Storie originali > Thriller
Segui la storia  |       
Autore: trenodicarta    27/10/2019    0 recensioni
Quando Claudia Barbieri apre gli occhi, scopre di aver perso i sensi nella metro della città in cui abita. Non solo, lividi e ferite le ricoprono la pelle diafana. A partire da questo momento, qualcuno sembra divertirsi a tormentarla, lasciandole messaggi minatori su un segreto che la riguarda e che è giunto il momento di svelare. Decisa a scoprire chi l'abbia aggredita e minacciata, la ragazza compila una lista dei sospettati. La situazione peggiora quando tutti coloro che vi sono segnati cominciano misteriosamente a scomparire, o peggio...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
3. Qualcuno ti osserva



Adagiò un dito sul vetro, seguendo i movimenti della goccia d’acqua posata sull’altro lato della superficie. Quella rotolava giù, si frenava per qualche istante e infine riprendeva la propria corsa, prima di scomparire totalmente. A quel punto, Claudia riportava il dito su una nuova goccia di pioggia, accompagnandone il percorso incerto.
Era un gioco che aveva imparato da bambina, non vi era nulla di speciale, tutti i bambini lo facevano.
Persino Pietro, che da minuti la guardava, un tempo aveva fatto lo stesso. L’uomo però cominciava a stancarsi di quel silenzio, fu così che lo interruppe.
«Da quanto non esci?»
Conosceva perfettamente la risposta a quella domanda, eppure la pose comunque, mosso dal solo desiderio di rianimarla e distrarla da quell’infinito gioco in cui si era rifugiata.
Non vi fu alcuna reazione, per i primi secondi, poi, la donna si voltò d’improvviso a guardarlo, come se il suono delle sue parole le fosse giunto in ritardo.
Claudia, a sua volta stanca di dedicarsi alla pioggia, incrociò le braccia al petto e con stanchezza gettò fuori parole che parvero costarle uno sforzo immane.
«Due settimane.»
Persino lei appariva sorpresa, come se se ne stesse rendendo conto solo allora.
Non aveva mai trascorso così tanto tempo rinchiusa tra quelle mura che pian piano stavano diventando una prigione sicura in cui rintanarsi.
Il tempo era trascorso veloce dopo l’aggressione, come se di colpo avesse acquisito un ritmo proprio, diverso dal solito.
«Dovremmo uscire, mangiare fuori, passeggiare al parco.»
«Hai visto che pioggia c’è lì fuori? No, meglio rimandare.»
Ecco come si era ritrovata a quel punto: procrastinando.
Oggi dovresti uscire a prendere la posta Claudia.
No, tanto non mi sarà arrivato niente.
Oggi dovresti far la spesa.
No, posso ordinare qualcosa da mangiare.
Oggi potresti andare a correre, Claudia.
No, ho ancora dolori al corpo.
Ripeteva scuse su scuse a se stessa e a Pietro, illudendo entrambi che fosse la pigrizia o il dolore provocato dai lividi a frenarla. Non era così, lo sapeva bene anche lei.
Due voci si agitavano nella sua mente, una la spronava a vivere, l’altra la seppelliva in quell’appartamento, propinandoglielo come luogo sicuro, il posto in cui Daniel non avrebbe mai potuto raggiungerla. No, non era la pigrizia, ma la paura a frenarla dall’uscire di casa.
«Sono reduce da un evento traumatico, è del tutto normale.»
Disse di colpo a voce alta. Pietro non riuscì a capire se quelle parole fossero dirette a lui o direttamente a se stessa, a ogni modo non proferì parola, anzi la lasciò proseguire, mentre con estrema calma e serietà, esponeva il suo pensiero.
«Daniel è scomparso, non so dove si trovi. Potrebbe essere proprio lì, in fondo alla strada o magari nel mio stesso garage. Mi sento al sicuro solo qui, a casa mia, lasciarla significherebbe rischiare e dopo aver subito un trauma, è normale che io non voglia farlo.»
«Questo è ciò che diresti a una delle tue pazienti?»
Claudia fissò i propri occhi in quelli di Pietro, dedicandogli improvvisamente ogni attenzione prima negata. L’amico aveva centrato il punto con quell’interrogativo.
«Sì, ma le direi anche che un trauma non risolto diventa un problema.»
Nuovamente, Claudia tornò a scrutare la finestra su cui la pioggia continuava a tempestare. Si immobilizzò a tal punto che Pietro temette avrebbe ricominciato col quel gioco infantile, ma a sorpresa, accadde l’inverso: con un gesto repentino, la ragazza liberò i capelli biondi dalla coda arrangiata che si era fatta poco prima e altrettanto rapidamente guizzò verso la porta dell’appartamento.
«Devo ritirare l’auto.»
Se l’era ricordato improvvisamente, con due settimane di ritardo. Il meccanico aveva iniziato a chiamarla da allora, invitandola a riprendersi l’auto ormai sistemata. Claudia non aveva mai risposto, poco propensa ad avventurarsi per le strade cittadine.
«Ti accompagno.»
In un’altra occasione, Claudia avrebbe rifiutato l’offerta di Pietro, ma quella era la prima volta in cui osava affrontare la paura e non desiderava farlo da sola.
Inoltre, senza un suo passaggio, avrebbe dovuto viaggiare in metro, di nuovo.
 
L’auto di Pietro era calda e confortevole, proprio come ricordava. I sedili odoravano un po’ di fumo, ma a Claudia quel dettaglio non infastidì più di tanto, forse perché era stata proprio lei un tempo a fumare là dentro.
Forse fu quel luogo chiuso e familiare o forse fu la presenza di Pietro, ma si sentì bene, al sicuro, dopo tanto tempo trascorso a guardarsi le spalle. Certo, di tanto in tanto lanciò occhiate diffidenti verso lo specchietto retrovisore, quasi si aspettasse di veder comparire Daniel a bordo della sua Fiat blu, ma a parte questo, Claudia non diede ulteriori segni di preoccupazione.
Per la prima volta da quando tutto era avvenuto, pensò seriamente di potersela cavare. Ne fu ancor più certa quando giunti all’auto officina Pietro le propose di rimanere in macchina, da sola.
«Parlo io col meccanico, tu resta qui, va bene?»
Claudia annuì, ben contenta di non doversi sorbire l’ira del meccanico, sicuramente infastidito dal ritardo con cui erano giunti a ritirare l’auto.
Seguì Pietro mentre veloce usciva dalla macchina, correndo sotto la pioggia che ancora tempestava la città. Claudia distolse lo sguardo solo quando lo vide entrare nel garage; a quel punto, per trascorrere il tempo, accese la radio dinnanzi a sé.
Pigiò frenetica i tasti come alla ricerca di qualcosa di cui nemmeno lei era a conoscenza. Frenò il dito solo quando le parve di udire una canzone familiare.
La linea era disturbata, forse per via del tempo, la canzone si udiva poco e a scatti. Pur non riconoscendo quella melodia, Claudia provò un inspiegabile senso di fastidio, che la portò a spegnere con un movimento secco la radio.
Fuori la pioggia aveva preso a tempestare contro i tetti, il suolo e i finestrini dell’auto di Pietro. Le gocce giungevano con una tale foga da appannare la vista e impedire a Claudia di vedere cosa vi fosse al di fuori. Il suono era assordante, cadenzato e violento.
La donna deglutì a fatica e come aveva fatto anche quella mattina, riprese il suo antico gioco: posò un dito sul finestrino, seguendo una goccia con quest’ultimo. Fu difficile, la pioggia era troppo violenta quella volta e le gocce si rincorrevano l’un l’altra senza sosta.
D’improvviso, complice quella canzone e il tempo a dir poco tetro, la ragazza avvertì uno strano presentimento. Si frenò, col dito ancora posato contro il vetro freddo e tentò di guardare al di là di esso. Era certa vi fosse qualcuno là fuori, le parve di intravedere un’ombra, qualcuno che a sua volta riusciva a vederla.
Provò a sbattere le palpebre, nel vano tentativo di mettere a fuoco l’immagine e quando finalmente sembrò convincersi di essersi sbagliata, comprese di aver ragione.
Un rumore secco, seguito da un ticchettio, la fece sobbalzare, inizialmente credette fosse la pioggia, poi lo vide: un polpastrello si era posato sul finestrino, tracciando una linea lenta su quest’ultimo. Claudia levò di colpo la mano, osservando quella dello sconosciuto che allora prese a ticchettare sul vetro e poi sulla portiera.
Tentò di aprirla, trovandola chiusa, come le altre tre. L’intera macchina era sigillata dalla chiusura di sicurezza inserita da Pietro dopo esser sceso.
Chiusa là dentro, Claudia sperò che chiunque vi fosse al di fuori non la raggiungesse. Si ritrasse contro il sedile, guardandosi nervosamente attorno. Non vide altre ombre così come non le parve di cogliere nessun altro rumore, chiunque avesse voluto spaventarla, doveva essersene andato.
No, Claudia era certa di no: riusciva a sentirlo, aveva quella maledetta sensazione. Qualcuno la guardava e la cosa peggiore era che lei non riusciva a vederlo.
Solo quando la pioggia smorzò i propri colpi, potè azzardarsi ad avvicinare il viso contro il vetro. Non vi era nessuno, le strade allagata erano vuote, cariche solo di pozzanghere e umidità.
Poi la portiera di guida si aprì di scatto, dando accesso a una folata di vento freddo.
 
«Le chiedo ancora scusa per il ritardo.»
Pietro si era già scusato quattro volte, quando il meccanico gli consegnò le chiavi dell’auto di Claudia. L’uomo gli fece cenno di non preoccuparsi, per la quarta volta, poi diede un’occhiata alla strada intravedibile al di fuori della porta a vetri dell’officina.
«Fuori piove più forte, aspetti un attimo prima di uscire.» Gli consigliò gentile, passandosi poi le mani sulla tuta da lavoro macchiata.
Pietro scosse il capo.
«Vado via subito, mi stanno aspettando in macchina.»
Il meccanico sollevò le spalle, come a voler dire fai come vuoi. Lo fissò coi suoi occhietti tondi per un po’, in seguito, dopo essersi morso le labbra più volte, si decise a sputare il rospo.
«Aspetti, c’è una cosa che non le ho detto riguardo all’auto della sua amica.»
Non l’aveva rivelato prima perché temeva di aver torto, ma … diamine, faceva quel mestiere da vent’anni, sapeva perfettamente quale guasto avesse avuto quella macchina. Era suo dovere riferirlo.
Pietro gli si avvicinò incuriosito, quando il meccanico ebbe terminato di raccontargli ogni dettaglio, la sua espressione si fece terribilmente preoccupata. Impiegò cinque minuti buoni prima di prendere una dura decisione: non doveva dire nulla a Claudia.
 
«Tutto a posto, ecco le chiavi.»
Quando Pietro si accomodò sul sedile, non si accorse immediatamente dell’espressione spaventata con cui Claudia lo fissava. La vide tremare solo in seguito, quando le porse le chiavi.
«Tutto bene?»
La ragazza guardò prima lui, poi il proprio finestrino, infine la strada.
«C’era qualcuno.»
«Chi? Dove?»
«Là fuori, qualcuno ha bussato al finestrino.»
La donna prese a indicare il punto esatto in cui il vetro era stato toccato.
Pietro la scrutò con un’espressione a metà tra il preoccupato e lo scettico. Non aveva visto nessuno aggirarsi attorno all’auto, la pioggia era troppo fitta, lui stesso aveva atteso che si calmasse prima di uscire dall’auto officina. Eppure, Claudia era certa di ciò che diceva e dopo quanto accaduto, non si sentì di sminuire ciò che diceva di aver visto.
Il poliziotto scese dall’auto e ignorando la pioggerella ormai quasi del tutto estinta, fece il giro dell’auto, fino a trovarsi dinnanzi al finestrino di Claudia. Non seppe neanche lui cosa cercasse. Cosa si aspettava? Di trovare impronte forse? Anche se vi fossero state, la pioggia avrebbe portato via tutto.
Rimase lì a scrutare il vetro, oltre il quale il visino di Claudia lo guardava di rimando, preoccupato.
Dopo un minuto di silenzio, la ragazza scese dall’auto a sua volta.
«Trovato qualcosa?»
«Che cosa? Le impronte digitali dell’uomo invisibile?» Pietro si pentì di averle risposto con tanta supponenza e sospirando si scusò nell’immediato. «Scusami. Chi hai visto qui fuori?»
«Non lo so, io … non riuscivo a vedere bene, ma qualcuno c’era.»
Pietro annuì, nonostante quella versione lo convincesse poco.
«Non ci sono delle telecamere? Magari hanno ripreso qualcosa.» Azzardò lei.
«Lo chiederò al meccanico, ora però rientriamo in auto.»
Glielo disse più per rassicurarla, che per altro. Era certo che quell’officina non disponesse di telecamere e anche se le avesse avute, Pietro poco convinto di trovar qualcosa in quei filmati.
«Cla, è possibile che tu abbia frainteso ciò che hai visto?»
Nonostante Pietro le avesse posto quella domanda con cautela e premura, Claudia non reagì nel migliore dei modi dinnanzi a quell’insinuazione.
«Credi me lo sia immaginato?»
«No, però a volte succede di…»
«Lascia perdere, dammi le chiavi della mia auto.»
Improvvisamente quell’abitacolo che tanto aveva decantato come rassicurante e familiare, cominciò a starle stretto. Preferiva andarsene, per conto suo.

Angolo autrice
Ciao a tutti, ecco il terzo capitolo della storia. Spero che finora il tutto vi stia piacendo e incuriosendo, nel caso abbiate suggerimenti o commenti da muovere, lasciatemi un commento, per me è importante conoscere l'opinione dei lettori. 
Se volete, potete inoltre seguirmi sul mio blog personale, dedicato alla scrittura e a ciò che spero un giorno di poter pubblicare. 
http://trenodicarta.it/
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Thriller / Vai alla pagina dell'autore: trenodicarta