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Autore: channy_the_loner    25/10/2019    1 recensioni
Ogni storia d’Amore degna di essere raccontata comincia con il fiabesco C’era una volta.
Ma se vi parlassi di vampiri, spiriti, guerra, salvezza, maledizioni, sacrifici, tentazioni e paura, l’Amore sarebbe ancora così puro?
Loro non sono affatto innocenti fanciulle in attesa del principe azzurro; una giovane giornalista, una sorella protettiva, un’atleta ottimista, una superstiziosa combattente, una tenera fifona e una silenziosa malinconica, nient’altro che sei normali ragazze appartenenti a mondi totalmente diversi, ma accomunate dallo stesso Destino. Saranno costrette ad affrontare un viaggio attraverso l’Inconcepibile, dove tutto è permesso, per scoprire la loro vera identità; oltre il Normale, le certezze crollano e s’innalzano i dubbi, muri e muri di fragilità, ma dietro l’angolo ci sono anche motivi per abbatterli.
Si può davvero vivere per sempre felici e contenti, quando l’esistenza non è altro che un accumulo di dolore e lacrime? Quanto deve essere forte, l’Amore, per far nascere un sorriso nonostante tutto il resto? E infine, la Vita è un libro già scritto, o è il suo protagonista a prendere le redini del gioco?
-IN REVISIONE-
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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-PAIN AND SOMETHING RED.

 

 

Un urlo squarciò l’aria presente nella stanza, l’ennesimo di una lunga serie di sofferenze. Del sangue scarlatto le scivolò lungo tutta la guancia, sgorgante da un taglio poco più in basso della tempia destra.

«Ancora non ti decidi a parlare?»

Si costrinse ad ignorare il bruciore provocato dalla ferita e mostrò all’uomo un sorriso di sfida. «Ancora non hai capito che è tutto inutile?»

Il rumore acuto di uno schiaffo si levò. «Sta’ zitta, puttana. Puoi aprire quella boccaccia solo per sputare il rospo.»

Accusò silenziosamente il colpo e si portò una mano allo stomaco, dove pochi minuti prima aveva ricevuto un pugno. Violenza fisica, violenza psicologica – stava subendo quelle angherie da quanto tempo? Non lo sapeva, aveva perso il conto delle ore che stava passando rinchiusa tra quelle mura di cemento; dopo sedici giorni di prigionia, durante i quali aveva potuto osservare il sole sorgere e tramontare regolarmente, dalla cella di resistente acciaio che la ospitava era stata condotta in quella stanza troppo ampia e troppo vuota, nella quale era iniziata la sua sofferenza corporea. I calci e le lame non erano stati abbastanza minacciosi per indurla a urlare ai suoi aguzzini tutto ciò che sapeva, pertanto era stata sottoposta ad un altro metodo di estorsione, decisamente più potente. Non le faceva paura la Morte, piuttosto le conseguenze che ci sarebbero state se si fosse lasciata sfuggire anche una singola sillaba ma, d’altro canto, l’ultima cosa che desiderava era sottoporre a quell’immenso dolore qualcuno che non aveva colpe.

Il paio di occhi color ghiaccio dell’animo innocente si posarono su di lei. Un sussurro le giunse alle orecchie: «Ti prego, non lasciarti vincere.»

Respinse le lacrime e annuì appena; non avrebbe ceduto, non avrebbe mollato, non avrebbe permesso loro di trionfare.

Lui alzò nuovamente il braccio, tuttavia il colpo non arrivò poiché interrotto dall’apertura di una porta; si girarono verso l’ingresso e videro una figura snella entrare nella sala. Quest’ultima accennò un sorriso di circostanza. «Novità?»

Il criminale sputò a terra. «Zero. La principessina non vuole saperne di confessare.»

Il giovane arrivato arricciò le labbra, dispiaciuto. «Io ho trovato qualcosa.» Gli porse un’istantanea stampata recentemente e disse: «Potrebbero essere loro.»

L’altro non perse tempo e mostrò la fotografia alla fanciulla. Lei sgranò gli occhi, incredula di ciò che stava osservando – non credeva che fossero arrivate così in fretta; sei ragazze di età compresa tra i diciotto e i ventitré anni camminavano per le vie del centro di Vamutsuchiin, tutte loro con delle buste tra le mani tranne due, poiché la prima stava sorreggendo la seconda, addormentata sulla sua schiena. Seppur in fermo-immagine, i loro caratteri, i loro modi di essere, le loro voci riuscivano a trasparire, a mostrarsi ai presenti in quella stanza colma di sofferenza.

«La tua espressione dice tutto. Hai fatto tombola, ragazzo.»

«No, aspettate!» urlò, tentando di coprire il tremolio del suo corpo. «Io queste qui non le conosco, è la prima volta che le vedo.»

«Smettila di dire stronzate!»

Percepì una nuova manata, la quale fece un po’ più male rispetto alle precedenti, forse per la consapevolezza di essere in trappola. Il torturatore abbandonò la stanza e prese a dirigersi verso l’ufficio del Capo, lasciando la prigioniera in compagnia del pedinatore. Quest’ultimo si guardò attorno per accettarsi di non essere udito da nessun altro, poi sussurrò: «Presto finirà.»

La ragazza negò con la testa, sconsolata. «È appena iniziata.»

 

 

***

 

 

«Propongo una foto di gruppo.»

«Perché?»

«Ma come perché? Dai un’occhiata allo specchio. Siamo bellissime! Non ci ricapiterà mai più di indossare vestiti così costosi.»

«Devo ricordarti che i nostri cellulari sono rimasti a casa nostra con le nostre anime?»

«Diamine, è vero. E non c’è una macchina fotografica, una polaroid o qualcosa del genere in questa ricchissima reggia?»

«Temo di no.»

«Andiamo, sposina, non mettere il muso. Quando arriveremo al castello ci faremo fare dei ritratti.»

«È vero che sono ospitali e tutto, ma non credo che arrivino a farci un dipinto a testa.»

«Allora ce ne faremo fare solo uno e poi decideremo chi se lo terrà giocando alla morra cinese.»

«Non cambia niente.»

«Smettila di rovinare sempre tutto, Selly.»

«Comunicazione di servizio super urgente! Cercare una macchina fotografica! Ripeto, cercare una macchina fotografica!» Il suono del citofono la fece sobbalzare. «CHI CAVOLO È?!»

Selena si avvicinò all’apparecchio di chiamata e rispose, poi attese qualche secondo e riagganciò la linea. «È la carrozza.»

«Abbiamo una carrozza?»

«Abbiamo una carrozza! Abbiamo avuto le parrucchiere e le estetiste, perciò perché non avere anche una carrozza?!»

Harumi si mise a ridere. «Hai il ciclo, Tara?»

La ragazza dai capelli rosa sospirò. «In realtà è in ritardo.» Dopo pochi attimi scattò nuovamente sull’attenti. «E se quell’idiota mi avesse stuprata nel sonno e adesso fossi incinta?»

«Ma non dire sciocchezze, sarà solo un normale ritardo.»

«Non scherzate con le mestruazioni, per favore» disse Yui con un fil di voce, per poi finire di bere un bicchiere di acqua e antidolorifico.

«Scusatemi ragazze, sono nervosa.»

Kin e Miki si avvicinarono all’amica; mentre la prima le mise una mano sulla spalla, la castana le sussurrò: «Andrà tutto bene, okay? Adesso andiamo a Corte, conosciamo il re e qualche altro pezzo grosso, passiamo un po’ di tempo con i ragazzi e poi ce ne torniamo a casa. Non impressionarti.»

Tara sorrise appena. «Hai ragione, Miki-chan. Non mi sto per niente comportando in modo maturo. Adesso mi calmo.» Le bastarono pochi respiri profondi per tornare ad essere ragionevole. Si alzò dal divano e si armò del paio di tacchi bianchi, l’unico colore che era riuscita ad abbinare all’elegante e sobrio abito da sera verde scuro – seppur la lunghezza della gonna coprisse le calzature –, per poi avvicinarsi all’uscio principale dell’appartamento ed uscire, seguita dalle altre. Nonostante si trovassero al secondo piano e che pertanto le rampe di scale da scendere fossero solamente quattro, in coro maledissero la palazzina per non essere fornita di un ascensore poiché non volevano assolutamente affaticarsi ancor prima di giungere al castello dei Sakamaki; certamente il pomeriggio precedente avevano avuto modo di scegliere delle scarpe sicuramente comode dato il loro costo, ma per alcune di loro – in realtà solo Harumi, ma qualcun’altra aveva mentito per non farla sentire sola – camminare su quelli che tanto sembravano trampoli da circo risultava un’impresa quasi impossibile. L’unica tra loro che sembrava essere più agevolata era Miki, allegramente zampettante sulle sue semplici parigine color confetto; la castana, data la sua abitudine ad indossare calzature che le permettessero di raggiungere un metro e sessantotto – specialmente quando prendeva parte alle eleganti cene organizzate dai colleghi di suo padre –, per quella serata importante aveva scelto un tacco basso e decisamente non adatto per quel genere di evento, però nel suo cuore palpitante aveva quasi paura di risultare più alta del suo accompagnatore – sempre se avesse potuto definirlo in quella maniera.

Uscirono dal piccolo condominio sotto gli occhi del portinaio – pareva lavorasse solo durante la notte – e rabbrividirono per la bassa temperatura che, in un singolo istante, era riuscita a penetrare nelle loro ossa, passando per le braccia, le mani e le scollature più e meno generose; nessuna di loro era particolarmente propensa a mostrare in pubblico le proprie curve, ma quasi tutte avevano deciso di chiudere entrambi gli occhi, poiché quello di non poter mai più partecipare ad un evento di quella portata era un dato di fatto, e allora perché ignorare il desiderio di sentirsi più belle che mai? Che importava se si trovavano nella terra dei predatori di esseri umani? Ai loro colli spiccavano i sottili collari che i sei fratelli si erano appositamente procurati per marcare il territorio – nessuno oltre loro si sarebbe dovuto azzardare ad incidere quelle pelli con dei canini; le ragazze detestavano la possessività dei giovani Sakamaki, ma quella volta sarebbe stata proprio quella gelosia a permettere loro di sopravvivere in quello che ai loro occhi era un campo minato. Solamente Selena si pentì dell’acquisto della propria veste, in quanto non avrebbe mai potuto immaginare che, nonostante fosse estate, nel Regno di Vamutsuchiin le stagioni fossero quasi del tutto inesistenti data la scarsa sensibilità dei vampiri in campo di temperature; infatti il tubino della blu le lasciava scoperte le gambe tremanti, già adocchiate da un passante avente l’aria di un semplice cittadino con delle buste di plastica contenenti presumibilmente dei pezzi di ricambio per qualche apparecchio elettronico. Ignorò il paio di occhi famelici e si concentrò sulla vettura parcheggiata sul ciglio della strada, rimanendo sbalordita esattamente come le sue amiche: sei cavalli bianchi e un cocchiere vestito di tutto punto trainavano una carrozza alta e ampia, colma di decorazioni dorate a mo’ di ghirigori circolari e raffinati; le ruote – le posteriori di grandezza raddoppiata rispetto alle anteriori – erano in ottone e l’unica portiera dell’abitacolo era aperta, pronta ad accogliere le ospiti del re. Nonostante fossero in perfetto orario – faticavano quasi a crederci –, si sbrigarono a prender posto nel mezzo di trasporto reale e, con l’esortazione del vetturino, i cavalli partirono a ritmo di un galoppo gentile.

 

 

***

 

 

Diede una leggera stretta alla stoffa, in modo che il nodo diventasse più resistente. Un risolino appena soffiato lo fece voltare di scatto. «Cos’è che ti fa ridere?» chiese alterato e chiudendo la mano sinistra in un pugno, preparandosi a scagliarlo contro il viso del fratello maggiore.

Shuu gli mostrò un accenno di divertimento nell’espressione del viso, tuttavia l’aria di apatia che lo circondava era palpabile. «Allora te la sai allacciare» disse, e indicò la sua cravatta.

Ayato serrò la mascella e fece per fronteggiare il biondo, ma l’azione gli fu impedita dal secondogenito, il quale si schiarì severamente la voce. Disse: «Mancano pochi minuti all’inizio della serata. Vi pregherei, impiastri, di evitare di creare situazioni sgradevoli almeno per questo arco di tempo. Chiedo tanto?»

Stavolta sorrise, il terzogenito. «Come siamo nervosetti.»

Reiji afferrò un frustino – da dove l’aveva preso? – e lo puntò minacciosamente verso il minore. «Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo.»

«Calmati, Maniaco della porcellana. E quell’aggeggio da dove spunta? Non dirmi che lo usi con le pollastre.»

«Così si spiegherebbe perché non ne hai nemmeno una.»

Teddy prese a ridere fragorosamente. «Shuu joins the battle!»

Subaru, dal canto suo, pensò bene di abbandonare la stanza nella quale si trovava insieme agli altri suoi fratelli e di dirigersi altrove, in un posto più tranquillo dove avrebbe potuto armarsi di chili e chili immaginari di forza interiore, l’unica alleata che aveva a disposizione per riuscire ad arrivare sano e salvo alla conclusione di quel gala; poiché non era ancora del tutto lontano, riuscì ad udire Reiji sputare delle parole provocanti, forse perché in preda ad uno dei suoi rari momenti di perdita di controllo: «Almeno evito di perdere del tempo prezioso con delle racchie.»

Ayato accolse la provocazione con entusiasmo e l’idea di tacere si dileguò definitivamente dalla sua testa. Poco più in là, Kanato sputò un Che schifo, tuttavia ben presto la sua attenzione venne catturata dal fratello gemello che solitamente risultava più vivace; perfettamente vestito e pettinato per l’imminente serata, se ne stava seduto su un’elegante poltrona, con entrambi i gomiti a contatto con i braccioli e il capo buttato all’indietro, gli occhi persi nel vuoto ma i pensieri vaganti per mille galassie. Gli si accostò e gli chiese: «Non ti interessa commentare gli insulsi tentativi di Reiji-san per farsi bello ai nostri occhi?»

Laito sorrise, nonostante non fosse realmente divertito. «Per stavolta lascio questo compito ad Ayato-kun.»

Il violetto s’imbronciò, infastidito. «Che ti prende?»

«Sei preoccupato per me, fratellino? Che tenero che sei!»

«Ti consiglio di sbrigarti a parlare. Sto iniziando ad alterarmi.»

Improvvisamente colto da un impeto di paura, Laito si raddrizzò sul posto a sedere e incatenò gli occhi al pavimento, perché incredulo di essere in procinto di esporre l’unico pensiero che gli stava martellando la mente da molteplici ore: «Credi che Tara abbia accettato l’anello?»

Senza batter ciglio, Kanato gli rispose: «Sì. Alle donne piacciono i gioielli.»

«Quello che voglio dire» fece l’altro, «è che temo non voglia fidanzarsi con me.»

«Sakamaki Laito che ha paura di essere rifiutato da una donna» commentò l’isterico. «Questa sì che è bella.»

«Andiamo, Kanato-kun, non mi sei d’aiuto così» si lamentò suo fratello.

«Senti» disse il violetto mentre afferrava, in mezzo a tanti altri, un papillon dal tavolo, quello che meglio si abbinava al suo smoking, «se c’è una cosa che odio, è l’amore. E una cosa che odio ancora più dell’amore è dare consigli d’amore.» Sul suo volto si dipinse una silenziosa furia. «Per quanto mi riguarda, se quella lì dovesse rifiutarsi di essere la tua bambola per l’eternità tu puoi anche prendertela con la forza. Però ricordati che è pur sempre un’umana.» Si allacciò l’accessorio attorno al collo. «Alle ragazze umane piace quando un uomo dichiara loro il suo amore e le fa regali costosi. Avrà accettato. Ma poi, come fa a piacerti quella là? È acida, snob e pettegola.»

Laito rise appena. «Vedi, Kanato-kun, per me Tara è tutt’altro che acida, snob e pettegola. Lei è una principessa. Sai quello che ha passato?» disse con aria sognante. «Quell’Andrew è stato un coglione a trattarla in quel modo. Tara è bellissima e intelligente, è sveglia, furba e…» sospirò, «e sono patetico, ne?»

«Puoi dirlo forte. Non sembri neanche tu. Potrei vomitare.»

«Invece a te come va? Con Megane-chan intendo.»

Kanato puntò lo sguardo altrove. «Il suo sangue è buono. E penso che sia davvero carina.»

Passarono attimi silenziosi tra i due, secondi interrotti solamente dal chiacchiericcio degli altri fratelli, ancora intenti a lanciarsi frecciatine a vicenda. Laito scosse appena la testa, sentendosi al limite del ridicolo. «Ci stiamo tutti infatuando di quelle umane. Persino Reiji-kun. Ti rendi conto della gravità della cosa, Kanato-kun?»

Kanato annuì. «Che situazione pessima.»

 

 

***

 

 

La loro carrozza, esattamente come tutte le altre, si fermò davanti al cancello principale del castello, fece scendere i propri passeggeri e si allontanò, facendo spazio al veicolo successivo; nei dintorni non vi erano solamente trasporti pubblici nati in età vittoriana, bensì anche qualche limousine bianca e brillante appartenente ai nobili dall’aria più moderna – tuttavia anche le macchine di lusso facevano la loro figura. Oltre il varco metallico e ricoperto d’oro e d’argento, si stagliava una lunga passerella in cemento, la quale spiccava tra i numerosi fasci d’erba curati nei minimi dettagli da esperti giardinieri che, per non farsi notare dagli occhi dei visitatori, svolgevano le rispettive manutenzioni durante il giorno; il sentiero era dritto, preciso e pullulato di vampiri, alcuni di loro riuniti ai lati della stradina per salutarsi a vicenda e altri diretti verso l’interno del sontuoso edificio, a passo leggiadro e spedito. Tutta quell’eleganza, quel chiacchiericcio cordiale e quello strano sensore di unicità avevano ammaliato le sei giovani ospiti di origini diverse rispetto a quelle di tutti gli altri invitati. Si sentivano quasi nel posto giusto, nonostante in quel momento sarebbe stato più naturale per loro trovarsi altrove, magari nelle loro rispettive stanze, circondate dalle proprie cose, da volti familiari e dalla normalità, tuttavia lì, in mezzo a decine – forse addirittura centinaia – di cuori ibernati, riuscivano a sentirsi a proprio agio; dopotutto erano sotto l’ala protettiva dei principi, perciò erano convinte che tutto sarebbe potuto andare solo per il meglio.

Yui si sentiva come catapultata in una fiaba, come una di quelle che leggeva quando era piccola e se ne stava tutta sola nell’oratorio del paese; aspettava solo di poter varcare la soglia della sala da ballo e di danzare col suo principe per tutta la notte nel più innocente dei lenti e dei valzer, ma il ricordo di chi fosse effettivamente il suo partner la fece ridestare dai suoi sogni ad occhi aperti. Grazie alla sua fede in Dio, la sua vita era seminata di certezze, ma l’unico suo punto interrogativo non era altri che quel vampiro dagli scompigliati capelli rossi, gli occhi grandi e chiari e il carattere arrogante, a volte dolce, sicuramente trasgressivo; chi era Ayato? Lui era la concretizzazione del suo più grande controsenso, nient’altro che l’attrazione verso l’Impossibile, il Diavolo più bello che avesse mai visto. Se il suo misericordioso Signore l’amava, esattamente come tutti gli altri esseri umani, i Suoi figli creati a Sua immagine e somiglianza, allora perché l’aveva messa dinanzi a quel vampiro? Perché proprio lui e non qualche altra creatura della Notte, protettrice di tutti i più oscuri segreti? Aveva timore di ammetterlo ad alta voce perché orecchie indiscrete avrebbero potuto udire il suo parlato, ma era quasi certa di essersi innamorata del maggiore dei trigemini; non era una menzogna, lo pensava per davvero e a confermarlo ci pensava il suo cuore, il quale si dimenticava che aveva un compito vitale da svolgere quando il rosso era nei paraggi o quando sentiva il suo nome, e quel sangue tanto ambito glielo avrebbe ceduto volentieri, anche fino all’ultima goccia se fosse bastato a renderlo felice. Quel ragazzo se la meritava, un po’ di felicità; a Yui non era ben chiaro cosa avesse subito quando non era altro che un bambino, ma nei suoi occhi riusciva a leggere pura sofferenza nei momenti in cui non era rapito dal suo spirito esibizionista. Come avrebbe fatto ad alleviargli – poiché esso sarebbe stato impossibile da cancellare del tutto – quel dolore? Sarebbe stata sua.

Accanto a lei, Tara era immersa quasi nei medesimi pensieri; con le dita della mano libera da qualsiasi prezioso accarezzava l’anello che le aveva regalato Laito. Cosa le era passato per la testa? Aveva seriamente accettato la proposta di fidanzamento di un vampiro famoso per le sue numerose avventure amorose? Si diede della pazza; non poteva negare la bellezza oggettiva di quell’anello e possederlo risultava essere pressappoco un vanto, ma non se la sentiva di giustificare la propria scelta con una mera scusa riguardante l’estetica e il valore monetario del regalo. Era cresciuta in una famiglia semplice, formata da lavoratori onesti e dediti al proprio umile mestiere, ma prima di ogni altra cosa erano persone per bene, pertanto non era affatto abituata a ricevere doni di quella portata – la cosa più costosa che avesse mai ricevuto era stato un computer portatile per il suo quindicesimo compleanno, una sorta di augurio per la vita da liceale che avrebbe dovuto affrontare nel giro di pochi mesi. Odiava i soldi perché non facevano altro che creare scompiglio nel mondo, e allora per quale motivo aveva accettato il regalo di Laito? Il suo orgoglio le urlava in continuazione che non ci fosse alcun tipo di sentimento dietro quell’Accetto, che fosse stata tutta colpa dell’entusiasmo momentaneo, ma una parte ben più grande di sé – il suo cuore – se la rideva, la prendeva in giro per la sua ottusaggine e per i suoi maldestri tentativi di cogliere ogni occasione per negare l’evidenza, per poi bussare alla porta della testa e farle ricordare il calore degli abbracci del vampiro e il sapore dei suoi baci – sapevano d’amore, strano e contorto, ma pur sempre amore. E a quel punto si tranquillizzava perché era certa che sarebbe andato tutto per il meglio, ma quanto tempo ancora sarebbero durate la sua sicurezza e la sua fermezza prima che la paura tornasse ad essere troppo potente per il suo fragile animo?

Le faceva contrasto Kin, che era estasiata; fino a pochi minuti prima nella sua testa ronzava la convinzione che la partecipazione a quell’evento sarebbe stata orribile perché forzata, ma appena aveva messo piede oltre al cancello, appena si era resa conto che molti occhi erano puntati su di lei e sul suo abito viola si era sentita bene. I ricordi e la nostalgia le avevano fatto dimenticare che era circondata da creature inumane ma, del resto, perché avrebbe dovuto curarsene? Non voleva fare altro che stare lì, in mezzo a tutti quei diplomatici in compagnia di qualcuno per lei importante; no, al centro dei suoi pensieri non c’erano le sue amiche – non in quel momento, almeno. Gli occhi infuocati di Subaru le erano stampati nella mente e stava continuando, a distanza di giorni, a sentire l’eco di quel Mi sarebbe piaciuto sentirti parlare come fanno le altre ragazze; la dolcezza di quel vampiro la sorprendeva ogni volta in cui aveva il piacere di entrarci in contatto e la rossa, intenerita e compiaciuta, non poteva esserne altro che felice. Subaru era la persona più buona che avesse mai conosciuto, nonostante non fosse neanche una persona a tutti gli effetti e la sua natura non gli consentisse di essere completamente genuino. Se Subaru fosse stato umano, sarebbe stato tutto perfetto. Scacciò quella nota di tristezza e si concentrò ancora una volta sull’ambiente in cui si trovava; le sembrava di essere tornata agli anni dei banchi di scuola, il periodo migliore della sua vita, perché durante quello aveva avuto modo di partecipare a decine di feste esclusive e non, data la sua popolarità e il suo poter ancora parlare. Uno sconosciuto avrebbe potuto definirla superficiale o materialista o entrambi, ma in realtà lei ripensava a quegli anni sorridendo perché si era sentita voluta bene, si immedesimava nella protagonista di un film statunitense, circondata da cheerleader, giocatori di football americano e in mezzo a mille guai, tutti con il proprio lieto fine. Ma adesso che le cose erano mutate così drasticamente, dove si nascondeva il suo finale felice? Possibile che fosse davvero nel cuore solitario di quel vampiro dallo spirito malinconico?

E Miki, poveretta, cosa doveva dire? Cosa l’aveva spinta, la sera della festa del paese, a dire a Kanato quel Quando sto con te riesco a sentirmi bene, anche se tu sei quello che sei? In quel momento non era stata in grado di ragionare sulle proprie parole, ecco la verità, ma se da un lato si era pentita di aver sputato quella frase, dall’altro non riusciva a non sperare che lui ne avesse colto il senso. Il vampiro dalle profonde occhiaie e dal carattere instabile, tuttavia, non aveva ripensato nemmeno una volta alla dichiarazione della ragazza – perché di una vera e propria confessione si trattava –, ma questo lei non poteva immaginarlo. Non sapeva con precisione quando la paura nei suoi confronti si era affievolita per lasciare spazio ad un affetto sproporzionato; le faceva tenerezza, Kanato, con i suoi grandi occhi profondi, con la sua pelle diafana, con il suo dolore interiore che tanto desiderava non esistesse. Sapeva che al suo fianco non avrebbe potuto non soffrire, ma per lei il benessere personale si era spostato in secondo piano – lui era molto più importante. Tutto ciò che voleva era prendersi cura di lui e del suo bipolarismo, che d’amore ne aveva davvero un disperato bisogno e lei, totalmente persa, era pronta a donarglielo in enormi quantità. Arrossì, tuttavia riuscì a mantenere un atteggiamento naturale per non attirare l’attenzione di nessuna delle altre ragazze; se stava superando le sue paure era solo grazie a lui, ma fu in quel momento che le sue convinzioni vacillarono: sarebbe stata realmente in grado di restargli accanto? La sua sanità mentale sarebbe rimasta ben ancorata alle sue membra? La sua premura verso di lui era davvero così grande? Il suo volergli bene era amore romantico o amore materno? E soprattutto, era sicura di non aver ancora perso la ragione e di star pensando consapevolmente? L’unica certezza sulla quale poteva contare era il desiderio di correre dal vampiro e volteggiare con lui per il resto della serata, nella speranza di non mostrarsi in maniera ridicola ai suoi occhi e a quelli di tutti gli altri presenti.

Poteva capirla bene Harumi, la quale era così nervosa da non riuscire a smettere di allisciare la propria gonna color ghiaccio. Come biasimarla? Dato il suo spirito sportivo e colorato non aveva mai avuto modo di prender parte ad un evento di quella portata, perciò come avrebbe dovuto comportarsi? Avrebbe dovuto parlare con più vampiri possibili o avrebbe fatto meglio a rimanere sulle sue? Avrebbe dovuto fare la riverenza al re e ai principi, nonostante con quest’ultimi avesse un rapporto quasi di amicizia? Se ci fosse stato un buffet, avrebbe dovuto catapultarsi sul cibo come suo solito o astenersi dalle leccornie per evitare di sembrare un insaccato a causa della strettezza del suo abito? E al momento delle danze, avrebbe dovuto buttarsi nella mischia o aspettare che qualcuno la invitasse? E chi l’avrebbe invitata? Un giovane imprenditore, un veterano vedovo o Shuu? Sperava con tutta se stessa che fosse la terza opzione ad avverarsi, ma il biondo avrebbe ballato? Sarebbe stato costretto? L’avrebbe abbracciata controvoglia? Si sarebbe ritirato nelle sue stanze per potersene stare in santa pace? La ragazza si prese a schiaffi interiormente – avrebbe fatto meglio a smettere di porsi tutti quegli interrogativi; decise che avrebbe semplicemente lasciato che gli avvenimenti avessero fatto il proprio corso e che si sarebbe goduta ogni singolo momento della festa, ma come avrebbe fatto a far finta che le sue gambe non stessero tremando e che, al contrario, fossero perfettamente immobili? E fu in quel modo che i suoi pensieri tornarono su Shuu, come piccoli chiodi attirati chimicamente da una grossa calamita. Quel vampiro riusciva ad infonderle tranquillità, a farla rilassare e, soprattutto, a farla sentire se stessa; non si sentiva obbligata a fingere di essere una ragazza come tutte le altre, perché quando c’era lui percepiva come un sottile vento fresco che le sussurrava che sarebbe stata accettata per com’era. E lei, quel fresco soffio al cuore, quel torpore allo stomaco e tutti quei sorrisi che era in grado di dedicargli, li chiamava casa.

Ed era proprio la parola casa che più faceva stare in pensiero Selena – ogni volta che quelle quattro lettere venivano combinate tra loro per formare quel termine, il volto di Isako si faceva più nitido davanti a lei, in uno spazio immaginario sospeso nell’aria. Le mancava, le mancava dannatamente poiché non era abituata a stare troppo lontano da lei – in undici anni non si erano mai distanziate l’una dall’altra, non troppo, ma solamente per andare a scuola o all’università o di notte, quando lei andava dai Sakamaki e la minore usciva con i suoi amici. E in proposito, la blu avrebbe fatto meglio a ricominciare a studiare perché la data dell’esposizione della tesi di laurea si stava avvicinando sempre di più col passare dei giorni, e lei aveva arretrati degli argomenti a causa della troppa stanchezza dovuta all’ormai regolare perdita di sangue. Si chiese se, in seguito ad una richiesta esposta con i dovuti modi, Reiji avesse mai accettato di aiutarla a recuperare i capitoli che la separavano dal tanto ambito titolo di studio, ma in quell’esatto istante le tornò in mente lo sguardo freddo e sadico del vampiro, il quale non aveva esitato a rinfacciarle la realtà dei fatti senza un minimo di tatto. Del resto, però, a cosa sarebbe servito essere gentili nel parlare di quell’argomento? Il benessere avrebbe solo sminuito il pericolo veritiero che si presentava alle porte delle sei giovani umane, oltre che all’intero Regno dei Vampiri, mentre quello schiaffo morale l’aveva aiutata a rendersi maggiormente contro di quello che stesse effettivamente succedendo, pertanto da un lato gli era grata. Nonostante ciò, la ragazza-genio si chiese perché il secondogenito fosse così spietato nei suoi confronti e, soprattutto, in quelli dei suoi fratelli – non avrebbe dovuto, invece, prendersi cura di loro proprio come lei faceva quotidianamente con Isako? Annuì tra sé, decisa sul da farsi; i suoi doveri universitari erano da accantonare momentaneamente per poter lasciare il dovuto spazio all’imminente guerra che avrebbero dovuto affrontare – o meglio, che avrebbero dovuto a tutti i costi evitare – ma, se le si fosse presentato del tempo libero, l’avrebbe sicuramente sfruttato per un altro tipo di studi – l’analisi comportamentale di Reiji.

«Ragazze, ci siete? Interrompo qualcosa?»

Le sei giovani si ridestarono contemporaneamente dai rispettivi pensieri e, sempre insieme, posarono i loro occhi sulla figura che aveva parlato; nel vedere di chi si trattasse, Yui sorrise allegramente: «Azusa-kun, sei qui!»

«Buonasera, Eve. Buonasera anche a voialtre» fece lui, inchinandosi nel suo completo azzurro.

Loro ricambiarono il saluto, per poi accorgersi che una ragazza a loro nota si trovava a pochi passi da lui, intenta a guardarsi attorno con un genuino luccichio nei suoi occhi color cielo ed altri non era che Aya, fasciata da un semplice e lungo abito nero, con il corpetto così stretto da farle risaltare il vitino magro; era a dir poco elettrizzata per tutto quello che le stava capitando, e quell’emozione era così grande da averle fatto dimenticare di non essere riuscita a scovare la sua anima. La corvina trattenne un urletto di gioia e si girò nella direzione del vampiro e si avvicinò, per poi abbracciarlo con vigorosa energia. «Azusa-kun, Azusa-kun, dimmi che non sto sognando!» esclamò con gli occhi chiusi e le guance colorate di rosso.

Lui accennò un sorriso intenerito. «È tutto reale, Sakamoto-san.»

«È magnifico! Vorrei stare qui per sempre!»

Selena si sporse verso di lei e le disse: «Vedo con piacere che il malumore ti ha abbandonata.»

L’altra assentì col capo. «Mi sento meglio.» Poi si rivolse alle altre ragazze: «Scusatemi se non vi ho trattate molto bene. Non ero in me. E non solo, volevo ringraziarvi per essermi state vicino dopo la perdita di mio padre.»

Harumi ancorò le mani ai fianchi, imitando la posa di un supereroe. «Non preoccuparti, Aya-chan. Le amiche servono a questo.»

«Amiche?»

«Be’, siamo circondate dai guai, ma hey, guardiamo il lato positivo, siamo circondate dai guai insieme» le disse la verde con un sorriso grande e rassicurante; splendeva di luce propria, quando rideva, sembrava essere in grado di prendere il posto del sole in un battibaleno.

«Che ne dite di entrare?» fece Miki, per poi portarsi una mano sul braccio opposto, strofinandolo dolcemente. «Qua fuori fa un po’ freddo.»

Una di loro scattò sull’attenti. «Entrare? Di già? Io tutto questo freddo non lo sento.»

«Tara, ricordati di respirare.»

«Okay, mi ricordo di respirare.»

Azusa fece qualche passo in avanti, poi si voltò verso di loro. «Prego, signorine. Da questa parte.»

 

 

***

 

 

L’immenso lampadario in cristallo che dominava il salone sembrava al contempo resistente e fragile, tanto che alcuni invitati temevano silenziosamente che, nel bel mezzo della serata, sarebbe crollato sulle loro teste; il resto della sala – abbastanza grande da poter contenere all’incirca mille persone, se non di più – era addobbato a festa, le tende scarlatte erano ben fissate alle alte finestre, il pavimento era stato lucidato a dovere e un lungo tappeto rosso lo attraversava a partire da un’alta scalinata, per finire a degli scalini più bassi, in cima ai quali si trovava un numero dispari di troni, il centrale più grande e più ricco rispetto agli altri. Il chiacchiericcio leggero degli ospiti venne interrotto dall’accensione di un microfono e da uno schiarirsi di voce; un vampiro alto e composto, possedente i capelli verde scuro e gli occhi rossi, si trovava al lato sinistro della scalinata più alta ed era affiancato da un maggiordomo anziano. Avvicinò il microfono alla bocca e disse, con voce ferma: «Buonasera signore e signori. Vi do il benvenuto a questa serata di gala.»

«Hey, Azusa-kun» sussurrò Harumi, accostandosi al vampiro chiamato in causa. «Chi è quel tizio?»

Rispose: «Lui è Richter, il fratello minore del re, principe di Vamutsuchiin e zio dei Sakamaki.»

Ripresero ad ascoltare le parole del potente vampiro, il quale stava esponendo un breve discorso di intrattenimento per gli invitati; appena un secondo maggiordomo lo raggiunse e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, alzò di poco il tono di voce. «Ed ora, senza ulteriori indugi, ho l’immenso piacere di annunciarvi l’entrata di Sua Maestà Karlheinz, sovrano di Vamutsuchiin e più grande vampiro di tutti i tempi, affiancato dalle Regine e dai Principi.»

Sotto il comando del Maestro di musica, l’orchestra prese a suonare una marcia d’entrata e fu in quel momento che lo videro – e, nonostante tutte loro avessero avuto modo di conoscerlo in numerosi programmi politici televisivi, l’uomo che stava scendendo quegli scalini aveva un aspetto differente da quello di Tougo Sakamaki; la pelle era innaturalmente pallida, i capelli erano lunghi e bianchi e gli occhi dorati, mentre il mantello color porpora che portava sulle spalle elevava la sua figura, portandolo in primo piano e al centro dell’attenzione rispetto agli alti. In volto aveva stampato un sorriso cordiale, gli occhi vagavano tra gli invitati e si soffermavano di tanto in tanto su qualcuno, per poi tornare a fissare un punto invisibile davanti a loro; scendeva i gradini lentamente, assaporava ogni passo con passione e delizia, accompagnato da uno scrosciante applauso prodotto dall’intera sala, incluso il devoto personale. Poco più indietro la sua regale figura, due donne lo seguivano con un portamento altezzoso; la prima – dalla criniera viola e gli occhi smeraldini – di tanto in tanto lanciava occhiate di fuoco alla seconda – possedente capelli biondi scuri e uno sguardo oceanico –, la quale tuttavia la ignorava, proseguendo nella sua regale camminata. Vi erano infine i sei fratelli, impeccabili nei loro completi da festa galante, tutti rigorosamente scuri da parere quasi uguali, se non fosse stato per le cravatte e i papillon. Una volta giunto al fianco di Richter, il regnante quasi gli strappò il microfono dalle mani e, qualche attimo dopo che gli applausi cessarono, disse: «Buonasera, miei illustri ospiti. Grazie per aver accolto il mio personale invito di partecipazione a questo piacevole ricevimento. Non voglio dilungarmi troppo in discorsi fuori luogo, pertanto mi limiterò ad augurarvi di passare una buona serata.» Un nuovo intenso battito di mani si levò nell’aria, il quale accompagnò il sovrano e la famiglia reale ai troni; ognuno si accomodò sul proprio posto a sedere, il re sulla sedia più alta e grande, dalla quale avrebbe potuto godere della visione più ampia del salone – e fu allora che la festa poté ufficialmente iniziare.

Nonostante la musica leggera stesse continuando ad aleggiare tutt’intorno, nessuno aveva ancora avuto il coraggio di aprire le danze. I personaggi maggiormente spiccanti e confidenziali avevano formato una sorta di fila, in attesa di poter porgere il proprio personale saluto al monarca – pacche amichevoli sulle spalle, sorrisi e brevi chiacchiere si ripetevano in continuazione, come se fossero state note musicali lette da un giradischi incantato; alcuni vampiri osavano rivolgere la parola al guardiano del Regno tramutato in giocattolo, ma il suo migliore amico badava bene a stare zitto sotto ordine di chi aveva più potere di lui. Nessuna di loro voleva davvero avvicinarsi al sovrano poiché improvvisamente impacciate e timorose di mostrarsi ridicole ai suoi occhi, nonché a quelli delle regine – le quali tanto parevano essere in grado di poterle mangiare vive in un batter d’occhio; improvvisamente erano anche terrorizzate dai principi, i quali sicuramente si sarebbero espressi in grasse risate qualora avessero aggiunto una nuova voce alla loro già lunga lista di brutte figure compiute nel corso delle loro rispettive vite. Ma evitare di presentarsi sarebbe stata una profonda mancanza di rispetto nei confronti del genitore dei sei vampiri a cui tanto erano affezionate, pertanto approfittarono dell’avvicinarsi di Azusa ai nove troni per fare gruppo con lui. Appena giunsero dinanzi alle nobili postazioni, poterono rendersi conto di quanto quella famiglia incutesse terrore e allo stesso tempo diplomazia; il patriarca in particolar modo pareva possedere abilità spaventose, ma queste venivano aggraziate dalle due donne che sedevano ai suoi fianchi, le quali stavano squadrando le umane con occhio critico.

«Oh, Azusa, ragazzo mio, da quanto tempo!» fece il re, sorridendo – ma la sua aura non mutò, rimanendo glaciale.

«È un piacere rivedervi, Vostra Maestà» rispose il giovane vampiro, inchinandosi; lo imitarono le ragazze, tentando di nascondere il nervosismo. Inevitabilmente, l’attenzione del sovrano si spostò su di loro; allargò il ghigno. «E voi, giovani donzelle, chi siete? I vostri profumi rappresentano la vostra reale identità?»

Loro si scambiarono veloci ma intensi sguardi, con l’intento di decidere silenziosamente chi dovesse effettivamente prender parola – nonostante tutte loro fossero consapevoli di chi sarebbe finita col fare da portavoce. Difatti, Selena fece un breve passo avanti. «Vi porgo i miei più cordiali saluti, Vostra Altezza. Ebbene, il nostro sangue non mente.»

«E così» parlò la regina dalla chioma color lavanda, «siete voi le ragazzine che hanno deciso di nutrire i miei figli.»

«I nostri figli, vorrai dire» precisò l’altra prima donna.

«Nutrire?»

La regina si voltò verso colei che aveva parlato. «Prego?»

Tara balzò sul posto; aveva appena soffiato quel pensiero a se stessa, eppure era stato udito dalla vampiressa. «Ehm» balbettò, «dite a me?»

«Precisamente, mia piccola umana.» Le mostrò un sorriso sinistro. «Potresti ripetere ciò che hai appena detto?»

Deglutì. «Pensavo, Vostra Grazia, che forse nutrire non è il termine più adatto per descrivere il rapporto che abbiamo instaurato con i principi. Non più, almeno. Credo.»

La donna immortale rise sguaiatamente. «Sei sfacciata, ragazzina. Sai come funzionano i rapporti tra vampiri e umani?»

Tara abbassò lo sguardo, afflitta dalle nuove incertezze emergenti dal profondo di una ferita non ancora rimarginata del tutto; inconsapevole di essere fissata dai luccicanti occhi di Laito, prese a giocherellare nervosamente con l’anello di fidanzamento indossato all’anulare della mano destra.

«Cordelia» la richiamò il re, «ti pregherei di non mettere a disagio queste umane. Sono pur sempre nostre ospiti.» Si rivolse direttamente a loro, dicendo: «Le mie più sincere scuse per questo breve dibattito. Vi auguro una buona permanenza a Vamutsuchiin.»

Accolsero quelle parole come un invito a dileguarsi e così fecero, ma non prima che Miki, sorridente e sotto lo sguardo della regina, salutasse con un cenno della mano Kanato e Teddy – il primo con lo sguardo ancorato alla sua figura, il secondo allegramente accomodato sulle gambe del principe. Azusa rimase dinanzi al sovrano poiché necessitava di renderlo consapevole di chi fosse Aya, la quale non aveva ancora abbandonato l’idea di passare la serata in sua compagnia. E il monarca parve rimanere allibito dalla notizia.

 

 

***

 

 

«La odio, la odio, ve lo giuro, la odio.»

«Non parlare, altrimenti rischi che ti senta di nuovo.»

La ragazza dai capelli rosa mandò giù un calice di champagne tutto d’un fiato. «Tanto non sto facendo nomi.» Le scappò un singhiozzo.

«Magari questi leggono nel pensiero.»

«I Sakascemi non ne sono in grado, eppure sono i principini del reame.»

Harumi si mise a ridere senza ombra di vergogna, nonostante avesse attirato l’attenzione di alcuni invitati, i più prossimi a lei. «Sakascemi è da incorniciare. Kin?»

La rossa annuì, divertita, ed estrasse dalla propria borsetta un piccolo taccuino sul quale annotò la buffa parola; ne approfittò anche per scrivere qualcos’altro, che poi mostrò a Yui, accanto a lei. La bionda lesse velocemente le parole e rispose: «Non preoccuparti, sto bene. Stavo solo pensando che quella donna, la regina alla sinistra di Karlheinz, l’ho già vista da qualche parte.»

«Anche io» intervenne Miki. «C’è un enorme ritratto che la ritrae nella stanza di Kanato-kun.»

L’altra negò col capo. «Non intendo solo nei quadri.»

«Spiegati meglio, Fiorellino» la incitò Selena, mentre controllava rapidamente il proprio riflesso attraverso uno specchietto che aveva avuto cura di portare con sé.

Tara svuotò un altro bicchiere di spumante, sotto gli occhi di un cameriere allibito e a tratti disgustato. «Già, spiegati meglio. Perché devi fare la misteriosa? Parla e basta.» «Direi che per stasera hai bevuto abbastanza.»

«Andiamo, Selly, il party è appena iniziato. Lascia che mi diverta un po’.»

«L’alcol fa male.»

«E quindi? Mica ne sono dipendente. Credo di averne passate abbastanza in questi ultimi giorni, perciò un po’ di sballo me lo merito. Lasciami in pace» mugugnò la rosa, e si fece riempire nuovamente il calice di cristallo.

«Sono d’accordo» esclamò Harumi, bevendo a sua volta e seguita a ruota da Kin.

E fu così che passarono le prime due ore della serata, dimenticandosi le parole di Yui; erano accomodate ad un piccolo tavolo rotondo in un angolo del salone, con diverse bottiglie smezzate abbandonate sulla tovaglia bianca – volavano anche risatine e schietti commenti su ciò che le circondava. L’unica che si era astenuta dal bere era stata Yui, la quale non reggeva – e a dirla tutta odiava – gli alcolici; persino Selena e Miki si erano lasciate andare a qualche sorso poiché consapevoli di reggere ogni tipo di liquore abbastanza bene, mentre le ultime tre avevano alzato il gomito quasi eccessivamente. E come se la passavano i principi? Fatta eccezione per il secondogenito – il quale si trovava perfettamente a suo agio in quell’ambiente poiché amante del galateo –, tutti loro stavano tentando in ogni maniera di mantenere la calma e apparentemente i risultati sembravano essere ottimi, tuttavia erano consci del fatto che sarebbe stato meglio se si fossero svagati il prima possibile. Seguendo questo filo, il primo ad abbandonare il trono fu Kanato il quale, ormai, non poteva godere più nemmeno della compagnia di Teddy, poiché l’orsacchiotto aveva pensato bene di svignarsela sotto gli occhi di tutti per andare a rimpinzarsi di buon cibo servito su una lunga tavolata in fondo alla sala – quanto tempo era passato dal suo ultimo pasto prosperoso? –, pertanto il violetto concluse che l’unico modo per non dare di matto davanti a tutti gli invitati sarebbe stato quello di raggiungere quello che i suoi fratelli avevano definito la personificazione del più potente dei calmanti. Allora camminò a testa alta, con la vista puntata verso la sua umana e ignorando i tentativi di qualche nobile di attaccare bottone. Quando le fu davanti, lei lo stava già osservando con il cuore colmo di snervante attesa; ricordando ciò di cui Teddy gli aveva parlato riguardante la galanteria – “Alle donne piace un sacco quando vengono trattate come se fossero delle principesse!” –, le porse una mano e le disse: «Balleresti con me, Miki-chan?»

La castana sorrise gioiosa. «Con molto piacere, Kanato-kun» gli rispose, per poi far giungere i loro palmi e alzarsi sotto gli occhi sognanti delle sue amiche.

Il vampiro la guidò al centro della pista da ballo, la quale era quasi del tutto priva di coppie danzanti; come ormai aveva già fatto in precedenza, le cinse la vita con le braccia e lasciò che lei – non più impacciata – gli circondasse il collo con i propri arti superiori, per poi iniziare a dondolarsi sul posto senza seguire un ritmo preciso, senza eseguire una vera e propria coreografia. Semplicemente se ne stavano lì, squadrati dall’intero salone, a guardarsi negli occhi e a parlottare sottovoce, e gli osservatori rimasero sbigottiti quando udirono alcuni risolini provenire proprio da loro due, perché sentire Kanato divertirsi senza essere circondato da sangue sgorgante risultava essere un evento più unico che raro.

Vi fu qualche secondo di silenzio, ma il violetto provvedette a spezzarlo. Parlò, abbandonando momentaneamente il senso di gelosia verso Teddy: «Stasera sei bellissima, Miki-chan.»

La ragazza arrossì tutto d’un colpo e voltò appena il capo, distogliendo lo sguardo, ma il desiderio di tornare ad osservare il suo volto era troppo forte per essere ignorato. Per un attimo ebbe paura che quel discorso sfociasse nella sorta di aggressione verbale di qualche sera precedente, tuttavia si rassicurò dopo aver letto semplice pacatezza nei suoi occhi grandi. «Anche tu stai davvero bene, Kanato-kun.»

Le mostrò l’accenno di un ghigno. «Sei arrossita di nuovo, Miki-chan. Le tue palpitazioni sono aumentate improvvisamente. È facile che io me ne accorga, perciò non tentare di nasconderlo.»

«Lo so, lo so» gli rispose. «Non posso farci niente.»

«Significa che sei sessualmente attratta da me?»

Se possibile, la sfumatura di rosso che aveva assunto il suo viso si intensificò. Balbettò: «Ma che discorsi metti in mezzo, Kanato-kun?»

«Rispondimi, Miki-chan. Altrimenti berrò il tuo sangue.»

«Qui? Davanti a tutti?»

«Sì.»

«Si scatenerebbe un putiferio se lo facessi.»

Il vampiro si lasciò sfuggire l’accenno di una risata isterica. «Appunto.» Subito dopo le afferrò le guance con le dita di una mano. «Dillo, per favore. Sappiamo entrambi che saremo legati per sempre, perciò meglio mettere in chiaro le cose fin da subito, ne?»

Nonostante quella situazione non rispecchiasse affatto i suoi numerosi sogni ad occhi aperti, nonostante avesse voluto dirgli quelle parole in un altro contesto, nonostante non si sentisse affatto pronta per mettersi a nudo, nonostante tutto e tutti, ascoltò l’eco delle farfalle che svolazzavano nel suo piccolo stomaco e ne fece tesoro, accumulando sempre maggiore coraggio per schiudere le labbra e far uscire la voce. Ma ciò non accadde mai, poiché l’attenzione di entrambi venne catturata da qualcos’altro.

 

 

***

 

 

Approfittò del coraggio di Kanato per giustificare il suo essersi alzato di scatto ed essere sgattaiolato via dal salone, scivolando piano nell’ombra e restando in silenzio, facendo attenzione a non urtare niente e nessuno; gli parve di aver portato a termine la missione di fuga con successo, tuttavia non si accorse che qualcuno l’aveva notato e aveva pensato di seguirlo. Fu così che Subaru si ritrovò davanti i grandi occhi azzurri di Kin incorniciati da un’espressione leggera e allegra, a tratti arrossata a causa del troppo champagne che aveva mandato giù. Quasi si spaventò e si diede dell’idiota per non aver odorato l’aria, ignorando così il profumo del sangue della ragazza umano che, progressivamente, gli si avvicinava. Un nervo iniziò a pulsare sulla sua fronte, ma badò bene a mantenere basso il tono di voce. «Cosa ci fai qui, Mugon?!»

La rossa ridacchiò, afferrando il proprio taccuino; vi scrisse: Ti ho visto tutto solo soletto e ho pensato che volessi un po’ di compagnia.

Il vampiro ringhiò. «Cretina. Ti risulta che io abbia bisogno di compagnia?»

Mosse velocemente la penna sulla carta: Della mia sì.

«Senti, fammi un piacere, torna di là. Non voglio vedere più nessuno. Mi sono rotto le palle di stare in mezzo alla gente.»

Ma eri così carino su quel trono!

«Abbassa i toni o ti mordo.»

Kin gli mostrò un sorriso beffardo. Tanto non mi fai paura. So che non vuoi farmi del male.

L’albino incrociò le braccia. «Hai una bella faccia tosta, ragazzina. E hai pure bevuto.»

Forse…

Subaru si passò una mano sugli occhi, mostrandole un’insolita aria stanca. «Ascolta, mi sto incazzando. Vattene» sussurrò, per poi appoggiarsi ad una parete e scivolare verso il pavimento.

Lei rimase immobile a fissarlo per qualche istante, poi scarabocchiò qualcos’altro sul piccolo quaderno: Perché stasera tua madre non era qui? Le regine erano solo due e tu non assomigliavi a nessuna di loro.

Sapeva che sarebbe stato patetico, sapeva che lasciarsi andare lo avrebbe reso ridicolo e avrebbe distrutto l’immagine che aveva creato di sé, tuttavia non riuscì a trattenersi oltre; alcune lacrime fuoriuscirono dai suoi occhi e gli solcarono il viso. «Mia madre non c’è più» mormorò. «Oggi è l’anniversario della sua morte. Si è suicidata davanti a me.»

Colpita da un profondo senso di colpa, Kin si inginocchiò accanto a lui e, silenziosamente e con lo sguardo appannato, lo invitò a continuare a parlare – sfogarsi gli avrebbe fatto solo bene.

«È stata tutta colpa di quel bastardo, capisci? Per secoli l’ha obbligata a sottomettersi a lui e alle sue stronzate, e alla fine non ce l’ha fatta. È impazzita. Ha preso quel pugnale e se l’è impiantato nel cuore, proprio davanti a me. Mi è morta tra le braccia e nessuno se n’è fregato.» Si abbandonò alla disperazione. «Invece di ricordarla per la splendida donna che è stata, tutti quanti se ne stanno di là a fare i signori, a ridere e a parlare di stronzate. Sono tutti dei corrotti di merda e alle cose importanti non pensano mai. E come dovrei sentirmi io? Uno schifo, ecco come mi sento, perché tutti si fermano a quelle cazzo di apparenze e poi fanno gli offesi se gli sputo in faccia. E poi ci sei tu, Kin, che mi fai andare su tutte le furie. Mi ricordi così tanto lei, fai le sue stesse espressioni, ti poni allo stesso modo e hai il suo stesso animo buono. E mi sembra di non aver mai superato la sua perdita perché ogni cazzo di giorno ci sei tu che arrivi e scombini tutto, ed io ci avevo messo un casino di tempo a mettere in ordine i miei sentimenti. Mi fai davvero incazzare!»

Ormai stava piangendo anche lei e sapeva che non c’era niente di più sbagliato di fare quello a cui stava pensando, ma l’alcol non l’aiutava per niente a mantenere il controllo e, come se non fosse bastato solo quello, era già da qualche tempo che desiderava compiere quel gesto; pertanto si lanciò in avanti, atterrando sulle labbra fredde del vampiro e, accarezzandogli le guance con lentezza, tentò ad infondergli la giusta tranquillità per farlo calmare. Ma l’effetto che ottenne fu l’opposto; Subaru si mosse rapidamente, afferrandole la nuca con una mano e portando l’altra dietro la sua schiena, e ricambiò il bacio, facendolo diventare irruento e grezzo, e fece scontrare i loro denti e le morse accidentalmente il labbro inferiore, ma non bevve le gocce di sangue che fuoriuscirono, piuttosto le lasciò cadere poiché preferì concentrarsi ad vezzeggiare la lingua della ragazza con la propria e il suo cuore venne investito da del calore mai conosciuto prima d’allora.

Si scostarono alla ricerca d’ossigeno e mantennero il contatto visivo, il quale tuttavia venne sciolto poco dopo a causa di un forte eco.

 

 

***

 

 

Erano passati all’incirca quindici minuti da quando aveva iniziato ad osservarlo ballare un lento con una vampiressa dalla veneranda età e, nonostante fosse perfettamente a conoscenza che era stato costretto dalla donna a prender parte alle danze, dentro di sé non riusciva a reprimere un senso di fastidio; di tanto in tanto i loro sguardi si erano incrociati e si erano scambiati messaggi muti, promesse di raggiungimento e confessioni di desiderio crescente, ma nulla era ancora accaduto. Sbuffò sonoramente e si voltò, per poi afferrare una delle bottiglie di vino bianco con l’intento di berne ancora un altro po’, ma constatò con delusione che fossero tutte vuote – e in parte ne fu contenta, poiché consapevole di essersi spinta troppo nelle ultime ore. Giocherellò con una ciocca di capelli, tentando di ignorare il sempre più crescente mal di testa che le stava martellando le tempie con insistenza e fu quando meno se l’aspettò che il vampiro le apparse di fianco. Le sorrise maliziosamente e le disse: «Sono tutto per te, Princess-chan.»

Tara scattò in piedi. «Era ora.» Lo prese sottobraccio e assunse un’espressione seccata. «Quanto ancora volevi farmi aspettare?»

Il vampiro sogghignò, iniziando a camminare. «Sai com’è, quando sei il figlio del re tutti ti si avvicinano, ti parlano, ti giudicano, ti invidiano.» Dopo una breve analisi decise di dirigersi verso il balcone della sala. «È tutta una questione di reputazione. Se avessi ignorato quelle persone, avrei fatto fare una pessima figura a tutta la famiglia reale» disse, evitando tuttavia di aggiungere le certe conseguenze che sarebbero avvenute in seguito a un suo rifiuto di interagire con determinati nobili.

La ragazza gonfiò le guance mentre passeggiava accanto a lui. «Sei sicuro di non avermi gettata nel dimenticatoio?»

«Nel dimenticatoio? Tu, Princess-chan? Sei la mia fidanzata adesso, non una qualsiasi.»

«Già, già, sono la tua fidanzata. Trattami da tale, allora.»

Non se lo fece ripetere due volte. Fulmineo, Laito accelerò il passo il passo e sfrecciò tra i cortesi ospiti, quasi trascinandosi dietro la sua dama, e spalancò le porte-finestra solo per oltrepassarne la soglia, poi se le richiuse alle spalle come se avesse dovuto rappresentare un invito a non disturbare; non contento di essersi già allontanato abbastanza, percorse l’intero terrazzo e si rifugiò dietro a un angolo, il quale non avrebbe attirato l’attenzione perché in penombra – nessuno dei lampioni posti alla base del perimetro del palazzo reale arrivava ad illuminare quella zona. L’umana ridacchiava acutamente mentre zampettava accanto al vampiro. «Laito-kun, qua fuori fa freddo per una povera mortale come me» cinguettò con euforia.

Lui la intrappolò con entrambe le braccia contro la parete gelida in pietra. «Non temere, Princess-chan, ti scalderò io» le disse con voce suadente, per poi leccarsi le labbra e avvicinarsi al suo viso. La odorò e rise. «Ma quanti bicchieri hai bevuto?»

Tara gli portò le mani al collo del vampiro e glielo accarezzò con entrambi i pollici. «Credo quattro o cinque. Sei al massimo.»

«Io direi anche sette o otto.»

La ragazza si avvicinò appena a lui, in modo da far sfiorare i loro nasi. «Ti vuoi muovere a baciarmi o devo iniziare a trattarti male? Finisco sempre per fare la cattiva. Dillo che sei masochista.»

«Io masochista? Sai con chi stai parlando?»

Gli mostrò la mano adornata dall’anello di fidanzamento e, con la voce impregnata di sarcasmo, gli disse: «Certo che lo so, tesoruccio.»

Laito non perse altro tempo e la baciò con passione, desiderio, attesa, e poté immediatamente sentire il suo sapore di liquore poiché entrambi schiusero da subito le labbra, impazienti di lambirsi a vicenda e in fretta, come se qualcosa stesse correndo dietro di loro o se avessero avuto i minuti contati; in perfetta sincronia ruotarono le loro teste in direzioni opposte, in modo tale da rendere più ampio quel profondo tocco, poi si allontanarono appena per permettere ai polmoni di riempirsi d’ossigeno e dopo qualche attimo tornarono a cercarsi, dipendenti da quel contatto.

«Questo vestito» fece Laito alludendo alla scollatura a barca, per poi darle un bacio a stampo, «è una provocazione?» Le portò una mano al gluteo sinistro e glielo strinse appena.

«Non serve che ti provochi» rispose lei. «Puoi bere il mio sangue tutte le volte che vuoi o sbaglio?» Afferrò un lembo della gonna e lo sollevò, arrivando a scoprirle la gamba fino al ginocchio. «Però non facciamolo vedere, questo morso» aggiunse e gli fece l’occhiolino.

Le goti del vampiro si tinsero leggermente di rosso. «Mi piaci sempre di più, Princess-chan!» Si abbassò e le scoprì maggiormente l’arto, per poi morderle l’interno della coscia. La giovane gemette di dolore, ma si morse il labbro inferiore per reprimere ulteriori urla; percepiva il liquido scarlatto scivolare via dal proprio corpo e venire sostituito da un intenso bruciore, il quale s’estendeva sempre di più e aumentava di forza, tuttavia il viso rilassato di Laito la tranquillizzò, facendola pensare che, dopotutto, lo stesse facendo per lui, per farlo stare bene. Le scappò una risata, poi un’altra, un’altra ancora e così via, e quelle risa attirarono l’attenzione del vampiro, il quale le chiese: «Cos’è che ti fa ridere così tanto, Princess-chan?»

Tara si asciugò una lacrima, senza tuttavia smettere di sorridere. «Niente, niente. Stavo solo pensando che mi sto innamorando di te per davvero. Ti rendi conto? Sono caduta proprio in basso.» Riprese a sbellicarsi in preda all’ebbrezza, inconsapevole di aver usato parole dure e di aver riaperto una vecchia ferita nel cuore del principe.

Lui fece per dirle qualcosa, tuttavia rimase in silenzio poiché incredulo di ciò che i suoi occhi stessero vedendo; la ragazza si era improvvisamente ammutolita e le sue pupille e iridi erano diventate completamente bianche.

 

 

***

 

 

«Dai, che ti costa?»

«Ti ho detto di no.»

«Solo cinque minuti.»

«Troppo.»

«Allora quattro.»

«Non se ne parla.»

«Facciamo tre?»

«Numero dispari.»

«Che ne dici di due?»

«Non avrebbe senso.»

La ragazza batté un piede per terra. «Ma perché no?»

«È una noia. Lasciami in pace. Ho sonno, sono stanco.»

«Ma se non hai fatto niente!»

Scandì: «Non. Urlare.»

Barcollante per via di tutto l’alcol che aveva bevuto, Harumi si avvicinò di più al vampiro, salendo i pochi gradini che elevavano il suo trono e, dopo essersi lasciata scappare un singhiozzo, gli disse: «Potresti anche sforzarti, una volta tanto. Ti sto solo chiedendo un ballo. Me ne sono stata buona per tutto questo tempo aspettando che mi invitassi, quindi alzare le chiappe e portarmi in pista mi sembra il minimo che tu possa fare.»

Il biondo le mostrò un sorriso sghembo. «Se fino ad ora non ho alzato le chiappe per invitarti, ci sarà un motivo, no?»

«Non ti sopporto quando fai così!»

Qualcuno apparve alle spalle della ragazza e intercettò gli occhi del principe con i propri; con tono fermo e glaciale disse: «Tutto bene, Shuu?»

Lui abbandonò l’accenno di espressione divertita e tornò serio, spostando lo sguardo su colei che aveva parlato. «Sì, madre.»

La vampiressa annuì e si accomodò sulla propria poltrona, accanto al primogenito; subito dopo si rivolse ad Harumi. «C’è qualcosa che ti turba, signorina?»

La verde tentennò per qualche attimo, ma la nebbia che aveva in testa non l’aiutò a darsi nessun contegno, così serrò i pugni e la mascella e sputò un: «Qualcosa che mi turba? È Vostro figlio che mi turba.» Ebbe la più totale attenzione della regina, pertanto continuò: «Il bell’addormentato qui presente è troppo pigro anche per fare il carino nei miei confronti. E non è una volta, no, è sempre così. È così apatico e odioso che lo prenderei a ceffoni.»

Senza batter ciglio, la donna si voltò in direzione del figlio e gli chiese: «Spero che tu non abbia alcuna relazione con quest’umana.»

Il biondo fece spallucce. «Con Chiasso? No, tra noi non c’è nessuna implicazione sentimentale. Fortunatamente.»

Harumi si sentì colpita nel profondo e desiderò di sparire, tuttavia quell’azione non sarebbe rientrata nel suo stile di vivere la vita, pertanto fece per rispondergli per le rime per poterlo mettere in imbarazzo, per potersi vendicare, per sentirsi soddisfatta – anche se in quella maniera non lo sarebbe affatto stata. Ma fu costretta a rimanere in silenzio poiché una sostanza liquida color cenere prese a scivolarle dagli occhi e ad entrambi gli angoli della bocca.

 

 

***

 

 

Si trovava ad un bivio; il corpetto del vestito la stava soffocando, non vedeva l’ora di tornare all’appartamento in periferia per toglierselo, ma d’altro canto quella torta aveva un aspetto così perfetto e sembrava così squisita da averle fatto venire l’acquolina alla bocca. La tentazione di mangiarla era veramente grande – anche e soprattutto perché non aveva toccato neanche una briciola di pane da quando era arrivata a Corte e la fame si faceva sentire – e la mano stava dando retta allo stomaco, avvicinandosi sempre più alla pila di piatti puliti poggiata sul tavolo, in modo tale da servirsi repentinamente senza attendere l’arrivo di un cameriere poiché tutti impegnati a correre avanti e indietro per servire i più rinomati ospiti, tuttavia una voce severa e conosciuta la fece desistere dal suo desiderio più attuale. «Ti consiglio di fare attenzione a ciò di cui ti nutri. Quel dolce ha una quantità molto elevata di zuccheri.»

La ragazza roteò gli occhi al cielo. «Sì, sto sgarrando la dieta, e allora? Potrò permettermelo dopo cinque mesi di regime ristretto.»

Il vampiro si accostò maggiormente a lei. «Non rispettare le regole che ti sei imposta fa di te una donna patetica, Milady. Ma se ti risulta piacevole raggiungere il ridicolo, prego, serviti pure.»

Pensierosa, Selena assottigliò lo sguardo e poi lo spostò lungo tutta la tavolata accogliente i dessert; la vistosa quantità di pasticcini e mousse che vi si poteva incontrare era stata evidentemente dimezzata da bocche affamate di sfizioserie – e dall’insaziabile voglia di dolci del principe dalle profonde occhiaie –, pertanto l’inganno risultava sgamabile. Solo si diede della stupida per non averci fatto caso in precedenza, ma gli fu grata per aver parlato e, così facendo, per averla messa sull’attenti, pertanto analizzò nuovamente la torta per coglierne appieno i particolari e capì che la panna era stata colorata di rosa per poter attirare l’attenzione di una donzella, e i pezzetti di fragola donavano alla composizione un tocco di delicatezza e semplicità difficile da ignorare; ma il fattore incriminante saltava all’occhio con innata semplicità. «Voi vampiri avete un olfatto quattro volte superiore a quello di un normale essere umano, e questo vi permette di rendervi immediatamente conto se c’è qualcosa che non va. Questa torta ha un aspetto decisamente invitante, ma nonostante questo è ancora intatta. Significa che contiene degli ingredienti non adatti alla buona riuscita della ricetta, oppure che è stata avvelenata. Dato che ti sei tanto preoccupato di controllare le mie mosse, non posso fare a meno di immaginare che dietro questo dolce apparentemente perfetto ci sia il tuo zampino, Reiji-san.»

Lui ghignò, guardandola dall’alto in basso. «Eccellente spiegazione. Ebbene sì, questa mattina sono passato per le cucine e ho aggiunto il mio tocco personale a questa torta. Però hai deluso le mie aspettative. Ero convinto riuscissi ad arrivarci subito e non solamente dopo il mio intervento.»

La blu fece spallucce. «Stasera non sono in vena delle tue diavolerie. Sono molto stanca.»

«Stai giustificando il tuo fallimento con delle mere frasi fatte.»

«Senti, non mi interessa quello che pensi. A proposito, mi diresti quando tempo ancora durerà questa specie di festa? Vorrei chiamare quella carrozza e tornarmene a casa.»

«Sei di una maleducazione unica. Appena saremo soli ti dovrò raddrizzare a dovere.»

Si sarebbe aspettato principalmente due reazioni da parte dell’umana: la prima era indignazione, rabbia e tanta voglia di litigare, mentre la seconda era indifferenza e ricerca di altro cibo. Ma mai avrebbe immaginato che la ragazza iniziasse a lievitare a mezz’aria.

 

 

***

 

 

Era rimasta da sola. Tutte le sedie accostate a quel tavolo erano vuote fatta eccezione per la sua, ma non aveva intenzione di lamentarsi; era contenta che le sue amiche avessero trovato il modo giusto per trascorrere quella serata, le stava bene per davvero, nonostante fosse preoccupata che non passasse in fretta per lei – ma, del resto, il tempo risultava essere uguale per tutti. Semplicemente sarebbero passati i minuti e poi le ore, la musica avrebbe cessato di riempire invisibilmente lo spazio, il salone si sarebbe svuotato, il re si sarebbe ritirato e lei finalmente avrebbe potuto congedarsi insieme alle altre e fare un’altra visita, questa volta al materasso un po’ malandato ma pur sempre comodo dell’appartamento in affitto. Bevve un sorso d’acqua nonostante la sua pancia stesse richiedendo delle sostanze solide, ma proprio non riusciva a farsi forza per alzarsi e raggiungere la tavolata del buffet, né era nei suoi piani attirare l’attenzione di un cameriere per farsi servire – sarebbe stato scortese e, oltretutto, non aveva voglia di disturbare nessuno dalle proprie molteplici mansioni.

«Il brontolio del tuo stomaco si sentirebbe a chilometri di distanza, Chichinashi.»

La bionda balzò dalla paura, però il secondo successivo tornò a tranquillizzarsi poiché si era resa conto di chi le aveva appena rivolto la parola. Diede vita a un sorriso di cortesia e disse: «Mi hai fatta spaventare, Ayato-kun.»

Il vampiro sospirò per poi porgerle un piatto di ceramica contenente diverse tartine, ognuna con un gusto differente e mai ripetuto. «Zitta e mangia.»

Yui spostò più volte lo sguardo dal rosso alle pietanze che le aveva gentilmente porto, per poi decidere finalmente di dargli ascolto e cibarsi; nonostante non risultasse essere affatto parte delle buone maniere, parlò con la bocca piena: «Sei stato veramente carino a preoccuparti per me, Ayato-kun.»

Lui schioccò la lingua. «Sei più pallida del solito. Credo sia stato istinto.» Ridacchiò e aggiunse: «E poi Ore-sama è carino sempre, non solo in alcune occasioni. Anzi, Ore-sama non è carino, bensì bellissimo. Tienilo a mente, Chichinashi.»

La ragazza annuì, divertita. «Me ne ricorderò.»

«E poi» fece Ayato a bassa voce, «ho bisogno che tu stia bene. Mi devi nutrire e devi stare sul trono accanto al sottoscritto.»

Inclinò appena la testa di lato. «Sul trono?»

«Chi altri se non Ore-sama potrebbe diventare il prossimo re di Vamutsuchiin? Nessuno, ovviamente. E il re deve essere affiancato da una regina.» Yui assunse un colorito paonazzo e ringraziò silenziosamente il vampiro per aver distolto lo sguardo, in modo da non poter vedere il suo viso imbarazzato. E avrebbe voluto rispondergli con tutto il cuore, ma fu proprio in quell’istante che accadde qualcosa di profondamente sbagliato. Tutti i presenti se ne accorsero dati i loro sviluppati cinque sensi tuttavia, nonostante i vampiri fossero celebri per la loro capacità di rispondere repentinamente ad un agente esterno alla loro concezione di normalità, rimasero interdetti e non seppero come comportarsi. Qualcosa di colore rosso si stava avvicinando a velocità moderata al castello, e tanto sembrava una nuvola provenire direttamente dalla luna; viaggiava tra i granelli d’aria percorrendo una traiettoria ben precisa e non produceva rumore alcuno né vento. Raggiunse il centro del cortile interno del palazzo reale e stette lì, a pochi centimetri di distanza dal terreno, ad aspettare che il Fato continuasse il proprio percorso. Facendosi rumorosamente largo tra i nobili, Aya raggiunse la finestra che meglio avrebbe potuto mostrare la strana sostanza scesa dal cielo e spalancò entrambi i vetri, affacciandosi di slancio; sarebbe caduta di sotto se Azusa, anche lui inquieto, non l’avesse retta per i fianchi. La giovane poté osservare le sue amiche umane sollevarsi dal pavimento e ad avvicinarsi progressivamente a quella finestra; Ayato tentò di mantenere a sé Yui, ma la forza che stava attraendo la ragazza verso la nebulosa risultava essere eccessivamente potente da fronteggiare, pertanto tutti i presenti – in particolar modo i sei principi – non poterono fare altro che osservare ciò che stava avvenendo. Non una singola opposizione proveniva dalle giovani poiché sotto l’effetto di una strana trance; Harumi e Kin non stavano opponendo resistenza, Tara e Selena non stavano chiedendo aiuto, Yui e Miki non stavano piangendo – erano tutte perfettamente immobili e addormentate, nonostante i loro occhi fossero spalancati e privi di pupilla e iride.

«Reiji, che cazzo sta succedendo?!» urlò Ayato mentre lo afferrava per il colletto della camicia.

«Purtroppo ne so quanto te» gli rispose il secondogenito, tenendo lo sguardo fisso sulla sostanza scarlatta nel tentativo di riconoscerne qualche elemento – tuttavia mai nel corso della sua esistenza aveva avuto modo di assistere ad un tale evento.

Subaru sputò una serie di espressioni volgari e piantò un pugno sul davanzale di marmo, e contemporaneamente Kanato si mise ad urlare, in preda ad un attacco di isteria, mentre tra le sue braccia Teddy tentava di trattenere le lacrime; Laito rimase in silenzio esattamente come Shuu, il primo poiché incapace di formulare un pensiero di senso compiuto e il secondo perché incredulo di ciò che stesse effettivamente accadendo.

«Fate qualcosa, fate qualcosa!» sbraitò Aya sull’orlo del pianto, ma nessuno aveva il coraggio di prendere in mano la situazione, nemmeno le regine e Richter, nonostante trasmettessero un’aura di fermezza e capacità decisionali. Azusa prese a voltarsi incessantemente, alla ricerca di qualcuno abbastanza in gamba da offrir loro un concreto aiuto, ma l’unica cosa che riuscì a captare fu il sorriso gelido di Karlheinz.

E nel frattempo, le giovani erano silenziosamente giunte alla sostanza gassosa e densa rossa e vi erano atterrate davanti; come se fosse stato presente una violenta spirale, un forte vento le costrinse a sfiorare la nuvola e, una dopo l’altra, vennero risucchiate all’interno di quello che aveva iniziato a somigliare ad un maleficio – prima Selena, poi Kin, successivamente Miki e Tara, e infine Yui. Anche se incosciente, Harumi fu l’unica che tentò di opporre resistenza richiamando a sé tutta la forza che le ogni singola fibra del suo corpo era in grado di sprigionare, ma l’unico risultato che riuscì ad ottenere fu tragico: una profonda ferita le si aprì sulla schiena e le macchiò l’abito di sangue, e la costrinse a lasciarsi andare al vortice. La nuvola scarlatta, subito dopo aver fatto piazza pulita, diminuì sempre di più il proprio volume fino a trasformarsi in una sfera di vetro – o forse era cristallo – e tonfare al suolo con un rumore sordo; da alcuni cespugli fece capolino una figura incappucciata e ricurva su se stessa, e quest’ultima si lanciò in avanti per afferrare l’oggetto magico probabilmente per rubarlo o per riappropriarsene, ma fu fermata da un violento sparo, pertanto si accasciò a terra e iniziò a perdere del vistoso sangue. I testimoni non ebbero ben chiaro cosa stesse accadendo – soprattutto perché nessuno di loro aveva percepito presenze esterne –, ma tutti loro poterono affermare d’aver scorto una sagoma avvolta dall’oscurità darsi alla fuga e scomparire nel bosco.

 

 

 

 

Angoletto dell’Autrice!!

Okay, mi ero posta la base delle settemila parole a capitolo per farli risultare omogenei e né troppo lunghi né troppo corti… Questo ne ha 11206. Sembra il numero di telefono di una telepromozione. E scusatemi se i personaggi sono OOC, ma questa volta non sono riuscita ad evitare questa catastrofe-- Facciamo che questo capitolo è uno sgarro alla mia severa legge NMACPP (Non Modificare Assolutamente i Caratteri dei Personaggi Preesistenti). Don't worry, dalla prossima volta si torna sulla retta via, parola di fanwriter ;)

Reiji: Imperfetta come al solito.

Quest’oggi ho deciso di ignorarti, Reiji-san, anche perché non ho fatto altro che accanirmi su di te tramite meme per un’intera settimana… Ma dicevo! Cosa pensate di questo chappy? Vi sareste aspettati quello che è successo? E precisamente, cosa è successo? Qualcuno di voi ci è arrivato già? No? Non temete, il prossimo capitoletto spiegherà delle cose davvero interessanti! Nel frattempo, me la lasciate una recensioncina? ;)

Grazie mille per aver letto e alla prossima!

-Channy



Post Scriptum: una cosa che mi diverte tantissimo di questa storia è che il titolo abbreviato è W.C. eeeee non è carino AHAHAH Però me lo faccio andare bene perché mi ricorda LA WATEERR (riferimenti a Simone Vandelli puramente casuali).

Shuu: Tu sei scema.

Grazie tesoro♥

  
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