Videogiochi > Tekken
Segui la storia  |       
Autore: Bloodred Ridin Hood    26/10/2019    0 recensioni
Commedia sperimentale sulle vicende di vita quotidiana della famiglia più disfunzionale della saga.
Immaginate la vita di tutti i giorni della famiglia Mishima in un universo parallelo in cui i suoi membri, pur non andando esattamente d’accordo, non cerchino di mandarsi all'altro mondo gli uni con gli altri.
[AU in contesto realistico] [POV alternato]
[Slow-burn XiaoJin, LarsxAlisa] [KazuyaxJun] [Accenni di altre ship]
[COMPLETA]
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Asuka Kazama, Jin Kazama, Jun Kazama, Lars Alexandersson
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

40
Guilty Memories
(Lars)

Se camminare con un piede rotto in piano poteva sembrare doloroso, dover scendere giù per delle scale è una vera e propria tortura.
Mi trascino lentamente, passo dopo passo, scalino dopo scalino e sento la fitta farsi sempre più acuta e più penetrante.
Ma al di là di questo dolore insopportabile, c’è qualcos’altro che attanaglia ora la mia mente, qualcosa che non riesco a togliermi dalla mente. Continuo a vedere quelle immagini nitide, chiare, davanti agli occhi.
Quello che era nato come uno strano sospetto è stato come confermato da quell’ultima fotografia. Una fotografia di tre ragazze di cui, quella centrale, ha inequivocabilmente, indiscutibilmente gli stessi connotati di Alisa.
Diversi capelli certo, tenuti lunghi e di un naturale color castano e diverso stile, ma stesso identico viso di Alisa.
Una foto risalente all'aprile 1974.
1974.
Alisa ha una sorella più grande dunque?
Sarebbe la spiegazione più plausibile certo, però quella non era una semplice somiglianza. Le due ragazze sono identiche, è qualcosa che va al di là della semplice somiglianza tra sorelle! È come se si trattasse di due gemelle omozigoti, ma allora com’è possibile che quella foto sia del 1974?!
Arrivo finalmente al piano di sotto e mi ritrovo in un’ampia sala spaziosa. Cerco di illuminare l’ambiente circostante con il debole lume della mia candela. Devo aver raggiunto la sala d’ingresso, scorgo quello che sembra il portone principale. Mi trascino strisciando contro le pareti, per sorreggermi e nel mentre cercare delle porte o delle altre vie d’uscita. Devo riuscire a trovare Alisa, ma non ho idea di dove possa essere caduta e non posso muovermi normalmente, è una situazione snervante e angosciante al tempo stesso.
Raggiungo la prima porta, cerco di aprirla, ma sembra sigillata, mi spingo avanti verso la seconda. Stesso problema.
Emetto un sospiro esasperato e continuo il mio giro d’esplorazione. Trovo altre due porte, ovviamente bloccate. Batto un colpo con una mano sull’ultima porta, in preda all’irritazione, e poi mi lascio scivolare con la schiena fino a terra, per riprendere le energie e per riflettere su cos’altro potrei provare a fare.
Ma non ho molto tempo a disposizione per pensare. Infatti non passa neanche un minuto, che improvvisamente risuona di nuovo un allarme tipo quello di prima, con tanto di intermittenti lampi di luce rossa.
Chiudo gli occhi e digrigno i denti, imprecando tra me e me.
I Jack stanno tornando.
Dovevo aspettarmelo, era questione di tempo prima che mi ritrovassero!
Sento in lontananza i passi pesanti e ritmati dell’esercito di robottoni. Mi metto a gattoni e mi guardo intorno per cercare una possibile via di salvezza. Non ho molto tempo, scorro disperatamente lo sguardo nell’ambiente intorno a me e a quel punto vedo quella che potrebbe diventare la mia disperatissima soluzione di salvataggio.
C’è un grosso camino spento nella parete di fronte al portone. Se riuscissi a raggiungerlo potrei nascondermi al suo interno e provare ad arrampicarmi, sempre sperando che i Jack non arrivino prima, mi vedano e mi facciano arrosto con un’altra delle loro fiammate. Non sembra esserci nessun’altra alternativa, o per lo meno non riesco a trovare un’idea migliore. È l’unico disperato tentativo che posso fare.
Striscio rovinosamente sul pavimento, muovendomi in una angosciata corsa contro il tempo. Raggiungo finalmente il camino, mi infilo al suo interno, non c’è cenere, né residui di fuochi recenti, soltanto polvere e fitte ragnatele. Spero che sia un buon segno.
Mi addentro all’interno del focolare e tasto la parete del fondo per cercare un appiglio in cui potermi arrampicare. Il suono dei passi dei Jack che rieccheggiano sembrano andare a ritmo con il battito martellante del mio cuore.
Riesco finalmente a trovare qualcosa che posso afferrare. È una sorta di gancio metallico nascosto dentro la canna fumaria. Ottimo! Posso fare leva con quello per issarmi almeno il tanto giusto per potermi nascondere. Non sarà facile con il piede infortunato, ma devo almeno tentare.
Afferro il gancio con tutte le mie forze, ma inaspettatamente cede sotto il mio peso, mentre il fondo del camino si apre rivelando una nuova botola.
“Cos…”
Era una leva!
Prima che abbia la possibilità di rendermene conto, mi ritrovo a cadere e rotolare giù in una sorta di scivolo stretto, buio e incredibilmente sporco.
Continuo a prendere velocità e nonostante provi a fare attritto con le mani, non riesco comunque a frenare il violento, inevitabile arrivo che mi porta ad urtare il piede già fratturato contro il pavimento di una stanza illuminata con dei lampadari al neon.
“Aaaaargh!” lancio uno straziante urlo di dolore, andando a raccogliere il piede dolorante con entrambe le mani.
Cerco di adattare gli occhi alla nuova luminosità, ma questa luce è fin troppo intensa e non riesco a tenerli aperti per più di pochi secondi.
Sento dei passi lenti e strisciati venire verso di me.
Apro gli occhi ancora una volta e vedo come prima cosa delle babbucce a quadri che si muovono lentamente verso di me.
Una voce roca poi mi chiede qualcosa.
“Ja nje gavarju pa russki.” rispondo allora con l’unica frase in russo che sono in grado di pronunciare.
La voce continua a parlare, sempre in russo, nonostante abbia appena affermato la mia non conoscenza della lingua.
“Dottor Bosconovitch?” chiedo allora riuscendo ad aprire meglio gli occhi.
Sono in una sorta di laboratorio, con strani strumenti sparsi un po’ per tutta la stanza. Un uomo anziano, molto anziano mi guarda con un’espressione enigmatica.
“Sono un amico di sua figlia Alisa.” gli dico allora proseguendo in giapponese “Vengo in pace.”
“Mia figlia Alisa?” ripete lui con un forte accento.
“Sì!” esclamo “Anche lei era con me! Ci siamo introdotti in casa perché abbiamo bussato, ma non abbiamo ricevuto risposta.”
Il dottore mi ascolta incerto, poi si gratta la fronte con un indice.
“Non ricevo mai visitatori.” risponde, poi mi guarda con aria malvagia “Ma molti ladri o curiosi vengono spesso a trovarmi e ho dovuto adattare alcune misure di sicurezza.”
“Misure di sicurezza?!” gli rimprovero “Quei Jack mi hanno quasi ucciso! E mi hanno rotto un piede!”
Il dottore abbassa lo sguardo sul mio piede, poi alza le spalle.
“Non è mai morto nessuno qui.” sibila “Almeno, non per via dei Jack.”
“Mi hanno sparato contro un dannato lanciafiamme!” ribatto.
Il dottore si gratta ancora la fronte.
“Quella è una mia modifica recente!” sorride soddisfatto, poi ci ripensa "Forse è un po’ estrema?”
“Un po’ troppo estrema?” ripeto sbigottito “Mi hanno quasi fatto arrosto!”
Il dottore si stringe nelle spalle.
“Il mio obiettivo è tenere lontano i ladri, ma non intendo ucciderli. Potrei anche passare dei problemi. Forse. Chi lo sa.” poi si ferma e ragiona fra sé e sé “Potrei sostituire il fuoco con dell’acqua ghiacciata… o con un getto di azoto liquido.” poi si blocca ancora e prende a guardarmi con sospetto “Come conosci il loro nome comunque?”
“Dei Jack, intende?” chiedo “Gliel’ho detto, sua figlia Alisa era con me!”
“Alisa?” ripete il vecchio, poi scuote la testa e si spinge gli occhiali sul naso “Impossibile, la mia Alisa si trova in Giappone in questo momento.”
“Perché l’ha affidata a Jun Kazama ed è andata a vivere con loro. È lì che ci siamo conosciuti.” rispondo “Ma adesso Alisa è qui con noi in questa casa.”
Il dottore mi guarda diffidente.
“E dove sarebbe adesso? Perché non è con te?!”
“Si è aperta una botola al piano di sopra! Proprio subito dopo che si è attivato il primo allarme!” racconto “E a quel punto Alisa è caduta sotto, non so dove. La stavo cercando fino ad adesso.”
“Hai lasciato la mia povera Alisa da sola.” mi accusa.
Sul serio?! Ora sarebbe colpa mia?!
“Ci siamo divisi perché una botola si è aperta all’improvviso sul pavimento!” ripeto “Come avrei potuto prevederlo?!”
Il dottore mi guarda pensieroso.
“Perché dovrei fidarmi di quello che dici, sconosciuto?”
“Perché…” mi fermo, non so cosa dire “Troviamo Alisa per prima cosa, poi sarà lei a spiegarle chi sono.”
Il dottore ci pensa un po’, poi si gratta la fronte.
“Presumo che trovare Alisa sia la prima cosa da fare.” ne conviene “Sempre se dici il vero. Sempre se si trova davvero qui.”
“È davvero qui!” ripeto per l’ennesima volta.
Il dottore mi squadra in silenzio da testa a piedi, poi si schiarisce la voce.
“Ragazzo…” dice poi, non badando alla mia risposta “... credo che il tuo piede abbia qualcosa che non va.”
Abbasso lo sguardo sul mio piede, livido e piegato in maniera decisamente non naturale.
“Sì, l’ho notato.” borbotto.
“Vuoi che… dia un’occhiata dopo che troviamo Alisa?” chiede distrattamente, avvicinandosi ad una serie di monitor sulla parete a fianco a noi.
“Ehm.. ok?” rispondo confuso.
Lui interagisce con una tastiera i vari monitor si accendono, attivando le immagini di quello che presumo sia una sorta di sistema di videosorveglianza.
“Oh Alisa!” emette poi con un rantolo, portandosi una mano davanti alla bocca.
“Che succede?!” scatto seduto cercando di intravedere nelle immagini del monitor “Sta bene?!”
Il dottore non risponde, e lascia la stanza di fretta.
“Hey!” lo chiamo “Aspetti! Che succede?!”
Silenzio.
“Dottor Bosconovitch!”
Mi trascino a gattoni sul pavimento e cerco di sbirciare anche io negli schermi della videosorveglianza.
Il cuore mi batte all’impazzata per l’ansia. Cosa è successo ad Alisa?! Perché il dottore ha reagito in quel modo?! Cosa ha visto?!
Raggiungo gli schermi e mi appoggio al ripiano per issarmi su e poter vedere meglio.
Faccio scorrere velocemente lo sguardo su tutti i monitor e cerco di individuare la figura di Alisa da qualche parte.
Niente, da questi schermi si riesce a malapena a scorgere qualche sagoma, ma mi sembra comunque di non riuscire a vedere niente di vagamente simile ad una figura umana.
Stringo la mano a pugno, contro il ripiano freddo del tavolo da lavoro.
Dove cavolo è finita Alisa?!
Sta bene?!
Sono io ad averla trascinata in questa assurda missione. Se dovesse esserle successo qualcosa non me lo perdonerei mai.
“Lars!” sento poi da qualche parte dietro di me.
Mi volto e noto Alisa che entra nella stanza e corre in mia direzione.
“Alisa!” esclamo con un misto di sollievo e sorpresa.
Lei mi raggiunge e mi si butta addosso con le braccia attorno al collo, costringendomi ad arretrare un pochino e ad appoggiare il peso sul piede rotto.
Mi lascio sfuggire un gemito di dolore e lei sobbalza all’indietro.
“Lars, che succede?!”
“Il ragazzo ha un piede rotto.” risponde il dottore entrando in quel momento.
Alisa guarda il piede a bocca aperta.
“Oh mio dio!” mormora “Ti ho fatto male?! Mi dispiace!”
“Non è niente!” la rassicuro mettendole le mani sulle spalle e studiandola “Tu, piuttosto… stai bene?”
Lei annuisce con decisione.
“Sono scivolata giù fino allo scantinato, ma sto bene. Fortunatamente sono finita su un vecchio divano che mi ha attutito la caduta.” spiega “Ma tu… devi assolutamente farti aiutare da papà!”
Alisa si volta dal padre e lo guarda per assicurarsi una conferma e il dottore annuisce.
Alisa mi aiuta a sedermi sul banco sotto ai monitor di sorveglianza e il dottore si avvicina con una valigetta per il pronto soccorso.
Rimaniamo in silenzio durante la mia visita e non riesco a trattenere un urlo di dolore quando il dottore fa pressione sul piede per ‘rimettere le ossa al loro posto’, prima di procedere alla fasciatura.
“Lars…”
Apro gli occhi, Alisa è a fianco a me che mi guarda preoccupata.
“È tutto a posto ora.” mi sussurra dolcemente.
Chiudo gli occhi e annuisco, intontito dal dolore.
“Sicuro di non volere un antidolorifico?” chiede ancora Alisa.
Scuoto la testa. Sono sicurissimo. Non è il caso di dirlo ad Alisa, ma non mi fido per niente degli intrugli prodotti da suo padre che che si è offerto di farmi bere. Non appena tornerò in città farò una visita alla farmacia, fino ad allora sarò forte e eviterò di impazzire per il dolore.
“Bene.” dice il dottore sistemando gli attrezzi per la fasciatura dentro alla valigetta “Adesso potrei sapere perché vi siete introdotti nella mia casa come dei malintenzionati? Avreste potuto anche farvi male.”
Deglutisco. Già, avremmo potuto.
“Papà…” inizia allora Alisa con tono di rimprovero “Hai decisamente bisogno di comprarti un telefono! Ti avremmo avvisato della nostra visita e Lars non si sarebbe rotto un piede!”
Il dottore la guarda stupito, poi si sistema gli occhiali.
“Le buone vecchie lettere funzionano alla grande, mia cara.” risponde plastico.
“Sì, se non fosse che le lettere intercontinentali arrivano dopo un mese!” polemizza Alisa, poi rivolgendosi a me aggiunge “Papà non si fida di tutte le invenzioni che non ha progettato lui.”
“Questo non è vero.” il vecchio scuote la testa indispettito “Ma Alisa, da quando sei diventata così impertinente? Le generazioni di oggi ti stanno corrompendo con la loro inaudita presuntuosità, come temevo.”
A quel punto mi intrometto con un colpo di tosse.
“Alisa, Dottor Bosconovitch…” forzo un sorriso “Forse dovremmo concentrarci sul motivo per cui siamo qui.”
“Papà…” dice Alisa a quel punto “Stiamo indagando sugli esperimenti genetici della Mishima Zaibatsu. Devi dirci quello che sai!”
Il dottore impallidisce di colpo e arretra, per poco non gli cade la valigetta dalle mani.
“Alisa?!” esclama sgomentato, quasi ferito.
“Forse… è meglio se ci sediamo tutti e…” provo a dire schiarendomi la voce.
Non vorrei che il dottore avesse un mancamento.
“Papà, è molto importante.” insiste Alisa “E tu…”
“Alisa!” esclama il dottore improvvisamente severo “Lasciami parlare da solo con questo giovane!”
“Cosa?!” chiede lei appena contrariata e guarda me in cerca di sostegno.
Non sono del tutto contrario all’idea del dottore in effetti. Potrei anche cogliere l’occasione per chiedergli di quelle foto.
“Facciamo come dice.” le suggerisco.
Alisa torna a guardare il padre, con espressione dubbiosa, poi torna da me.
“D’accordo, ma Lars… se ti fa del male urla e verrò a salvarti!” dice come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Deglutisco e mostro un sorriso tirato, non sapendo se doverla considerare una battuta o meno. Ma mi ricordo ben presto che Alisa non scherza quasi mai e sospiro nervosamente mentre lei lascia la stanza. Coraggio Lars, hai superato situazioni ben più complicate di questa!
“Sono veramente indignato!” esclama il dottore sprezzante una volta che siamo soli “Parlare di quegli esperimenti di fronte alla povera Alisa! È roba di così tanti anni fa! Perché riaprire adesso certe vecchie, dolorose ferite!”
“Perché è giusto fare luce su ciò che è successo!” spiego, ma il dottore sembra non avere voglia di ascoltarmi.
“Devi andartene da questa casa.” mi guarda con disprezzo “E Alisa resterà qui! È stato un errore permetterle di vivere con dei Mishima.”
“Mi ascolti!” gli ordino sovrastandogli la voce “Non può più decidere lei per Alisa!” lui sembra furioso “Vuole veramente negarle ancora una volta di vivere la sua vita?!”
“Io… ho solo cercato di proteggerla!” risponde il dottore.
“Certo! Tenendola dentro una campana di vetro per tutta la sua giovinezza!” ribatto “Impedendole di vivere come una ragazza normale!”
“Almeno era al sicuro…” dice il dottore adesso con una vena di tristezza, poi scuote la testa “Tu non sai niente, non puoi capire.”
Sembra sofferente, immerso nei suoi pensieri, abbassa lo sguardo.
Esito, poi riprendo a parlare con tono più calmo.
“Mi faccia capire allora.” dico “Qual è esattamente il legame tra Alisa e quegli esperimenti?”
“Io ho solo cercato di proteggerla.” ripete il dottore, come se stesse cercando più che altro di convincere sé stesso.
“Dottor Bosconovitch perché al piano di sopra ho trovato delle foto di una ragazza identica ad Alisa… degli anni ‘70?” chiedo serio.
Il dottore mi guarda adesso con orrore.
“Cosa hai… sei entrato nella stanza…” farfuglia con evidente rabbia crescente.
“Non era mia intenzione frugare tra le sue cose.” mi scuso “Stavo cercando una via d’uscita e… ho trovato per caso quell’album di fotografie.”
Il dottore abbassa lo sguardo e deglutisce.
“Io… dovevo fare in modo di sistemare le cose…” riprende a voce tremante “Doveva esserci un’altra possibilità…”
Si sfila gli occhiali e si copre gli occhi con una mano.
Sembra sul punto di mettersi a piangere.
“Dottore?” chiedo cautamente, non sapendo bene come comportarmi.
Di certo non mi aspettavo questa reazione.
Il dottore sospira, poi scuote la testa e si scopre gli occhi. Evitando di guardarmi inizia a pulire le lenti degli occhiali con la stoffa del suo camice.
“Tu… tu sembri essere affezionato ad Alisa.” osserva poi “E lei sembra essere affezionata a te.”
Non rispondo, non capisco dove voglia andare a parare.
“Sai Alisa non aveva mai alzato la voce con me.” continua rinforcando gli occhiali e finalmente torna a guardarmi “Quasi non la riconoscevo quando mi ha parlato poco fa!” poi emette un lungo sospiro con una specie di rantolo “Mi ha quasi ricordato l’altra Alisa…”
“L’altra Alisa?” ripeto incerto.
Il dottore annuisce.
“Mia figlia Alisa è nata il 27 agosto 1958.” inizia il dottore facendomi salire un brivido di gelo lungo la schiena “Ed è morta per una malattia congenita alla fine dell’autunno del 1975, a poco più di diciassette anni.”
“Che cosa significa questo?” chiedo cautamente.
“Per tutti questi anni non mi sono mai dato pace…” riprende il dottore quasi balbettando “Non ero riuscito a salvarla, nonostante i miei sforzi… le mie cure…”
Il dottore si siede.
“Ma anche dopo la sua morte, ho lavorato diversi anni per la Mishima Zaibatsu e per tutto quel tempo non ho mai smesso di cercare un modo, una cura per quella malattia che aveva portato via la vita di mia figlia.” continua con quello che sembra un rantolo struggente.
Faccio veramente fatica a decifrare le parole di questo discorso lamentoso.
“Poi… Heihachi ha finanziato una ricerca genetica e io…” respira a fatica.
“Che è successo a quel punto?” chiedo.
“Ho… sfruttato segretamente quelle ricerche per correggere il DNA di Alisa…” riprende, poi mi guarda “... l’ho aggiustato, invece di trovarne una cura, ho eliminato quel difetto genetico che me l’aveva portata via.”
Inspiro a fondo, arrivando finalmente alla conclusione.
“Lei… ha clonato sua figlia…” realizzo a voce alta.
Lui annuisce con aria colpevole e abbassa lo sguardo.
“Heihachi però non la prese bene….” riprende il dottore “Era troppo rischioso, Alisa era morta da troppo poco tempo. Chi aveva conosciuto la prima avrebbe potuto intuire cosa era stato fatto e Heihachi temeva che questo potesse portare l’attenzione sul suo principale progetto e dunque…” il dottore corruga e si gratta la fronte “Mi licenziò dal progetto e mi assegnò ad un gruppo di ricerca in Antartide, dove era sicuro nessuno avrebbe potuto scoprire cosa era stato fatto.” continua il suo racconto “Era… l’unica possibilità per poter stare con Alisa, o me l’avrebbe portata via.”
E a quel punto inizia a piangere.
“Non potevo…” dice asciugandosi le lacrime “Non potevo perderla di nuovo. L’ho portata in Antartide con me… dove le ho insegnato a difendersi e a sopravvivere in un mondo così pericoloso e pieno di insidie. Le ho insegnato tutto ciò che dovesse sapere, in previsione di quando si sarebbe trovata ad affrontare il mondo reale. Perché il mondo è pericoloso… si può morire e…”
Il dottore si blocca di nuovo, inspira e lentamente si calma.
“L’Alisa che conosci anche tu ha scoperto la verità su sé stessa la mattina del suo dodicesimo compleanno.” riprende pochi secondi dopo “Temevo una sua reazione o che potesse ribellarsi, ma lei stessa, non avendo mai conosciuto una vita diversa da quella che aveva condotto fino a quel momento, fu comprensiva. Stabilimmo che avremmo aspettato almeno fino ai suoi diciotto anni, prima di tornare nel mondo reale. Gli esperimenti della zaibatsu ormai erano stati cancellati, quindi anche Heihachi non avrebbe avuto niente in contrario ad un nostro ritorno.”
Chiudo gli occhi e inspiro a fondo, cercando di soffocare quel turbine di pensieri e di emozioni che mi stanno facendo urlare internamente.
“Ora… mi spiego come possa un padre aver deciso di far vivere la propria figlia relegata in quel modo per tutti quegli anni.” confesso.
“Io ho solo cercato di proteggerla…” ripete il dottore quasi ossessivamente.
E io non posso più accettare di sentire questa frase.
“Lei non ha riportato in vita la sua Alisa…” gli faccio notare tagliente “Ne ha semplicemente creato una copia che poi ha costretto a una vita finta!”
Il dottore mi guarda, pallido in volto, con l’ombra di un attanagliante senso di colpa che emerge dai suoi occhi. Sa che ho ragione!
“Le ha negato un’infanzia, un’adolescenza… momenti che non potrà recuperare mai più!” sottolineo e mi fermo soltanto perché il dottore adesso ha un’espressione talmente sofferente che arriva a farmi pena.
“La cosa peggiore…” dice poi Bosconovitch con un filo di voce “È che ti do ragione, ma l’ho capito troppo tardi.” poi abbassa lo sguardo “Questo il mio fardello… quello che mi porterò dietro fino al giorno della mia morte.”
“Deve… fare in modo che Alisa viva il suo futuro come meglio crede.” riprendo allora poco dopo “È la cosa migliore che può fare per lei. Deve vivere più lontana possibile dal suo controllo.”
Il dottore non risponde, ma annuisce e va a sedersi su una sedia.
Si copre ancora il volto con le mani.
Passano dei lunghi minuti di silenzio, nei quali ripenso ossessivamente alla conversazione appena avuta.
“Presumo che… Alisa voglia aiutarti per vendicarsi di me… di Heihachi e di chi ha permesso la realizzazione di questo esperimento.” ricomincia poi Bosconovitch.
Lo guardo.
“Credo di sì.” ammetto “Adesso capisco decisamente meglio le sue ragioni.”
Il dottore sospira.
“Presumo che… sia opportuno che io faccia la mia parte.”
“Direi che sarebbe il minimo che possa fare.” rispondo forse un po’ troppo acidamente.
Mi rendo conto che il dottore è devastato dal suo senso di colpa, ma è più forte di me. Non riesco a non essere adirato con lui.
Il dottore annuisce.
“Purtroppo sono uscito dal progetto fin troppo presto e non ho molti dati a mia disposizione.” continua.
“Sarà comunque meglio di niente.” rispondo “E oltre alla sua testimonianza, quello di cui abbiamo bisogno è un nome.” aggiungo “Il nome dello scienziato che coordinava quell’operazione. Il suo nuovo nome.”
Il dottore mi guarda confuso.
“Il mio informatore è convinto che lei possa conoscerlo.”
Bosconovitch apre la bocca, con evidente preoccupazione.
“Cosa volete farle?” domanda poi serio “È una brava persona, non voglio che le facciate del male… correrà qualche pericolo?”
“Assolutamente no.” gli assicuro “Me ne occuperò io personalmente e farò in modo che non si creino situazioni di pericolo. Quello che ci interessa è soltanto la sua testimonianza.”
Il dottore ci riflette a lungo, poi sospira.
“Non ci sentiamo da parecchio tempo, non so neanche dove viva, ma ha cambiato nome più volte… anche per sfuggire alla zaibatsu… l’ultima volta che l’ho incontrata… si faceva chiamare Emma Kliesen.”
“Emma Kliesen…” ripeto.
È stata dura, mi è costato un piede rotto, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Abbiamo ottenuto questo nome.
“Perfetto.” dico annotando il nome, poi lo guardo seduto con le mani che coprono ancora gli occhi.
Dovrei ringraziarlo
“Bosconovitch…” esordisco poco dopo “Ha fatto la scelta giusta.”
Il dottore alza appena lo sguardo.
“Lars, sono felice che Alisa abbia incontrato una persona come te.” dice con lo sguardo di un padre in pena “Spero potrai prenderti cura di lei.”


Mezz’ora dopo esco dalla stanza con l’aiuto di due stampelle, il dottore mi ha fornito alcuni dettagli interessanti, posso ritenermi pienamente soddisfatto dell’esito della mia missione. Mi incammino lungo un corridoio buio ed entro in una specie di vecchio soggiorno polveroso.
Alisa è seduta in una poltrona accanto alla porta.
Alza timidamente gli occhi su di me.
“Avete parlato a lungo…” commenta.
Sospiro e annuisco, andando a prendere posto a fianco a lei.
Alisa deglutisce.
“Ti ha… detto quello che volevamo sapere?” chiede.
“Sì, alla fine sì.” annuisco “Abbiamo ottenuto un bel po’ di materiale utile.”
Alisa evita di guardarmi e gioca nervosamente con le mani.
“Ti ha anche… detto di me, suppongo.” dice titubante “Immagino sia per questo che abbia voluto che uscissi dalla stanza.”
Serio in volto, annuisco.
“Sì, mi ha spiegato tutto.” ammetto “Mi dispiace tanto, Alisa.”
Lei si stringe nelle spalle.
“Scusa se non sono mai riuscita a parlartene ma…”
“Non devi assolutamente scusarti.”
“È che… non sono altro che… un esperimento inquietante.” continua lei sull’orlo delle lacrime “Hai visto anche tu quella donna in strada stamattina… deve aver conosciuto la vecchia Alisa… era come se avesse visto un fantasma… io sono il risultato di qualcosa di innaturale e di spaventoso, io… mi sono sentita quasi come una persona normale in questi mesi a casa di Jun-san e… in un certo senso avrei preferito che non lo scoprissi mai, Lars!”
“Alisa…” mormoro sconvolto, poi la tiro verso di me e l’abbraccio forte “No! Non devi neanche pensare queste cose!”
Alisa ricambia l’abbraccio e la sento singhiozzare contro la mia felpa.
Le accarezzo i capelli.
“Alisa non è importante come sei nata, come hai vissuto per tutto questo tempo o quale sia il tuo codice genetico… non devi dire che non sei una ragazza normale, perché lo sei a tutti gli effetti! In questi mesi ti sei fatta amare e apprezzare per quella che sei.” le sussurro “Da me, dalle tue amiche…” sorrido “Da quella pazza famiglia con cui viviamo… niente potrà mai cambiare i legami che hai saldato in questo periodo. E non di certo una storia di cui tu non hai assolutamente alcuna colpa.”
Alisa mi guarda abbozzando un sorriso, dal quale vedo trasparire la sua gratitudine. Poi si stringe ancora saldamente a me, mentre continuo ad accarezzarle i capelli.
“Andrà tutto bene, Alisa.” le sussurro “Il passato non si può più cambiare, ma devi solo pensare a vivere la tua vita nel miglior modo possibile d’ora in poi. E ricordati che…” faccio una pausa “...potrai sempre contare su di me.”










  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Tekken / Vai alla pagina dell'autore: Bloodred Ridin Hood