

Si controllò con la torcia e gemette quando tentò di toccarsi la gamba. Doveva essere rotta.

« Kadaj? » chiamò dall’alto Yazoo. Cercava di mantenere un tono di voce neutrale, fermo, che non facesse spaventare il minore, ma era ovvio che fosse preoccupato e terrorizzato. 

Stava pensando esattamente quello che pensava lui: i cunicoli erano troppo bassi e stretti perché un adulto potesse entrarvi, le pareti del pozzo erano viscide e non sarebbe riuscito ad arrampicarsi anche senza gamba rotta, per chiamare aiuto dovevano lasciarlo da solo, al buio, forse anche tutta la notte, perché ci sarebbero volute delle ore. 

Non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per la cena come aveva promesso alla mamma, non riusciva a smettere di pensarci. 

« S-sono qui. » mormorò, puntando di nuovo la torcia verso l’alto in modo che i fratelli vedessero dove si trovava.

Yazoo tirò un sospiro di sollievo. « Ascolta...adesso ti...ti lancio la torcia di Loz. A noi ne basta anche una per uscire. Ma dobbiamo tornare a casa e chiamare la mamma, avvertirla di quello che è successo. » Kadaj annuì, aveva cominciato a piangere e non sapeva neanche da quanto. Avrebbe voluto chiedere ad uno dei due di rimanere con lui, di non lasciarlo solo al buio, ma non riuscì ad emettere un suono, la voce si era spenta in gola. 

« Ti lancio la torcia. » lui annuì ancora, anche se non era sicuro che Yazoo potesse vederlo. Sentiva il pianto scomposto di Loz, singhiozzante. Non avrebbe mai potuto costringerlo a rimanere lì con lui, sapeva quanta paura avesse del buio. 

La torcia fece sploch nel fango e lui riuscì a recuperarla. L’accese, sperando che non si fosse rotta, e poi la spense. La mise da parte: gli sarebbe servita dopo, quando le pile della prima torcia si fossero esaurite e lui sarebbe rimasto solo nel buio. 

« Facciamo in fretta! » lo assicurò Yazoo, ma non ci credeva neanche lui. « Vedrai, non ci vorrà molto! » 

Kadaj non rispose, non ci riuscì. Guardò in su finché la luce sul soffitto non sparì e i passi dei fratelli, in corsa, non furono lontani.

Allora appoggiò da una parte la torcia, ben attento che fosse puntata verso l’ingresso del cunicolo pieno di ombre, e prese lo zaino. Sentiva il sapore di sangue in bocca, e terra, se ne accorse solo adesso. Fortuna che aveva dell’acqua con sé. Ne prese un sorso per sciacquarsi la bocca, lentamente, e un altro da bere, minuscolo: non poteva sprecarla.

Frugò finché non trovò la scatola dei cerotti. Di solito era Loz quello che ne aveva bisogno. Di solito. 

Si chiese se un cerotto avrebbe potuto far stare meglio la sua gamba. Dedusse che no, probabilmente no, per la sua gamba avrebbe avuto bisogno di un ospedale, di un dottore, quelle cose lì. Però tolse comunque la carta adesiva del cerotto e lo applicò con attenzione sul ginocchio, dove si piegava ad un angolo curioso.

Appoggiò la testina contro la parete e aspettò di sentirsi meglio.

Era tutto quello che poteva fare.

Aspettare.

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The Corner 

Kadaj si sarà salvato? 
Non lo so, immagino che sia interpretazione libera. 
E le ombre? Saranno state vive? C'era un qualche animale nella tana? 
Chi lo sa.

Chii
   
 
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