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Autore: mikimac    20/10/2019    2 recensioni
Sherlock e John sono sposati e vivono insieme. Possono dire di avere raggiunto un rapporto equilibrato e appagante per entrambi. Fino al giorno in cui la Donna appare nelle loro vite. E nulla sarà più come prima.
Omegaverse. Omega John Watson. Alfa Sherlock Holmes.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Mpreg, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Fotografie'
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Un tea a Buckingham Palace
Benvenuti alla quinta parte di questa serie Omegaverse. Sherlock e John si sono sposati, hanno consumato e hanno iniziato la loro vita insieme. Spero che nessuno si aspetti che sia tutta rose e fiori. Prometto, però, che sarò particolarmente buona e nessuno soffrirà. Almeno non troppo.

I personaggi non mi appartengono e scrivo per diletto.
Se il racconto dovesse ricordarne altri, mi dispiacerebbe molto, ma sarebbe assolutamente involontario.

Che l’avventura abbia inizio. Buona lettura.







Il sole aveva percorso una parte del suo cammino, spostandosi nel cielo limpido e terso, completamente privo di nuvole. La temperatura della stanza, in cui si trovava John, si era abbassata sensibilmente. Un brivido percorse il corpo stanco del dottore. Ogni giorno che passava, l’Omega si sentiva sempre più debole. Era faticoso persino girare le pagine dell’album di fotografie preparato per Sherlock, ma il medico non voleva fermarsi. Doveva essere sicuro che il regalo per il suo amato Alfa fosse perfetto. Con un sospiro, John voltò altre pagine, testimoni del loro legame dopo le nozze.
John non rimase subito gravido, ma l’Alfa non si preoccupò. Sherlock non sembrava né interessato né smanioso di allargare la famiglia. Quando notava che l’Omega si preoccupava per il ritardo nel concepimento di un erede, l’Alfa scrollava le spalle: “Ci hanno già pensato Mycroft e Gavin a garantire una discendenza alla nostra famiglia. Probabilmente il mondo non è pronto per troppi Holmes tutti insieme. Potremmo alzare inopportunamente la media dell’intelligenza della razza umana, facendo infuriare la maggioranza della gente, che finalmente comprenderebbe la propria stupidità, ma non saprebbe come mettervi un freno,” sentenziava con un ghigno sardonico sulle labbra. John rideva sommessamente alla battuta del marito e scuoteva la testa. Non era sicuro di quanto Sherlock dicesse cose del genere per distrarlo o perché vi credesse veramente. Inoltre, trovava incredibile che sbagliasse sempre il nome del cognato. Una volta John aveva chiesto al marito perché lo facesse e, con la sua solita espressione beffarda, Sherlock aveva risposto: “Per fare arrabbiare Mycroft, ovviamente!”
Malgrado l’atteggiamento arrogante e sfrontato del giovane Holmes, John era felice con lui. Vivevano a Londra, in una zona tranquilla, al 221B di Baker Street in un appartamento su due piani. La loro padrona di casa era una anziana Omega vedova, che trattava Sherlock e John come se fossero stati i figli che non aveva mai avuto.  John aveva trovato un lavoro part time in una piccola clinica vicino a casa, dove era apprezzato dai colleghi e dai pazienti. La cosa che, però, più intrigava l’Omega erano le indagini in cui Sherlock era coinvolto da Scotland Yard o da qualche privato.
La loro collaborazione investigativa cominciò per caso. Durante un’indagine, Sherlock era improvvisamente uscito dal proprio mutismo e aveva spiegato a John per filo e per segno come avessero trovato il cadavere e come si presentasse la scena del crimine. John, incuriosito, aveva posto alcune domande, che si rivelarono determinanti per condurre Sherlock a comprendere chi fosse l’assassino. In preda all’entusiasmo, l’Alfa aveva baciato appassionatamente l’Omega: “Lo sapevo che tu mi saresti stato utile per le mie indagini! Se fossi venuto con me sulla scena del delitto, avrei risolto questo caso molto più in fretta. Vorresti diventare il mio aiutante sul campo? In fin dei conti, sei un medico. Un ex militare. Non vedresti nulla che tu non abbia già visto,” propose con grande aspettativa. John poteva vedere il desiderio di Sherlock brillare nei suoi occhi dalle iridi di quell’incredibile azzurro chiarissimo. Era talmente bello e affascinante, quando era così felice, che John avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederlo sempre con quella luce nello sguardo.
Rispose di sì.
Quella notte fecero l’amore con una passione e una intensità, che non avevano mai sperimentato prima, quasi avessero fatto un ulteriore passo avanti nella loro relazione. Divennero una coppia affiatata, nel matrimonio come nel lavoro.
Ridevano e scherzavano.
Correvano dietro a ladri e assassini.
Rischiavano le loro vite per risolvere un caso, ma si guardavano sempre le spalle l’uno con l’altro e insieme sembravano invincibili. Sembrava che nulla e nessuno potesse separarli o ferirli.
Erano Sherlock e John, soli contro il mondo.
Fino al giorno in cui arrivò lei.

Un tea a Buckingham Palace

John guardò il viso della donna, che lo fissava intensamente dalla fotografia in bianco e nero, attaccata nella pagina dell’album. Aveva ritagliato quell’immagine da un giornale. Lei guardava diritta dentro l’obbiettivo.
Spavalda.
Sicura.
Al limite dell’arroganza e della sfrontataggine.
Erano trascorsi tanti anni, da allora, ma il cuore di John provò ugualmente una fitta dolorosa, nell’osservare quelle labbra carnose e quegli occhi neri come la pece e profondi come un abisso, dove sprofondare senza più riuscire a riemergere. Ricordava ancora il suo profumo. Così piacevole. Così seducente. Così profondamente Alfa. Eppure, fu grazie a lei che Sherlock e John scoprirono di non essere immuni all’amore


Non era da tutti i giorni essere portati a Buckingham Palace. Sherlock giurava e spergiurava che Mycroft vivesse lì, che quella fosse casa sua, non della Regina. Ovviamente, il maggiore degli Holmes rispondeva a queste affermazioni con un’alzata di occhi al soffitto o con grugniti furibondi, a seconda del grado di esasperazione raggiunto durante la discussione. John aveva sempre trovato affascinante e divertente lo strano rapporto che intercorreva fra i fratelli Holmes. Non capiva mai fino a che punto si comportassero in quel modo distaccato e scostante l’uno con l’altro per abitudine o per un reale sentimento di disaffezione. Era certo di avere visto occhiate affettuose intercorrere fra i fratelli, ma ogni volta che ne aveva parlato, era stato trattato come se fosse stato un pazzo visionario. John aveva deciso di rinunciare a capire i due fratelli e di godersi lo spettacolo dei loro siparietti, cercando di non apparire troppo divertito.
La mattina in cui tutto iniziò, Sherlock e John si trovavano in cucina, dove stavano facendo una colazione abbondante per recuperare le energie spese durante il Calore, quando due uomini, che erano ovviamente due ufficiali addetti alla sicurezza di sua maestà, apparvero nell’appartamento pretendendo di essere subito seguiti, senza spiegare dove sarebbero andati e perché. Sherlock si era rifiutato: “Io non eseguo gli ordini di nessuno, soprattutto quelli provenienti dal Governo Inglese,” aveva sentenziato, avvolgendosi nel lenzuolo, che stava usando come unico capo di abbigliamento. Non avendo casi in corso, il consulente investigativo aveva deciso che fosse inutile vestirsi. Il desiderio di accoppiarsi non svaniva istantaneamente con il termine del Calore e Sherlock riteneva che doversi spogliare nuovamente fosse solo una perdita di tempo. Quindi, non era inusuale che trascorresse il giorno dopo la fine del Calore girovagando nudo per casa.
John aveva sorriso ai due uomini, scrollando le spalle e scuotendo la testa, per fare loro capire che lui non poteva farci nulla. Che non sarebbe mai riuscito a convincere Sherlock a seguirli. Con un sospiro rassegnato, i due uomini sollevarono Sherlock di peso, trasportandolo fino all’auto. John aveva velocemente raccolto qualche vestito per il marito ed era andato con loro. L’auto aveva i finestrini oscurati, ma né Sherlock né John erano preoccupati. Sapevano di non essere in pericolo perché quel prelievo forzato aveva la firma di Mycroft. Quando l’auto si fermò e uno dei due uomini aprì la portiera, scoprirono di essere stati portati nientemeno che a Buckingham Palace. Mentre attendevano in un salotto elegante, seduti entrambi sullo stesso divano, Sherlock fece l’occhiolino a John: “Ti avevo detto che questa è casa di Mycroft. E tu non mi volevi credere,” ghignò.
John non sapeva bene che cosa rispondere o come comportarsi. In fin dei conti, erano pur sempre in casa della famiglia reale e gli sembrava quantomeno disdicevole mettersi a sghignazzare apertamente. Sherlock, però, non faceva nulla per facilitargli il compito. Restare serio e compassato era alquanto difficile, avendo accanto il marito che, avvolto semplicemente in un lenzuolo, pensava se sottrarre un posacenere o qualche altro soprammobile come souvenir. Finalmente Mycroft fece il suo ingresso, con la schiena ritta e un portamento regale, da padrone di casa, che fece scoppiare John in una sincera e piena risata.
Il maggiore degli Holmes alzò un sopracciglio: “Per favore, comportatevi da persone adulte! Ricordatevi dove ci troviamo,” sbuffò, seccato.
“Siamo a casa tua, fratello, caro. Quindi, dimmi, per quale motivo non dovremmo comportarci come sempre?” Ribatté Sherlock, serafico.
Mycroft si sedette nel divano di fronte a loro, mentre un maggiordomo entrava per posare un vassoio con una teiera, quattro tazze e un piatto con dei biscotti, su un tavolino posto fra i loro divani. Evidentemente qualcuno doveva unirsi a loro per prendere parte a quella improvvisata riunione di famiglia. A un cenno di Mycroft, il maggiordomo se ne andò, senza versare il tea.
“Perché siamo qui?” Domandò John, curioso.
“Mi sembra logico. Mycroft voleva la nostra compagnia per il tea,” sogghignò Sherlock, osservando il fratello che versava il liquido ambrato nelle quattro tazze.
“Non essere stupido, fratello caro, e vestiti,” sibilò Mycroft, con voce irritata.
“Io non sono stupido,” ringhiò Sherlock, irrigidendosi improvvisamente. John poteva sentire la tensione fra i due fratelli. La frase del maggiore aveva scatenato qualcosa nel minore. L’Omega non avrebbe saputo dire che cosa, ma poteva essere questa la chiave per comprendere il complicato rapporto fra Mycroft e Sherlock. Prima che John potesse approfondire la questione, un quarto uomo entrò nella stanza. Con un certo disappunto da parte di John, si trattava di un altro Alfa. Tutta quella esibizione di potenti feromoni Alfa era piuttosto fastidiosa per il giovane Omega, che si sentì quasi soffocare. L’uomo, vestito in modo elegante, si andò a sedere acconto a Mycroft, ignorando il non abbigliamento di Sherlock,: “Vedo la somiglianza. Quest’uomo è tuo fratello. Senza ombra di dubbio,” esordì, con un sorriso divertito.
“Ora Sherlock si veste o lo vesto io a forza,” ordinò Mycroft.
“Vorrei proprio che provassi a farlo,” lo sfidò Sherlock.
“Io, invece, vorrei evitare di chiamare l’esercito per dividere i fratelli Holmes. – intervenne lo sconosciuto, in tono accondiscendente – Che cosa posso fare per convincerla a vestirsi, signor Holmes?”
“Chi è il cliente?” Domandò Sherlock, seccamente.
“La padrona di questa casa,” rispose lo sconosciuto.
“Bene. Ora posso vestirmi. Ci voleva tanto, Mycroft? Sempre a fare il misterioso, come se si trattasse di un affare di stato!” Bofonchiò petulante.
John si limitò a fissare il pavimento, per evitare di scoppiare a ridere, e rimase con una espressione il più indifferente possibile sul viso, fino a quando il marito non tornò, perfettamente vestito.
“Ditemi. Sono pronto,” esordì Sherlock, accomodante.
“Supponiamo che qualcuno vicino alla nostra datrice di lavoro abbia commesso un errore dettato dalla gioventù e dalla ingenuità. – spiegò lo sconosciuto, mentre Mycroft serviva il tea – Supponiamo che esistano delle fotografie che, se rese pubbliche, potrebbero mettere in notevole imbarazzo la nostra datrice di lavoro. Supponiamo che la persona, che possiede queste fotografie, non ci abbia fatto delle richieste, ma pretenda di avere lei, signor Holmes, come mediatore. Lei sarebbe disposto ad aiutare la nostra datrice di lavoro?”
John si irrigidì: “Perché quella persona ha chiesto espressamente di Sherlock?” Domandò in tono allarmato.
“Vuole un interlocutore super partes,” rispose Mycroft, in tono sbrigativo.
“Accetto,” affermò Sherlock, sornione.
“Accetti?” Chiese John, sorpreso.
“Certo. Anche solo per conoscere una persona che tiene in scacco la corona inglese e tutto il suo seguito!” Ribatté Sherlock, appoggiando la tazza di tea, ancora piena, sul tavolino davanti a lui.
Mycroft prese delle fotografie e le allungò al fratello: “Si chiama Irene Adler. È una giovane Alfa che svolge una attività un po’ particolare. È una dominatrice. Sottomette gli altri Alfa e li fa sentire come se fossero il più misero degli Omega, senza offesa John. – aggiunse con un cenno della testa rivolto al cognato – Una giovane nipote della nostra datrice di lavoro si è rivolta a lei, senza rendersi conto di che cosa stesse per scatenare. Abbiamo offerto denaro alla signora Adler, ma sembra che non sia interessata. Ha preteso che tu fossi il mediatore, fratello caro,” terminò, con un cenno di irritazione nella voce.
Sherlock stava studiando le fotografie della giovane Alfa con interesse. Alcune provenivano dal sito della donna ed erano particolarmente provocanti. Altre erano fotografie scattate durante la sorveglianza, cui la aveva sottoposta Mycroft, per carpire i punti deboli della donna, da sfruttare per porre fine al ricatto. Evidentemente, gli uomini di Mycroft non dovevano avere trovato nulla di utile o loro non sarebbero stati lì. John sbirciò le immagini che il marito stava guardando con tanto interesse. Irene Adler era una donna che non sarebbe passata inosservata nemmeno se lo avesse voluto. E lei non faceva nulla per non farsi notare. L’Omega notò una luce diversa brillare negli occhi del marito. Il cuore si strinse in una leggera morsa. Avrebbe preferito che Sherlock avesse rinunciato al caso, ma non poteva chiederglielo. Si erano sposati per dovere. Erano diventati amici. Colleghi. Partner nel lavoro. Amanti. Però non erano innamorati. Non si erano mai detti parole sdolcinate come “Ti amo.” Questo non era previsto fra loro. John ignorò la morsa. Osservò il marito alzarsi dal divano pieno di energia ed entusiasmo: “Sarà interessante interagire con una persona che sta tenendo in scacco la famiglia più potente del Regno! – affermò allegramente, uscendo dal salotto – Andiamo a casa a cambiarci, John. Dobbiamo andare a conoscere la signora Irene Adler!”
John seguì il marito. Lo avrebbe seguito ovunque. In silenzio. Lui non avrebbe mai abbandonato Sherlock, qualsiasi cosa fosse accaduta.




Angolo dell’autrice

Può sembrare strano che John metta nell’album della vita che ha condiviso con Sherlock una fotografia di Irene Adler. Come potrebbe sembrare strana quella che apparirà nel prossimo racconto. Però Irene e la prossima donna sono quelle che faranno comprendere ai due uomini quale sia il vero legame che li unisce. Che li costringeranno a dare il reale nome al sentimento che provano l’uno per l’altro.

Grazie a chi abbia letto questo capitolo e decida di andare avanti in questa avventura.

A domenica prossima.

Ciao.

   
 
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