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Autore: Miharu_phos    27/10/2019    0 recensioni
Quando c’era lui a Caleb bastava scivolargli affianco ed abbracciarlo per poter riprendere a dormire.
Ma da quando lui se n’era andato era impossibile riaddormentarsi, la sua assenza era martellante e Caleb non tollerava più quel maledetto materasso che sapeva ancora di lui.
Dove Caleb è stato lasciato da Jude e continua a vivere nei ricordi.
~
Sarà una storia composta principalmente da flashback.
Per il titolo mi sono ispirata ad una frase della canzone “animal” di troye sivan.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Caleb/Akio, Jude/Yuuto
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Caleb si svegliò in preda all’ennesimo incubo.

 

Il buio che lo avvolgeva quando riaprì gli occhi era interrotto solo da un flebile fascio di luce che proveniva dall’esterno, direttamente dalla luna.

 

Caleb passò istintivamente la mano sull’altra metà del letto, vuota.

 

Sospirò pesantemente nel realizzare nuovamente che aveva dormito da solo, così come andava avanti ormai da due settimane circa.

 

Il ragazzo si stese di nuovo, accarezzando il cuscino accanto al suo.

 

Il suoprofumo era ancora impregnato nel tessuto, come se luifosse ancora lì, come se non se ne fosse mai andato.

 

Per forza, le lenzuola non erano state cambiate da quel giorno, era ovvio che ci fosse ancora il suoodore.

 

Caleb scivolò lentamente nell’altra metà del letto, rabbrividendo a causa del materasso freddo.

 

Si dice che il tempo possa guarire ogni ferita.

 

Eppure per Caleb non era cambiato nulla da due settimane a questa parte.

 

Stava solo entrando lentamente nell’accettazione dell’accaduto.

 

Ma il dolore era ancora così presente, così prepotente dentro di lui da permettergli a malapena di respirare.

 

La parte più difficile era il risveglio.

 

Nei sogni non si soffre, non ci si sente soli.

 

Si sogna e basta.

 

Ed i sogni notturni erano tutto quel che Caleb aveva, ormai.

 

Nei primi attimi dopo il risveglio, prima di aprire gli occhi, per pochi istanti lui stava bene.

 

Era ancora cullato dalla dolce illusione del sogno, aveva dimenticato, solo per pochi attimi, il suo dolore.

 

Eppure bastava pochissimo per far riemergere la consapevolezza della realtà in cui viveva.

 

I suoi occhi prima o poi dovevano aprirsi ed inesorabilmente si sarebbero posati sulle lenzuola distese nell’altra metà del letto, o sul cuscino vuoto che giaceva accanto alla sua testa.

 

Gli capitava raramente di sognarlo, e questa era una fortuna secondo Caleb.

 

Trovava che continuare a sognare una persona che non fa più parte della tua vita sia indice di dipendenza, di incapacità di andare avanti da solo.

 

E Caleb ci stava provando, davvero.

 

Ma non era sicuro che fosse realmente quello che voleva.

 

Sapeva che era esattamente quello che si deve fare in questi casi, rimboccarsi le maniche e ripartire più forti di prima, distrarsi, tenersi occupati.

 

Solo che Caleb non ci credeva a tutte quelle stupidate.

 

La realtà è che quando perdi qualcuno l’unica cosa che hai bisogno di fare è piangere.

 

Piangere fino a consumare tutte le tue lacrime, piangere fino a non sentirti più la gola, fino a farti scoppiare la testa.

 

E lui lo aveva fatto, si era sfogato, ogni volta in cui ne aveva avuto l’occasione.

 

D’altronde ormai usciva di casa soltanto per andare a lavorare, nel pomeriggio, al caffè sotto casa.

 

Giusto per non perdere il posto.

 

Caleb Stonewall, 24 anni, studente fuori corso alla facoltà di scienze motorie e sportive.

 

Caleb Stonewall, cameriere squattrinato, abitava in un monolocale con una gatta, un pesciolino rosso ed un mare di libri.

 

L’avevano cominciata insieme, l’università, poco meno di cinque anni prima.

 

Jude si era laureato subito, poi era stato  immediatamente assunto alle dipendenze di una importante squadra di calcio. 

 

Il suo sogno era diventarne l’allenatore.

 

Ed era grazie alla loro comune passione per lo sport che si erano innamorati: Caleb non poteva permettersi una casa da solo, aveva bisogno di un coinquilino, ed il suo amico col quale aveva scelto l’università si era offerto di vivere insieme a lui, per aiutarlo con l’affitto.

 

Era stato generoso da parte sua, Jude avrebbe potuto permettersi un vero e proprio appartamento, o meglio, suo padre glielo avrebbe volentieri anche comprato.

 

Ma Jude teneva tanto al suo amico ed a studiare assieme a lui.

 

Erano partiti benissimo: esami in tempo e studio organizzato.

 

Caleb aveva avuto qualche difficoltà, dopotutto non era mai stato bravo a scuola, Jude lo sapeva.

 

Ma il suo amico -quello che presto sarebbe diventato il suo ragazzo- lo aveva sempre aiutato volentieri, aveva anche messo da parte le sue necessità pur di andare incontro al ragazzo che doveva dividersi fra studio e lavoro.

 

E si, presto si erano messi insieme.

 

Dopo circa un mese di convivenza erano già finiti nello stesso letto.

 

D’altronde erano amici fin da ragazzini, si conoscevano così bene e tenevano l’uno all’altro più di quanto tenessero ai propri familiari.

 

Era inevitabile che andasse a finire così.

 

Quel che sembrava invece incomprensibile a Caleb era come aveva potuto, tutto quell’amore, scomparire così velocemente.

 

Quando era successo che Jude aveva smesso di amarlo?

 

Era vero, Caleb lo sapeva che alcune cose -molte- non andavano più da tempo.

 

La casa era piccola, Jude poteva permettersi di meglio e si era stancato di dover tenere le sue cose ancora negli scatoloni di cartone.

 

Inoltre Caleb non si decideva a darsi una mossa con lo studio, Jude si era offerto di aiutarlo ma lui si era bloccato, non riusciva più ad andare avanti, era sprofondato nella paura.

 

E poi quel maledetto bar in cui lavorava.

 

Si alzava a mezzo giorno e tornava alle tre di notte.

 

Jude non ne poteva più.

 

Ma non bastava semplicemente parlarne, vi chiederete? 

 

Caleb avrebbe fatto volentieri qualche sacrificio in più per il suo ragazzo, per la sua ragione di vita.

 

Ma la verità era che tutti questi problemi, tutte queste lamentele che Jude non vedeva l’ora di sputare addosso a Caleb, non consistevano il vero problema.

 

Caleb non lo aveva mai capito, in fondo, quale fosse questo grande, immenso problema che spingeva Jude a rovinargli il poco tempo che passavano insieme.

 

Poi lo capì.

 

O meglio, lo lesse, nelle parole chiare ed inconfondibili di Jude.

 

“Non ti amo più. Non cercarmi.”

 

Lo aveva trovato scritto sopra un post-it attaccato sul tavolo, affianco all’anellino in oro bianco che tre anni prima il castano aveva regalato a quello che, fino ad un istante prima di leggere quel freddo messaggio, era stato l’amore della sua vita.

 

Era ritornato da lavoro al solito orario ed aveva trovato la casa mezza vuota.

 

Caleb aveva cominciato a tremare, ma aveva tentato di mantenere la calma.

 

Aveva preso con difficoltà, a causa del tremolio, il suo cellulare dalla tasca della felpa ed aveva cercato il numero di Jude, sperando di poter sentire la sua voce ridere di gusto per il brutto scherzo che gli aveva fatto, aspettandosi di udire un “Te l’ho fatta, ci sei cascato!”

 

Ed invece quello che sentì fu il silenzio, perché il suo numero era stato bloccato, non riusciva a chiamare, né i messaggi che gli mandava potevano arrivargli.

 

Caleb era stato tagliato fuori, così dal nulla, all’improvviso.

 

“Ti prego devo parlarti, voglio capire, Jude non lasciarmi” gli aveva detto in un vocale, con voce rotta.

 

Un vocale che Jude non avrebbe mai ascoltato.

 

“Sei fuori, adesso” si era detto Caleb.

 

“Sei solo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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