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Autore: DanieldervUniverse    28/10/2019    1 recensioni
Imitando lo schema del cartone della Disney "Topolino, Paperino e Pippo - I Tre Moschettieri", Sora, Riku, Roxas, Kairi e altri sono protagonisti di una nuova rilettura di Kingdom Hearts.
Genere: Avventura, Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Riku, Roxas, Sora, Xehanort
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
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- Questa storia fa parte della serie 'L'uomo dietro le scene'
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La luce abbagliante che si riflette sulle candide pareti del castello è una costante fissa a Radiant Garden. Nella città scorre una piacevole vita accompagnata da cordialità e rispetto reciproco da parte degli abitanti, o almeno così piace dire nelle fiabe. Il castellopalazzo di Radiant Garden, per quelli che hanno potuto vederlo, è un edificio maestoso che ispira una degna ammirazione negli occhi di chiunque arrivi al cospetto delle alte torri e delle mura, decorate con decine di lodevoli sculture in marmo. Dall’ampio giardino interno, durante la bella stagione, giunge un soave profumo di rose fresche e d’estate, che accompagna il canto degli uccelli che trovano riparo tra i roseti e i tigli, i quali vegliano sulle panchine disposte per l’ambiente fornendo ombra ed intimità.
Un bel giorno, in una calda mattina estiva empia di sole, la principessa Kairi, che abitava nel maestoso edificio, decise di prendersi qualche momento per esplorare il suo meraviglioso giardino. Adorava soprattutto fermarsi ad ammirare il panorama dalla balconata: si poteva vedere l’intera città arroccata sul monte e la vallata circostante, attraversata dall’azzurro fiume che tanto dava piacere alla vista.
La principessa rimase lì, appoggiata alla balaustra, e le venne di fantasticare su come sarebbe stato volare sopra quella magnifica vista. Da bambina sua nonna le aveva sempre raccontato la storia del ragazzo che si fabbricò delle ali per volare sino al sole (ricordava anche che il padre del giovane c’entrava qualcosa, ma non le piaceva quindi l’aveva dimenticato) e a causa di ciò precipitò verso la morte, come monito per ricordarle di stare sempre con i piedi per terra.
-Sua maestà- la chiamò la dolce voce della sua damigella di compagnia, Namine. Era un’amica cara e si prendevano cura l’una dell’altra da quando sua nonna era morta, per cui quando veniva a cercarla di solito era perché non vi era modo di sfuggire alle incombenze della corte. Il volo della sua fantasia s’interruppe e Kairi si rassettò la gonna.
-Eccomi Namine- rispose, voltandosi verso di lei con un lieve frusciare di vesti e avanzando di qualche passo. L’amica aveva deciso di dare una svolta al suo solito guardaroba, e invece di un abito bianco candido ne aveva indossato uno di tenero verde acqua, accompagnato da uno scialle. Kairi attribuì una scelta tanto radicale alla bella giornata.
Proprio in quel momento udì un tonfo sordo alle sue spalle, che la fece sobbalzare al punto da farle lanciare un grido di sorpresa. Namine invece gridò di terrore e iniziò a correre verso di lei a perdifiato, chiamandola per nome.
Kairi si volse di scatto, e tra le foglie e la polvere sollevati dall’impatto notò la forma di un angelo di marmo, di quelli che abbellivano i merli del castello, abbattuta proprio sul punto dove si era trovata pochi secondi prima. La paura la prese alle gambe, implacabile, e la ragazza si sentì svenire.
Se Namine non l’avesse sostenuta sarebbe crollata a terra. L’amica era pallida come non l’aveva mai vista, e nei suoi occhi vedeva puro terrore. Continuava a chiederle se stava bene, interrompendosi solo per gridare aiuto; le sue braccia la cingevano come se da un momento all’altro potesse sfuggirle.
Kairi istintivamente la strinse a sua volta, mentre la sua mente cercava di riprendersi dallo shock. Purtroppo quell’angelo non era caduto per caso: troppe volte negli ultimi messi la sua vita era stata messa a repentaglio da incidenti piuttosto ambigui, e oramai era evidente che non era più al sicuro nemmeno tra le mura del suo castello.
La vita di una principessa, per quanto possa sembrare comunque speciale e unica, non è tutta rose e fiori. Ma per raccontarvi bene quello che sta succedendo vi invito a spostarvi momentaneamente dall’agghiacciante scena nei giardini del castello alla piacevole vita che in questo momento prosegue, per ora non ancora turbata dallo spiacevole evento, nel resto della città.
Inoltratevi tra le vie, rustiche e non, della piacevole Radiant Garden, tra le bancarelle dei mercanti e le botteghe degli artigiani, in mezzo a palazzi verniciati e puliti e alcune baracche abbandonate ma vibranti di vita. Oggi è giorno di mercato, sono arrivati ambulanti e compagnie di artisti di strada in città: mescolatevi alla folla di donne, uomini, bambini, anziani, moguri e animali, facendo sfuggire il vostro sguardo sulle vesti o sui volti e accumulate nel vostro naso gli odori pungenti e non troppo spiacevoli della folla. La cacofonia che vi accompagna è sconcertante e rimbomba tutt’attorno a voi; forse vi disorienta, forse vi sentite a vostro agio. Credo dipenda da se siete mai stati ad una fiera, e non fa differenza se sia stata di paese o il Lucca Comics.
Come lo so? Guardate un attimo davanti a voi: c’è una strana figura che spicca in mezzo a questa folla rumorosa, che avanza sicura, zigzagando tra gli affaccendati cittadini, verso di voi. Sembra un uomo di mezza età, che si appoggia ad un bastone da passeggio, e che reca sulle proprie spalle i pochi averi di cui dispone; gli abiti che indossa sembrano malmessi e poco curati, e anche i capelli e la barba sono incolti. Ma più si avvicina più notate che quel pelo incolto nasconde un volto da venticinquenne, attraversato da sorriso raggiante, tutto per voi, e dotato di due vispi occhi bruni; gli abiti non sono poi così malmessi, solo sgualciti e impolverati da una lunga marcia, ma la cosa più sorprendente è che quello che usa come sostegno è in realtà un cartello di legno, come quelli che si usavano in tempi passati per indicare la via ai viaggiatori. Proprio così, un cartello “stradale” se così vogliamo definirlo; e molti più ne reca sulla schiena, un carico pesante ma che non sembra influire sul suo passo. Ora è proprio davanti a voi, e sembra sorridere in modo ancora più radioso e rassicurante. Quindi fa un rapido inchino come segno di saluto e vi dice:
-Salve lettori. Come avrete indovinato io sono il vostro narratore per questa storia, perché proprio come nell’originale cartone della Disney un narratore esterno alle vicende racconta la storia e il mio autore ha pensato di dare a me l’onore di raccontarvi le vicissitudini di questa allegra piccola opera. Il mio nome è Nolum Cassio Feri, originario di Eorza e modesto viaggiatore.
-Ma ora basta con i convenevoli, credo non siate giunti sin qui per ascoltare un mio monologo, seppur noto che siete interessati. Seguitemi prego, fate attenzione a non perdermi di vista, non sono sicuro che riuscireste a resistere il richiamo disorientate di questa folla.
-Harrm. Perdonate le pause, ma dato che in questo momento mi avete qui con voi parlarvi in modo indiretto sarebbe piuttosto scortese, non trovate? E poi mi piace parlare, il difficile è farmi stare zitto, ma dovrò riprendere fiato ad un certo punto. Sono sicuro che anche voi avete qualcosa da dirmi, ma vi chiederei di tenervelo per le recensioni. Se vorrò indicarvi qualcosa, lo farò con il mio cartello. Seguite la direzione che indicherà e non dovreste perdervi un dettaglio.
-Ve lo dico ovviamente perché so che non potete vedermi, ma solo leggermi, per cui la situazione risulterebbe piuttosto imbarazzante. Insomma, in quale altro modo voi potreste “vedermi”? Oh ma sto divagando. Chiedo venia, non mi so trattenere. Allora, dov’ero rimasto?
-Ah sì, la nostra principessa. Cioè la loro principessa. Insomma la “piccola” Kairi. È una storia che inizia, come avrete capito, in un periodo complicato, dato che ora più che mai il suo trono è in pericolo. Tuttavia non è la pressione insostenibile di eventuali pretendenti o di catastrofi a mettere in pericolo la principessa, bensì un complotto per rimuoverla dal trono di alcuni suoi collaboratori. Chi? Ci arriveremo, continuate a starmi dietro.
-Vedete quel grande edificio lì, proprio sotto al palazzo e di fronte alla cattedrale? Ecco, quella è l’Accademia dei Custodi del Keyblade. Non è proprio come ve la fanno vedere in Kingdom Hearts Union X, è più simile ad un università. Ora dobbiamo entrare, ma bisogna fare piano e molta attenzione per superare le guardie, quindi fate quello che vi dico e andrà tutto bene.
-Accucciatevi come faccio io, avanzate con passi silenziosi e statemi vicino. Vi prego, non siete costretti a contorcervi di fronte ai vostri dispositivi elettronici, ma se vi aggrada calarvi nella parte… e ricordatevi, non fate rumore.
-Ora, guardate quelle guardie. Indossano l’armatura del Keyblade tutto il tempo, perché non sono i simpatici avventurieri a cui siete abituati: questi sono soldati addestrati e disciplinati. Solo i più degni tuttavia riescono ad essere accettati da un Keyblade e unirsi ai ranghi. Ora superiamoli…
-Whew, non credevo ce l’avremmo fatta così facilmente. E ora ammirate il cortile interno, perfettamente rettangolare e occupato in gran parte da quell’arena sabbiosa, piena di manichini e di reclute affannate coperte di polvere e sudore. Qualcuno a cui piace esagerare anche di sangue. Si stanno addestrando: molti non sapevano neanche tenere in mano un bastone prima di arrivare qui, figurarsi usare un Keyblade. Sono provenienti da tutti i reami, per cui non sorprendetevi se alcuni hanno il pelo, la pelle blu o il naso lungo, è normale qui.
-Tuttavia per quanto affascinanti non sono essenziali a questo racconto, ma coloro che sto per presentarvi sì. Guardate qui, attraverso questa piccola finestra in basso: quelle sono le cantine, dove si trova anche la vasca per pulire gli abiti e il necessario per riparare gli strumenti d’addestramento. Noterete che è un ambiente disordinato, poco illuminato e probabilmente umido.
-Il pavimento della cantina è posto più in basso del corridoio adiacente, di un dislivello di una mezza dozzina di scalini, così si ha più spazio per appendere le divise ad asciugare. Tanto per rendervi l’immagine più chiara, le pareti sono costruite in malta e mattoni rossi, senza intonaco, e il pavimento è piastrellato in pietra; al centro della sala c’è una vasca circolare di due metri di diametro, attorno a cui vengono disposti i cestini carichi di panni; le piccole finestre che illuminano l’ambiente sono tutte sul lato destro della stanza (entrando dalla porta), e possono essere raggiunte da una persona di altezza media solo salendo su una fila di barili disposti lungo la parete, che contengono anche l’acqua necessaria per i lavaggi. Il sapone e gli altri utensili sono tenuti in ordine vicino alla porta; nell’angolo opposto invece stanno ammassati i manichini d’addestramento rotti e le spade di legno logore.
-Le file di divise stese ci limitano la visuale, ma mi pare che abbiate già notato i tre ragazzi che stanno duellando con delle spade di legno in quei locali. Come avrete dedotto, loro sono gli “eroi” della nostra storia, tre semplici orfani cresciuti per strada: Sora è il ragazzo più basso, con gli occhi azzurri e i capelli castani a punta, e sicuramente noterete come sia il più scalmanato; Riku è il più alto dei tre, ha i capelli bianchi e lisci ed è sicuramente il più bravo a maneggiare quell’asta di legno, ma purtroppo non è il più sveglio; infine Roxas è il biondo con i capelli a spazzola, quello un po’ timoroso che esita qualche attimo di più degli altri prima di avvicinarsi o menare un colpo.
-Immagino che li conosciate già da altrove ma le presentazioni vanno sempre fatte a modo. Tutti e tre, come dicevo, sono orfani che hanno sempre sognato di diventare custodi da quando tre leggendari eroi, di cui non vi dico i nomi ma, se proprio volete un indizio, iniziano per A, T e V, li salvarono da una brutta avventura. Al momento, purtroppo, non hanno ancora avuto l’occasione di coronare il loro sogno, e vivono come inservienti all’Accademia. Ma forse la loro fortuna sta per cambiare…


La giornata di Sora, Riku e Roxas era cominciata prima dell’alba, come quella di tutti gli inservienti. Avevano mangiato e si erano lavati in fretta per poi dirigersi nelle cucine a preparare la colazione per i custodi e i cadetti, nonché per il Maestro Xehanort. Poi, concluso il primo compito, si erano recati rassettare tutte le camere e portare a lavare i panni sporchi. Quindi loro e gli altri si erano distribuiti i vari compiti giornalieri. Ai tre, come sapete, era toccato pulire le divise e gli altri attrezzi da addestramento.
Era un lavoro lungo e noioso, che dava poco spazio all’esercizio della loro immaginazione o delle loro supposte “qualità” da Custodi del Keyblade. Nonostante Sora ripetesse entusiasticamente che presto il Maestro li avrebbe riconosciuti degni se si fossero impegnati a fondo nel loro lavoro, dopo anni continuavano ad essere sempre lì, nelle cantine a pulire gli abiti che usavano altri. Un gruppo di reclute passò correndo vicino alle finestre della cantina, e i tre smisero subito di lavorare per affacciarsi ed ammirare i giovani che si allenavano.
-Guardate ragazzi- disse Riku -Sono fantastici, vero?
-Almeno loro possono allenarsi- commentò Roxas.
-Un giorno ci saremo anche noi tra loro- intervenne Sora -Ne sono sicuro.
-Dici la stessa cosa da anni, e non si avvera mai- replicò Roxas.
-Almeno lui non si scoraggia- gli rispose Riku.
-Oh andiamo ragazzi. Pensate a quando saremo Custodi- esclamò Sora, saltando giù dai barili su cui erano saliti e afferrando una delle spade di legno che avrebbero dovuto levigare e riverniciare -Saremo la fuori a combattere per la sicurezza di Kingdom Hearts, con le scintillanti armature e i nostri Keyblade.
-Saremo amati e rispettati per il nostro ingegno- gli fece eco Riku, balzando al fianco di Sora e prendendo una spada a sua volta.
-E…- fece Roxas titubante. Tuttavia non resistette a lungo al richiamo, e con un balzò raggiunse gli amici e con la voce più solenne che riusciva disse -E per il nostro intrepido coraggio.
I tre incrociarono le aste di legno nel tipico saluto dei Custodi e poi iniziarono a duellare come li abbiamo trovati. Si calarono così tanto nella parte dei grandiosi difensori dei mondi contro le forze oscure che si dimenticarono di quello che avrebbero dovuto fare: rovesciarono secchi pieni d’acqua e sapone, tegole di legno, scope e spazzoloni, per non parlare poi dei panni che avrebbero dovuto lavare, il tutto con un gran trambusto.
Ma sfortuna volle che poco dopo, fuori dalla porta, passasse niente meno che Maestro Xehanort, durante il suo giro mattutino di controllo dei locali dell’Accademia. Maestro Xehanort era un anziano veterano dalla pelle scura, calvo e con un pizzetto elegante, e di portamento quasi regale. Dato il suo status il vecchio aveva dismesso la divisa tipica dei Custodi per un curioso accostamento di abiti, il cui dettaglio più notevole era il mantello nero accostato alla veste e ai guanti bianchi, che andava molto in tono con la sua personalità.
In ogni caso, quando l’anziano giunse a portata d’orecchio e riconobbe gli schiamazzi del nostro allegro trio andò su tutte le furie. Aveva sorpreso i nostri eroi intenti a combinare pasticci e a divertirsi piuttosto che lavorare già molte volte, e sentirli all’opera di prima mattina non lo lasciò indifferente.
Il Maestro spalancò la porta con un gesto secco e rimase spiazzato a rimirare lo sfacelo che i giovani avevano causato. Almeno finché Sora non spezzò il suo “keyblade” cercando di decapitare Riku, facendo volare una delle sue estremità fino alla sua testa. Nonostante i riflessi sovrumani del Maestro non poté schivare il pezzo di legno che lo colpì proprio al centro della fronte, riscuotendolo dallo shock.
-Cosa state facendo?- domandò sibilando Xehanort, mostrando un sorriso maligno ai tre giovani per nascondere il dolore lancinante che gli stava trascinando il cranio. Tenendosi la fronte con una mano lasciò andare la porta e iniziò a scendere gli scalini con passi lenti ma intimidatori.
Tuttavia l’uomo non poteva sapere che su tali scalini si era appena rovesciata dell’acqua saponata, per cui il suo passo finì per farlo incespicare violentemente. Nella rapida discesa che fece, il Maestro rimase con un piede incastrato in un secchio, inciampò nelle aste di almeno tre scope, e rimase avvoltolato in una delle divise ancora stese ad asciugare. Non sorprese che, azzoppato, stordito e accecato com’era, finì con l’urtare il bordo della vasca e cadendoci dentro con un tonfo sordo.
Tutto avvenne così velocemente che Sora, Riku e Roxas non ebbero nemmeno modo di realizzare la catastrofe finché non videro i piedi di Xehanort agitarsi a pelo dell’acqua. Roxas si aggrappò al braccio di Riku, e sapientemente si fece indietro agli altri due, conscio che stavolta l’avevano fatta grossa. Nessuno dei tre baldi giovani tuttavia osò farsi avanti per aiutare l’uomo, consci del terrore ancestrale che solo egli sapeva instillare nei loro occhi. Senza aiuto al Maestro servirono più di qualche imbarazzante contorsione per tirarsi fuori d’impaccio, allungando l’agonia dei tre giovani costretti a guardare mentre la loro situazione peggiorava sempre di più.
Una volta fuori dalla vasca Xehanort rimirò se stesso, fradicio e con le vesti grondanti acqua saponate, e quindi alzò lo sguardo sui tre. Il Maestro, con calma glaciale, assunse la sua tipica posa, con il busto leggermente piegato in avanti e le mani congiunte dietro la schiena, e avanzò verso i nostri eroi, con gli stivali che emettevano uno squittio umido per ogni passo che faceva.
-Voi tre…- sibilò, mentre un sorriso crudele deformava il suo volto a mano a mano che si avvicinava.
-Voi tre…- ripeté protendendo le mani verso Sora e gli amici, mimando il gesto di schiacciarli nel suo palmo -… pesti. Voi tre insopportabili pesti.
Si fermò torreggiando sui ragazzi, fissandoli dall’alto verso il basso.
-Com’è possibile che siate delle calamità tali? Vi lascio fuori dalla mia vista per dieci secondi e voi non siete capaci nemmeno di fare un semplice compito senza scatenare un maledetto putiferio- finì il Maestro, ergendosi in tutta la sua altezza di fronte ai giovani. Sora si abbassò impercettibilmente, mentre Riku e Roxas fecero un passo indietro.
-V-v-veramente noi ci stavamo allenando per diventare bravi Custodi- balbettò il ragazzo più basso, alzando uno sguardo speranzoso sul Maestro. Xehanort per tutta risposta si passò la mano destra sul mento, cadendo in silenzio.
-Perché dovreste diventare Custodi?- chiese l’uomo, perdendo parte del suo tono gelido per fare spazio ad una sorta di bieca ironia.
-P-p-perché noi siamo…- iniziò il giovane, prima d’interrompersi. Lanciò uno sguardo timoroso ai suoi amici, che tuttavia gli risposero con uno sguardo altrettanto incerto.
-Perché noi siamo… devoti alla causa. V-vogliamo combattere, siamo consci della missione e abbiamo sempre voluto dedicarci a questo- Sora si sforzò di sembra sicuro, di ritrovare la sua forza d’animo in quelle parole. Si erse anche lui in tutta la sua altezza, rigido e sull’attenti come un cadeto.
-Siamo disposti al sacrificio- intervenne Riku, attirando su di sé tutti gli sguardi -B-beh sacrificio… è una responsabilità che siamo decisi a cogliere, coscientemente. Non ci spaventa.
-Siamo disposti a qualsiasi sforzo per diventare Custodi del Keyblade- aggiunse Roxas, tornando prontamente a nascondersi dietro Riku non appena il Maestro di accorse di lui.
-È la nostra missione. Sono sicuro che se ci metterà alla prova saremo in grado di dimostrarle quanto valiamo- concluse Sora, battendosi un pugno sul petto. Rispetto a pochi secondi prima sembrava risplendere di luce propria, di una forza d’animo unica. Xehanort fece un ampio sorriso, tornando ad accarezzarsi il mento con fare stranamente compiaciuto.
-Non riesco a credere che voi pensiate di poter diventare Custodi- disse poco dopo, scuotendo il capo. I tre rimasero a bocca aperta.
-P-perché?- chiese Sora, avendo ancora un barlume di speranza.
-Perché?- replicò Xehanort, facendo un sorriso beffardo -Te lo dico io perché. Primo- indicò Roxas, che si ritrasse nuovamente dietro Riku -Tu sei insicuro e perciò un codardo.
-Secondo- e si spostò su Riku. Il ragazzo resse il suo sguardo concentrandosi sul dito. Senza perdere il suo sorriso Xehanort abbassò di scatto il suo arto, e quando il ragazzo lo seguì chinando il mento l’uomo risollevò rapidamente il dito, alzando la faccia del giovane nel processo -Tu sei un povero ingenuo.
-E terzo- e giunse a Sora -Tu sei decisamente una piccola nullità.
-Ora che ci siamo intesi- continuò il Maestro, prima di raccogliere l’asta spezzata e lanciarla ai loro piedi -Rimettete tutto in ordine e ripulite questo posto da cima a fondo. E quando avete finito, filate a pulire le finestre dell’ultimo piano, e niente più distrazioni.
Detto questo, l’uomo si volse di 180 gradi sui suoi tacchi e uscì chiudendo la porta con dovuta lentezza. Quindi percorse i corridoi come una furia, andando dritto verso il suo ufficio. La sua soddisfazione dell’aver redarguito e afflitto i tre discoli non durò molto dato il suo disdicevole stato.
Quando giunse a destinazione trovò la sua segretaria, Xion, che lo stava aspettando proprio davanti alla porta dell’ufficio.
-Sii veloce ragazza, ora non ho molto tempo- le disse, cercando di mostrarsi calmo e cordiale nonostante l’irritazione.
-Sono tornati i suoi amici- gli spiegò, con un tono piatto.
-Ci sono riusciti?- domandò lui, con un barlume di speranza per una buona notizia.
-È meglio se ci parla lei- replicò Xion, facendosi da parte per permettergli di entrare nello studio -Le mando degli abiti asciutti.
-Fammeli lasciare nello studio. Mi cambierò quando avrò finito- la istruì lui, prima di chiudersi la porta alle spalle con un sospiro rassegnato.
Lo studio del Maestro era un ambiente abbastanza angusto, di forma rettangolare e non più grande di venti passi in lungo e in largo. La scrivania è il mobile più ampio nella stanza, piena delle scartoffie di cui doveva occuparsi giornalmente Xehanort in quanto direttore dell’Accademia, oltre ai rapporti ufficiali dei Custodi in missione. Il calamaio e le varie penne d’oca che era solito usare erano tutti riposti in un cassetto, che lui aveva posizionato sotto il piano e proprio davanti alla sedia. Gli unici altri mobili nella stanza erano due sedie per gli ospiti, una libreria che occupava tutta la parete di destra entrando dalla porta, e un ampio armadio dentro a cui il Maestro teneva gli alcolici di alto profilo per le visite ufficiali, scorte di carta e inchiostro, una branda nel caso dovesse restare in ufficio fino a tardi e degli abiti di ricambio se capitava. Sul lato opposto alla libreria si trovava un ampia finestra che permetteva di vedere tutto il cortile dell’Accademia e di far spaziare lo sguardo fino alla piazza cittadina.
Senza dire una parola il Maestro si spogliò degli abiti fradici, abbandonandoli su una delle sedie degli ospiti, e tirò fuori il cambio, composto in una maglia magenta e dei pantaloni scuri. Mentre finiva di vestirsi, aprì il cassetto della scrivania e, dopo aver scostato qualche fascicolo riposto, premette il pulsante scuro nascosto in fondo al cassetto. Improvvisamente la parete di legno del fondo dell’armadio scivolò da parte, mostrando un lungo corridoio scuro.
Xehanort si accese una candela posta su un candelabro apposito e si inoltrò nella stretta galleria discendente. La porta segreta si rimise a posto da sola con uno scatto. La candela illuminava appena un passo avanti, ma Xehanort la conosceva a memoria e non ebbe alcuna esitazione nel suo avanzare. L’unico suono che udì lungo il percorso fu il rintocco dei suoi passi.
Infine, dopo aver superato una porta in legno lasciata spalancata, sbucò in una stanza mediamente illuminata da alcuni candelieri e lampadari disposti appositamente. Le pareti, le assi e le colonne che sostenevano la struttura sono totalmente in legno, e la camera non era tanto più grande della cantina dell’Accademia. In un angolo è posto un seggio di legno, finemente lavorato e pregiato, e di fronte ad esso Xehanort trovò una figura coperta dalla testa ai piedi da un mantello nero, che ne celava anche il volto. L’individuo parve visibilmente innervosito dall’arrivo dell’uomo, dato che s’irrigidì sul posto.
-Non è mai un buon segno quando se ne presenta uno solo- disse con voce minacciosa il Maestro, avvicinandosi abbastanza da illuminare il volto del suo interlocutore. Alla luce fioca della candela, il volto sotto il cappuccio si mostrò per quello che era: una versione più giovane, e non calva, di Xehanort.
-Dico bene, nipote mio?

  
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