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Autore: G RAFFA uwetta    28/10/2019    2 recensioni
Il mondo come lo conosciamo è quasi tutto sepolto sotto strati di radiazioni a causa della Terza Guerra Mondiale scatenata dalla Cina. Ma l’avidità umana non è morta con lui, è sopravvissuta così come la voglia di conquista dei superstiti.
Nell’ombra c’è chi si muove guardingo, un passo alla volta per raggiungere il proprio obiettivo. Chi è così insaziabile da sfidare le aree contaminate?
Un mistero che avrà un risvolto inaspettato per l’intero genere umano.
Questa storia partecipa al contest ‘My favourite things’ indetto da fiore di girasole sul forum.
Questa storia partecipa al contest ‘I miei ultimi undici libri’ indetto da Claire roxy sul forum.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anno del giudizio 14-41


L’unico vero errore è quello da cui non impariamo nulla. (John Powell)


Cavallo in (latitudine Nord) 14 e (longitudine Est) 411: scacco matto


Seppure con difficoltà, Adelhaide corse per i corridoi semi bui. Le luci di emergenza rendevano l’ambiente claustrofobico e alla ragazza terrorizzata pareva che, a ogni passo, si stesse stringendo su di lei. Si sentiva soffocare e non aiutava la strana pesantezza che avvertiva nelle ossa.

«Robert!» urlò sollevata quando lo raggiunse. «Robert di là…» Con il braccio tremante indicava la direzione da cui era appena sopraggiunta. «Quel coso… È orribile! Vieni con me…» balbettò.

«Adelhaide non c’è tempo per i tuoi deliri. Qualsiasi cosa sia, può aspettare,» l’interruppe seccato. «Non so come, ma sembra che alcuni strumenti di questa base siano in grado di prevedere, con un certo margine d’anticipo, la prossima Esplosione. Ho controllato la mappa dei venti, e le correnti spingeranno le radiazioni fino alla zona denominata Arata, nel vecchio stato dell’Eritrea. Una delle poche aree non ancora contaminate. Preparati perché siamo diretti lì.»

«No! Aspetta, Robert. Tu devi vedere… quella cosa… oddio!» urlò, contorcendosi dal dolore.

In quell’istante, tre uomini, con lo stemma della guardia imperiale nigeriana stampato sulle tute verdi, fecero il loro ingresso.

«Capo Oganda, a rapporto, signore,» disse il più vecchio facendo il saluto militare. Robert, impegnato a soccorrere la ragazza, fece loro un cenno distratto. «Ho il permesso di parlare?» chiese il militare. «È stato tutto predisposto. In mezz’ora raggiungeremo Vegas Ohuru dove ad attenderci ci sarà il suo velivolo, signore.»

«Robert, ti supplico. Devi vederlo. Lui è… è ovunque. Lo sento nella mia testa. Lo vedo… oddio… è ovunque,» continuò a farfugliare Adelhaide, dalla sua posizione raggomitolata.

«Oganda, procura un calmante. In queste condizioni non riusciremo a trasportarla in superficie.»

«Sì, signore!»

Robert sollevò la ragazza come fosse un fuscello e la consegnò agli altri due soldati che le fecero indossare la sua tuta gialla. Poi, affiancandola, l’aiutarono a camminare, quasi sorreggendola di peso.

Attraversarono la Wepu Radieshon, le cui porte erano state squarciate da una morsa ad aria compressa. Sembravano le fauci spalancate di un Abali.

«Cosa è successo?» chiese Robert osservando un corpo rattrappito in un angolo. Avvicinatosi, poté scorgere una bomba a mano, con ancora l’innesco inserito, racchiusa tra le dita mummificate. «Ma questo è Sebastian.» Sussultò stupito.

«Non sappiamo cose gli sia capitato, signore,» rispose uno dei militari.

«È stato lui! È stato lui! Io lo so. Io lo vedo. Io lo sento,» cantilenò Adelhaide tenendosi la testa tra le mani. «Cresce e si espande…» rise istericamente. «Non mangia, lui beve.»

«Ma cosa?»

«Non prestatele attenzione. È solo sconvolta. Piuttosto, come risaliamo?»

«Per di qua, signore.» Oganda li aveva raggiunti spuntando da dietro la cascata. «Ecco il calmante.» Con efficienza, inserì una fiala blu in uno scomparto alla base della visiera della ragazza. «Farà effetto tra dieci minuti, il tempo di issarla con la carrucola.»

Appoggiata alla lamiera gelida del velivolo, Adelhaide ascoltava distrattamente i discorsi degli altri. Si sentiva bruciare dall’interno, il suo corpo ardeva e prudeva e si contraeva sottopelle. Lame di fuoco le incendiavano le vene, spasmi sottili come spilli le scuotevano le membra. Avrebbe tanto voluto togliersi la tuta, strapparsela di dosso per tornare a respirare a pieni polmoni, come se l’epidermide avesse fame di luce. Razionalmente sapeva di non poterlo fare per via delle radiazioni, ma il desiderio aumentava dentro di lei a pari passo con la consapevolezza che qualcosa in lei stava mutando. E non era niente di buono.

«Dobbiamo portarla in un centro di cura per contagio da radiazioni, signore,» insistette uno dei soldati.

Adelhaide percepiva le parole come se giungessero da un luogo straniero, quasi prive del loro significato. La testa le doleva ed era colma di immagini sconosciute, di sensazioni crude e primitive, fatte di istinto animale. I suoi ricordi si confondevano e si fondevano in un vortice continuo, sempre più stretto, sempre più veloce.

«Qualcosa nel processo della Wepu Radieshon è andato storto. Forse per il fatto che è incinta. Non so. È una tecnologia che non avevo mai visto prima.»

«Non sono incinta, non ho l’utero,» smozzicò le parole come un ubriaco, per poi ridere istericamente. La sua voce le era diventata estranea, un’accozzaglia di suoni dal timbro troppo alto e sottile. Decisamente irritante. Scosse la testa che si mosse come un palloncino in balia del vento. «Robert, mi hanno tolto l’utero all’età di sedici anni dopo avere subito un incidente,» sciorinò le parole lentamente, quasi faticasse a comprendere ogni suono enunciato.

«Come, scusa?» domandò perplesso, l’attenzione finalmente catturata. Adelhaide si lasciò andare a un’altra risata, quasi un rantolo che le gorgogliò in gola.

«Signore.» Oganda, sull’attenti, porse un foglio a Robert. «È appena giunto questo comunicato dalla Nigeria, signore. La Quarantunesima Esplosione ha raso al suolo tutta l’America settentrionale. Ogni segnale di vita proveniente dal bunker 14 in Nevada si è spento. Secondo i nuovi calcoli verremo investiti dalle radiazioni appena sorvoleremo la Dancalia, nel Corno d’Africa, tra meno di venti minuti.»

«Quindi, ciò che nascondeva l’Area 51 è morto con essa. Ogni possibile cura per risanare il pianeta è andata perduta.»

«Lui non è morto, lui vive in ogni sua creatura, lui cresce in me,» bofonchiò Adelhaide in contemporanea all’uomo.

«Non mi importa come, ma tra dieci minuti voglio atterrare sul suolo di Arata. È un ordine!» dispose perentorio. «Cosa dicevi a proposito dell’utero?» chiese aggressivo alla ragazza mentre la scuoteva senza premura.

Adelhaide fece una smorfia che le contorse il viso in una maschera orrenda. Quell’odore, quel profumo di vita che le confondeva la mente, era davvero inebriante. Sentiva una brama ampliarsi nelle proprie vene, un canto di sirena ammaliante. Allungò un dito e sfiorò la giugulare di Robert che batteva forsennata, accattivante e colma di promesse. Il suo corpo ebbe un nuovo spasmo e si inarcò fino quasi a spezzarsi mentre venivano investiti dalle radiazioni.

«È troppo tardi,» sussurrò roca, la sua voce l’eco di un’altra. Febbrilmente si tolse la tuta, la pelle arroventata che si liquefaceva.

«Mi avete tenuto su questo pianeta incatenato come una bestia, sfruttando la mia conoscenza per i vostri scopi. Mi avete sottoposto a ogni tipo di esperimento, mi avete violato in ogni maniera possibile e immaginabile.» Robert estrasse un pugnale ma la ragazza, o ciò che ne rimaneva, fu più veloce e, afferrato il braccio, glielo torse dietro la schiena, spezzandolo. Le sue urla attirarono i soldati ma lei si fece scudo con il corpo di Robert. Adelhaide inspirò l’odore dolciastro che proveniva dall’incavo del collo dell’uomo e si leccò le labbra affamata.

«Siete così stupidi, voi umani. Così facilmente abbindolabili,» rise, un suono vuoto, inumano. «Mi prenderò tutto ciò che vi è più caro: la vostra stessa vita. Spazzerò via dall’Universo la vostra inutile esistenza,» sentenziò lapidario. Con un salto atterrò sui soldati e, dopo una breve lotta, li scaraventò contro le pareti del velivolo, tramortendoli.

«Ma… cosa sei? Come fai a parlare attraverso la ragazza?» biascicò Robert, stringendo i denti dal dolore.

«Io sono tutto e niente. Sono un popolo errante che migra ovunque ci sia cibo. Il mio gregge vive con me e dentro di me. Prendo possesso degli ospiti in cui inietto le larve, rendendoli me, attraverso quella che voi chiamate Wepu Radieshon

«Quindi gli Abali in Nevada erano…» Robert inghiottì a vuoto. «E tutti gli altri sono…» balbettò senza trovare il coraggio di concludere la frase.

Un leggero rollio fu l’unico segno che il velivolo stava atterrando. Adelhaide denudò i denti, lunghi e taglienti come rasoi.

«Ci siamo,» disse annusando l’aria avido, scrollandosi di dosso il resto dell’involucro che un tempo era la ragazza. Davanti a Robert, troppo terrorizzato per urlare, a conferma della sua tesi, apparve un Abali. «Appena io e la mia razza saremo sazi, lasceremo questo posto con la nave che mi avete gentilmente ricostruito e attende addormentata sotto questo suolo.»

Ma Robert non capì cosa diceva, con quel linguaggio fatto di latrati e mugolii che gli ricordavano tanto il suo adorato cane Adholf. «Poi un giorno, seppure mi sgolassi, non si presentò2 alla mia porta. Lo trovai rinsecchito dentro un fosso. Ora so perché,» sussurrò del tutto irrazionalmente mentre si arrendeva alla Morte che gli stava succhiando via l’anima.



Note dell’autrice: questa storia partecipa al contest ‘My favourite things’ indetto da fiore di girasole sul forum.

Questa storia partecipa al contest ‘I miei ultimi undici libri’ indetto da Claire roxy sul forum con il pacchetto ‘Io sono leggenda’:

Genere3: Sovrannaturale (vampiri).

Citazione: ‘Poi un giorno il cane non si presentò’.

Ambientazione: un America post-apocalittica.

Obbligo: finale negativo.

La giudice chiede di scrivere una storia basandoci obbligatoriamente su due dei prompt elencati nel pacchetto, un punto in più a ogni prompt aggiunto.

Ulteriori note: il numero nel titolo non è lì a caso. Infatti, il 14 è il mio numero preferito e il 41 è il suo opposto. Inoltre, un giorno, ferma in un parcheggio commerciale, ho notato che il posto auto era, appunto, 1441.

Buona lettura e i commenti sono graditi.

Disclaimer: l’immagine non è mia ma appartiene agli aventi diritto.

1Sono le coordinate geografiche di Arata in Eritrea.

2Citazione come da pacchetto: Io sono leggenda (la parola ‘cane’ è sottintesa)

3Non necessariamente il principale ma fondamentale.

   
 
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