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Autore: tixit    20/10/2019    13 recensioni
Breve storia triste con molte licenze cronologiche e un po' di vago soft porn.
Fersen è tornato, è ospite di Oscar ed ha portato con sé il caos.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Sotto un morso di luna

"Fai come ti pare" la voce di Oscar era dura, ma lo sguardo no ed André sentì di aver sbagliato anche stavolta. Forse. 
L’unica certezza era il suo stomaco annodato peggio che nell’ansia della sua prima poesia di Natale, da bambino, in piedi su uno sgabello davanti a tutti in cucina - il garzone della cuoca gli aveva tirato un ravanello, piccolo bastardo!

"Vorrei poterti spiegare…"

Oscar non disse nulla e a lui sembrò disperatamente bella e dolorosamente irraggiungibile.

"Non so se ti ricordi le lezioni di latino… una volta stavamo discutendo con il precettore su come tradurre una frase… Impossibilium nulla obligatio - alla fine decidemmo per non ci sono più obblighi quando ci sono in gioco cose impossibili."

Oscar sbuffò e scosse la testa. "André per piacere, avevamo undici anni… non sapevamo nulla delle cose davvero impossibili, credimi sulla parola! Non immaginavamo nemmeno!"

"Io sono stato una zavorra per te," insistette arrossendo, "l’amico di infanzia, quello che non è speciale per nessuno, quello che non si incastra nel giro degli amici, perché è fuori posto, quello da trascinarsi dietro per obbligo anche quando quell’obbligo è finito da un pezzo… se ripenso a quelle bettole dove ci andavamo a scaldare col vino scadente, quando avresti potuto sedere in un salotto elegante a leggere Molière con un Duca..."

Oscar lo guardò perplessa "Molière?" chiese con incerta cortesia.

Girodelle, sullo sfondo, alzò gli occhi al cielo.

"Oscar, accidenti, io ti seguirei ovunque," riprese André, "con la fedeltà di un cane, ma non posso mettere piede in casa di Madame de Montesson! E forse nemmeno a Palais Royal! Sono tutti luoghi vietati per me!"

"Non direi," lo interruppe perplesso Fersen, "di Madame de Montesson non so nulla, non credo frequenti il giro di Madame de Tourvelle, ma a Palais Royal ci sono pure delle… giovani donne amichevoli... a Palais Royal ci va chiunque, direi che pure tu, André, ci puoi andare quando vuoi… ti posso accompagnare, se ci tieni tanto..."

Oscar fissò André con occhi sgranati "Spero tu stia scherzando..." mormorò.

André, con un gesto stizzito, invitò Fersen a smettere con le divagazioni - "Oscar, cerca di capire, questa specie di amicizia tra noi deve finire, o cambiare. Crescere forse. Trovare la sua strada naturale che è fatta di separazioni necessarie. Perché quando si arriva al dunque le vite di un aristocratico e di un servo sono diverse, hanno esigenze diverse, obblighi... non sono bene accetti negli stessi luoghi e probabilmente non lo vorrebbero nemmeno."

"Tu sei stata generosa con il ragazzino con cui sei cresciuta, ma così ti sei privata di tante possibilità. Tuo padre, a lui forse stava bene, ha eretto tanti muri attorno a te... tu eri il suo capolavoro e io ero... io sono... io sono parte dei suoi mattoni, della sua calce... ma tutto questo non va bene, tu hai il diritto, l’ho capito in questi giorni. Ti ho visto con il Conte Fersen e ho capito e lui può darti ciò che è naturale… ovvio quasi… cose che io non potrei… che non posso!"

Vide che Girodelle scuoteva impercettibilmente la testa, con uno sguardo pieno di... compassione? e si sentì morire, peggio che la volta del ravanello, perché allora non era stato ridicolo, solo impacciato, e non aveva nemmeno otto anni. Mentre adesso... cosa c'entrava lui con le cose da dare ad Oscar? Lui era lì per farla allenare, cucinare per lei e pulirle gli stivali - cosa avrebbe pensato ora? Avrebbe capito quanto era patetico? Dio mio, stava per dichiararle il suo amore davanti a quei due! Quel bue con la sensibilità di un aratro e... Girodelle.

"Non so però se leggono Molière… può anche essere. Una volta una giovane dama volle che la prendessi, mentre le recitavo dei versi in latino." lo interruppe Fersen perplesso. "Le piaceva il ritmo: un pentametro giambico, breve, lungo, breve lungo… non so se avete presente... molto faticoso."

"Non ti ho mai chiesto di essere quello che non eri." Oscar si infilò i guanti con cura meticolosa senza guardarlo in faccia. "Mai. Io non ti ho chiesto proprio niente." Era irritata. Poi aggiunse, "E non ho chiesto niente a nessuno di Voi, vorrei fosse chiaro."

"Vorrei cercarmi un altro lavoro." esplose André. Poi si voltò verso Girodelle "E’ ancora valida l’offerta?"

L’uomo alzò nuovamente gli occhi al cielo e sospirò "Certo che è sempre valida, ma Vi pare questo il momento?"

"Io credo che anche tu Oscar... che tu abbia bisogno di... modificare la tua vita. Sei stata la figlia obbediente di tuo padre, un ottimo soldato, una buona amica della Regina... ma ci sono... ci sono cose che ti appartengono, tue di diritto… Il diritto di essere amata, di avere un complice che allontani il dispiacere delle sconfitte, quando arrivano... che ti faccia capire che tu, come vivi tu..."

Oscar sbuffò irritata, ma André riprese, "Sembra che tu voglia essere più indipendente di qualsiasi uomo, più autosufficiente, e non molli mai, ma tutti hanno bisogno di essere accuditi. Anche un uomo..." Ripensò al Generale, chiuso nel suo studio, con le sue rose bianche e gli si strinse il cuore. Poi sospirò "E poi ci sono cose, desideri... tu sei una... rosa, non sei un lillà!" sentiva che il cuore gli faceva male, eppure era quello il momento in cui si vedeva se un uomo era un uomo, possibile che lei non capisse la portata del suo sacrificio? Certo che no! Lui non era un uomo per lei… e poi a cosa stava mai rinunciando? Ma di che diavolo parlava? Lei non era mai stata sua, nemmeno nei suoi sogni, specialmente gli ultimi su cui sarebbe stato meglio stendere un velo pietoso.
Nervosamente si passò una mano tra i capelli. "I tuoi figli…"

"Hai bevuto?" lo sguardo di Oscar era quasi divertito. "Figli!" disse con tono amaro scuotendo la testa, "Figli e Molière… solo tu André…"
Poi si diresse verso la porta "Grazie per il bagno e la camicia," disse rivolta a Girodelle, "e grazie per la serata che immagino irripetibile."

"Mi dispiace Madamigella. Non sapete quanto..." rispose il giovane con una gentilezza che riempì André di sospettosa sorpresa.

Incerto la guardò sparire, poi sentì una mano artigliargli la spalla - Girodelle sembrava sinceramente esasperato "Seguitela, per piacere, e riportatela a casa… prendete la carrozza verde, è comoda e veloce. Sbrigatevi!"

"Ma io non posso, Fersen…" balbettò, poi si corresse "Sua Signoria Il Conte di Fersen…"

"Hans resta qui. Ma Madamigella Oscar non può rimanere sola, non stasera. Vi prego. Ma possibile che proprio Voi non Vi rendete conto?"


La cercò nella sala  e poi corse in strada dove la trovò che stava cercando di fermare, senza molto successo, una carrozza a nolo.  
Non lo aveva mai fatto in vita sua, pensò irritato, e voleva cominciare ora? Probabilmente non aveva nemmeno idea di quanto le sarebbe costata la corsa.
Si diresse verso una carrozza verde, piena di molle, parcheggiata sull’angolo - il guidatore sembrava aspettarlo perché si tolse il cappello ed aprì la porta, sollecito. Segno che Girodelle, in quel posto, arrivava proprio ovunque - lavorare per lui sarebbe stato interessante.

Oscar per un attimo sembrò voler puntare i piedi e fare, come sempre a modo suo, e cioè il contrario di quanto avrebbe voluto il buonsenso - lo fissò, soppesandolo con qualche bilancia segreta che conosceva solo lei.
Quando alla fine la vide montare all’interno e accomodarsi sui cuscini, André tirò un sospiro di sollievo.

"Tu vieni?" 

André annuì. 

"Sei sicuro?" insistette la donna con voce tagliente, "Nessun pitale da svuotare?" 


Mai una carrozza gli era parsa così stretta. Le lampade, all’esterno, illuminavano a tratti il viso pensoso di Oscar. Sarebbe stato più semplice se davvero anche lui avesse bevuto e se questa fosse stata una di quelle sere in cui tornavano a Palazzo ubriachi e stanchi. Complici.

Fu a quel punto che Oscar lo spinse nel buio dei cuscini e armeggiò con la sua camicia, per sfiorargli la pelle nuda del fianco con le mani - riconobbe ogni ruvido piccolo calletto dei punti in cui premeva l'impugnatura della spada. 

Non capì al principio e provò solo tenerezza. La sua Oscar, la sua meravigliosa, sconclusionata ed imbranatissima Oscar. La sua guerriera bambina di quando avevano solo undici anni e dita pronte al solletico. Quando erano solo loro due il centro del mondo, prima che l'uguaglianza tra di loro si rivelasse per quella bugia che era.
La strinse a sé accarezzandole una guancia con dolcezza infinita, prendendo il coraggio dal buio e dalla luce fioca dei ricordi d'infanzia.

Poi sentì le dita di lei che si infilavano nei suoi capelli e lo afferravano, come in una lotta di quando erano ragazzi e lui finiva con la faccia nella polvere mentre il sudore gli colava lungo le tempie.

Solo che stavolta non fu buttato in terra, non ci fu un pugno su uno zigomo, o una gomitata nelle costole, ma si ritrovò annegato tra i cuscini, il volto sollevato verso quella luce balbettante così difficile da mettere a fuoco, e subito dopo le labbra di Lei, che non era lei, non poteva esserlo, che lo divoravano a tentoni.

Per lui fu il primo vero bacio.
Non aveva un termine di paragone per quello, se non i sogni e le sue fantasie, e non riuscì a capire se gli stesse piacendo, se era come doveva essere, se a lei stesse piacendo, e se fosse poi importante che a qualcuno dei due piacesse poi sul serio, ma, nel caso, avrebbe voluto che quella soddisfatta fosse lei - lui ad accontentarsi di ciò che avanzava c'era abituato. Il cuore, però, era il frullo di un passero.

La sentì ridere contro la sua spalla, "Poi, se ci tieni, possiamo leggere Molière."
Scivolò accanto a lui e cominciò a baciarlo, delicatamente, con infinita lentezza, come se dovesse fare l'esatto inventario della pelle delle sue labbra.
"Impossibilium nulla obligatio" la sentì mormorare, "Non sai quanto hai ragione..." Poi fu paziente con lui, che non sapeva bene cosa fare, con lei, di labbra, lingua e denti, mentre il cuore gli stava scoppiando nel petto. 

Non era così quando combattevano insieme - lì lo aveva sempre fatto nero, sfruttando - senza saperlo - la sua goffaggine ed il suo orrore al solo pensiero di farle davvero male, senza dargli né tregua né aiutarlo a trovare un modo di uscirne che fosse uno - una vita in difesa, dove anche un suo attacco lasciava sempre una via di fuga.

Del resto, gli era chiaro, lo scopo non era quello, allenarlo a sopravvivere ad Oscar, ma lasciar allenare lei. Per farla risplendere e renderla indipendente.

Pensò che sarebbe stato allo stesso modo - lei all'attacco, lui in difesa - ma stavolta fu come se lei volesse spiegargli cosa voleva e come lo voleva, come andava fatto tra loro, come se misurasse il suo piacere ed il proprio, in modo che andassero di pari passo.

Con le mani che tremavano le slacciò gli infiniti bottoni del panciotto, per poi fermarsi spaventato - poteva sentire sotto il palmo della sua mano il seno di lei, il piacere di lei che cresceva inequivocabile. Cosa stavano facendo? 

Con il dorso delle dita la accarezzò attraverso la stoffa, godendo dell’assenza delle fasce e del suo respiro affrettato. Sentì il rumore della camicia che cedeva senza capire se erano le sue mani, quelle di lei, o tutte due assieme. O quella carrozza così molleggiata dove non arrivava nessun contraccolpo della strada. Ma non importava, quello che importava davvero era solo il calore della pelle di Oscar contro la sua. D'impulso la spinse sui cuscini, sotto di sé, e le baciò la gola. Con la mano che gli tremava le cercò il seno, poi risalì fino alla punta, in una lenta spirale, trovando che era davvero come aveva sempre immaginato - petali di rosa. La sentì sospirare, mentre, con mani impazienti, finiva di sfilargli la camicia dai pantaloni e gli accarezzava la schiena.

Cosa diavolo stavano facendo?

Lei aveva bevuto troppo, erano giorni che era strana, quel suo gioco di seduzione con Fersen, poi...

Fersen.

Il pensiero dello svedese lo riportò alla lucidità - se fossero andati avanti, se fossero andati oltre, ogni possibilità con Fersen sarebbe stata bruciata e lei condannata ad una vita di bettole fumose e vino scadente. Niente bambini. Niente famiglia. Niente altra metà di Oscar, quella che la vedeva finalmente anche femmina, dolce, e non solo un rigido soldato, coi muscoli e lo sguardo ogni giorno un poco più duri.

A forza la allontanò a sé "No," disse severo, come se parlasse ad un cucciolo disobbediente, "Ora basta." Qualcuno doveva ritrovare il buonsenso.

Le mani di lei lo cercarono e lui si ritrovò a bloccarle i polsi, sperando di non farle male. "Ho detto di no! Hai bevuto troppo e non sai cosa stai facendo!"

"Ne sei sicuro?" la voce di lei un soffio caldo sulla pelle.

"Sai almeno chi sono? Non sono Fersen, questo almeno lo sai?" la voce gli uscì dura, non volendo, ma il pensiero dello svedese, di quelle sue mani avide sul corpo di lei, il pensiero della sua reazione golosa di cui s'era vantato, gli bruciava dentro.

Quando la lasciò andare, lei si ritrasse in un angolo, in silenzio; poi si sporse dal finestrino e urlò al cocchiere un indirizzo.

Il resto del viaggio non si parlarono - lui fin troppo consapevole della vicinanza di lei, della camicia strappata, di quello che la stoffa ormai non nascondeva più, del sapore delle sue labbra e di una oscena, mastodontica e assolutamente inutile erezione.

Arrivati, scesero con passo barcollante, poi si fissarono astiosi sotto appena un morso di luna.

 

Lei, a quel punto, lo colpì con uno schiaffo.

   
 
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