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Autore: steffirah    22/10/2019    1 recensioni
Un'altra possibilità? O l'eterno ripetersi della stessa storia...?
Una maledizione? Una colpa da scontare? Una speranza? Un futuro in cui vivere, in cui sopravvivere?
"Da quel momento in poi, cantammo del nostro immenso ed eterno amore."
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Raccolta di one-shot dedicate alla "2B9S week" indetta su tumblr dal primo al sette dicembre 2017.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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5. [M]odern (Human) AU [Pt. 3] 



 

■■■□■ 9S's Story



La verità era venuta a galla, e mai avrei potuto credere che potesse essere tanto meravigliosa, tanto piena di luce, tanto impregnata di gioia, tanto intinta di amore.
Farmi raccontare tutto in un unico giorno era impossibile, per questo io e 2B ci organizzammo diverse volte per vederci da soli, in modo tale che lei potesse continuare a narrarmi di quella nostra vita insieme.
Una sera di metà settembre, in seguito ad una gara, ci demmo appuntamento anche con A2 e cenammo tutti e tre al suo appartamento. Per me, fu la prima volta che la vedevo di persona. Almeno in quella mia ‘nuova vita’. Pensare che vivevamo nella stessa città aveva dell’incredibile, ma Tokyo era immensa, quindi non era poi così poco plausibile non incontrarsi mai.
In ogni caso, 2B me la presentò come se sul serio ci stessimo conoscendo per la prima volta. Mi mostrai cordiale e anche lei fu piuttosto educata, sebbene per la maggior parte del tempo se ne stesse in silenzio e, paradossalmente, dovessi essere io a riempire quei vuoti.
Tuttavia, verso metà pasto non riuscii più a sostenere quella situazione gravosa, per cui, anche a costo di farla parlare senza fine, le domandai del nostro passato. Inutile dire che fu una pessima idea, anche perché a quanto pareva aveva solo lamentele da rivolgermi, che 2B abilmente abbelliva con parole diverse. Ad esempio, A2 mi diceva “Eri una pappamolle” e immediatamente 2B interveniva con “Vuole solo dire che eri sempre tranquillo, mentre noi eravamo iperattive e non stavamo ferme un attimo”. Proseguì in questo modo per diverse portate, finché non ne ebbi abbastanza di quell’insolenza e cominciai a risponderle a tono. Qualcosa scintillò in quegli occhi di ghiaccio, un ghigno sbilenco attraversò il suo volto.
“Mi stai sfidando, 9S?”
Quello sembrava fosse stato il mio ‘nome’, prima che venisse trasformato in ‘Nines’.
“Fatti sotto.”
La fissai truce e lei non se lo fece ripetere due volte, spostando i piatti per posare il gomito destro sul tavolo e farmi segno per invitarmi ad imitarla.
2B m’aveva detto che, nel nostro battibeccare, spesso io e A2 finivamo col gareggiare in modi diversi. Se si trattava di giochi d’intelletto solitamente vincevo io, ma quando si trattava di forza bruta sembrava imbattibile.
Mi misi in posizione e afferrai la sua mano, mettendo tutta la forza che possedevo in quel braccio. Strinsi i denti e cominciai a sudare, mentre sembrava che lei non si stesse neppure sforzando. Mi chiesi se quella donna fosse veramente umana o avesse subìto una qualche mutazione genetica. Forse era un robot, perché lo trovavo veramente impossibile. D’accordo, non ero poi così forte, ma almeno a braccio di ferro non potevo perdere! Sarebbe stato vergognoso, ci avrei fatto una pessima figura davanti a 2B! Mi concentrai al massimo, riuscendo a spostare di poco la sua mano, ma non ebbi il tempo di esultare per quel poco che ecco che mi batté.
Strepitai frustrato, mentre lei rideva maleficamente, per poi incrociare le braccia e guardarmi con superiorità.
“Hai sviluppato una maggiore resistenza, ma non sei ancora all’altezza della mia sorellina.”
“Cosa?!” esclamai sbigottito, offeso. Non poteva dire sul serio!
“A2, basta, per favore…”
Mi voltai verso 2B, trovandola con lo sguardo basso e le mani sul viso in fiamme. Le afferrai una manica, tirandogliela per farmi guardare.
“2B, tua sorella è ingiusta! Sappiamo tutti che non riuscirò mai a batterla. Nessuno ci riuscirà mai!” mi lagnai, sperando che questa dura realtà non mi condannasse sul serio.
Parve che ebbi toccato un tasto dolente perché si fece rigida, abbassò le mani con movimenti quasi meccanici e assottigliò gli occhi nel voltarsi verso di me, pietrificandomi.
“Mi stai sottovalutando?”
“No?”
Sbattei le ciglia, confuso, e lei poggiò con lo stesso impeto di A2 il gomito sul tavolo, bruciando di competitività.
“Io posso batterla!” proclamò convinta, al che sua sorella fischiò, accettando la sfida.
Ci vollero diversi minuti prima che si giungesse ad una conclusione. Riconobbi che s’erano impegnate entrambe, ma poi l’alcool - che qui non avrebbe ancora dovuto bere, essendo minorenne - ebbe la meglio su 2B e poco ci mancò che, del tutto sfiancata, sbattesse con la testa sul tavolo. Io e A2 la afferrammo al volo, restando entrambi senza parole, ma poi lei scoppiò a ridere e io la seguii dopo poco, non aspettandomi che una ragazza tosta e all’apparenza robusta come 2B potesse ubriacarsi tanto facilmente.
A2 mi disse allora che potevo pure andarmene perché l’avrebbe fatta dormire nella sua stanza, ma io comunque ci tenni ad accompagnarla fin lì. La adagiai con delicatezza sul materasso, coprendola per bene, e le posai un lieve bacio sulla fronte dopo averle spostato quella lunga frangia, augurandole sogni d’oro.
Quando uscii dalla camera trovai A2 poggiata alla parete opposta a braccia conserte, con lo sguardo rivolto al soffitto.
“Sei sempre stato così.”
“Così come?” domandai rassegnato, preparandomi psicologicamente all’ennesimo insulto di quella lunga serata.
“Così caring” rispose sorprendendomi, abbassando lo sguardo su di me.
“I-in che senso?” balbettai, incredulo.
“Ti sei sempre preso cura di lei, quanto faceva Primrose, se non addirittura di più. Ma sicuramente più di quanto sia mai riuscita a fare io stessa.”
Sospirò pesantemente mentre io la guardavo corrugando la fronte, non capendo dove volesse arrivare.
Mi fece segno di seguirla in soggiorno e lì ci accomodammo su un divano a tre posti, alle due estremità, faccia a faccia.
“Conosci la nostra storia?”
“Per sommi capi.”
Lei fece un cenno di comprensione, cominciando a raccontare del loro passato senza che me lo aspettassi.
“2B non se lo ricorda perché era troppo piccola. Ammetto che anche i miei ricordi ormai stanno sfumando, ma tre anni di differenza mi sono tornati utili per crescere più in fretta di quanto dovessi. Subito dopo la sua nascita, nostra madre morì a causa di varie complicazioni dovute al parto. Nostro padre ci aveva già lasciate pochi mesi prima in un incidente sul lavoro, ed eravamo rimaste soltanto noi due, una bambina di nome Iris e un’infante senza nome. L’ospedale ci tenne per un certo periodo, ma non potevano di certo mantenerci lì per sempre. Non avevamo molti parenti prossimi, i più vicini erano i nonni, ma ormai erano anziani e non potevano assumersi la responsabilità di crescere due bambine così piccole. Ciononostante ci accettarono e provarono ad educarci come poterono. Diedero persino un nome a 2B, Jasmine, come i fiori che crescevano nel loro giardino; un giardino che scoprii essere anche pieno zeppo di iris bianchi, e da lì compresi venisse anche il mio nome. Per circa quattro anni vivemmo tutti insieme, ma ben presto anche loro ci abbandonarono e non ci rimase più nessuno. Pur avendo appena compiuto sette anni, ormai fungevo sia da madre che da sorella maggiore per 2B. Assunsi anche il ruolo di padre per lei, ma quello dei nonni mi sembrava troppo, e con la loro perdita ebbi il mio primo crollo emotivo. Da lì in poi cambiai radicalmente, chiudendomi in me stessa, diffidando di chiunque, ed educai 2B ad essere come me. Ci volle un po’ prima che un avvocato ci rivelasse che i nonni avevano già fatto domanda all’orfanotrofio gestito dal signor Zinnia e sua moglie, affidandoci alle loro cure. Prima di lasciare la nostra vecchia casa decisi che, almeno mia sorella, avrebbe dovuto avere la possibilità di vivere una nuova vita, diversa da quella con cui era nata. Le dissi di cancellare il suo nome, di dimenticarlo, e sostituirlo con uno nuovo, in codice. Da qui ha origine 2B e il mio, A2. ‘2’ perché eravamo soltanto noi due le ultime sopravvissute, eravamo l’una la famiglia dell’altra e se fossimo sempre rimaste insieme avremmo avuto la forza necessaria per sopravvivere. Per me fu lei stessa a scegliere la lettera ‘A’, perché era la prima dell’alfabeto, essendo io più grande di lei. Per se stessa scelse la ‘B’, che veniva subito dopo, e mise il numero in mezzo, per legarci per sempre. Accettai quel suo modo di ragionare con fierezza e quando poi raggiungemmo l’orfanotrofio chiesi a Zinnia di mantenere il mio nome, trovandone invece uno nuovo per mia sorella. Così che quella parte triste di lei, senza una vera e propria identità, senza una concreta famiglia, potesse definitivamente sparire.”
La ascoltai fino alla fine, ripensando a quello che mi aveva spiegato 2B su quei nomi in codice. A sua detta erano quelli i loro veri nomi, e dato che io ero diventato il loro migliore amico ne dovevamo scegliere uno anche per me. Sarebbe stato sensato un C3 o qualcosa del genere, a quel punto, ma andò diversamente perché proprio in quel momento stavamo facendo un gioco di ruolo in cui A2, in virtù del suo nome e delle sue preferenze, s’era scelta il ruolo da attaccante, 2B aveva preferito essere un modello da battaglia e io, per adeguarmi e poterle essere di supporto in campo, avevo scelto quello di scanner. Da qui la ‘S’, cui poi s’antepose il numero 9 perché era il giorno in cui ci eravamo incontrati, che coincideva col giorno in cui s’erano trasferite. ‘9S’ significava anche ‘Nove settembre’. Divenne poi Nines per una questione più pratica, essendo difficile da pronunciare secondo gli altri bambini che giocavano con noi, e ‘Ninez’ per un fallito tentativo di 2B di dirlo come loro.
Da allora, per loro, divenni 9S o Ninez, e Kiku, il bambino annoiato che sì, giocava, ma preferiva sprofondare il naso nei libri per conoscere il mondo, lasciò spazio ad un bambino pieno di vitalità. Quindi, se ero quel che ero, lo dovevo soprattutto a loro.
“Se 2B è 2B è soltanto grazie a te” A2 fece eco al mio pensiero, rivolgendomi per la prima volta delle parole positive.
Non sapevo dire se fosse contenta o meno della cosa, sembrava andare contro se stessa per ammetterlo, ma alla fine sospirò, toccandosi pensosamente le unghie.
“Come ti dicevo, sei sempre riuscito in quello in cui io ho fallito. Sebbene non fosse un tuo dovere, eri tu che rimboccavi le coperte a 2B. Eri tu che le pulivi il viso quando si sporcava col cibo o le soffiavi il naso dal moccio. Eri tu che le disinfettavi le ferite, le mettevi i cerottini colorati, le davi i ‘bacini sulla bua’. Eri tu che ti offrivi di asciugarle i capelli. Talvolta glieli spazzolavi persino, e lei soltanto a te lo concedeva, perché se chiunque altro ci avesse provato, me compresa, si sarebbe ribellata con tutta se stessa, lamentandosi che le facessimo male. Invece, di te diceva che fossi delicato. Riuscisti così ad essere tutto, al mio posto. Fosti un padre, una madre, un fratello maggiore e una sorella maggiore. Divenisti poi persino il suo principe, sebbene io avessi qualche difficoltà ad immaginarti come faceva lei in groppa ad un cavallo bianco con un mantello fluttuante. Considerando comunque tutte queste cose, unendole alla mia indole solitaria, io stessa chiesi a Zinnia di trovarmi dei nuovi genitori. Soltanto per me, perché 2B aveva te. E quando la notte prima della mia adozione 2B mi promise che sarebbe divenuta una donna forte e valorosa, come me, che sarebbe stata felice, che non avrebbe mai pianto, e che poi mi si sarebbe ricongiunta ad ogni costo, con te al suo fianco, mi spinse per la prima volta sull’orlo delle lacrime. Feci tuttavia finta di niente, domandandole perché dovessi esserci anche tu, e lei con tutta l’innocenza del mondo mi rispose: ‘Anche lui è la tua famiglia, A2. Soprattutto perché un giorno diventerà mio marito.’ Non volevo credere alle mie orecchie, eppure dalla sua espressione cristallina capii che facesse sul serio. E conoscevo la mia sorellina, sapevo che, una volta presa una decisione, non importava quante peripezie avesse trovato sulla sua strada, avrebbe proceduto fino in fondo, raggiungendo il traguardo.”
Fece una pausa, posandosi le mani sulle ginocchia, sollevando gli occhi nei miei.
“Neh, 9S. Le cose non sono molto cambiate, vero?”
Scossi il capo, insicuro del come potesse uscirmi la voce in quel momento.
“Continuerai a prenderti cura di lei?”
“Lo farò sempre” assentii, con sicurezza.
Lei si stese in un sorriso, il primo che vedessi sul suo viso, mentre mi chiedeva: “E saresti veramente disposto a diventare suo marito?”
Sorrisi a mia volta, privo di dubbi.
“Certo, ce lo siamo già promessi.”
A questo sollevò un sopracciglio, scuotendo la testa.
“Dovevo immaginarlo” mormorò tra sé, prima di allungarsi verso di me, avvolgendomi le sue braccia attorno.
“Grazie” mormorò, piena di emozione contenuta.
Chiusi gli occhi, ricambiando quel nostro primo e forse ultimo abbraccio, facendo un cenno col capo. Non c’era bisogno di ringraziarmi, perché era ovvio che lo avessi fatto. Amavo 2B da sempre. Amando lei, per quanto normalmente non la sopportassi, dovevo necessariamente accettare ed amare anche A2. Ma come per tutte le cose che ci riguardavano, non era tanto una questione di dovere, quanto di volere.



 
■■■□■



La promessa di matrimonio che avevo accennato a A2 mi fu raccontata da 2B proprio pochi giorni prima. A quanto pareva avevamo otto anni, ed era un giorno ben specifico di agosto: la notte di San Lorenzo. Su un giornale avevo letto insieme a Zinnia che per due giorni ci sarebbero state le stelle cadenti e lui mi spiegò che in tale occasione si usasse esprimere un desiderio. Anche io e 2B volevamo farlo, ma non sapevamo con precisione cosa desiderare. Ci riflettemmo a lungo, finché poi durante la visione di un film d’amore che si concludeva con la scena di un matrimonio ricevemmo la nostra risposta.
Quella stessa notte uscimmo di soppiatto, portandoci dietro delle coperte. Salimmo fino alla cima della collinetta e ne stendemmo per bene una sull’erba, prima di sederci lì sopra. Attendemmo in silenzio di vedere le prime stelle cadere, esprimendo i nostri piccoli desideri. Dopodiché ci inginocchiammo uno dinanzi all’altro, e mentre lei univa le margheritine che aveva portato con sé stringendone gli steli in un pugno le posi l’altro lenzuolo sul capo. Fu quella la prima volta in cui pensai, di lei, che fosse bellissima. Fu quella la prima volta in cui, guardandola negli occhi, mi sentii avvampare. E a quanto pareva l’imbarazzo cominciò a sopraffare anche lei stessa.
Ciononostante esso non ci impedì di mettere in atto il nostro rito, così tirando fuori quegli anelli che quel pomeriggio avevo costruito intrecciando un filo di lana rossa, sapendo della leggenda del filo rosso del destino, presi la mano sinistra di 2B, infilandole quello cui avevo aggiunto una perlina bianca per distinguerlo dal mio mentre recitavo i voti sentiti in televisione.
“Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.”
Feci scivolare l’anello fino in fondo e lei, con solennità, ripeté quelle stesse parole, imitando le mie azioni; dopodiché attorcigliò i nostri anulari e mi sorrise con dolcezza, aggiungendo: “Staremo per sempre insieme, e ti proteggerò costantemente.”
Ricambiai il suo sorriso, stringendo il dito attorno al suo, promettendo: “Un giorno farò in modo che si realizzi sul serio.”
Il suo sorriso si allargò e, ricordando poi come procedeva la cerimonia, recitammo insieme la parte in cui venivamo proclamati marito e moglie sotto la testimonianza di Dio, del cielo e della terra. Le abbassai di poco il velo e posai le labbra sulle sue, suggellando il tutto con un bacio.
Fu un bacetto molto breve e casto, a stampo, a malapena percepibile, eppure bastò per farci arrossire all'inverosimile e sorridere come due idioti.
Quella, probabilmente, fu la notte più magica trascorsa all’orfanotrofio. Al punto tale che, quando la rivissi nella mia mente, mi sembrava quasi impossibile che non fosse un frutto del mio mondo onirico.
Stava succedendo che, quanto più 2B mi raccontava di noi, tanto più sognavo ricordi. Da quando mi ero avvicinato a 2B mi succedeva sempre più spesso, ma sebbene inizialmente avessero contorni più sbiaditi, ultimamente stavano diventando molto più definiti e concreti, quasi tangibili.
Così avevo cominciato a sognare di quelle volte in cui, bighellonando per il boschetto, mi fermavo per raccogliere ghiande - a quanto pareva avevo quella bizzarra fissa di collezionarle, ma ben presto 2B scoprì con piacere che lo facevo per lasciarle, successivamente, nelle tane degli scoiattoli.
In altri sogni, ambientati in primavera, ci sedevamo sul prato e creavamo coroncine di fiori, scambiandocele. Le sue erano sempre più imprecise, ma più colorate e a più dimensioni, visto che mescolava fiori di tutte le grandezze, senza fare distinzione. Aveva poi quella peculiarità di lasciarvi anche le foglie, rizzandole tanto verso l’alto da farle diventare appuntite, esclamando dopo che me le poneva sul capo: “Mio principe, con questa corona la proclamo mio re.”
Mi faceva troppo ridere con quella scenetta, sebbene sapessi che per lei non fosse soltanto una farsa. Per questo, quando le ponevo sui capelli la mia sottile coroncina fatta di roselline rosate, la ringraziavo in qualità di mio cavaliere, accontentandola. Dentro di me, però, continuavo a vederla come la mia delicata principessa guerriera, forte sì, ma da proteggere ad ogni costo.
C’erano poi altri ricordi che riguardavano i nostri compleanni. Di me non si sapeva di preciso quando fossi nato, ma si scelse come data il 30 gennaio, giorno in cui fui portato in quell’enorme giardino curato da Zinnia. Grande fu la mia sorpresa quando scoprii che anche 2B fosse nata in quello stesso periodo, il 7 gennaio, proprio pochi giorni prima di me.
Ad ogni modo, per ogni nostro compleanno avevamo la consuetudine di fare un certo rituale. Lei mi regalava un disegno o una letterina, e oggi mi rammaricavo di non possederne più alcuna. Dopo aver saputo tutto da lei, compreso il fatto che l’incidente, per quanto lei ne sapesse, fosse stato realmente tale e che quindi non dovevo farmene una colpa, ce l’avevo ancora più a morte col fuoco che s’era portato via tutta quella meraviglia, tutta quella bellezza, tutto ciò che mi era caro. Eppure, in parte, dovevo anche ringraziarlo, perché se non fosse avvenuto non era certo che avessi avuto modo di conoscere la mia nuova famiglia.
Al suo compleanno, invece, le regalavo dei dolcetti a forma di robottini che io stesso le preparavo - col tempo sembrai migliorare, mentre il primo tentativo pareva fosse uscito decente solo grazie all’aiuto di Primrose -, insieme ai fiori che portavano il suo nome. Nel giardino, infatti, cresceva molta erica, e forse perché ancora nessuna bambina aveva quel nome lo avevano assegnato a 2B. Era una pianta sempreverde e, fortunatamente per noi, quella che cresceva lì era bianca, proprio come quella bambina albina, ed emanava un piacevole profumo. Sapevo che significasse solitudine, ma anche affetto e protezione. Mi sembrava davvero perfetta per lei, così come perfetto era il gelsomino. Due nomi, portavano con loro tutta la sua essenza.
Ma alla fine, non importava che nome avesse: 2B era semplicemente 2B.



 
■■■□■



In autunno, oltre ai corsi e ai nostri periodici incontri divisi tra lezioni e rievocazioni di ricordi, io e 2B cominciammo anche ad uscire insieme.
Come le avevo promesso le feci visitare diverse città approfittando dei nostri giorni liberi, la portai a vari matsuri e a divertirsi a Disneyland. Fu piuttosto buffo andare sulle montagne russe con lei che restava impassibile e io, invece, che gridavo senza freno. Quando scendemmo ridevo troppo per quanto fosse stato divertente ma lei mi fissava apprensiva, domandandomi invece se come risultato non mi venisse il mal di gola o restassi senza voce – al punto tale che mi diede delle caramelline al miele ed eucalipto per prevenirlo. Non potevo crederci che la prendesse così, per cui la rimproverai bonariamente, invitandola a rilassarsi e godersi semplicemente il momento, senza ragionare o mostrarsi sempre tanto indifferente.
Fortunatamente parve riuscirci dopo poco, e ogni volta che qualcosa sembrava attirare la sua attenzione, che fosse un palloncino, una t-shirt, un accessorio per capelli - compreso un frontino con le orecchie da Topolino - glielo acquistavo. Mangiammo crêpes strapiene di panna, frutta e cioccolato e, come in passato, lei si imbrattò quasi tutta, senza curarsene. Ridendo di quel suo essere adorabilmente infantile la pulii con dei fazzoletti, prendendola in giro, e lei si immusonì, sporcando per dispetto anche me. Non che mi dispiacesse, se poi finiva col leccarmi la guancia o il naso, ed era veramente una fortuna che scegliessimo sempre di stare in zone più solitarie, perché se ci fosse stata più gente sarei probabilmente morto dall’imbarazzo.
Quelli erano tutti problemi che, in ogni caso, lei non sembrava porsi.
Già dalla seconda volta in cui mi aveva baciato aveva cominciato ad abbracciarmi o prendermi per mano anche in pubblico, ignorando le persone circostanti, rendendo ufficiale qualcosa che fino ad allora era stato ufficioso ma prevedibile da tutti.
Sul piano fisico, tuttavia, attendevo di scoprire di più su di noi, perché mi sembrava una mancanza avere ancora dei buchi neri nella mia testa, che lei invece aveva pieni di colore. Mi sentivo incompleto e attesi che lei potesse riempirli il più possibile, prima di decidermi a farmi finalmente avanti. Mi dispiaceva farla aspettare tanto; capivo che lei non sentisse un impellente bisogno di ricevere una risposta da parte mia, ma sentivo ingiusto continuare a tacere e dimostrarle quello che provavo soltanto con piccole azioni. Allo stesso tempo, non volevo mettermi fretta, perché mi sentivo ancora ‘indegno’, o meglio, immeritevole.
Fortunatamente, col passare del tempo e lo scorrere dei giorni lei mi colmò sempre più di vecchi e nuovi ricordi, sicché l’occasione per poter essere sincero poté palesarsi ben presto.
Era il principio dell’inverno e pioveva a dirotto. Stavamo studiando a casa mia attorno al kotatsu quando, d’un tratto, 2B sobbalzò ad un tuono. Si interruppe con la matita a mezz’aria, fissando il vuoto, per poi scuotere la testa e tornare a fare quello che stava facendo. La scrutai impensierito e all’improvviso, quasi fossi stato attraversato io stesso da un lampo, ricordai da solo della sua paura dei fulmini. Da piccoli lei cercava di non darlo a vedere e io semplicemente prendevo la sua mano, dicendole che così avrei ‘afferrato e inghiottito la sua paura’. Scoprii poi che quella era anche una fobia di A2, sebbene anche lei si mostrasse stoica e impassibile durante i temporali, e quando indagai più a fondo lei mi rivelò che fosse perché un fulmine aveva causato il cortocircuito che aveva ucciso il loro vero padre. 2B, tuttavia, non poteva saperlo non essendo ancora nata, a meno che non se lo fosse fatto scappare qualcuno. Io presunsi che potesse essere semplicemente un’involontaria influenza che la sorella maggiore aveva esercitato sulla minore.
Fatto sta che anche in quel momento, al suo secondo sobbalzo e stringere le dita attorno alla penna, posai una mano sulla sua, carezzandogliela in maniera terapeutica.
“Vogliamo fare altro?”
Prese un respiro profondo, guardandomi poi interrogativa. “Altro?”
Annuii, proponendo: “Potremmo giocare alla Play, guardare un film, cucinare qualcosa, ti potrei leggere una storia o -” Mi interruppi, realizzando solo in quel momento che eravamo totalmente soli in casa. Che ci sarebbero volute ore prima del ritorno dei miei genitori e di mia sorella e che quella poteva essere la mia occasione. L’occasione di dirle finalmente tutto ciò che provavo.
“O?”
Piegò la testa su un lato e io deglutii a fatica, col batticuore. Non sarebbe stato molto romantico forse, non quanto lei avrebbe sperato, ma dovevo ricambiare anche a parole, una volta per tutte.
“2B, sono certo che tu lo sappia già, ma devo dirtelo.” Lei attese che proseguissi e io presi un profondo respiro, usando precisamente i suoi stessi vocaboli per dirle: “Ti amo, 2B.”
La vidi schiudere le labbra, quasi non ci credesse, e fare le lacrime agli occhi. Mi lasciò interdetto.
“P-perché reagisci così?”
“Scu-scusami, è che non me lo aspettavo!” Si portò una mano al petto prima di coprirsi il volto, mugugnando felice. Era la prima volta che la vedevo reagire in maniera tanto eccessiva, tanto spontanea, tanto palese. “Che vergogna…”
Arrossii alla pari di un’aragosta, borbottando: “Dillo a me, ho dovuto raccogliere tutto il mio coraggio.”
Lei ridacchiò e quando tolse le mani trovai i suoi occhi umidi e le sue gote rosse. Mi si fermò il cuore dinanzi al sorriso celestiale che mi rivolse, mentre mi rispondeva: “Ti amo anche io, Ninez.”
Sorrisi a mia volta, chiudendo gli occhi, poggiando la guancia contro il suo palmo, sentendomi come in paradiso. Mi beai della sua voce, del suo profumo, del suo calore, soprattutto dopo che venne ad abbracciarmi, e dopo che le nostre labbra si incontrarono, si incontrarono, si incontrarono, e i nostri corpi si scoprirono, si intrecciarono e si unirono, facendomi capire che il paradiso ancora dovevo esplorarlo.


Da quel momento in poi, cantammo del nostro immenso ed eterno amore.



■■■□■ 2B's Story



“Mamma, mamma!”
Mi voltai prontamente verso quella voce squillante, ritrovandomi una bambina dagli occhi grigi e i lunghi capelli biondissimi che le oscillavano ad ogni movimento mentre correva verso di me, frustandole il viso. Mi abbassai alla sua altezza mentre esclamava gioviale: “Guarda zia A2 cosa mi ha regal- Ah!”
Sobbalzai vedendola inciampare nei suoi stessi piedi e mi feci subito in avanti, così che cadesse sulle mie ginocchia.
Tirai un sospiro di sollievo, fingendo aria da rimprovero: “Insomma, Vera, quante volte ti ho detto di stare attenta?”
Lei ridacchiò scusandosi, per niente pentita. Chissà se quel tratto l’aveva preso da me o da Ninez.
Mentre ci ragionavo su ripeté “Guarda!” mettendomi sotto il naso una scatola con una molletta per capelli su cui vi era un fiocchetto rosa. “Posso mettertela?”
Assentii, rialzandomi con lei in braccio per permetterglielo, e mi incamminai domandando: “Che stavi dicendo su A2?”
“Che zia me li ha regalati!”
Parlava al plurale?
“Fatto!” esclamò pimpante, sollevando le braccia.
“Come mi sta?”
Mi fissò a lungo, pensierosa, prima di borbottare: “Mmh, sei bellissima come sempre, ma non buffa.”
“Avrei dovuto essere buffa?”
“Per far ridere Sasha! Papà c’è riuscito!”
Confusa andai in veranda, dove sapevo per certo che avrei trovato Ninez a giocare con Sasha sul dondolo. Sorrisi tra me nel sentirlo pronunciare filastrocche e fare versetti e pernacchie, seguito dalle risate cristalline del piccolo.
A pochi passi da loro Vera mi fece segno di voler scendere per correre dal padre, prendendogli il viso con ben poca delicatezza - ecco una caratteristica che sicuramente aveva ereditato da me - per voltarlo dalla mia parte.
“Guarda!”
Trattenni a stento una risata, prima nell’incontrare la sua espressione sorpresa, poi nel notare come i suoi occhi luccicassero nel vedermi e tutto il suo volto si illuminasse con un sorriso enorme, facendo risaltare ancora più quel fiocco azzurro che aveva in testa.
“2B, bentornata!”
“Sono a casa.”
Mi sedetti anch’io sull’altalena, prendendo in braccio Sasha per salutarlo, e proprio mentre gli lasciavo un bacino sulla fronte e lui mi posava la manina su una guancia A2 si presentò sul retro, posandosi le mani sui fianchi.
“Allora Vera, ti muovi?”
“Sì signora!”
Si mise sull’attenti, facendo come per andarsene, ma la trattenni per un attimo, giusto il tempo di toglierci quelle mollette ed inserirle ai lati dei suoi capelli, per tirarglieli indietro affinché non le dessero noia durante la pesca.
“A2, se si dovesse fare male -” cominciò a minacciarla Ninez, sennonché come al solito mia sorella non lo fece finire che completò cantilenante:
“Ci penserà 2B, lo so.”
“Hey!”
Ninez si imbronciò, ma lei lo ignorò e ci fece un cenno di saluto, mentre Vera afferrava l’altra sua mano e ci salutava felicemente, chiacchierando vivacemente con lei.
“La adora” commentò quando furono lontane, non sembrandone molto lieto.
Cullai per un po’ Sasha e abbassai la voce, notando si stesse appisolando.
“E non ne sei contento?”
“Certo che ne sono contento” sbuffò, guardandomi con le sopracciglia aggrottate. “Ma non sembra anche a te che stia diventando sempre più simile a lei?”
Parve sconvolto da quella supposizione e io semplicemente ridacchiai sotto i baffi, scuotendo la testa.
“A me sembra la fusione perfetta di noi.”
Dato che Sasha era crollato mi misi in piedi per portarlo nella sua culla, così che stesse più comodo.
Ninez mi seguì, domandandomi in tono basso come fosse andata la giornata a lavoro. Risposi brevemente che fosse impegnativo come sempre in ufficio, chiedendogli altrettanto.
Usciti dalla stanza blaterò entusiasta di quanto fosse stata interessante la lezione di quel giorno e di quanto si felicitasse che i suoi studenti gli mostrassero ogni volta tutte le loro attenzioni. Non molto tempo dopo il mio trasferimento in Giappone ed essere stato mio tutor, una volta finito il suo compito aveva deciso di abbandonare gli studi manageriali e dedicarsi all’insegnamento. Decisamente, sembrava molto più adatto a lui.
Lo ascoltai sollevata, anche mentre andavamo in camera nostra. Qui lui proseguì a narrarmi di un piccolo aneddoto capitato proprio quella mattina, mentre mi aiutava a togliermi la collana, finché senza preavviso non mi avvolse le braccia attorno, posandomi le labbra sul collo. Il cuore mi fece un balzo nel petto, per la sorpresa e l’emozione.
Mi riempì di tanti piccoli baci e io mi sentii sempre più rintronata, mentre cercavo di appigliarmi a qualcosa di concreto.
“N-ninez, aspetta… non ho neppure fatto ancora il bagno…”
A questo mi rivolse un ghigno furbo tramite lo specchio.
“Indovina chi ci ha già pensato?”
Lo ringraziai tacitamente, valutando il fatto che fossimo relativamente ‘soli’, visto che A2 s’era portata via Vera per il solito week-end al lago e Sasha sembrava dormire come un ghiro.
Mentre ci pensavo su fu più rapido di me a bendarmi gli occhi, prima ancora che potessi reagire.
“Ninez, cosa -?”
“Ho una sorpresa per te.”
Sentivo che lo avesse fatto apposta a parlarmi direttamente nell’orecchio e a spingermi mettendo la mano giusto al centro della mia schiena, in un punto che lui conosceva troppo bene. Ma a parte la pelle d’oca che mi tradiva feci finta di nulla, lasciandomi guidare da lui.
Dai nostri spostamenti compresi che mi stesse conducendo verso il bagno e dopo pochi passi cominciai ad avvertire un buon odore.
“Vaniglia?” domandai stupita, inspirandolo a pieni polmoni.
Mormorò un consenso e si arrestò, accingendosi a togliermi con prudenza le forcine dai capelli, mentre io continuavo ad annusare l’aria.
“E qualcos’altro di floreale. Rose?” aggiunsi convinta.
“Il tuo olfatto è pazzesco” ridacchiò, stirandomi i capelli con le dita, prima di posarmi le mani sulle spalle e massaggiarmele. “Sei stanca?”
“Non molto.”
Stavo per aggiungere che il bagno lo avrei fatto volentieri, sennonché la voce mi morì in gola visto che le sue mani s’erano infilate sotto la mia camicetta.
“Ninez…” provai a richiamarlo, sentendomi mancare l’aria. Faceva più caldo lì o mi sbagliavo?
“Sì, 2B?”
L’aveva fatto di nuovo, con quel suo tono stucchevole. Rabbrividii e mi appigliai alle sue braccia, neppure io stessa capendo se volevo fermarlo o farlo proseguire nel suo percorso.
Mi leccò apposta dietro l’orecchio, altro mio punto debole, e mi sfiorò il petto con la sua solita delicatezza e precisione, mentre l’altra sua mano mi scivolava giù al centro dell’addome, fino al ventre. Mi sentii le gambe molli e vacillai, per cui lo spinsi via e mi tolsi la benda, ansante.
“Era tutto pianificato, vero?”
Lo trovai ridente, che si manteneva la pancia e copriva la bocca, ma ben presto mi mostrò soltanto un sorriso, ammettendo: “Sì, ma perché è un giorno importante.”
“Un giorno importante?”
Pensai a che data fosse e lui allungò una mano, facendomici poggiare la mia sopra, guidandomi verso la vasca. Sgranai occhi e bocca dinanzi a quelle piccole candele luminescenti al buio, che riuscivano, nonostante la fioca luce, ad illuminare tutti quei petali e quelle corolle di rose rosse.
“È il nove settembre” mi ricordò, facendomi provare una stretta al cuore.
Come avevo potuto non farci caso?
“Ci conosciamo da 25 anni, ci tenevo che fosse speciale anche stavolta.”
Dopo 15 anni ci eravamo ritrovati. Dopo 20 anni mi fece la prima sorpresa, organizzando un picnic sul lungomare, lasciando la piccola Vera dai nonni.
Erano già trascorsi 5 anni… Il tempo, con lui, sembrava volare.
“Ninez, grazie…” sussurrai commossa, sfiorandogli le dita. “Faresti il bagno con me?”
Si stese in un sorriso enorme, annuendo, baciandomi quella stessa mano sinistra.
Ci spogliammo così di tutto, tranne che di quegli anelli dorati che ci univano, e giocando con l’acqua e coi fiori ripercorremmo i sentieri delle nostre memorie.










 
Angolino autrice:
Ed eccoci alla fine di queste "three-shots".
Come avete notato, il gioco l'ho inserito come un gdr (poteva mai mancarci?); quindi, tra i bambini potrebbero esserci gli altri personaggi. 
Per quanto riguarda i termini giapponesi, i matsuri sono i festival e il kotatsu è quel tavolino basso riscaldato su cui viene posta una coperta o un futon in inverno. 
Qui ho inserito due nuovi nomi per i figli, Vera (da Veronika) e Sasha. Quando ho dovuto pensarli volevo qualche nome russo che contenesse la B (V in russo) e S, che richiamasse i fiori ma anche la loro storia. E così mi sono venuti in mente Veronika (nome di un fiore, significa "portatrice di vittoria/colei che conduce alla vittoria") e Sasha (diminutivo di Alessandro, quindi "protettore degli uomini"). Dovevano essere nomi positivi e dolci, per certi sensi (almeno qui volevo creare un'AU più felice di ogni altra cosa).
Detto questo, spero tanto che sia piaciuta questa piccola saga.
A presto! 
  
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