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Autore: ChiiCat92    27/10/2019    1 recensioni
"Questa mattina, senza accorgermene, ho preso una sua felpa dall’armadio. Mi chiedo se siano state le mani, inconsapevoli, a cercarla al buio sapendo di trovarla tra quello che ha lasciato da me.
L’ho indossata senza pensarci, con il ticchettio dell’orologio inclemente sopra la mia testa, senza guardare, scivolandoci dentro come il piede di Cenerentola nella scarpetta di cristallo."
Questa storia partecipa al Writober 2019 di Fanwriter.it
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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27/10/2019

 

Profumo


Questa mattina, senza accorgermene, ho preso una sua felpa dall’armadio. Mi chiedo se siano state le mani, inconsapevoli, a cercarla al buio sapendo di trovarla tra quello che ha lasciato da me.

L’ho indossata senza pensarci, con il ticchettio dell’orologio inclemente sopra la mia testa, senza guardare, scivolandoci dentro come il piede di Cenerentola nella scarpetta di cristallo.

Avrei dovuto capirlo prima di uscire di casa, sbattermi alle spalle la porta, correre giù per le due rampe di scale, prima di trovarmi nel mondo reale, vulnerabile, che mi costringe a tirare su la zip fino al mento. 

Piove, e il vento spinge contro il viso gocce grosse come monete, gelidi aghi di un inverno che non vuole allentare la presa.

Automaticamente tiro su il cappuccio per coprirmi, e allora capisco, lo sento.

È casa. 

L’odore tabacco dei tuoi genitori sparso sul tavolo della cucina. Come si arrabbiava quando era costretta a scacciarlo via per apparecchiare la tavola, o quando spazzava il fumo con il palmo aperto davanti al viso per allontanarlo dai suoi polmoni, dal suo respiro puro. 

Il profumo dolce che ha comprato per me. Lo metteva quando voleva sentirsi carina senza aggiungere alla sua semplice bellezza niente più di qualche goccia sul collo, sui polsi. Dolce zucchero che solletica il naso e il mio viso nell’incavo della sua spalla a respirarlo.

Qualche traccia del suo balsamo, ormai sbiadita, di cui il tessuto della felpa non è riuscito ad impregnarsi. 

Come non è riuscita a farlo con lei.

La pioggia lava le strade a secchiate, copre la vista come una tenda, tutti camminano come se sapessero dove andare, ma nessuno sa che quello che fanno è scappare.

Scappare dalla morte, dal dolore, dai ricordi.

Dal profumo di una vita persa che stagna malefico in un intreccio di stoffa. 

Non sono sicura di stare piangendo, potrebbe essere la pioggia, il peso sul mio petto potrebbe essere questa giornata grigia che spegne ogni ragionevole bisogno di combattere. Avanzo nella pioggia, governata dalla consapevolezza che farò tardi a lavoro. Movimenti semplici sono quelli che mi consentono di sopravvivere: portare avanti una gamba alla volta per camminare, ondeggiare il braccio destro mentre il sinistro regge la borsa a tracolla, lasciare che il tessuto cerebrale si disfi in energia cinetica. 

Ma l’odore di casa mi solletica i sensi, mi inebria come i vapori dell’alcool. Sento il peso sul petto farsi più profondo, minacciare di ancorarmi al terreno, e la pioggia battere così forte sul viso da farmi riflettere frivola: mi si starà sciogliendo il trucco?

Mi rifugio sotto la tenda rotonda di una panetteria, aspettando che l’acquazzone si plachi. Qualche altro povero lavoratore mattiniero si scrolla di dosso l’acqua come un cane, altri preferiscono il croccante rifugio del negozio. Ogni volta che qualcuno apre la porta zaffate di dolce e miele prendono la gola, ma non riescono a coprire l’odore maledetto della perdita.

È il profumo acre di tutte le parole non dette, sussurrate, espresse male, nell’ordine sbagliato, come di gomma bruciata che fa storcere il naso; è il profumo delle liti che potevano essere evitate, rovente come l’aria d’estate, aspirarlo fa male ai polmoni; è il profumo dei ti amo sottovoce, quando invece dovevano essere urlati, frizzante come bollicine dello champagne dell’anno nuovo e altrettanto volatile. 

Vorrei poter smettere di respirare. 

Il diluvio non lascia tregua, ma non posso rimanere ad aspettare per sempre. Non voglio, non quando ho addosso l’odore di casa. 

Scappo saltando da un balcone all’altro, una tenda e un’altra, bagnata come un pulcino e altrettanto fragile, ma per quanto corra il passato mi insegue, testardo. 

Cosa vuole che faccia? Cosa vuole prendersi da me che non si sia già preso? 

Un lampo illumina il cielo nero da dietro le nuvole, per un attimo abbaglia come il flash di una macchina fotografica, e ho come l’impressione che il mondo trattenga il respiro prima che il tuono faccia tremare i vetri e la terra, l’allarme di alcune macchina parcheggiate scoppia come fossero sotto attacco, e la guerra di proiettili d’acqua dall’alto continua.

Accecata, confusa, non sono più sicura di dove stia andando, o se voglio andarci davvero, percorro a testa bassa le strade cercando di salvare le apparenze, la borsa con il computer, le scarpe sono piene d’acqua e sento il piede scivolare dentro il calzino zuppo. 

Sensazioni semplici che potrei gestire, se solo piovesse per sempre. 

Un altro lampo, ma stavolta non mi faccio cogliere impreparata: svolto l’angolo correndo, contando tra le labbra, e quando metto la mano sulla porta e spingo per entrare il tuono si abbatte dietro di me, mancandomi per un pelo.

Il calore mi prende il faccia come uno schiaffo, mi tocco una guancia e spero di non trovarci tracce di eyeliner. 

Quando il cielo è in tempesta gli uomini vivono sussurrando, terrorizzati dal poter fomentare la sua ira, e il locale è silenzioso benché sia fremente di mormorii. Mormorii per ordinare il caffè alla cassa, mormorii per indicare la brioche nella vetrina, mormorii per sfogliare il giornale. 

E poi i libri. Riempiono la vista, colorati e ammiccanti uccelli di una giungla artificiale, e frusciano di quel delizioso odore di sapere e mistero. 

Il cuore si stringe in una tenaglia. Non dovrei essere qui, dovrei essere a scuola, al sicuro, ad insegnare ai bambini perché devono tenere impegnate mani e mente con lo studio, prima di diventare coscienti che nessun insegnante potrà mai prepararli a vivere davvero. 

Cerco l’uscita, ma quando mi volto quasi vado a sbattere il naso contro un uomo e sua moglie. Chiedo scusa, sperando che farmi piccola nelle spalle possa farmi sparire. 

Forse non la vedrò, forse oggi è rimasta imbottigliata nel traffico mattutino, forse è il suo giorno di riposo.

Ma tra l’odore selvaggio dei libri, quello penetrante del caffè, quello dolciastro delle brioche, sento il suo.

È casa.

Avverto il bisogno di scappare, ma le gambe tremano, la vista si annebbia, e l’unica cosa che riesco a vedere nell’aria troppo calda e troppo densa è un filo che si dipana di fronte a me, viola pulsante.

Respiro più forte, piango più forte, esisto più forte, e la vedo.

Gironzola attenta tra gli scaffali della sua libreria, sfilando qua e là un volume per rimetterlo al suo posto, con il cartellino del nome dritto sul petto e l’espressione infastidita di una bambina.

Chissà se sta pensando a me, alla felpa che rubata e nascosta negli anfratti più bui del mio armadio.

Chissà se sta pensando all’odore di casa, al mio di papavero, alla nostra cucina, al tempo che non abbiamo saputo sfruttare.

Chissà se sta pensando che forse le cose potevano andare diversamente, che potevamo farla funzionare, che il malessere cronico che ci aveva preso non era mancanza di amore, no, solo spossatezza d’essere. 

Chissà se pensa che potremmo ancora riuscire a ricucire quel che di bello eravamo insieme per creare un abito nuovo che calzi bene ad entrambe. 

La luce nel locale sfarfalla per un attimo, tutti alzano lo sguardo verso l’alto, e verso le luci di emergenza che scatteranno se dovesse saltare il contatore.

Sono sicura che mi abbia visto, in quell’istante, mentre un tuono fa traballare il vetro dei bicchieri. 

Sono sicura che abbia sentito il mio odore come il cacciatore avverte la preda, come io ho sentito il suo. 

Fuori la pioggia si è calmata un po’, non schiaffeggia più il corpo come prima. La felpa è zuppa e pesante, così come mi sembra essere la mia anima.

Cammino aggrappandomi a lei, a ciò che rimane imbrigliato nel tessuto.

Questa mattina, senza accorgermene, ho preso una sua felpa dall’armadio. Mi chiedo se succederà anche domani. 

 
   
 
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