Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Sabriel Schermann    25/10/2019    12 recensioni
Edith ed Edwin si abbandonarono a un pianto liberatorio, come due bambini al momento di porre forzatamente termine alla propria amicizia.
Come due anime non ancora pronte a separarsi, si lasciarono andare all’incertezza del futuro senza di lei, alla puntualità della morte.
Se Edith avesse potuto scegliere quando perire, avrebbe voluto fosse lì, tra le braccia di quel fratello, che, abbandonandola, l’aveva sempre portata con sé.
[Storia classificata al terzo posto al contest "I miei undici libri" indetto da Claireroxy sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La Casa di Cristallo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Death is Nothing at all¹

 

 

 

 

 

 

O dolci spoglie, finché il destino e il dio lo permettevano,
accogliete questa anima e scioglietemi da queste preoccupazioni.
Ho vissuto e ho percorso la via che mi aveva dato la Fortuna,
e ora la mia grande ombra andrà sotto le terre.

(Virgilio - Eneide)

 

 

 

 

 

 

Edith uscì dalla locanda respirando a pieni polmoni l’aria mattutina, tastando con i palmi l’antica porta decorata, per poi allungare il bastone bianco fino alle scale, muovendo un piccolo passo in avanti.
Dedusse che fosse una giornata soleggiata, dalla luce che poteva percepire con quei suoi occhi ormai vuoti.
«Aspetta, ti aiuto!».
Edwin accorse a sorreggere la donna nell’arduo tentativo di discendere la scalinata esterna: Edith era incredibilmente perseverante e non avrebbe mai accettato di abbandonarsi totalmente all’aiuto del fratello.
«Sono venuto fin qui da Amsterdam, mi vorrai almeno permettere di aiutarti?».
La donna sentì delle grandi mani sorreggerle la schiena, aiutandola a raggiungere il prato verde sottostante.
Tastò infine il terreno col suo bastone, il viso illuminato da un ampio sorriso.
«È diventato davvero un bel posto» constatò Edwin, ammirato dall’impegno che la sorella aveva investito nella cura della locanda e della fattoria circostante.
Un acuto nitrito raggiunse l’udito di entrambi. L’uomo intuì che nel lato ovest dell’edificio dovevano trovarsi i cavalli che Edith aveva menzionato la sera prima, sapendo che erano un modo per far trascorrere ai clienti della locanda un fine settimana diverso dal solito.
Una figura alta e sottile comparì da un angolo del cortile, abbigliata in modo sportivo.
«Buongiorno tesoro» la salutò la donna sorridendo, sorprendendo tutti i presenti.
La nuova arrivata la salutò affettuosamente di rimando, per poi avvicinarsi a Edwin, scoccandogli tre baci sulle guance.
«A volte ho la sensazione che stia solo fingendo» disse la giovane in una dolce risata.
La sua famiglia era sempre stata così, indistruttibile davanti alle avversità della vita.
«Stamattina pensavo di mostrare il bosco ai ragazzi» continuò Dafne, prendendosi i capelli tra le mani, attorcigliandoseli in una coda distorta.
«Perché non li porti fino alla spiaggia? È una giornata così bella e calda oggi» sorrise Edith, volgendosi verso la figlia.
D’improvviso, sulle scale comparve una figura dalla chioma color miele, raggiungendo il cortile con eleganza.
Indossava un vestito niveo piuttosto corto e stretto in vita, decorato con un motivo di tulipani rosso fuoco.
Edwin non poté fare a meno di notare quanto le due ragazze si somigliassero e quanto tempo fosse passato da quando lui stesso viveva in quella casa non lontano dal mare.
Provò quasi rimorso al pensiero di essere fuggito per cercare più possibilità altrove.
Poi si ricordò delle opportunità che la sua città adottiva gli aveva offerto, della moglie e dei figli che aveva generato e non poté che esserne orgoglioso e felice.
Anche Nelith gli posò tre baci sulle guance, per poi domandargli che cosa avesse intenzione di fare quel giorno.
«È una giornata splendida. Sai bene che potrebbe non durare a lungo» sorrise la ragazza, alta quasi quanto la sorella.
Edith mosse un passo in avanti, sfregando il suo bastone bianco sull’erba fresca, per poi voltarsi nuovamente verso le figlie.
«Perché non ci accompagnate al mare?» propose con il suo tipico sorriso smagliante, che il fratello le aveva da sempre invidiato.
Il sorriso niveo e la solarità della donna conquistavano tuttora ragazzi e uomini di ogni età. Quella dentatura smagliante doveva essere sicuramente un’eredità di suo padre.
«Le mie gambe sono ancora buone, sapete?». Edith sorrise ancora, vivace come quel tempo in cui raggiungeva la spiaggia soltanto per vedere il sole affondare nell’oceano.

 

˷

 

Den si svegliò col viso premuto sul petto nudo del ragazzo coricato accanto a lui.
Si mosse un poco, osservando il suo volto addormentato, i capelli color cacao arruffati e disseminati sul cuscino; quelle labbra rosate che non si sarebbe mai stancato di lambire.
Ormai erano una coppia fissa da un anno e Rickard aveva finalmente deciso di presentarlo alla sua famiglia, nonostante nessuno fosse a conoscenza della loro relazione.
Lo vide muoversi supino, portandosi un braccio al ventre e schiudendo un poco le labbra.
Il polline primaverile non gli dava tregua e, probabilmente, in quel luogo immerso nella natura, doveva fare fatica a respirare durante la notte.
Den scivolò fuori dalle lenzuola cercando di non fare rumore, infilandosi velocemente i pantaloni del pigiama, scostando le tende alla veneziana in modo da poter vedere fuori.
Dafne era già in piedi, nonostante fossero solamente le otto del mattino. La vide guidare un cavallo nella stalla sottostante, carezzandolo sul muso di tanto in tanto.
Poi sentì un paio di braccia roventi avvolgergli il petto nudo, trascinandolo lievemente all’indietro.
«Ti ho svegliato?» sussurrò Den preoccupato, mentre il giovane dietro di lui gli disseminava dei leggeri baci sul collo.
Rickard fece un cenno di diniego, trascinandolo con sé sul letto disfatto.
Seguirono intensi minuti di silenzio in cui Den, con il capo reclinato sul petto del compagno, era intento ad ascoltare i battiti del suo cuore, ripensando a quella volta in cui quel cuore aveva rischiato di non battere più.
Rickard gli aveva raccontato di un rapimento, di pistole, di sangue. Ma quando Den gli aveva chiesto il motivo di tutto ciò, il compagno era rimasto in silenzio. Aveva intuito ci fosse di mezzo una ragazza, ma non aveva il coraggio di chiedergli chiarimenti. Se un tempo Rickard avesse amato una donna, Den preferiva non saperlo.
«Mia zia non è sempre stata cieca». Fu Rickard a rompere il silenzio.
Il suo cuore aumentò leggermente i battiti, ma Den non se ne accorse. Alzò la testa per osservarlo negli occhi.
«È malata» continuò, con lo sguardo perso nel vuoto. «I dottori non le hanno dato più di un mese di vita».
La donna non pareva malata, nonostante non camminasse molto bene per la sua età.
Den fece per domandargli qualcosa, ma qualcuno bussò improvvisamente alla porta.
«Sveglia, pigroni! Oggi si va al mare!».

 

˷

 

Cavalcare un cavallo inizialmente è un po’ come sostare sulla punta di una montagna, terrorizzati all’idea di poter precipitare da un momento all’altro. Quando l’animale si mosse in direzione del bosco, a Den parve di essere sul punto di perdere l’equilibrio, ma nel corso della passeggiata si adattò e gli parve quasi comodo.
Si chiese come fosse possibile che un solo cavallo potesse sopportare il peso di un giovane ragazzo sulla schiena senza alcuno sforzo apparente.
Il bosco era fresco e silenzioso, ma la riva era calda e ventilata.
Sorprendentemente, nessuno pareva essersi recato al mare quel giorno, complice forse anche la stagione, in cui la terra si stava ancora abituando ad accogliere il vento estivo e il calore del sole.
Vide le due sorelle galoppare sulla spiaggia, ormai lontane. Rickard era rimasto poco più avanti, e il modo in cui guidava l’animale gli suggerì lo avesse già fatto in passato.
«Dafne è come mia zia» lo sentì gridare. Il mare pareva agitato e le sue onde erano parecchio rumorose.
«Anche lei amava andare a cavallo da bambina».
Den si volse nella sua direzione, con le mani salde sulle briglie.
«E tu come fai a saperlo?» rispose scherzosamente il più giovane.
«Me lo ha raccontato mio padre».
Lo vide poi galoppare verso le cugine, tra risate e spensieratezza che le ragazze non avrebbero più avuto per molto tempo.

 

˷

 

Edith ed Edwin camminarono a lungo quel giorno; lei gli mostrò la loro città natia, che lui aveva abbandonato più di vent’anni prima alla disperata ricerca di una vita migliore.
Edwin aveva lavorato duramente per poter dare ai suoi tre figli un degno futuro, com’era effettivamente stato.
Osservò attentamente tutto ciò che era diverso da come lo ricordava, imprimendo nella memoria le modifiche, faticando ad accettare i cambiamenti apportati.
Ormai esausta dalle svariate ore che aveva trascorso in piedi, Edith prese posto su una panchina, la stessa su cui lei e i suoi fratelli si soffermavano la sera per osservare il tramonto, molti anni or sono.
Alle loro spalle si ergeva imponente il borgo in cui avevano trascorso l’infanzia, bevendo dalla sua fontana e carezzando gli animali della zona.
Nonostante fosse quasi estate, il mare del Nord era gelido e sguazzare nell’acqua era impensabile.
«Il piccolo di casa è diventato un ometto ormai».
Fu la donna a interrompere la quiete della sera, con lo sguardo rivolto all’orizzonte.
«Rickard ormai ha più di vent’anni» rispose Edwin con un sorriso accennato, evidentemente orgoglioso del suo ultimo figlio.
«Non hai notato niente di strano?» continuò la donna, poggiando stancamente la schiena sul dorsale della panchina, puntando le pupille sul viso del fratello.
Lei non poteva notarlo, ma un’espressione confusa si dipinse sul volto dell’uomo.
«Tuo figlio è innamorato» continuò, non ricevendo alcuna risposta.
Seguirono istanti infiniti intrisi di un silenzio che portava con sé tutti i ricordi della giovinezza.
I primi amori, le amicizie interrotte, le litigate e le risate fraterne. Edwin rammentava perfettamente il momento in cui comprese di essere innamorato di sua moglie.
«Spero di conoscerla presto allora» sussurrò l’uomo con un sorriso accennato. «Forse si tratta di Sindy».
La donna si volse nuovamente nella direzione del mare, schiudendo le labbra in un sorriso carico di dolcezza.
«Ho un favore da chiederti, Edwin».
Edith si tirò in avanti, prendendogli una mano tra le sue. L’uomo ebbe l’impressione che le dita fossero rimaste incastrate tra due blocchi di ghiaccio posti uno sopra l’altro.
«Ormai so che non mi resta molto tempo» cominciò la donna, con una perenne espressione solare stampata in volto. «Quando morirò, voglio che le persone a me più care stiano sempre bene».
Le lacrime cominciarono a sgorgare sui volti di entrambi ed Edwin quasi ringraziò il cielo che lei non potesse notarle.
«Tu sei ancora giovane e hai dei figli meravigliosi che hanno bisogno di te» continuò Edith con voce tremante, «e anche i miei figli hanno bisogno della tua forza» sussurrò.
Poi fece una breve pausa, asciugandosi le lacrime ancora sospese sulle guance, riprendendo la mano del fratello fra le sue.
«Voglio che tu sappia che ti ho voluto molto bene».
Le lacrime di Edith sfioravano le mani dell’uomo, mentre quelle di Edwin blandivano quelle della sorella, poggiate sopra le sue. Tentò di trattenere un singhiozzo, ma non ci riuscì.
«Sei stato un fratello meraviglioso e nonostante te ne sia andato presto, io ho sempre potuto sentire la tua presenza. Sei l’unico che non si è dimenticato di me».
Edith fece una nuova lunga e dolorosa pausa. Il cuore le doleva, come ormai l’intero corpo.
Non vedeva altro che buio, ma poteva immaginare chiaramente il volto bagnato del suo caro fratello, forse un po’ più invecchiato di come se lo ricordava, forse completamente cambiato.
Improvvisamente, Edith strinse l’uomo in un abbraccio che Edwin ricordò di aver ricevuto solamente quando lasciò la sua terra alla volta della città che lo aveva cresciuto.
«Ti ho amato tanto in questa vita e, se dovessimo rincontrarci, ti amerei altrettanto anche nella prossima».
Con queste parole, si abbandonarono entrambi a un pianto liberatorio, come due bambini al momento di porre forzatamente termine alla propria amicizia.
Come due anime non ancora pronte a separarsi, si lasciarono andare all’incertezza del futuro senza di lei, alla puntualità della morte.
Se Edith avesse potuto scegliere quando perire, avrebbe voluto fosse lì, tra le braccia di quel fratello, che, abbandonandola, l’aveva sempre portata con sé.

 

˷

 

Edwin la vide osservare l’orizzonte, domandandosi se potesse realmente scrutare il tramonto che si stagliava poco lontano da loro.
«Se n’è andata la nebbia?» domandò la donna, ormai del tutto ricomposta.
«Come diavolo fai a sapere che c’è la nebbia?» chiese lui, sempre più stupito dall’acume che sua sorella aveva sviluppato.
«Sono una donna piena di sorprese» sorrise Edith.
«Si può comunque vedere il tramonto».
Edwin sapeva che la sorella amava quel momento della giornata.
«Me lo descriveresti?» domandò la donna, desiderosa di vederlo, o perlomeno immaginarlo.
Edwin rifletté a lungo su che cosa dire. Ogni parola gli pareva troppo poco esaustiva per il paesaggio che si presentava dinanzi a lui.
«Beh, ecco… c’è qualche nuvola in cielo e-».
«No no!» lo interruppe lei, «sai che pretendo molto di più».
Edwin fece una lunga pausa, per poi accavallare le gambe e cominciare a parlare.
«La nebbia sembra voler trattenere a sé la luce aranciata del sole che sprofonda nell’acqua. Non riesce a nasconderlo, le onde si ribellano, lo vogliono per sé e si agitano, combattono spargendo sangue niveo come la spuma».
Edwin si volse ad osservare il viso della sorella, che trovò compiaciuto e con un ampio sorriso sulle labbra.
La sua apparente gioia lo spronò a continuare: «Il sole non può che arrendersi alla vista di questa battaglia per contendersi la sua bellezza. Continua a tuffarsi nell’acqua con lentezza, tentando di non dare troppo nell’occhio, lasciando spazio alla regina della notte, che ancora si nasconde appresso alle nuvole. La nebbia la reclamerà per sé, ma ella combatterà come il suo compagno e domattina nel cielo regnerà nuovamente la pace» terminò, piuttosto fiero di ciò che era riuscito a creare.
La donna si volse verso di lui: «Grazie».
Edwin non si sarebbe mai stufato di osservare il suo sorriso.
«Se potessi vedere quanto sei bella, ti renderesti conto che un tramonto brumoso non è nulla in tuo confronto» sussurrò l’uomo.
Nonostante la malattia l’avesse colpita ancora giovane, i capelli dorati di Edith non erano mai stati tagliati e la sua pelle non pareva invecchiata di un solo giorno.
Se avesse potuto osservarsi allo specchio, avrebbe senz’altro trovato qualche difetto, senza notare la sua individuale bellezza.
«Smettila, o penseranno tu mi voglia corteggiare» rise la donna, sporgendosi in avanti.
«Sarò sempre i tuoi occhi quando lo vorrai» sussurrò Edwin, più a se stesso che alla sorella.
Non era certo che la donna lo avesse sentito, nonostante crederlo gli facesse bene.

 

˷

 

«Ragazzi, vorreste venire ad aiutarmi a cucinare?».
L’ultima serata in famiglia stava per avere inizio e Dafne e Nelith si stavano affrettando a preparare la cena.
Rickard e Den le raggiunsero in cucina. Dafne porse loro un cesto traboccante di patate da sbucciare.
«Sai che odio pelare le patate! Mi faccio sempre male!» pigolò il più grande in tono drammatico.
«Cugino, è meglio tu ti metta a lavorare se vuoi mangiare» lo rimproverò scherzosamente la ragazza, «altrimenti niente patatine fritte per te!» sorrise.
Si sedettero tutti e tre al tavolo e cominciarono a preparare la cena.
«Posso chiedervi perché avete deciso di dormire insieme, ragazzi? Abbiamo ancora tante stanze libere» disse innocentemente la giovane, masticando rumorosamente una gomma.
Scambiandosi degli sguardi furtivi, Rickard e Den incontrarono infine quello della ragazza, che li guardò stranita.
«Perché non mi raccontate un po’ di voi invece?» propose Den, riuscendo in qualche modo a trasferire l’attenzione su altro.
Nelith comparì dal cucinino per prendere le patate sbucciate da lavare e tagliare.
«Che cosa vuoi sapere di preciso?».
Den ci pensò su qualche istante.
«Quanti anni avete, ad esempio» azzardò.
«Non è carino chiedere l’età ad una signora» rispose Dafne in tono serio, per poi scoppiare in una risata. «Siamo gemelle e abbiamo la stessa età del tuo amico qui di fronte» sorrisero entrambe.
«Siete delle vecchiette allora» sorrise Den, cominciando ad abituarsi alla cordialità di quelle persone. Era sicuramente l’idea più vicina al vago concetto di famiglia che si era creato.
«Anche io ho un fratello gemello» continuò il ragazzo.
Vide le giovani osservarlo stupite.
«Ma ora… è tornato a casa» sussurrò, tentando di mantenere un tono più neutro possibile.
Nel frattempo, nel salotto Edith e Edwin si scaldavano intorno al fuoco.
Nonostante l’estate non fosse lontana, la sera faceva ancora molto freddo in quella zona vicino al mare.
«Ti ricordi quando mamma ci sgridava perché accendevamo il fuoco di nascosto?» sorrise Edith, sporgendosi verso il braciere.
«Eravamo terribili!» confermò Edwin ridendo.
Passarono alcuni minuti di silenzio, in cui l’unico rumore che era possibile udire era quello del legno che ardeva e le voci che provenivano dalla cucina.
«Posso chiederti una cosa?». Stavolta fu l’uomo a rompere il silenzio.
La vide volgersi verso di lui con un sorriso.
«Quello che hai detto su Rickard… come facevi a saperlo?».
Subito un’espressione smarrita comparve sul volto della donna.
«Hai detto che lo trovi cresciuto e innamorato» le rammentò il fratello, «ma come fai a saperlo se non puoi vederlo?».
Un ampio sorriso sereno si dipinse sul volto della donna.
«Tesoro, l’amore non si vede certo con gli occhi» gli rispose in tono divertito.
Edwin ci rifletté un poco su: la sorella in fondo aveva ragione.
Ma se lo aveva capito lei, perché lui non si era accorto di nulla?
Decise d’istinto che glielo avrebbe chiesto sulla strada del ritorno.
«Secondo te andremo all’inferno?» gli chiese Edith, distogliendolo dai suoi pensieri confusi.
Edwin sorrise: «Io sicuramente». Una profonda risata coinvolse entrambi.
«Mi ci immagini? Io davanti a Lucifero a recitare: “Ti saluto, o Satana, o ribellione, o forza vendicatrice della ragione!”² e lui che mi scaraventa tra le fiamme».
Risero nuovamente, come quando erano bambini, quasi dimenticando il mondo che li circondava.
Risero come se il domani non esistesse più. Furono istanti infiniti in cui entrambi riscoprirono, per l’ultima volta, la gioia della vita, nella morte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ Citazione tratta dall’omonima poesia di Henry Scott Holland, teologo e scrittore britannico.

² Parafrasi dei versi 193-196 della poesia “Inno a Satana” di Giosué Carducci.


   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Sabriel Schermann