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Autore: Ghen    22/10/2019    3 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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56. L'anniversario - Prima parte


UN ANNO FA

Lena aveva gonfiato le guance, tenendo il cellulare tra le dita. «Le vedrò al vostro matrimonio-», aveva stretto i denti, «Lasciami parlare! Lasciami finire! Non è necessaria la mia presenza lì». Aveva allontanato il telefono dall'orecchio di colpo. «Sì, faccio parte di questa famiglia», aveva scosso una mano seccata mentre ascoltava sua madre dall'altra parte, adocchiando il suo assistente davanti a lei che, in attesa, aveva iniziato a dondolarsi sui talloni. «Non voglio stare in quella casa per giorni, con delle complete- lasciami parlare, estranee… mamma». Le aveva sempre fatto un po' strano chiamarla mamma e, da quando aveva scoperto di essere la figlia biologica del padre, per un qualche motivo, lo era diventato ancora di più. «Eliza è dolcissima, ma preferirei restare qui a lavorare».
«Dunque non ti interessa conoscere le tue sorellastre? E per l'amor del cielo, Lena, è vacanza», aveva sbottato Lillian dall'altra parte del cellulare, «I dipendenti tornano a casa per le vacanze e mia figlia vuole restare lì a lavorare. È qualcosa di inconcepibile».
Winn si era grattato con nervosismo, avrebbe preferito essere altrove. Aveva alzato gli occhi al soffitto, si era guardato attorno con distrazione e dopo aveva ben pensato di iniziare a tirarsi le cuticole dalle dita per fingere di non stare ascoltando e distrarsi: la signora Luthor gli aveva sempre fatto un po' paura.
Lena aveva sbuffato appena, fregandosi gli occhi stanchi. «Se avessi voluto che conoscessi le figlie di Eliza, allora avresti combinato prima un incontro. Andare a viverci insieme, anche fosse per qualche giorno, è prematuro. E non conosco la casa, e se-».
«Te lo chiedo per favore, Lena. Facciamo che questa cosa funzioni. Vieni qui e le conosci, resterai dei giorni e ti comporterai da figlia esemplare, poi-».
«Poi che cosa?», era stata lei a interromperla. «Non puoi convincermi a farlo».
«Non ci sarà nemmeno Lex… Che figura mi fate fare?! Te lo chiedo per favore».
«Cosa? Lex non-», aveva scosso la testa e sbuffato di nuovo, battendo le dita sulla scrivania. Lex non ci sarebbe stato? La situazione non faceva che peggiorare. «E va bene», aveva sospirato pesantemente e non le importava che sentisse. «Senti… potresti mandarmi Ferdinand? In vacanza? Ferdinand non va mai- Va bene. Ho capito. Ma mi manderai una macchina almeno una volta lì o non saprò dove andare. Sì, ci risentiamo». Aveva staccato la telefonata ingigantendo gli occhi, guardando Winn che, intanto, si era rimesso composto, dritto con la schiena. «Anche la tua famiglia è così complicata?».
Lui aveva scrollato appena le spalle, sorridendo. «Oh beh, non così, ma… ognuno ha i suoi guai. Volevo dirle che ho aggiornato le schede riguardanti la famiglia Danvers come mi aveva chiesto, signorina Luthor. Qualche dato in più che ho scovato recentemente», sorrise, «giusto dei dettagli. Come Kara Danvers che pratica sport».
«Sport?», aveva alzato un sopracciglio, sorpresa. Aveva aperto i file in quel momento, sul suo laptop, e l'occhio era caduto proprio in una delle sue foto. «Ha il fisico da sollevatrice di fermacarte».
«Emh, veramen-».
«Va bene, Winslow, ti ringrazio per l'ottimo lavoro. Da domani puoi stare a casa, è vacanza. A quanto pare… lo sarà anche per me», aveva gonfiato gli occhi, tenendo strette le labbra. Lui se n'era andato in fretta e lei aveva dato una nuova occhiata ai file di Eliza, Alex e Kara Danvers. Solo dei dettagli, aveva detto il suo assistente, allora magari nemmeno li avrebbe letti. Tra meno di due giorni sarebbe andata nella loro casa, dopotutto. Ormai il tempo era scaduto e si sarebbe fatta un'idea migliore di loro conoscendole di persona. Conoscere le sue sorellastre, poi… Già immaginava come anche loro non avessero alcun interesse a conoscerla. Lillian stava con questa Eliza da tempo e adesso si era messa a fare tutto di corsa. E nondimeno, se queste Alex e Kara avevano interesse a far parte della famiglia, non si sarebbero già presentate per la cerimonia di fidanzamento? Non poteva certo credere che nessuno le avesse invitate. Senza contare del comportamento di Lex. Suo fratello era il solito guastafeste. Lo aveva chiamato mentre sistemava tutto per tornare a casa, ma si era attaccata la segreteria telefonica. Aveva ansimato, infastidita, e si era allontanata dal suo ufficio, chiamando l'autista che la venisse a prendere. Almeno lui aveva risposto. Aveva salutato il portinaio e, con passo deciso, era uscita dalla struttura, continuando a chiamare Lex senza successo. Fuori si era già fatto buio: il cielo era così grande e malinconico, stellato. L'aria era fresca, un poco umida e si era fregata le braccia. «Lex. Richiamami, per piacere», lasciò il messaggio. Era entrata nella vettura quando Ferdinand era sceso per aprirle la portiera, così se n'era andata, continuando a osservare il cielo dal finestrino.

PRESENTE

«Hai una pistola?». Kara strabuzzò gli occhi e alzò la voce senza rendersene conto. «Avevi una pistola in borsetta per tutto questo tempo?».
I ragazzi erano scappati dal parcheggio e Lena aveva riabbassato l'arma, custodendola appena riuscì a riprendere fiato. Tremava, accidenti. Nonostante fosse andata al poligono con Alex e Maggie, non era così facile impugnare una pistola per difendersi, senza neppure contare lo sguardo allibito di Kara che la trapassava da parte a parte. Alex aveva ragione e non che lo avesse messo in dubbio, però il tempo era trascorso in fretta, non aveva avuto l'occasione e ora…
«Da quanto tempo hai una pistola? È carica? Lena? Perché non mi rispondi?», si stava spazientendo.
«Da un po'… Dall'attentato alla Luthor Corp».
«Da-», si bloccò, sorpresa, «E non hai pensato di dirmelo?».
«Andiamo a parlarne in macchina, per favore».
«Di fermarmi e dirmi ehi, Kara, sai che mi sono tenuta la pistola?!», spalancò le braccia.
«Va bene, ho capito. Adesso possiamo andare in macchina?», ribadì. Vedendo che non collaborava, allora restò ancorata sui suoi passi anche lei, mettendo le braccia a conserte e uno sguardo duro. «Ti avevo chiesto di andare, volevo che ci allontanassimo ma non mi hai dato ascolto».
«E per questo tiri fuori una pistola?», ribatté. Quando finalmente si accorse di stare gridando, pensò di abbassare i toni, sospirando e portandosi una mano sulla fronte. «Quei ragazzi non erano una minaccia. Okay? Dovevo solo mollare il polso e se ne sarebbero andati! Perché lo hai fatto?».
Lena strinse i pugni. «Perché avevo paura»: urlò anche lei e gli occhi le si fecero piccoli, lucidi e severi, freddi. «Perché avevo paura, accidenti; secondo te l'ho fatto perché sarebbe stato divertente?! Non siamo tutti come te, Kara Danvers», la fronte si corrugò, «ti puntano una pistola contro e pensi a disarmarla, ne esci con appena un graffio, ma se io non avessi avuto quella pistola… non so cosa sarebbe successo».
Kara serrò le labbra con forza, accigliandosi. «Pensi che… io non abbia avuto paura quando Faora Hui ha tentato di uccidermi, alla stazione?», le chiese a bassa voce, «Pensi che… non abbia pensato di morire?».
Lena si lasciò scappare una lacrima e alzò gli occhi al cielo: grande e malinconico, stellato, l'aria fresca e un po' umida, come un anno prima. Si asciugò il viso, mordendosi un labbro.
«Alla Luthor Corp e-era una cosa diversa, hai usato la pistola per difenderti e difendere James, e Winn, ma adesso…».
«Adesso cosa?», domandò, ricominciando ad alzare la voce: «Ci sto provando, Kara! Tu stai bene, io no. Sei forte, io no. Sei sicura di te, io no. Non sai come mi senta. Perché non riesci a metterti nei miei panni?».
«E tu perché non pensi che avresti potuto ferire qualcuno? Non è un giocattolo».
«Oh, grandioso», spalancò le braccia e abbozzò un frustrato sorriso, tirando su con il naso. «Pensi che, secondo me, sia un giocattolo?», girò sui suoi passi, colma di nervoso.
«La pistola di tuo padre… Credevo l'avessi rimessa a posto…», bofonchiò, quasi per sé.
Lena riprese fiato, togliendosi i capelli dal viso. «Sono stata al poligono con Alex, so come si usa».
«Alex?», s'imbrunì.
«Non prendertela con lei, adesso», si rimise dritta con la schiena, guardandola negli occhi. «Mi ha aiutato dopo che ho preso il porto d'armi». Ricominciò a tremare e probabilmente, questa volta, dalla rabbia. Erano entrambe su di giri, non riuscivano a capirsi. Il cuore era agitato quasi quanto prima. «Loro non erano una minaccia? E se qualcuno di loro fosse stato armato? Erano in tre, Kara. In tre», insisté. «Tu forse pensavi non sarebbe stato nulla, vedere come la discussione sarebbe andata avanti, ma abbiamo un'organizzazione che non sappiamo come e se ci prenderà di mira, qualcuno ha assassinato mio padre, il mio assistente ha ancora un livido in faccia perché una donna armata lo ha colpito alla tempia. Faora Hui è morta, Kara», scosse la testa. «E l'unico modo che ho per difendermi e difendere te è quella pistola. Quella pistola, Kara», abbassò gli occhi lucidi per asciugarseli, mentre l'altra sospirava e alzava le braccia, non riuscendo a star ferma.
«I-Io questo l'ho capito, ma-».
«Non l'hai capito».
«Guardati», strinse i denti e Lena si guardò le mani: tremavano. «Vuoi difenderci in questo stato?».
Lena chiuse gli occhi e trattenne il fiato, aprendo e chiudendo i pugni più volte. «Prima non tremavo».
«Sì che tremavi», disse a bassa voce, «Ti ho vista».
Sì, tremava. «Non è questo il punto», mormorò.
«E allora dimmi tu qual è! Aiutami a capire, perché…», scrollò le spalle; stava per riaprire bocca che una famiglia con bambini a seguito entrò nel parcheggio: una bimba sul passeggino guardò entrambe a turno, incantata. I loro genitori si voltarono, ma proseguirono dritti: dovevano aver sentito le urla. Sarebbe stato meglio entrare in macchina e presero passo. Chiusero gli sportelli e si guardarono, scuotendo la testa.
«Non ti piacciono le pistole, adesso lo terrò a mente», disse Lena, infilando le chiavi nel quadro.
«No. È l'unica cosa, forse l'unica, che ci distingue da loro».
«Non è l'unica», controbatté a bassa voce, sistemando il sedile.
«Okay, non è l'unica», scrollò le spalle. «Ma non è questo… Questo… Sono loro che si armano-».
Lena la interruppe: «La vita non è un fumetto, Kara».
All'altra si arrossarono le gote, colta sul vivo. Strinse le labbra e la guardò solo un momento, notando che si stava mettendo alla guida. «Non parlavo dei fumetti! Ce ne stiamo andando? Non usciamo più?».
Lena allora si fermò, decisa a guardarla in faccia. «Vuoi passeggiare come se niente fosse successo? Andiamo, allora», si strinse nelle spalle e si slacciò la cintura.
«No, no, non così», la fermò esasperata e Lena serrò la bocca, mordendosi un labbro. «I-Io voglio davvero capire-», si bloccò e la vide appoggiarsi al sedile con un'espressione truce: era come una bomba pronta a esplodere e la cosa la innervosiva perché doveva essere lei quella arrabbiata e non il contrario. Era lei ad avere la pistola.
«Non c'è nulla da capire, Kara», la guardò di nuovo. «Porto con me la pistola di mio padre perché mi sento vulnerabile e quando quei ragazzi… Non avevo intenzione di sparare nessuno, volevo solo spaventarli e farli allontanare. E ha funzionato. Sei tu che ti butti a capofitto in una situazione pericolosa senza pensare alle conseguenze. Ti avevo chiesto di andarcene: è tutto lì».
«Non parlarmi come se fosse colpa mia», si agitò, contraendo le sopracciglia. «Non si usano le pistole per spaventare la gente! Loro non erano pericolosi, io avevo tutto sotto controllo», gonfiò il petto, «e tu non dovresti portare una pistola in borsetta».
«Tu avevi tutto sotto controllo», replicò fredda, «Tu».
«E se ti fosse caduta? E se avessi sparato, anche solo per errore?».
«Per errore», strizzò gli occhi, estraendo un fine e incerto sorriso, «Oh… Certo».
«È un attimo, Lena. Si sentono tante di quelle cose… Non è per non fidarmi di te. Vedo che faccia stai facendo», borbottò e l'altra si portò una mano sulla fronte, trattenendo il fiato. «Dovrebbero esserci più controlli sulle armi e sulla loro vendita, questo a-a prescindere», gesticolò.
«Sai una cosa? Lasciamo perdere. Sono stanca, ti prego».
«Uccidono più le armi in mano alla gente comune che quelle ai terroristi».
«Andiamo a casa».
Si guardarono e Kara si zittì, stringendo le labbra. Si sentiva un fuoco, non avrebbe voluto far finire lì quella discussione. Come poteva Lena non capire la gravità della cosa? La difesa personale andava al di là di una cosa come quella. I suoi genitori erano morti per colpa della gente armata. Erano i cattivi a portare le armi, non il contrario; ed era un concetto universale, non circoscritto ai fumetti.
Lena si rimise alla guida in silenzio, quando si sentì pronta. Lei e Kara restarono zitte, ascoltando i propri pensieri e le canzoni proposte dalla radio locale. Quando cominciarono ad allontanarsi dal centro, Lena si azzardò a guardare Kara con la coda dell'occhio che non staccava lo sguardo dal finestrino; i capelli mossi dal vento: era seria, imbronciata. Non era così che si immaginava la serata, tanto valeva restare a studiare. Doveva aver appena sbattuto il muso contro un suo limite: capiva perché non le piacessero le armi, era lampante, ma le dava fastidio come Kara non riuscisse a separarsi da quel pensiero binario che divideva criminali da persone perbene. Forse quei ragazzi non erano o non erano ancora una minaccia, ma si era spaventata e… Forse avrebbe dovuto pensarci più lucidamente, questo glielo concedeva. Tremava davvero, dopotutto.
Lasciarono il centro e la vibrazione del cellulare di Lena fece saltare dallo spavento entrambe, poi la ragazza chiese all'altra di leggere per lei, non avendolo collegato al computer di bordo. Ah, era solo Indigo che chiedeva se sarebbero tornate per cena, che aveva fame. Ci mancherebbe, pensò Kara. Lena le chiese di rispondere, ma lei s'incantò a veder dondolare la palletta pelosa e fucsia che teneva ancora agganciata: gliel'aveva regalata lei. Il suo primo regalo a Lena. La toccò scompigliandole il pelo, poi sospirò, digitando il messaggio di risposta. «Sarebbe capace di mangiarsi un pacco di pop-corn per cena, se non dovessimo tornare», brontolò Kara. Osservò Lena con la coda dell'occhio e, nel vederla sorridere, allora anche le sue labbra si piegarono un poco.
«Sì, è vero».
Abbozzarono una risata, a bassa voce, tornando serie e zitte.
Era difficile credere che avesse covato quel terrore dentro di lei tanto a lungo. Da dove era uscito? Tremava davvero. Neanche se ne rendeva conto. Alex e Maggie le avevano insegnato a impugnarla e a sparare, ma non sembrava sufficiente. Aveva ottenuto il porto d'armi, ma non era sufficiente. Tremare in quel modo, tenendo in mano una pistola, poteva rivelarsi più pericoloso che non averla. La paura di loro era pari solo alla paura di sparare. E quei tre… Lena sospirò: erano solo ragazzi. Kara aveva ragione su quello e sbuffò. Le mancava qualcosa che non avrebbe potuto sistemare con un certificato o un bersaglio al poligono.
Kara osservò il cielo fuori dal finestrino un poco aperto e dopo ancora Lena, concentrata alla guida. Stavano per tornare a casa e avevano chiuso in quel modo la discussione. La scena di lei che le chiedeva di andare via non la lasciava in pace. In quel momento, non aveva per niente fatto caso a come si fosse stretta per allontanarsi insieme. Alla sua fretta. Alla sua paura. Non aveva per niente pensato a come si sentisse, voleva solo, cosa, giocare con quei tre? Volevano provarci e lei non vedeva l'ora di rimetterli al loro posto? Strinse le labbra e abbassò lo sguardo, amareggiata. Voleva che attaccassero briga di proposito? Non erano una minaccia, ma forse se ne sarebbero andati e basta, se lei non avesse insistito a rivolgere loro la parola. Perché lo aveva fatto?
Lasciarono l'auto in garage e cenarono prima che Indigo razziasse cibo spazzatura in cucina. Si guardarono insieme qualche episodio su Netflix come al solito, vicine più fisicamente che con la testa, e dopo Kara decise di andarsene a letto. Non ne avevano più parlato ma sapeva che lo avrebbero dovuto fare o sarebbe rimasto qualcosa di irrisolto e non le piaceva litigare, quindi l'avrebbe aspettata sveglia, in camera sua dove dormivano ogni notte, pronta per far pace. Ma forse Lena doveva ancora prendere del tempo per sé, poiché non arrivò. Kara si affacciò alla finestra e la vide fuori, seduta su uno sdraio sull'erba, accanto a Indigo. Non poteva crederci che si stesse sfogando con lei. Brontolò e tornò a sistemarsi sotto il lenzuolo. Lena sarebbe arrivata presto. O così sperava. Forse si addormentò a un certo punto, per poco. Apriva di scatto gli occhi e Lena ancora non c'era. «Okay», si alzò, infilando un pantaloncino corto, una canotta e le ciabatte. Le aveva lasciato il tempo per pensarci, ma non era tornata e doveva essere arrivato quel delicato momento di preoccuparsi un po'. Aprì appena la porta della camera affidata a Indigo e la scorse con il portatile acceso, sdraiata a letto: doveva vedere un film. Quanto tempo era passato? E allora dov'era Lena, da sola? Sperava non pensasse che fosse ancora arrabbiata. E un po' lo era, in effetti. Non che non si fidasse di Lena, non sapeva come dirglielo, ma non si fidava delle armi da fuoco e questo… questo sperava lo capisse. Guardò fuori dal soggiorno e aprì una portafinestra: Lena era ancora lì, da non crederci. Che si fosse addormentata sullo sdraio? Stava per fare un passo per uscire ma si trattenne vedendola muoversi, così socchiuse davanti a lei, ferma. Non le piaceva indubbiamente litigare con Lena, ma immaginava di doversi abituare al fatto di non andare sempre d'accordo su tutto. Se voleva passare la sua vita con lei, di tempo per litigare ne avrebbero avuto molto altro. E come avrebbero sistemato le cose? Le sfuriate, l'alzare la voce, anche l'incolparsi a vicenda: erano cose che doveva mettere in conto. Sarebbe successo e sarebbe successo anche di dirsi cose spiacevoli solo per ferirsi in un momento di rabbia. Di rinfacciare qualcosa. Avevano già litigato prima di oggi, d'altronde. Tornò indietro e salì gli scalini due a due. Sarebbe successo spesso di litigare: doveva accettarlo. Afferrò un plaid dall'armadio. Ma amare qualcuno non aveva mai significato anche andare sempre d'accordo. «Posso?», le chiese, una volta arrivata alle sue spalle. Lena le sorrise e Kara le sistemò addosso il plaid, mettendosi poi accanto a lei, sull'altro sdraio. Prese il lembo dalla sua parte quando Lena glielo passò, sistemandoselo sulle gambe. Era abbastanza grande per tutte e due. Dopo guardò il cielo: ah, si sentiva così piccola e smarrita ogni volta che ci si specchiava dentro. Un po' di nuovo bambina. Spalancò le narici: amava l'odore di umido che portava con sé la notte d'estate.
«Avrei… Avrei dovuto dirti della pistola», sussurrò l'altra, perdendosi nei suoi occhi. Erano in penombra, ma quell'azzurro pareva brillare.
«E io avrei dovuto darti ascolto», confessò. «Avevi paura e non l'ho capito. Mi-Mi sono fermata lo stesso», morse il labbro inferiore. «Pensavo solo a me e non avevo capito… Ti ho mancato di rispetto, ti chiedo scusa».
«Avrei potuto uccidere qualcuno, Kara», proseguì amaramente. «È vero che tremavo. Non posso portare la pistola di mio padre con me se non sono capace di riconoscere un pericolo serio da un gruppetto di gradassi», scosse la testa, gli occhi vacui. «Se non sono capace di… usarla». Avrebbe potuto, la paura, impedirle di pensare e agire lucidamente? Poteva conoscere il più piccolo aspetto di una pistola e il suo funzionamento, ma quando entrava in una situazione di stress allora ogni concetto sfumava per far posto alle emozioni. Ed era sempre stata brava ad immagazzinare emozioni, o così credeva. Aveva messo in discussione molte altre cose da un anno a quella parte, da quando conosceva Kara.
«Cos'è successo?», le domandò lei, sospirando. Le prese una mano fresca, cominciando a scaldargliela con le sue. «Perché non mi hai parlato di come ti senti- ahi», si picchiò un braccio, ma la zanzara fece in tempo a scappare e si lagnò, iniziando a grattarsi. «Di come ti sentissi dopo l'attacco alla Luthor Corp?».
«Non lo so… Non so come mi sentissi; probabilmente, pensavo di essere… normale. Prima di questa sera, lo pensavo davvero», poggiò un gomito sulle gambe, riprendendo la mano mentre lei si grattava furiosamente, in questo modo resse la testa. «Le zanzare non ti lasciano in pace, eh?», le chiese subito dopo: aveva preso a grattarsi anche in fronte.
«Che siano maledette», replicò. «Beh, i segnali c'erano ma non li ho colti: volevi che ti insegnassi l'autodifesa, Lena», le vece notare intanto che, svelta, schiacciò una zanzara sul dorso di una mano. «Andremo in palestra più di prima. Ti senti vulnerabile e non voglio», la guardò negli occhi. «Vorrei che ti sentissi più sicura. Perché ha-hai ragione! Winn è stato colpito, tutti siamo stati colpiti dalla furia di Rhea e se penso a Siobhan… A Faora… E non sappiamo cosa verrà dopo! Chi ha ucciso tuo padre: non conosciamo la sua identità e non sappiamo cos'accadrà», si accigliò, gesticolando. «Non conosciamo i piani di Zod. E non sappiamo se il tizio che ha fatto uscire Indigo di prigione sia una minaccia oppure no… Hai ragione! Hai ragione su tutto! Dunque se-se vorrai portare con te la pistola…», prese fiato e deglutì. Lena doveva aver notato la sua riluttanza.
«Non ti senti tranquilla sapendo che è qui, vero?».
«No», forzò un sorriso, «Per niente. E c'è anche Indigo, insomma».
Lena rise pacata. «Accidenti, ce l'hai proprio con lei! Adesso pensi che prenderà la mia pistola per spararci?».
Lei alzò gli occhi, gonfiando le guance. «Sparare noi non so, ma qualcuno».
«Qualcuno a caso?».
«No, però… Non mi fi-».
«Non ti fidi».
Si scambiarono uno sguardo e Kara si appoggiò stremata allo sdraio. «So che non posso farci niente», ansimò, «anche se lo vorrei, lo vorrei davvero tanto, ma almeno eviterai di tremare se la porterai con te. Con dell'allenamento, la pistola intendo, no-non parlo di Indigo. Per essere più sicura di te e del tuo corpo. Basta… Basta che mi dirai di averla. Devo sapere quando l'avrai, ti prego. Chiedo solo questo».
Lena si avvicinò, poggiando la testa sulla spalla sinistra di Kara. Prese un grosso respiro. «La lascerò in una cassaforte, Kara», bisbigliò. Lei non rispose, ma la sentì tirare un sospiro di sollievo. «Fino a quando non sarò più sicura, almeno».
«V-Va bene». Non poté fare a meno di sorridere, più serena.
Si lasciò accogliere dalle braccia di Kara e chiuse gli occhi. La sua pelle era così calda in confronto alla propria fredda, rimasta fuori a lungo. E profumata. Spalancò le narici per catturarne appieno l'odore, mischiato con quello fresco dell'erba. Si sentì baciare sulla tempia e sorrise. Si sarebbe potuta addormentare così: i grilli che cantavano, il plaid sulle gambe, le braccia di Kara che la proteggevano, il suo cuore che le infondeva sicurezza battendo contro il proprio corpo. Risuonava in lei. Forse si stava addormentando davvero. Riaprì gli occhi all'improvviso e abbozzò una risata: «Le sento ronzare».
«Mi stanno mangiando le caviglie», si lamentò, stringendo i denti. «Ma non voglio muovermi».
«A me non pungono».
«Hai il sangue velenoso, ecco perché».
Lena si accigliò. «Non ho il sangue velenoso».
«Invece sì. Ahi».

UN ANNO FA

La palla era caduta sull'erba e le giocatrici, racchetta in mano, avevano corso da più direzioni per acchiapparla. Una ragazza dalla maglia rossa e blu era riuscita a prenderla per prima, lanciandola verso un'altra giocatrice della sua squadra, la numero dieci. Quest'ultima aveva raccolto la palla al volo e cominciato a correre, seguita dalle compagne e attesa da quelle avversarie che stavano iniziando a sistemarsi per farle da muro. La numero dieci aveva passato velocemente la palla a una compagna libera e sorpassato una in difesa, così la palla era tornata in suo possesso. Era vicina alla porta e mancava poco allo scadere del tempo. Davvero, davvero poco. Cinque. Aveva saltato, evitando lo sgambetto di un'avversaria. Quattro. Un capello era uscito dal casco e se lo stava mangiando, infilato tra i denti. Tre. Aveva passato la palla intanto che si abbassava, evitando di sbattere contro la stecca di un'altra giocatrice messa per bloccarla. Due. La compagna le aveva rilanciato la palla a un passo dalla porta, bloccata dalla difesa. Uno. Aveva saltato, teso il braccio e la stecca, il busto si era piegato sinuoso, e così la numero dieci aveva lanciato: la palla aveva solcato l'aria con estrema velocità, tanto che il portiere l'aveva notata solo una volta che aveva ormai toccato la rete, cadendo ai suoi piedi. Il tempo era scaduto, avevano vinto.
Tutte avevano iniziato ad esultare, le stelle filanti cadevano sui loro volti eccitati ed erano andate a stringere le mani delle avversarie che si erano congratulate. Loro faticavano a contenere la delusione di aver perso la finale a pochi secondi dal fischio. Intanto si erano slacciate i caschi, gettandoli sull'erba del campo e facendo strada al loro coach e all'arbitro. La numero dieci aveva stretto la mano a una ragazza dell'altra squadra e dopo si era tirata i lunghi capelli biondi alle spalle, mettendo le mani sui fianchi per osservare la platea: eccola, l'aveva vista e si era alzata in punta di piedi, salutando sua sorella.
Il pubblico si stava disperdendo e Kara era rimasta ferma ad aspettarla, non immaginando che qualcun altro era pronto a darle le sue congratulazioni per aver fatto vincere la squadra: Mike Gand l'aveva avvolta in un caloroso abbraccio e dopo aveva premuto le labbra sulle sue, lasciandola disorientata. «È stata una partita entusiasmante, bisogna ammetterlo».
«Già…», lei si era tirata indietro. Aveva cercato di mettere in pausa la loro relazione la sera prima, ma il ragazzo sembrava aver già dimenticato tutto.
«Che ne dici, ne parliamo a pranzo? Avrei giusto qualche trucchetto nuovo che potrei consigliarti per domani».
«Domani? Questa non era la finale?».
Kara aveva tirato un sospiro di sollievo nel sentire la voce di Alex alle sue spalle. «Hai visto agli ultimi secondi?», le era andata incontro quasi saltellando, stringendo i pugni, così si erano abbracciate.
«Sei stata in gamba, sorellina», aveva annuito. «E come sei passata sotto quella stecca… Si vede che sei mia sorella», aveva riso.
«Lì me la sono vista davvero brutta», aveva ingigantito gli occhi. «Temevo di perdere l'equilibrio, ma la velocità è stata dalla mia, meno male, per fortuna», aveva riso anche lei, parlando velocemente. «O avrei passato quegli ultimi secondi a rialzarmi, probabilmente. Molto probabilmente». Era così euforica.
«Allora? Per il pranzo?».
Ah, si era dimenticata di Mike, accidenti. Cominciava a prendere in considerazione l'idea di separarsi anche solo per come, a volte, lo ignorava senza farlo di proposito. «Ricordi che ieri abbiamo parlato di una pausa…? È che-».
«Ma ». Lui l'aveva interrotta con uno sbuffo. «Tu hai parlato di una pausa, io non vedo perché farla considerando che stiamo comunque insieme. Sai che ti dico? Fai come vuoi», aveva alzato le braccia, emettendo un sospiro. «Pensavo avremo potuto festeggiare; ti avrei dato qualche consiglio perché, ho pensato, che la prima squadra siamo sempre io e te, ma… vabbeh, come ti pare».
Si era allontanato e Kara aveva provato a richiamarlo, ma lui l'aveva ignorata. E di proposito. «Credi che dovrei seguirlo?», aveva chiesto ad Alex, sistemata a fianco a lei.
«No. È arrabbiato, gli passerà da solo», si era accigliata e, con una smorfia, aveva brevemente scosso la testa. «Allora? Di che partita parlava?».
Kara stava per aprire bocca che alcune compagne di squadra si erano messe a saltellare dietro di lei, scompigliandole i capelli intonando un Supergirl in coro, così aveva aspettato che se ne andassero per parlare, sorridendo e tentando di riparare al danno con le mani sui capelli. «Questa era la finale, ma domani abbiamo un'amichevole per la raccolta fondi per comprare il materiale del prossimo anno».
«Neanche un giorno di tregua?».
«Chiedilo al coach Jonzz», aveva scrollato le spalle.
Non aveva notato come Alex avesse lanciato uno sguardo serioso all'uomo, intento a festeggiare.
«Verrai a vederci, vero?».
«Ah?», si era destata dall'incanto, «Mi spiace, sorellina, ma domani sarò impegnata con l'università, non potrò esserci. Non pensavo giocassi e ho preso impegni».
«Ma…», l'aveva guardata con dispiacere, «non manchi mai a una mia partita».
«Beh, quelle del campionato le ho viste tutte, no? Domani sarà un'amichevole», non si era arresa di fronte alla sua smorfia amareggiata. «No? Vero, sorellina? Vero?» l'aveva riabbracciata e l'altra aveva dovuto cedere per forza, lasciandosi sfuggire un sorriso.
«Almeno non mi abbandonerai dopodomani», aveva parlato piano ed entrambe avevano stretto i denti, scambiandosi uno sguardo. «Si torna a casa».
«E non sarà mai più come prima», aveva aggiunto Alex. «Ti chiamerò quando sarà arrivato il momento. Potremo farci forza a vicenda».
«Comincia una nuova avventura per le sorelle Danvers». Avevano riso, per poi sospirare.

PRESENTE

Kara Danvers si alzò di buona mattina e con un umore splendido: la dolcezza si era impossessata del suo corpo e, dopo aver fatto colazione, si era messa in cucina per sfornare biscotti. Non che volesse disturbare Eliza durante i suoi ultimi giorni di viaggio di nozze con Lillian, ma le aveva inviato giusto un messaggio per chiederle una delle sue ricette e si era messa d'impegno, ignorando i messaggi successivi della sua madre adottiva che le chiedeva passo dopo passo come stessero venendo. Biscotti farciti di crema pasticcera al limone: Eliza li aveva definiti semplici, ma Kara aveva rifatto la crema già tre volte.
Ieri notte, lei e Lena avevano fatto pace e avevano dormito vicine; e se pensava che aveva messo la pistola di suo padre in una cassaforte lì in villa, allora non poteva chiedere di meglio. Considerando che Indigo non le aveva viste farlo, era tanto di guadagnato. Non si poteva mai sapere. L'indomani era l'anniversario e non stava nella pelle. Il loro anniversario: a un certo punto sorrise. Faceva un po' strano; ne era passata parecchia di acqua sotto i ponti da quel giorno sul treno e dai loro sguardi irritati. Eppure aveva rinunciato al volerla far pagare a Lena: se pensava al loro inizio, quelle parole sembravano assumere un altro significato. Arrossì. Aveva rinunciato, ma qualcosa doveva pur venirle in mente e si trovava ancora in alto mare: sperava che quei biscotti l'aiutassero a darle un po' di ispirazione.
«Assaggi?», la imboccò con il cucchiaino pieno di crema e anche Lena arrossì, tenue, annuendo.
«Mmh… Buona. Migliore di prima», esclamò, continuando ad annuire e puntando gli occhi al soffitto, gustando appieno del retrogusto rimasto sul palato. «Mi piace, non è affatto male».
«Davvero?», chiese a bassa voce vicino a lei, ancora il recipiente tra le mani. «Perché volevo portarne a Winn per tirargli su il morale e alla CatCo: un bel ricordo ai… quasi colleghi prima delle vacanze», disse d'un fiato scuotendo la testa intanto che Lena ancora annuiva, avvicinandosi un po' di più.
«Andrai bene, Kara».
«E non potrei sopportare di fare brutta figura con loro».
«È perfetta».
Kara sollevò gli angoli della bocca e la guardò negli occhi. «In questo caso, ti sei guadagnata un altro cucchiaino», glielo porse e Lena spalancò la bocca, in attesa. Kara fissò le sue labbra schiudersi, intanto che chiudeva gli occhi, il respiro lento. «Sai… sto pensando di metterne un po' da parte», sussurrò ipnotizzata e la vide farle un sorriso.
«Oh, potresti».
Kara la imboccò e rimise il cucchiaino nella ciotola della crema. La fissò fino a quando non furono entrambe interrotte da un fastidioso sgranocchiamento. Si voltarono all'unisono, scoprendo Indigo davanti al bancone con una tazza di latte e cereali davanti al naso.
La ragazza scrollò le spalle: «Sono sempre stata qui. Ma prego», riempì il cucchiaino di cereali al cioccolato, «non fate caso a me proprio adesso. Non vorrei rubarvi la scena».
Kara si accigliò, puntandole contro il cucchiaino. «A te niente crema».
«Non la voglio! Non disturbarti», sorrise, «Dopo ciò a cui ho assistito, sono certa di non volerne».
Lena la fermò dal colpirla in testa col cucchiaino.
Indigo era irritante, impicciona, molesta, strafottente, maleducata; non capiva davvero come riuscisse Lena ad andarci d'accordo. Non solo la notte prima: le capitava di sentirle parlare, con la televisione spenta e bassa voce, come se fossero amiche da tempo. Non era gelosa, ma Indigo, al contrario, si comportava sempre come una bambina dispettosa con lei. E poi le veniva naturale trattarla male di rimando e ripensare a come non potessero fidarsi di lei. Lena lo faceva, Kara non poteva. Se non altro, proprio per proteggere Lena da quella relazione che, era evidente, in qualche modo le stava a cuore. Forse, portando i biscotti a Winn, avrebbe anche potuto trovare il modo di dirgli di lasciar perdere perché lui era un ragazzo d'oro e meritava di meglio. Meritava senz'altro di meglio.
Rifece la crema al limone e infornò i biscotti. Alcuni erano venuti un poco bruciacchiati sui bordi e inviò la foto a Eliza per farla smettere di bombardarle la chat, non potendo immaginare che l'avrebbe scatenata a scriverle di consigli sempre nuovi con una parola ad invio. Tolse la vibrazione, entrando in auto con i recipienti.
Un recipiente per il campus: divise i biscotti con le compagne di squadra e il nuovo coach che sostituiva John Jonzz. E si pentì subito di averglieli offerti: Stephen Millard, grassoccio, capelli bianchi e con la pelle più arancione di una carota, con la sua solita sprizzante simpatia e quasi ci prendesse gusto, si mise a riderle in faccia, sputacchiando briciole.
«Questo non cambia niente, però. Se non ti comporterai da capitano esemplare alla partita, oggi, farai la finale in panchina come riserva».
Aveva visto il video in cui aveva giocato da sola quando era sotto effetto delle pillole e si scoprì che non era un suo fan. Insisteva nel dirle, non proprio sottilmente, come notasse quanto le piacesse stare sotto i riflettori, dal matrimonio di sua madre, a come stesse usando la strage della sua famiglia per fare carriera alla CatCo e, da ultimo, il rilascio da Fort Rozz di sua zia che sembrava alle porte. Le ripeteva come non vedesse l'ora di leggere la sua sulla rivista.
Per fortuna, Megan e le altre erano abbastanza emozionate di essere passate in semifinale anche quest'anno e avevano gradito i biscotti portafortuna, distraendola dalle sue insinuazioni.
«Psst», Megan le sussurrò all'orecchio, «Hai poi trovato qualcosa per fargliela pagare?».
Kara arrossì e le ficcò un biscotto in bocca.
Un recipiente per la CatCo: un biscotto per ogni scrivania, tranne che per Cat Grant a cui ne conservò tre a parte in piccolo pacchetto con nastrino, lasciandoglielo sulla scrivania per quando sarebbe tornata tra poche ore dal suo ultimo viaggio di lavoro. Sperava non lo prendesse, almeno lei, come un tentativo di favoritismo. Sorpassò la scrivania che al momento occupava da sola poiché Siobhan non c'era e si indirizzò a quella di Leslie, ma era vuota. Al solito, la immaginava davanti alla macchinetta del caffè. Così prese l'ascensore; non si aspettava di trovare Lena davanti alle porte che si aprivano. «Ehi», le sorrise e si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse qualche curioso. «Cosa fai qui?».
Lei sospirò: «Non rispondi al telefono». La vide mordersi un labbro, prendendole una mano per istinto. «Ti volevo impedire di venire alla Luthor Corp sputando fuoco: Indigo ha accettato di uscire con Winn. In innocua amicizia. Non fare domande».
Aveva accettato? Questo era… beh, non se lo aspettava. La guardò con sospetto e Lena alzò le sopracciglia per tutta risposta. «Va bene. Farò comunque il discorsetto a tutti e due, anche se in amicizia, ma…», aprì il recipiente che si era portata dietro per Leslie Willis e gliene porse uno, «Ti meriti qualcosa di dolce». Lena arcuò un sopracciglio e si morse un labbro mentre Kara avvampava, indicandoglielo: «Il biscotto. A-Anzi», riaprì velocemente il recipiente con il rischio che le sfuggisse il tappo dalle mani, «adesso non te lo do più».
Lena le fermò la mano e, portandosela alle labbra, morse il biscotto; le incatenò gli occhi ai suoi, mandando giù pian piano intanto che la stringeva e, con le labbra calde e umide, inspirando, le sfiorava le dita. La vide deglutire e la lasciò andare di corsa solo quando udirono un verso indisposto a labbra strette: Leslie Willis girava il suo caffè, non mancando di sorridere maliziosa.
«Che dolci siete: e così avete ripreso a scopare!».
Le due si sorrisero e Kara si voltò per indicarla, contraendo le labbra e tuonando secca: «A te niente biscotti».
Era la solita, niente di cui stupirsi: Leslie Willis aveva un concetto tutto suo dell'amore. Sarcastica, sosteneva di essere una romantica in fondo, ma esattamente non si capiva quanto in fondo bisognasse scavare per trovare questo lato. Le prese in giro fino a quando Lena non le lasciò e continuò a prendere in giro Kara inviandole bacini divertiti ogni qual volta che poteva, prima che ricominciasse a lagnarsi dei compiti assegnati da Cat Grant, proseguendo come non vedesse l'ora di andare in vacanza. Lo gridò talmente forte che fu la prima cosa che sentì la donna quando tornò alla CatCo, aprendosi le porte dell'ascensore.
«Se ci tieni tanto, posso anticipare la tua vacanza: basta chiedere e la carrozza tornerà zucca con un solo colpo di bacchetta».
Andò nel suo ufficio e Leslie fece una smorfia con tanto di linguaccia. «Vecchia strega… Lo lascio questo lavoro: voglio proprio vederla mettersi d'impegno per trovare una Cenerentola migliore di me», gridò.
Kara decise che lasciarle un biscotto sarebbe stato un dovere: forse sarebbe riuscita ad addolcirla un po'.
Infine, un recipiente per la Luthor Corp: un biscotto per la guardia all'ingresso e per ogni dipendente che lavorava ancora e incrociava sul suo cammino. A un uomo in particolare ne lasciò due, poiché lo vide proprio di cattivo umore e stressato e gli fece un po' pena. Infine salì con l'ascensore al piano dell'ufficio di Lena. La porta era chiusa, Indigo alla scrivania non c'era e Winn nemmeno si era accorto della sua presenza, sorridendo allo schermo del computer con una faccia imbambolata.
«Posso lasciarti un biscotto?». Lui rimase immobile e Kara aggrottò la fronte, ripetendosi fino a che il ragazzo non le rispose che poteva. Kara gli lasciò il biscotto accanto al gomito che aveva appoggiato vicino alla tastiera e la sentì ringraziarla, ma non era certa che si fosse davvero accorto della sua presenza. «Figurati. Almeno apri gli occhi prima di mandarlo giù». Winn annuì e Kara lo vide tastare la scrivania in cerca del biscotto, così lo aiutò, avvicinandoglielo.
«Grazie, Kara. Ka-? Ehi, Ka-Kara», si destò, sorridendo entusiasta. L'abbracciò di colpo e si portò il biscotto in bocca, prendendo un grosso morso. «Non bi abebo sebntito», si tappò la bocca che sputacchiava briciole. «Sai la novità?».
«Hai ripreso a giocare a Fortnite?». Oh, certo che la sapeva.
«Esco con Indigo! Domani. Ha accettato», si portò il resto del biscotto in bocca e tossì, battendosi il petto: per poco non soffocava. «Ce-Certo solo come amici, ma… Avrò una possibilità per farla innamorare di me. Ed è solo merito tuo».
«Nah, qui c'è lo zampino di Lena…». Non poté fare a meno di sorridere anche lei, contagiata dalla sua felicità. Indigo non le piaceva, ma Winn era così euforico che non poteva rubargli quel momento, specie se poi aveva deciso di aiutarlo in quello proprio il giorno prima; sarebbe apparso se non altro un po' incoerente. «Sono felice per te», lo abbracciò di nuovo e gli porse un altro biscotto a patto che lo mangiasse piano. Dopo ne passò uno a Indigo che stava rientrando dall'ascensore con scartoffie in mano, Lena con lei. La prima la guardò per un attimo come se fosse un'aliena, dopodiché accettò e mangiò il biscotto.

UN ANNO FA

Aveva seguito il telegiornale con interesse, girando il caffè nella tazzina, seduta davanti alla televisione. Quasi non si perdeva un'edizione in quel periodo, sperando, chissà, di sentire aggiornamenti sulla morte di suo padre. Il suo decesso era stato classificato come incidente e ormai era passato un anno e non ne parlava più nessuno; le faceva rabbia. Sua madre l'aveva tagliata fuori da ogni esito, da ogni cosa che lo riguardasse, come non la volesse in mezzo. Le aveva chiesto se potesse visionare il referto dell'autopsia ma aveva ricevuto in cambio da parte sua solo un secco no. Se la sua morte era davvero stata un'incidente, cosa aveva da preoccuparsene tanto? Dubitava fosse per proteggerla; non l'aveva mai fatto e non avrebbe iniziato di sicuro in quel momento. Nulla, non ne parlavano. Un altro buco nell'acqua e Lena si era tenuta la testa, rifiutando il resto del caffè. Una lacrima sfuggita le aveva solcato il volto perlaceo e, quando aveva iniziato a sfogliare il cellulare e visto le foto che pubblicava Lillian di lei ed Eliza, allora aveva stretto i denti. Lei si stava rifacendo una vita e sorrideva, perfino. Sorrideva come non l'aveva mai vista fare da che aveva memoria. Lei sorrideva, nascondeva i dettagli intorno alla morte di suo padre e lui era rimasto nel passato, dimenticato. Era stato dimenticato dalla donna che aveva sposato e con cui aveva avuto un figlio. Sì, lui l'aveva tradita o lei non sarebbe nata, ma aveva scelto Lillian a sua madre. E Lillian aveva scelto altro. Non sapeva davvero come comportarsi né cosa pensare; non poteva contare sulle opinioni di Lex: i loro rapporti si erano un po' freddati da quando si era trasferito definitivamente a Metropolis. Aveva riguardato qualche foto, sfogliando Instagram. Non che non volesse che Lillian potesse rifarsi una vita, ma era il suo comportamento a darle il voltastomaco e a farle rifiutare quella nuova famiglia che voleva costruire. Dopotutto, Eliza sembrava darle la felicità che non era riuscito a darle Lionel. E sembrava davvero che quella donna stesse con lei non per soldi ma perché l'amava davvero, per quanto quel pensiero le era sembrato surreale agli inizi, come se davvero Lillian potesse riuscire a farsi amare da qualcuno. Non per niente, aveva iniziato a raccogliere materiale sulle Danvers proprio per quel motivo. Aveva lasciato la tazzina mezza piena e detto ad alta voce alla tv di spegnersi, ritrovando il silenzio pesante della villa. Era sola, non si sentiva volare una mosca e i raggi del sole allungavano le ombre sul pavimento. Stava per alzarsi che un messaggio l'aveva fermata:
Da Madre a Me
Mi è arrivata voce che i dipendenti terranno una festicciola presso un locale a poco dalla Luthor Corp, questa sera. Potresti partecipare? Non hanno chiesto di me ma sicuramente vorranno te, Lena. Sei benvoluta, d'altronde.
Lena aveva fatto una smorfia, ma il sorriso si era spento a breve. Oh, di certo non avrebbe fatto la spia per lei a una festa dei dipendenti. Aveva spento il monitor, pensando di rispondere più tardi per rifiutare. Si era incamminata verso il salotto, soffiato sul tavolo dove aveva adagiato un mazzetto di menta su un vasetto di vetro quella mattina e ne aveva inspirato il profumo, così aveva avanzato per le scale ignorando le foto che si trovavano sulla parete, dritta per la sua stanza. Aveva chiuso la porta anche se era sola, per abitudine. Aveva camminato scalza fino al letto e si era sdraiata, chiudendo gli occhi. Aveva sentito abbaiare dei cani, lontano, attraverso la finestra aperta. Si erano sentiti gli uccellini. A breve sarebbe andata a richiudere i cavalli per la notte. Non voleva andare in quella casa con delle estranee dall'indomani, non voleva andarci proprio e continuava a ripensarci. Aveva le sue abitudini, il suo silenzio. Non si sarebbe sentita a suo agio. Non voleva conoscere quelle persone in quel modo o, forse, non voleva conoscerle affatto. Non le interessavano e se aveva cercato informazioni su di loro era davvero solo per assicurarsi che qualcuno non stesse truffando Lillian, anche se non era la prima sprovveduta del caso. Eliza sembrava una brava persona, forse fin troppo per i Luthor. Sicuramente fin troppo per i Luthor, che infettavano ogni cosa che toccavano. Forse doveva andare e cercare di rovinare tutto prima che si sposassero: le era passato per la mente, almeno un attimo. Sarebbe stata la cosa migliore per Eliza Danvers, anche se non se ne sarebbe accorta. Non subito. Ma non poteva farlo: se si amavano davvero, almeno loro, perché non lasciarle fare? Anche se significava unire due famiglie tanto diverse per farle diventare una sola. Anche se significava avere due sorellastre con cui non aveva nulla da spartire. Anche se significava sopportare quella situazione stramba. Se si amavano, almeno loro. Se si amavano, era meglio lasciare le cose al corso naturale degli eventi perché, se lei era infelice, non poteva egoisticamente pretenderlo anche per gli altri.

PRESENTE

La gente cominciava ad arrivare riempendo gli spalti e l'agitazione del coach Millard stava diventando ingestibile per chiunque gli stesse vicino. Erano in molte a chiedersi come si sarebbe comportato se fossero passate in finale, se quella era la sua reazione solo adesso: non stava fermo un secondo e continuava ad andare avanti e indietro mille volte in quello spogliatoio, toccando le spalle delle giocatrici e contandole, parlottando per sé, quasi avesse paura di perderne qualcuna. Dava loro consigli all'ultimo guardando tutto fuorché loro negli occhi e si distraeva con niente interrompendo discorsi a metà per scappare da qualche altra parte. Guardò a destra, sinistra, in alto e anche in basso, poi strinse gli occhi bruni e una vena spuntò rabbiosa sulla tempia destra: «Dov'è finita Danvers?».
Lena sorrise, lasciando delicatamente le sue labbra calde. «Sei sicura di non fare tardi?», chiese in un bisbiglio e la guardò negli occhi, passando la gamba destra dietro le sue.
Kara guardò velocemente l'orologio sul polso di Lena, per poi baciarle la mano e farla ridere. «No, ho ancora qualche minuto». Si abbassò per cogliere di nuovo le sue labbra che bussarono alla porta e si fermò. «… O secondo».
Quando Lena aprì, l'espressione di Megan non lasciava a interpretazioni: avevano bisogno di lei.
«Millard è furioso. Dov'è?». Ora era certa di aver fatto più che bene a bussare invece di aprire con la chiave: Lena indossava la maglia col numero dieci di Kara e aveva le gambe nude; sperava indossasse almeno una gonna o dei pantaloncini, là sotto. Proprio la testa di Kara sbucò dalla porta, regalandole un sorriso. Al suo arrivo, allora sorrise con forza anche Megan, aspettando lì davanti come una sentinella.
Kara uscì con fretta e furia dalla camera al campus e per poco non sbandò contro il muro. Lena la chiamò e anche Megan le fece cenno di fermarsi: si rese conto così che non aveva ripreso la maglia della squadra, tornando indietro. La sfilò a Lena e si scambiarono un bacio dietro la porta solo socchiusa, lasciandola.
«Buona fortuna», le gridò Lena e richiuse la porta dietro di lei: doveva recuperare le sue cose e correre agli spalti dove Indigo e Alex le avevano tenuto il posto. Prese la borsa e la aprì con istinto, sapendo che non avrebbe ritrovato là dentro la sua pistola. Era sicura di aver fatto la scelta più giusta a metterla via e le cose tra lei e Kara erano tornate stabili, ma non poteva negare di sentire ancora lo spettro della paura all'altezza della bocca dello stomaco. Fino a quando non avrebbe ritrovato più sicurezza, pensò. Fino a quando non avrebbe impugnato quella pistola con cognizione di causa e non per l'ultima delle paure, pensò ancora. Poteva farcela. Suo padre teneva quella pistola chiusa in un cassetto del suo ufficio per emergenza e non per spaventare qualcuno: non sarebbe stata degna di possederla se non avesse compreso la differenza. Si allontanò verso la porta e scorse una lettera aperta e una foto sul tavolo. Kara le disse che Mike Gand le aveva scritto ed era arrivata quella mattina al campus. Il suo ex, soffiò. Era strano, se ci pensava. Era strano per quante cose erano cambiate in un solo anno. Uscì e richiuse con la chiave che le aveva lasciato, percorrendo velocemente, e con i tacchi, il corridoio.

Ciao, Kara.
Come stai? Dimmi che avete vinto il campionato! E i miei compagni hanno vinto? O non è ancora finita la stagione? Ci stavo pensando proprio stanotte e non riuscivo a prendere sonno. Mi sembra di essere qui da tutta la vita e mi capita di non ricordarmi più che giorno è, pensa se mi ricordo della stagione di quest'anno. È l'unica cosa che mi manca adesso, a parte te. Però sto insegnando ai ragazzi qui come si gioca, se solo fossero in gamba almeno, ma sembrano delle galline. Sono atletici ma credimi, negati per il lacrosse. Ci siamo costruiti le racchette con calze e mutande vecchie sfilacciandole, non devono vederle i superiori! Almeno gioco con amici e ridiamo. Ho le giornate piene e mi piace, ho imparato a sparare e a fare un agguato. Mi sto impegnando molto e penso di poter fare carriera. Come ti ho detto nell'altra lettera, mi manchi davvero e non è uno scherzo quando lo scrivo. So che ami lei, ma sarai sempre una parte della mia vita. Quella importante.
E proprio per questo volevo dirti che ho conosciuto una tipa qui che mi piace. Ride alle mie battute, ci sta. Ci siamo baciati ieri. Non è nulla di importante ma era giusto dirtelo! Neanche questo devono sapere i nostri superiori perché è vietato, ma lo sai come sono fatto: le regole sono fatte per essere infrante.
Ti scrivo di nuovo appena ho tempo, penso a qualcosa di notte. Stammi bene, sei nei miei pensieri.
A presto,
Mike
La foto di gruppo riprendeva i ragazzi e le poche ragazze in tuta mimetica, alcuni con i cappellini in testa e i fucili sottobraccio. Sorridevano tutti, soprattutto quelli un po' sporchi di fango sugli stivali e i pantaloni, come Mike, che sfoggiava la testa rasata, abbracciando un ragazzo e una ragazza ai lati. Forse non aveva trovato ancora il suo posto, ma ci era senz'altro più vicino, aveva pensato Kara poco prima, aprendo la lettera. Un po' più vicino.

«Già non gli stai simpatica e parti col piede sbagliato, se arrivi anche tardi, Millard non ti lascerà in pace», sbottò Megan aprendo la porta dello spogliatoio e lasciando passare Kara.
«Pensavo di avere tempo», si giustificò lei, aspettandola ed entrando insieme. «Lui mette tutte sotto pressione con larghi minuti d'anticipo».
Appena l'uomo la vide, gli occhi gli si fecero piccoli e spalancò le narici come un toro, correndo verso di lei. «Un altro ritardo come questo e non ti basteranno i biscottini Oreo del mondo per salvarti dalla panchina, sono stato chiaro?!».
«E-Ero in bagno», si tirò indietro con terrore e Megan si tappò la bocca in tempo per non lasciarsi sfuggire una risata. «E non erano biscottin-».
«Muoviti!», gridò allungando un braccio e Kara obbedì abbassando la testa, seguita a ruota dall'amica.
«Mi manca il tuo ragazzo», le disse muovendo la bocca mentre apriva l'armadietto e prendeva il casco e la stecca. Megan le rispose con un'alzata di spalle: di certo il coach Jonzz mancava più a lei. Uff, odiava le persone che le urlavano contro.
Intanto, Lena aveva raggiunto da poco Indigo e Alex, sedendo in mezzo alle due. L'altra squadra, le ragazze di Coast City in divisa verde e bianca, si vedevano già: si stavano riscaldando i muscoli e agitando la stecca. Lena sospirò: per la prima volta era davvero in ansia, quasi dovesse giocare lei.
«Dunque: se perdono, Kara Danvers e le altre non andranno in finale?», domandò Indigo, riprendendo a succhiare dalla cannuccia la sua bibita. Le altre due si voltarono.
«È così», confermò Lena.
«Ti piace il lacrosse, Indigo?», domandò invece Alex, vedendola scrollare le spalle.
«È la prima partita a cui assisto, quindi lo scoprirò oggi», succhiò e deglutì. «Il mio patrigno giocava a calcetto, ma non sono mai andata a vederlo».
«Perché?».
«Perché non giocavo anch'io e a me piaceva giocare, non guardare: ho sempre pensato che mi sarei annoiata. E poi mio fratello… beh, lui diceva che sarebbe stata una perdita di tempo e restavo con lui».
Le altre due si scambiarono uno sguardo nel contempo che lei riprendeva a bere. «Tuo fratello non avrebbe ben visto il tuo appuntamento con Winn, non è vero?», si fece curiosa Lena, ma in realtà conosceva già la risposta.
«Winn?», sbottò Alex, ingigantendo gli occhi. «Hai un appuntamento con Winn? Tu?».
«In amicizia», specificò Lena.
Indigo scrollò le spalle di nuovo. «No. Lui non sarebbe concorde con tutto quello che faccio, ultimamente: stare qui per vedere qualcuno che gioca, uscire con un possibile amico domani, avere una cotta per te», rispose candidamente, «No. Non lo avrebbe accettato perché io e lui siamo…», deglutì, fissando il vuoto. Erano uguali. Ma forse non più. Strinse un labbro e Lena le poggiò la mano destra sulla spalla sinistra.
«Stai attenta alla partita e saprai se ti piace o no assistere», le indicò in basso, dove le due squadre si stavano mettendo in posizione sul campo. «Così capirai se tuo fratello aveva ragione».
Indigo annuì e guardò di sotto, riprendendo a succhiare rumorosamente dalla cannuccia e dando non poco fastidio ad Alex: per fortuna, col chiasso che avevano iniziato a fare gli altri spettatori accanto, era quasi irrilevante. Lei tirò fuori il cellulare da una tasca e cominciò a riprendere in video la partenza, sistemandosi il cappellino sulla testa per via del sole che, ancora cocente, si stava preparando a lasciar spazio alla sera.
La palla volò tra due giocatrici di Coast City e una di loro non se la lasciò sfuggire, cominciando a correre per il campo. Non si aspettava il placcaggio deciso di Megan per cui cadde e la palla fu raccolta dalla racchetta di Kara, portandola in direzione opposta. Sperava proprio che il coach Millard non si perdesse neanche un nanosecondo della sua azione. Corse, corse e passò la palla a una compagna un esatto attimo prima di scontrarsi con un'avversaria, avendo la meglio. La numero otto le ripassò la palla e, con quella all'interno della rete della racchetta, sorpassò due ragazze che provarono a fermarla in coppia, scivolando tra loro. Mise male un piede nell'atterrare ma non lo diede a vedere e frastagliò l'erba, passò la palla dall'alto alla numero due continuando a correre per raggiungere una distanza ideale tra lei e la porta. Il portiere si mise in posizione mentre un'altra in difesa cercò di bloccarle il passaggio anche se non aveva con sé la palla: era quello che volevano. La numero due era pronta per passarla, Kara si tese in avanti e la accolse, si voltò rapida e, invece di lanciare in porta, tese la stecca per mandarla più indietro: la palla volò fino alla rete della racchetta di Megan che, a quel punto, era pronta a tirarla in porta: segnò.
Il fischio dell'arbitro si levò in aria e le ragazze si scambiarono un cinque e si batterono un pugno, congratulandosi per il lavoro svolto, adocchiando le avversarie. Quello era solo l'inizio e avevano la vittoria in tasca.

UN ANNO FA

«Mia», aveva gridato la piccola Jamie, aprendo e chiudendo una manina per aria, cercando di raggiungere una polpetta di riso che Kara le aveva tenuto in alto. Dopo, la ragazza l'aveva fatta cadere in una finta picchiata e la bambina l'aveva acchiappata, schiaffandola in bocca in tempo record.
«Oh, che rapidità! E anche una certa voracità», aveva riso, guardando prima la piccola e dopo Maggie a fianco, anche lei ridendo.
Quest'ultima si era messa una polpetta in bocca e dopo si era allungata per sistemare i capelli della figlia a cui stavano cadendo sugli occhi, sistemando una forcina. «Quindi domani è il gran giorno, eh? Nervosa?», le aveva chiesto con un sorriso e Kara aveva serrato le labbra, fingendo disinvoltura.
«No. Insomma, dovrei?». Aveva alzato una mano per richiamare l'attenzione del cameriere del ristorante che passava intorno ai tavoli, comprendendo un poco più tardi che, essendo sedute a terra sui cuscini, avrebbe dovuto sforzarsi di più per farsi notare: si portò sulle ginocchia, tendendo un braccio e facendo ridere Jamie che si stava sporcando il mento di riso. Aveva ordinato un altro piatto di polpette e nigiri misti che erano finiti da un pezzo, aggiungendo ravioli di carne, onigiri, dei maki, sashimi e dell'altra salsa di soia. Maggie aggiunse due bastoncini di pesce per la bambina, che avrebbe finito lei, e Kara non resisté alla tentazione di cambiare e chiedere non una, ma una doppia porzione di ravioli di carne e degli uramaki, prima che li dimenticasse. Più ne mangiava, più sembrava venirle fame. «Eliza ha fatto tutto di corsa, non ci ha nemmeno lasciato il tempo di capire che la relazione con questa donna è seria», aveva gesticolato parlando con la bocca mezza piena, finendo di ingoiare. «Sappiamo che sono ricchi, probabilmente snob. La secondogenita è-», si era fermata di colpo quando il cameriere era tornato con i nuovi piatti sul carrello dietro Alex, che aveva finito la sua telefonata.
«Di cosa parlate? Mi sono persa qualcosa?», aveva chiesto alle due mentre si sedeva, allungando la mano con le bacchette per afferrare un nigiri con tonno. «Non ditemi della giornatina che ci aspetterà domani», aveva piegato le labbra in una smorfia, «Non vedo già l'ora di essere tornata a casa e di lasciarmi alle spalle i giorni che ci aspettano».
«Anch'io», aveva commentato veloce Kara.
Maggie non era della stessa opinione: «Andate lì con le migliori intenzioni: potrebbe non essere così male come vi aspettate».
Le sorelle Danvers si scambiarono uno sguardo: avrebbero tanto voluto avere un po' del suo ottimismo.
Nel frattempo, nella grande villa Luthor, Lena stava consumando il suo pasto a lume di candela, in sala da pranzo. Lentamente poiché al telefono: «No, insistete. Andate avanti senza di me per quel che riuscite a fare, sistemate e dopo godetevi le vacanze estive. Buona serata anche lei, la ringrazio». Aveva staccato e messo in bocca una forchettata del suo piatto, componendo un nuovo numero in memoria. Aveva ingoiato e si era pulita la bocca, attaccando la chiamata. «Ho letto il messaggio che hai lasciato», si era messa ad ascoltare, contraendo le sopracciglia. «Ascoltami, non preoccuparti del professor Miller, ci parlerò io. Passerò domattina, faccio in tempo prima di andare… in vacanza», si morse un labbro. «Passerò io, adesso cena in tranquillità. Hai studiato per quell'esame, non hai di che preoccuparti». Aveva salutato anche la studentessa a cui faceva da tutor e presa un'altra forchettata; ormai il piatto si stava raffreddando. Aveva fatto mente locale per capire se aveva dell'altro in sospeso prima di prendere il treno l'indomani e, sperando di aver risolto tutto, si era messa a leggere le ultime news: ma nulla di nuovo sulla morte di suo padre. Aveva spento il monitor del telefono e si era passata le dita sugli occhi con stanchezza. Non aveva più voglia di mangiare e, dopo uno sbuffo, si era spostata il piatto da davanti. Aveva altro a cui pensare, non aveva decisamente voglia di perdere tempo andando in quella casa per giorni e fare finta di essere interessata a loro e alla famiglia. Doveva pensare a suo padre perché era già passato un anno e- I suoi pensieri avevano viaggiato in fretta, ripensando ai file di ricerca sulle Danvers: la maggiore delle figlie, Alex, era impegnata con una poliziotta. Quello era interessante, dopotutto: se fosse riuscita ad entrare in comunicazione con lei, avrebbe potuto chiederle un favore riguardo al referto del coroner su suo padre. No, no. Quella Maggie Sawyer era ancora una novellina, non avrebbe potuto di certo aiutarla. E poi avrebbero cominciato a fare domande e non aveva voglia di includere qualcuno nel suo tormento. Il suo tormento, ripeté nella testa. Non aveva voglia di fingere di voler avere un rapporto. Non aveva voglia di niente, in realtà. Si era alzata e aveva lasciato così il tavolo, passando per il salone dove aveva di nuovo soffiato intorno al vaso di vetro con dentro il mazzetto di menta, poi si era diretta in camera sua, lasciando che le luci si spegnessero nel silenzio e nel vuoto della villa.


***


Quella giornata si era prospettata un incubo fin dalle prime luci dell'alba: la macchina del caffè non faceva il caffè ma acqua sporca e Lena dovette restare minuti al telefono per trovare qualcuno che venisse ad aggiustarla in fretta poiché da quel pomeriggio non ci sarebbe stata; andando a trovare i cavalli, aveva notato il gancio di un box rotto e anche lì aveva dovuto telefonare per farlo aggiustare; aveva dovuto parlare con sua madre Lillian per venti minuti per sentirsi ricordare come avrebbe dovuto comportarsi in casa della sua fidanzata; era andata in università e aveva mancato di poco il professor Miller con cui doveva parlare, aspettando il suo ritorno in biblioteca dove non era più disponibile il libro che stava leggendo in quei giorni e dovendo dunque passare il suo tempo libero al cellulare che aveva meno della metà della batteria, spegnendosi proprio sul più bello, a poco dal vincere un livello difficile in cui era incartata da giorni; senza contare che, invece del professor Miller, aveva incrociato una professoressa con cui aveva avuto un diverbio un mese prima e si erano entrambe sforzate di rivolgersi la parola per sola educazione; infine, era riuscita a parlare col professor Miller per telefono, ma a dirgli solo metà delle cose che doveva; intanto la menta si era già afflosciata e il tecnico della macchina del caffè aveva sbattuto contro un tavolino di vetro mentre passava in salotto, togliendosi la scarpa e la calza del piede sfortunato per assicurarsi che fosse intero, rilasciando nell'aria un puzzo sudato di vecchia stagionatura, non riuscendo a fermarlo dal camminare con l'alluce pronunciato fino a lei per chiedergli di passargli la sua valigetta. Mai più in quella casa, su quel pavimento, qualcuno avrebbe dovuto azzardarsi a camminare scalzo.
Aveva mangiato per pranzo qualcosa di veloce in un locale vicino alla sua università e dopo aveva passato il suo tempo a passeggiare, per prendere aria e calmare il nervoso, fino all'ora di prendere quel treno. Aveva cercato di convincere Lex a partecipare a quella vacanza ma non c'era stato verso e, in quel momento, si era sentita sola contro tutti. Non era abituata a prendere il treno ed era pieno di universitari molto diversi da lei, più chiassosi e poco ordinati. C'era un gruppo di ragazzi e si era seduta il più distante che era riuscita a fare, così il treno era partito dopo qualche minuto. Non riusciva a rilassarsi e, ogni volta che il mezzo si fermava, aveva l'ansia che qualcuno avesse potuto sedersi vicino a lei. Fino a quando…
«È stato bellissimo! E Supergirl ha vinto ancora».
Perfetto, aveva pensato: altri universitari molto gioiosi in arrivo. Un trolley le aveva pestato un piede e così era caduta la sua valigetta, inchinandosi subito, seccata, per raccoglierla. Quando aveva sentito quella voce stridula chiederle scusa, aveva cercato di mettere su la faccia più acida che conoscesse, sfogando su di lei il peso di quella giornataccia che non faceva che peggiorare. «Guarda dove cammini». Oh, capelli biondi, occhi azzurri, sguardo da pesce appena pescato: quella sembrava proprio… No, doveva sbagliarsi. Sicuramente. L'aveva tenuta sott'occhio, accigliandosi. Non poteva crederci… era davvero lei, la sua nuova sorellastra: Kara Danvers. L'aveva fissata con rimprovero mentre, come se si trovasse tranquillamente nel salotto di casa sua, parlava a voce alta con la sorella al cellulare. E di lei. Lamentandosi, perfino. Era stato allora che Lena aveva pensato che, in fondo, con quella si sarebbe potuta divertire.






























***

Eh sì, Lena si è divertita parecchio da quel momento in avanti! E poi diciamolo, nei primi capitoli abbiamo sentito la campana di Kara, ora invece avremo anche quella di Lena :) Sia mai che qualcosa possa essere stato “frainteso”, comunque, adesso sappiamo che la giornata per lei non era iniziata proprio come una delle migliori e che, sommato al fatto che proprio non le voleva conoscere e non voleva andare, le è successo di essere sgarbata quando una ragazza dalla voce stridula le ha colpito un piede e fatto cadere la sua valigetta.
E ora abbiamo anche una panoramica maggiore su com'era Lena e la sua vita prima del prologo di Our home. E lo stesso di Kara, come stesse cercando di allontanare Mike e come lei e Alex stessero fronteggiando il cambiamento.
Nel frattempo, nel presente le nostre due beniamine hanno litigato, e come poteva essere altrimenti? Penso che litigare sia normale e che una coppia in questo non faccia eccezione, ma d'altra parte tutto sta a come lo si affronta e a come poi si trovi il punto d'incontro. E pare che loro lo abbiano trovato; dopotutto, il giorno dopo sono ancora, e normalmente, unite.
Tra pistola, biscotti, Leslie Willis, la lettera di Mike, il nuovo coach Millard e Indigo… come vi è sembrata questa prima parte del capitolo? Cosa vi aspettate dalla prossima?


yumm

Questo capitolo parla dell'anniversario e oggi, come scritto in precedenza, cade il secondo compleanno della fan fiction! Due anni fa, oggi, scrivevo il prologo, scrivevo di Kara e Lena che incrociano i loro sguardi sul treno. Per loro è passato un anno, per noi due. Auguri, Our home! E auguri a voi che leggete, e grazie.
Allo scorso compleanno (festeggiato il giorno del primo compleanno della pubblicazione, quindi a febbraio) avevo scritto un lungo papiro su note e curiosità sulla fan fiction, ma questa volta non sarò così fantasiosa e anzi, mi spiace accompagnare il festeggiamento da una notizia non proprio positiva! O magari una un pochetto più positiva sì, ma una decisamente non lo è e iniziamo da questa: la fan fiction va di nuovo in pausa.
Ahimè, adesso che la storia entra in un passaggio importante (perché sì, che ci crediate o meno, abbiamo superato la metà e, a meno di imprevisti, si va verso il finale che sarà pieno di avvenimenti) è per me molto più dispendioso lavorarci su, e devo prendermi più pause, senza contare a volte la mia scarsa motivazione. Continuerò a scrivere ma ho deciso che lo farò con calma, con i miei tempi e, per questo, stavolta, non ci sarà una data! Sono sempre stata precisa e puntuale, ho sempre rispettato gli impegni presi, adesso sento il bisogno di lavorare solo per me. Dunque quando ci rileggeremo? Appena avrò una data la scriverò sull'introduzione della fan fiction per avvertirvi! Potrebbe essere quando ho concluso tutto (e ci vorrà un po'), oppure quando avrò voglia di rilasciare un capitolo e mandare un po' avanti la pubblicazione :) Se devo essere sincera, questa cosa mi scoccia perché, come ho già scritto altre volte, essendo già la fan fiction di suo parecchio lunga, tardare ancora temo vi faccia scordare, a voi lettori, ogni cosa fino a questo momento. Forse l'interesse calato per la fan fiction mi ha aiutato a prendere questa decisione; se avessi ricevuto più feedback, è naturale, mi sarei sforzata di più per proseguire e non cedere. Ma devo prendere una pausa e devo fare con calma, quindi probabilmente è meglio così. Mi spiace per chi, nonostante tutto, è ancora qui… eh, quello sì. Vi ringrazio molto e spero di non deludervi al mio ritorno!
Quando andrò in pausa? Credo faremo in tempo a leggere la seconda parte dell'anniversario e un altro capitolo. Vedremo.
La notizia un pochetto più positiva, invece, riguarda la nascita di una serie che gira intorno Our home, la fan fiction madre: è assai probabile che creerò sul sito una serie per racchiudere questa e alcuni suoi spin-off, quelli che mi verranno in mente e avrò voglia e piacere di scrivere. Su personaggi secondari/terziari apparsi in Our home oppure piccole avventure che riguarderanno le stesse protagoniste. Perché l'ispirazione è birichina (per non dire infame) e mi fa pensare e scrivere altro. Vuoi per distrarmi, vuoi perché mi aiuta a liberarmi dalla pesantezza di alcuni passaggi di Our home che richiedono molta concentrazione, perché non cimentarmici. In fondo, dopo che ho scritto altro, sono anche più presa in questa. Dunque aspettatevi qualcosa se vi può interessare. Se non vi interessa… nulla, avete solo la notizia negativa, mi spiace e ignorate questo avviso XD In pratica sì, avrò il “mio universo DC” XD E sì, ho già iniziato qualcosa, proprio perché l'ispirazione è infam- emh, birichina.
Di nuovo grazie a voi che siete ancora qui nonostante tutto, grazie davvero! Non sapete quanto sia importante, per me.

Allora ci rileggiamo con L'anniversario – Seconda parte martedì 29 ottobre! Una settimana esatta. Non mancate ~


   
 
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