Death is Nothing at all¹
O
dolci spoglie, finché il destino e il dio lo permettevano,
accogliete
questa anima e scioglietemi da queste
preoccupazioni.
Ho
vissuto e ho percorso la via che mi aveva dato la
Fortuna,
e
ora la mia grande ombra andrà sotto le terre.
Edith
uscì dalla locanda respirando a pieni polmoni
l’aria mattutina, tastando con i
palmi l’antica porta decorata, per poi allungare il bastone
bianco fino alle scale,
muovendo un piccolo passo in avanti.
Dedusse
che fosse una giornata soleggiata, dalla luce che poteva percepire con
quei
suoi occhi ormai vuoti.
«Aspetta,
ti aiuto!».
Edwin
accorse a sorreggere la donna nell’arduo tentativo di
discendere la scalinata
esterna: Edith era incredibilmente perseverante e non avrebbe mai
accettato di
abbandonarsi totalmente all’aiuto del fratello.
«Sono
venuto fin qui da Amsterdam, mi vorrai almeno permettere di
aiutarti?».
La
donna sentì delle grandi mani sorreggerle la schiena,
aiutandola a raggiungere il
prato verde sottostante.
Tastò
infine il terreno col suo bastone, il viso illuminato da un ampio
sorriso.
«È
diventato davvero un bel posto» constatò Edwin,
ammirato dall’impegno che la
sorella aveva investito nella cura della locanda e della fattoria
circostante.
Un
acuto nitrito raggiunse l’udito di entrambi. L’uomo
intuì che nel lato ovest
dell’edificio dovevano trovarsi i cavalli che Edith aveva
menzionato la sera
prima, sapendo che erano un modo per far trascorrere ai clienti della
locanda
un fine settimana diverso dal solito.
Una
figura alta e sottile comparì da un angolo del cortile,
abbigliata in modo
sportivo.
«Buongiorno
tesoro» la salutò la donna sorridendo,
sorprendendo tutti i presenti.
La
nuova arrivata la salutò affettuosamente di rimando, per poi
avvicinarsi a Edwin,
scoccandogli tre baci sulle guance.
«A
volte ho la sensazione che stia solo fingendo» disse la
giovane in una dolce
risata.
La
sua famiglia era sempre stata così, indistruttibile davanti
alle avversità
della vita.
«Stamattina
pensavo di mostrare il bosco ai ragazzi» continuò
Dafne, prendendosi i capelli
tra le mani, attorcigliandoseli in una coda distorta.
«Perché
non li porti fino alla spiaggia? È una giornata
così bella e calda oggi»
sorrise Edith, volgendosi verso la figlia.
D’improvviso,
sulle scale comparve una figura dalla chioma color miele, raggiungendo
il
cortile con eleganza.
Indossava
un vestito niveo piuttosto corto e stretto in vita, decorato con un
motivo di
tulipani rosso fuoco.
Edwin
non poté fare a meno di notare quanto le due ragazze si
somigliassero e quanto
tempo fosse passato da quando lui stesso viveva in quella casa non
lontano dal
mare.
Provò
quasi rimorso al pensiero di essere fuggito per cercare più
possibilità
altrove.
Poi
si ricordò delle opportunità che la sua
città adottiva gli aveva offerto, della
moglie e dei figli che aveva generato e non poté che esserne
orgoglioso e
felice.
Anche
Nelith gli posò tre baci sulle guance, per poi domandargli
che cosa avesse
intenzione di fare quel giorno.
«È
una giornata splendida. Sai bene che potrebbe non durare a
lungo» sorrise la
ragazza, alta quasi quanto la sorella.
Edith
mosse un passo in avanti, sfregando il suo bastone bianco
sull’erba fresca, per
poi voltarsi nuovamente verso le figlie.
«Perché
non ci accompagnate al mare?» propose con il suo tipico
sorriso smagliante, che
il fratello le aveva da sempre invidiato.
Il
sorriso niveo e la solarità della donna conquistavano
tuttora ragazzi e uomini
di ogni età. Quella dentatura smagliante doveva essere
sicuramente un’eredità di
suo padre.
«Le
mie gambe sono ancora buone, sapete?». Edith sorrise ancora,
vivace come quel
tempo in cui raggiungeva la spiaggia soltanto per vedere il sole
affondare nell’oceano.
˷
Den
si svegliò col viso premuto sul petto nudo del ragazzo
coricato accanto a lui.
Si
mosse un poco, osservando il suo volto addormentato, i capelli color
cacao arruffati
e disseminati sul cuscino; quelle labbra rosate che non si sarebbe mai
stancato
di lambire.
Ormai
erano una coppia fissa da un anno e Rickard aveva finalmente deciso di
presentarlo alla sua famiglia, nonostante nessuno fosse a conoscenza
della loro
relazione.
Lo
vide muoversi supino, portandosi un braccio al ventre e schiudendo un
poco le
labbra.
Il
polline primaverile non gli dava tregua e, probabilmente, in quel luogo
immerso
nella natura, doveva fare fatica a respirare durante la notte.
Den
scivolò fuori dalle lenzuola cercando di non fare rumore,
infilandosi
velocemente i pantaloni del pigiama, scostando le tende alla veneziana
in modo
da poter vedere fuori.
Dafne
era già in piedi, nonostante fossero solamente le otto del
mattino. La vide guidare
un cavallo nella stalla sottostante, carezzandolo sul muso di tanto in
tanto.
Poi
sentì un paio di braccia roventi avvolgergli il petto nudo,
trascinandolo lievemente
all’indietro.
«Ti
ho svegliato?» sussurrò Den preoccupato, mentre il
giovane dietro di lui gli
disseminava dei leggeri baci sul collo.
Rickard
fece un cenno di diniego, trascinandolo con sé sul letto
disfatto.
Seguirono
intensi minuti di silenzio in cui Den, con il capo reclinato sul petto
del
compagno, era intento ad ascoltare i battiti del suo cuore, ripensando
a quella
volta in cui quel cuore aveva rischiato di non battere più.
Rickard
gli aveva raccontato di un rapimento, di pistole, di sangue. Ma quando
Den gli
aveva chiesto il motivo di tutto ciò, il compagno era
rimasto in silenzio.
Aveva intuito ci fosse di mezzo una ragazza, ma non aveva il coraggio
di
chiedergli chiarimenti. Se un tempo Rickard avesse amato una donna, Den
preferiva non saperlo.
«Mia
zia non è sempre stata cieca». Fu Rickard a
rompere il silenzio.
Il
suo cuore aumentò leggermente i battiti, ma Den non se ne
accorse. Alzò la
testa per osservarlo negli occhi.
«È
malata» continuò, con lo sguardo perso nel vuoto.
«I dottori non le hanno dato
più di un mese di vita».
La
donna non pareva malata, nonostante non camminasse molto bene per la
sua età.
Den
fece per domandargli qualcosa, ma qualcuno bussò
improvvisamente alla porta.
«Sveglia,
pigroni! Oggi si va al mare!».
˷
Cavalcare
un cavallo inizialmente è un po’ come sostare
sulla punta di una montagna,
terrorizzati all’idea di poter precipitare da un momento
all’altro. Quando
l’animale si mosse in direzione del bosco, a Den parve di
essere sul punto di perdere
l’equilibrio, ma nel corso della passeggiata si
adattò e gli parve quasi
comodo.
Si
chiese come fosse possibile che un solo cavallo potesse sopportare il
peso di
un giovane ragazzo sulla schiena senza alcuno sforzo apparente.
Il
bosco era fresco e silenzioso, ma la riva era calda e ventilata.
Sorprendentemente,
nessuno pareva essersi recato al mare quel giorno, complice forse anche
la
stagione, in cui la terra si stava ancora abituando ad accogliere il
vento
estivo e il calore del sole.
Vide
le due sorelle galoppare sulla spiaggia, ormai lontane. Rickard era
rimasto
poco più avanti, e il modo in cui guidava
l’animale gli suggerì lo avesse già
fatto in passato.
«Dafne
è come mia zia» lo sentì gridare. Il
mare pareva agitato e le sue onde erano
parecchio rumorose.
«Anche
lei amava andare a cavallo da bambina».
Den
si volse nella sua direzione, con le mani salde sulle briglie.
«E
tu come fai a saperlo?» rispose scherzosamente il
più giovane.
«Me
lo ha raccontato mio padre».
Lo
vide poi galoppare verso le cugine, tra risate e spensieratezza che le
ragazze
non avrebbero più avuto per molto tempo.
˷
Edith
ed Edwin camminarono a lungo quel giorno; lei gli mostrò la
loro città natia,
che lui aveva abbandonato più di vent’anni prima
alla disperata ricerca di una
vita migliore.
Edwin
aveva lavorato duramente per poter dare ai suoi tre figli un degno
futuro, com’era
effettivamente stato.
Osservò
attentamente tutto ciò che era diverso da come lo ricordava,
imprimendo nella
memoria le modifiche, faticando ad accettare i cambiamenti apportati.
Ormai
esausta dalle svariate ore che aveva trascorso in piedi, Edith prese
posto su
una panchina, la stessa su cui lei e i suoi fratelli si soffermavano la
sera
per osservare il tramonto, molti anni or sono.
Alle
loro spalle si ergeva imponente il borgo in cui avevano trascorso
l’infanzia,
bevendo dalla sua fontana e carezzando gli animali della zona.
Nonostante
fosse quasi estate, il mare del Nord era gelido e sguazzare
nell’acqua era
impensabile.
«Il
piccolo di casa è diventato un ometto ormai».
Fu
la donna a interrompere la quiete della sera, con lo sguardo rivolto
all’orizzonte.
«Rickard
ormai ha più di vent’anni» rispose Edwin
con un sorriso accennato,
evidentemente orgoglioso del suo ultimo figlio.
«Non
hai notato niente di strano?» continuò la donna,
poggiando stancamente la
schiena sul dorsale della panchina, puntando le pupille sul viso del
fratello.
Lei
non poteva notarlo, ma un’espressione confusa si dipinse sul
volto dell’uomo.
«Tuo
figlio è innamorato» continuò, non
ricevendo alcuna risposta.
Seguirono
istanti infiniti intrisi di un silenzio che portava con sé
tutti i ricordi
della giovinezza.
I
primi amori, le amicizie interrotte, le litigate e le risate fraterne.
Edwin
rammentava perfettamente il momento in cui comprese di essere
innamorato di sua
moglie.
«Spero
di conoscerla presto allora» sussurrò
l’uomo con un sorriso accennato. «Forse
si tratta di Sindy».
La
donna si volse nuovamente nella direzione del mare, schiudendo le
labbra in un
sorriso carico di dolcezza.
«Ho
un favore da chiederti, Edwin».
Edith
si tirò in avanti, prendendogli una mano tra le sue.
L’uomo ebbe l’impressione
che le dita fossero rimaste incastrate tra due blocchi di ghiaccio
posti uno
sopra l’altro.
«Ormai
so che non mi resta molto tempo» cominciò la
donna, con una perenne espressione
solare stampata in volto. «Quando morirò, voglio
che le persone a me più care
stiano sempre bene».
Le
lacrime cominciarono a sgorgare sui volti di entrambi ed Edwin quasi
ringraziò
il cielo che lei non potesse notarle.
«Tu
sei ancora giovane e hai dei figli meravigliosi che hanno bisogno di
te»
continuò Edith con voce tremante, «e anche i miei
figli hanno bisogno della tua
forza» sussurrò.
Poi
fece una breve pausa, asciugandosi le lacrime ancora sospese sulle
guance,
riprendendo la mano del fratello fra le sue.
«Voglio
che tu sappia che ti ho voluto molto bene».
Le
lacrime di Edith sfioravano le mani dell’uomo, mentre quelle
di Edwin blandivano
quelle della sorella, poggiate sopra le sue. Tentò di
trattenere un singhiozzo,
ma non ci riuscì.
«Sei
stato un fratello meraviglioso e nonostante te ne sia andato presto, io
ho
sempre potuto sentire la tua presenza. Sei l’unico che non si
è dimenticato di
me».
Edith
fece una nuova lunga e dolorosa pausa. Il cuore le doleva, come ormai
l’intero corpo.
Non
vedeva altro che buio, ma poteva immaginare chiaramente il volto
bagnato del
suo caro fratello, forse un po’ più invecchiato di
come se lo ricordava, forse
completamente cambiato.
Improvvisamente,
Edith strinse l’uomo in un abbraccio che Edwin
ricordò di aver ricevuto
solamente quando lasciò la sua terra alla volta della
città che lo aveva
cresciuto.
«Ti
ho amato tanto in questa vita e, se dovessimo rincontrarci, ti amerei
altrettanto anche nella prossima».
Con
queste parole, si abbandonarono entrambi a un pianto liberatorio, come
due
bambini al momento di porre forzatamente termine alla propria amicizia.
Come
due anime non ancora pronte a separarsi, si lasciarono andare
all’incertezza
del futuro senza di lei, alla puntualità della morte.
Se
Edith avesse potuto scegliere quando perire, avrebbe voluto fosse
lì, tra le braccia
di quel fratello, che, abbandonandola, l’aveva sempre portata
con sé.
˷
Edwin
la vide osservare l’orizzonte, domandandosi se potesse
realmente scrutare il
tramonto che si stagliava poco lontano da loro.
«Se
n’è andata la nebbia?»
domandò la donna, ormai del tutto ricomposta.
«Come
diavolo fai a sapere che c’è la nebbia?»
chiese lui, sempre più stupito
dall’acume che sua sorella aveva sviluppato.
«Sono
una donna piena di sorprese» sorrise Edith.
«Si
può comunque vedere il tramonto».
Edwin
sapeva che la sorella amava quel momento della giornata.
«Me
lo descriveresti?» domandò la donna, desiderosa di
vederlo, o perlomeno immaginarlo.
Edwin
rifletté a lungo su che cosa dire. Ogni parola gli pareva
troppo poco esaustiva
per il paesaggio che si presentava dinanzi a lui.
«Beh,
ecco… c’è qualche nuvola in cielo
e-».
«No
no!» lo interruppe lei, «sai che pretendo molto di
più».
Edwin
fece una lunga pausa, per poi accavallare le gambe e cominciare a
parlare.
«La
nebbia sembra voler trattenere a sé la luce aranciata del
sole che sprofonda
nell’acqua. Non riesce a nasconderlo, le onde si ribellano,
lo vogliono per sé e
si agitano, combattono spargendo sangue niveo come la spuma».
Edwin
si volse ad osservare il viso della sorella, che trovò
compiaciuto e con un
ampio sorriso sulle labbra.
La
sua apparente gioia lo spronò a continuare: «Il
sole non può che arrendersi alla
vista di questa battaglia per contendersi la sua bellezza. Continua a
tuffarsi nell’acqua
con lentezza, tentando di non dare troppo nell’occhio,
lasciando spazio alla
regina della notte, che ancora si nasconde appresso alle nuvole. La
nebbia la
reclamerà per sé, ma ella combatterà
come il suo compagno e domattina nel cielo
regnerà nuovamente la pace» terminò,
piuttosto fiero di ciò che era riuscito a
creare.
La
donna si volse verso di lui: «Grazie».
Edwin
non si sarebbe mai stufato di osservare il suo sorriso.
«Se
potessi vedere quanto sei bella, ti renderesti conto che un tramonto
brumoso non
è nulla in tuo confronto» sussurrò
l’uomo.
Nonostante
la malattia l’avesse colpita ancora giovane, i capelli dorati
di Edith non
erano mai stati tagliati e la sua pelle non pareva invecchiata di un
solo giorno.
Se
avesse potuto osservarsi allo specchio, avrebbe senz’altro
trovato qualche
difetto, senza notare la sua individuale bellezza.
«Smettila,
o penseranno tu mi voglia corteggiare» rise la donna,
sporgendosi in avanti.
«Sarò
sempre i tuoi occhi quando lo vorrai» sussurrò
Edwin, più a se stesso che alla
sorella.
Non
era certo che la donna lo avesse sentito, nonostante crederlo gli
facesse bene.
˷
«Ragazzi,
vorreste venire ad aiutarmi a cucinare?».
L’ultima
serata in famiglia stava per avere inizio e Dafne e Nelith si stavano
affrettando a preparare la cena.
Rickard
e Den le raggiunsero in cucina. Dafne porse loro un cesto traboccante
di patate
da sbucciare.
«Sai
che odio pelare le patate! Mi faccio sempre male!»
pigolò il più grande in tono
drammatico.
«Cugino,
è meglio tu ti metta a lavorare se vuoi mangiare»
lo rimproverò scherzosamente
la ragazza, «altrimenti niente patatine fritte per
te!» sorrise.
Si
sedettero tutti e tre al tavolo e cominciarono a preparare la cena.
«Posso
chiedervi perché avete deciso di dormire insieme, ragazzi?
Abbiamo ancora tante
stanze libere» disse innocentemente la giovane, masticando
rumorosamente una
gomma.
Scambiandosi
degli sguardi furtivi, Rickard e Den incontrarono infine quello della
ragazza,
che li guardò stranita.
«Perché
non mi raccontate un po’ di voi invece?» propose
Den, riuscendo in qualche modo
a trasferire l’attenzione su altro.
Nelith
comparì dal cucinino per prendere le patate sbucciate da
lavare e tagliare.
«Che
cosa vuoi sapere di preciso?».
Den
ci pensò su qualche istante.
«Quanti
anni avete, ad esempio» azzardò.
«Non
è carino chiedere l’età ad una
signora» rispose Dafne in tono serio, per poi
scoppiare in una risata. «Siamo gemelle e abbiamo la stessa
età del tuo amico
qui di fronte» sorrisero entrambe.
«Siete
delle vecchiette allora» sorrise Den, cominciando ad
abituarsi alla cordialità
di quelle persone. Era sicuramente l’idea più
vicina al vago concetto di
famiglia che si era creato.
«Anche
io ho un fratello gemello» continuò il ragazzo.
Vide
le giovani osservarlo stupite.
«Ma
ora… è tornato a casa»
sussurrò, tentando di mantenere un tono più
neutro
possibile.
Nel
frattempo, nel salotto Edith e Edwin si scaldavano intorno al fuoco.
Nonostante
l’estate non fosse lontana, la sera faceva ancora molto
freddo in quella zona
vicino al mare.
«Ti
ricordi quando mamma ci sgridava perché accendevamo il fuoco
di nascosto?»
sorrise Edith, sporgendosi verso il braciere.
«Eravamo
terribili!» confermò Edwin ridendo.
Passarono
alcuni minuti di silenzio, in cui l’unico rumore che era
possibile udire era
quello del legno che ardeva e le voci che provenivano dalla cucina.
«Posso
chiederti una cosa?». Stavolta fu l’uomo a rompere
il silenzio.
La
vide volgersi verso di lui con un sorriso.
«Quello
che hai detto su Rickard… come facevi a saperlo?».
Subito
un’espressione smarrita comparve sul volto della donna.
«Hai
detto che lo trovi cresciuto e innamorato» le
rammentò il fratello, «ma come
fai a saperlo se non puoi vederlo?».
Un
ampio sorriso sereno si dipinse sul volto della donna.
«Tesoro,
l’amore non si vede certo con gli occhi» gli
rispose in tono divertito.
Edwin
ci rifletté un poco su: la sorella in fondo aveva ragione.
Ma
se lo aveva capito lei, perché lui non si era accorto di
nulla?
Decise
d’istinto che glielo avrebbe chiesto sulla strada del ritorno.
«Secondo
te andremo all’inferno?» gli chiese Edith,
distogliendolo dai suoi pensieri
confusi.
Edwin
sorrise: «Io sicuramente». Una profonda risata
coinvolse entrambi.
«Mi
ci immagini? Io davanti a Lucifero a recitare: “Ti saluto, o
Satana, o
ribellione, o forza vendicatrice della ragione!”²
e lui che mi scaraventa tra le fiamme».
Risero
nuovamente, come quando erano bambini, quasi dimenticando il mondo che
li
circondava.
Risero
come se il domani non esistesse più. Furono istanti infiniti
in cui entrambi riscoprirono,
per l’ultima volta, la gioia della vita, nella morte.
¹
Citazione
tratta dall’omonima poesia di Henry Scott Holland, teologo e
scrittore
britannico.