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Autore: viola_capuleti    28/10/2019    0 recensioni
Raven ha sempre avuto la certezza di essere una ragazza normale, nonostante la famiglia ristretta alla madre Elen e l'amico di famiglia Andrea che non la lasciano mai sola, i numerosi traslochi e la vistosa cicatrice che ha sul petto.
Ma tutto cambierà quando un misterioso uomo comparirà davanti a casa sua, insieme ad un particolare trio di ragazzi, proprio quando sua mamma dovrà andarsene di casa per lavoro e un misterioso coniglio albino le farà compagnia nei suoi sogni per avvertirla di un pericolo.
Scoprirà ben presto di far parte di una relatà ben più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 11
Facce nuove


-Fatemi uscire! – ripeté per l’ennesima volta battendo i pugni contro l’aria.
Poteva sembrare che stesse prendendo a pugni l’aria, in realtà colpiva qualcosa di invisibile di piuttosto duro sotto le sue mani, che prendeva una leggera colorazione grigia, che spariva non appena caricava il prossimo colpo.
Tra i cespugli di lavanda appena piantati, sopra il muro oltre il quale aveva provato ad arrampicarsi, sopra al cancello, ogni angolo era protetto da quella barriera invisibile.
Doveva essere quell’affare che le avevano spiegato di Milord.
Quella carogna intanto se la rideva dei suoi sforzi e lei avrebbe voluto ammazzarlo. Non strangolarlo, non rifilargli un calcio nelle palle, voleva proprio vederlo stecchito.
-Voglio andare via di qui, voi siete dei pazzi! Andrea almeno tu! – continuò Raven strattonando la cancellata, provando qualsiasi cosa per almeno provare ad aprirsi una via d’uscita da quella villetta.
-Neanche mia madre centrava. -.
Per lo spavento saltò addirittura di lato.
Jaguar era comparso dal nulla al suo fianco e la guardava come se lei fosse la più grande delusione della sua vita o se gli avesse rifilato una sberla in faccia.
-Ma cosa vuoi dalla mia vita tu? – lo aggredì la ragazza –Non è stata colpa mia e manco posso portartela indietro, dammi tregua amico. Scordatevi che io ponga rimedio a qualsiasi guaio qualcun altro ha fatto! -.
Perché la guardava così? Lei non… non aveva alcuna intenzione di rischiare la pelle per degli sconosciuti.
Intanto all’ingresso della casa Milord rideva e rideva, contorcendosi addirittura sul posto, tenendosi la pancia dalle grasse risate.
Si voltò verso di lui per dirgliene quattro, urlargli contro e in quel modo riuscire a togliersi quell’orribile peso che si sentiva sulla cicatrice, ma lui non era più lontano da lei. Adesso era a meno di un passo da lei e la fissava con quegli occhi grigi, completamente diversi da quelli di Jaguar.
Più profondi.
-Credi di poter avere scampo? – le chiese –Finché sei sotto la mia responsabilità farai quello che io dico, altrimenti… -.
I suoi capelli presero a muoversi, ma non come se fossero stati mossi dal vento, o no. Come se avessero vita propria. E presero a crescere, coprendogli la faccia, trasformandogliela in quella di un lupo, sempre più grossa.
Le si buttò addosso, con le fauci spalancate, pronte ad ingoiarla in un solo boccone.
Alzò le braccia per proteggersi ma non accadde nulla.
Le tenne alzate finché non sentì la solita voce bassa e dimessa commentare: -Cruento. -. Quel suono le fece provare una breve scarica elettrica alla cicatrice.
Abbassò lo sguardo, trovandosi il coniglio a un metro di distanza, che la guardava.
Al suo momentaneo silenzio cercò di mettere rimedio dicendo: -Cruento a dir la verità non è proprio la parola adatta, perché sei ancora tutta intera. Non è successo niente, è solo un… -.
-Sogno. – lo interruppe Raven, abbassando le braccia e guardandosi attorno.
Il solito paesaggio nebuloso.
-Sembrava così reale… e simile a quello che ho fatto. -.
-Ma sei andata a dormire. – precisò il coniglio –Dovevi ricordarti di questo. Sarebbe sparito senza che io ci mettessi mano. A volte basta buon senso per prendere il controllo delle cose. -.
-Hai ragione. -.
Si morse l’interno guancia, cercando di ricordarsi se le avesse detto il suo nome oppure no. Ma non riuscì a collegare un nome a quel musetto candido.
-Non ci siamo mai presentati. Io mi chiamo Raven. -.
Si chinò per stringergli di nuovo la zampa, ma l’animaletto non sembrò intenzionato a toccarla.
Il coniglio si passò la lingua sulle labbra e mormorò: -Morfeo. -, guardando altrove.
-È solo timido. – pensò Raven, ritirando la mano che aveva continuato a tenere tesa inutilmente.
-Mi sei sembrata alterata. – osservò Morfeo, fregandosi le zampe in quello che sembrava un gesto nervoso.
-Esatto. – confermò Raven lasciandosi cadere a terra, incrociando poi le gambe.
-Posso chiedere perché? -.
-Perché a quanto pare sono una cosa che col cavolo voglio essere. -.
-La Portatrice. Te lo hanno detto. -.
Lei alzò gli occhi e guardò l’animale, esterrefatta: lo sapeva?
-Come fai a saperlo tu? -.
Morfeo si mosse sul posto, chiaramente a disagio, e balbettò: -Non-oh… posso vedere i tuoi ricordi. Sono collegati ai sogni, ogni tanto. E poi quella la conoscono tutti. -.
Con una zampetta la indicò senza guardarla e Raven abbassò lo sguardo per vedere il colletto del suo pigiama sbottonato. Spesso le davano fastidio la sensazione dei bottoni sulla cicatrice.
Si coprì con una mano, allacciando uno dei bottoni centrali, commentando: -Pensavo fosse un segreto. -.
Il coniglio tentennò: -È un pezzo di storia del mio popolo. È un simbolo. -.
-Me lo hanno detto. -.
Quell’argomento non le piaceva per niente. Avrebbe volentieri resettato quella conversazione dal suo cervello.
-Partecipai alla guerra. – aggiunse in un sussurro Morfeo, come se parlasse a sé stesso. Finalmente la guardò negli occhi: -Sei importante. -.
-Non sono nessuno invece. – ribatté bruscamente la ragazza, irritata -In pratica io dovrei prendere a calci quella che ha preso a calci il re che è morto. La sostanza è questa. -.
-Se la vuoi mettere in questo termini… - concesse il coniglio.
-E come? Sono una dannata umana. -.
-Con un cuore demoniaco. – le ricordò Morfeo.
-E quindi? Cos’è, mi verrà un demoniaco attacco di cuore quando quella tizia cercherà di fare fuori anche me? Grazie tante batuffoloso animaletto, ora sì che sto meglio! Morirò nel più atroce dei modi se anche solo ci proverò! -.
L’ultima frase le uscì con una voce stridula e la accompagnò sporgendosi in avanti, verso il coniglio, e sbattendo le mani sulla superficie invisibile che le permetteva di sedersi sopra al paesaggio nebuloso.
Il coniglio saltò all’indietro, zigando e sotto gli occhi di Raven mutò aspetto.
In un battito di ciglia davanti a lei il coniglio scomparve e al suo posto comparì un essere umano. O almeno, l’aspetto era umano. I capelli e la pelle erano rimasti bianchi come il latte, esattamente dello stesso colore del completo che stava indossando. L’unico altro colore che spiccava su di lui era il rosso degli occhi, della cravatta e del bocciolo di rosa appuntato sul bavero della giacca.
Si passò una mano sui capelli corti e ondulati come per cercare le lunghe orecchie da coniglio che aveva poco prima, ora normali, anche se a punta.
-Non urlarmi addosso. – disse a bassa voce, ancora proteggendosi con un braccio alzato all’altezza del petto –È una cosa che mi fa perdere il controllo. -.
-Mi dispiace, non lo sapevo. – si scusò Raven.
Morfeo sospirò, abbassando lentamente il braccio. Poi si mise una mano dentro la giacca, frugando brevemente con le dita dentro ad una tasca per estrarre un monocolo dalla montatura dorata.
-Questo è il tuo vero aspetto? – chiese Raven mentre lui si appuntava la lente sul naso, davanti all’occhio destro.
Dopo una breve arricciata di naso e un rapido ammiccamento, Morfeo rispose quasi con vergogna: -Sono un demone albino. -.
-Da come lo dici sembra… -.
-Una disgrazia. – completò per lei il demone.
Fece finta di controllare con estrema attenzione i bottoni della giacca sui polsi, perfettamente abbandonati, per poi domandare se aveva domande da fargli.
Raven avrebbe voluto sommergerlo di domande: qualcosa di più su questa storia su Hydra, sulla sua cicatrice e soprattutto su come riuscire a neutralizzare una barriera invisibile. Ma quel demone in quel momento non sembrava affatto avere voglia di parlare. Da quando aveva cambiato forma non l’aveva ancora guardata una volta e sembrava avere la tremarella alle mani.
-Sicuro che tu abbai voglia di fare un’intervista? Sembri nervoso. -.
A quanto pare il gesto di leccarsi le labbra non era una prerogativa dell’essere un coniglio, perché il demone lo fece un paio di volte prima di parlare: -Questa situazione è snervante. Non dovrei essere qui e tantomeno dovrei parlarti. In più... preferirei essere rimasto nell’altra forma, questa mi mette a disagio. -.
-Perché? -.
-Il colore della mia pelle. -.
Raven storse la bocca: -Sembri solo fortemente anemico. Ehi, non provare ad usare questa scusa per non rispondere alle mie domande. Ci siamo stretti la mano mio caro, non provare a fregarmi. Posso capire l’essere nei guai a parlarmi e starmi assieme, ma questo no. -.
Morfeo fece saettare lo sguardo su di lei per un attimo, per poi tornare a concentrarsi sulla punta delle scarpe, dicendo: -Nella mia cultura essere albini non è esattamente un vantaggio. -.
-Nella mia non me ne frega niente. – ribatté Raven –Non vergognarti di questo. Parliamo d’altro: c’è un modo per abbattere una barriera che voi sapete fare? -.
-Abbattere una runa di protezione, dici? -. Morfeo sembrò pensarci su un momento, poi scosse la testa: -Sarebbe molto difficile già in condizioni normali. Tu non puoi farci niente. A meno che tu non sappia persuadere chi l’ha fatta ad abbassarla. -.
-Detto fatto. – borbottò Raven, sospirando. Prima di convincere Milord a lasciarla andare sarebbe diventata vecchia. – Non mi sei utile. -.
-Scusa. -.
-Non fa niente. Vediamo, qualche altra domanda…-.
 
***
 
Si svegliò trovandosi con un braccio a coprirle gli occhi. Probabilmente se lo era messo da sola addosso per colpa del raggio di sole che la stava abbagliando.
Mugugnò, tirandosi su a sedere.
Il giorno prima si era talmente arrabbiata con quei mentecatti che non si era manco cambiata per andare a dormire e, come si ricordava, farlo con i jeans addosso era la cosa più scomoda del mondo.
Però aveva dormito benissimo.
Morfeo si era rilassato davvero molto, andando avanti a parlare, arrivando addirittura a non distogliere lo sguardo per almeno un minuto. A poco a poco erano anche spariti i numerosi segni di nervosismo come rigirarsi i bottoni tra le dita e movimenti snervanti delle mani.
Aveva addirittura sorriso in un paio di occasioni.
Alla fine avevano parlato del più e del meno. Lui si era soprattutto interessato a lei, cosa che le aveva fatto immaginare che non visitasse il mondo umano da almeno una ventina d’anni. Le aveva raccontato di averlo fatto in precedenza.
Non si ricordava di tutto quello che avevano parlato, ma si ricordava che era stato piacevole.
Prese il cellulare, che era finito a terra, per controllare se sua madre avesse risposto al suo messaggio. Non aveva capito bene dal discorso che Milord e Andrea le avevano fatto se lei era effettivamente coinvolta, sapendo qualcosa di quella storia, ma era talmente arrabbiata e confusa che quando aveva avuto il telefono per le mani era riuscita a scrivere solo “Se tu ne sapevi qualcosa e non mi hai detto niente VAFFANCULO”.
L’ sms era rimasto senza risposta. non aveva neanche una chiamata persa.
-Perché non mi risponde? – pensò con un nodo alla gola, che non seppe dire se era dovuto all’essere ancora alterata o se era preoccupata –Non mi ha neanche chiamata alla solita ora… -.
I suoi pensieri furono interrotti da una bussata alla porta.
-Zuccherino, sono io. Ti abbiamo lasciata dormire fino ad adesso. -.
Effettivamente era passata l’ora della colazione. Si alzò e andò ad aprire la porta a suo zio. Probabilmente aveva dormito da loro e doveva essere di umore non troppo felice a giudicare da come si era vestito e la completa assenza di trucco sul viso.
Storse la bocca e si appoggiò allo stipite della porta con la spalla, domandando: -Che volete? -.
-Siamo diventati un gruppo adesso? – fece Andrea alzando le sopracciglia –Tutti nemici? -.
-Non lo so. – rispose Raven alzando le sopracciglia a sua volta –Anche tu hai intenzione di recludermi in casa in attesa che faccia quello che qualcun altro ha deciso che io devo fare? -.
-Uh, pensavo avessimo superato la fase adolescenziale. -. L’angelo fece un passo indietro e le indicò il corridoio: -Vieni, scendiamo a mangiare. Poi usciamo. -.
Raven non si mosse di un centimetro.
-Usciamo? – ripeté con sospetto –E dove andiamo? -.
-A farci un giro. – rispose lui alzando le spalle –Vieni? Il treno non aspetta. -.
Le fece ancora un cenno verso le scale e s’incamminò, facendo squittire le scarpe da ginnastica sul parquet.
Raven lo seguì intascandosi il telefono nei pantaloni, guardinga.
Si aspettava che Milord uscisse dal primo angolo che la casa offrisse, ma nessun’altro comparve che non fosse Matisse, in cucina, dove le servì dei pancake questa volta con le fragole e una spremuta.
La ragazza si sedette alla penisola e, prendendo una forchetta in mano, chiese: -Dove sono tutti? – guardandosi intorno.
Matisse le sorrise amabilmente: -Oh, Milord e i ragazzi sono fuori a controllare che sia tutto tranquillo, Raquel è fuori a prendere il sole. -. Le sembrò che il tono di voce dell’angelo caduto cambiasse un po’ per quanto riguardava l’attività della mezza demone, ma tornò come il miele quando aggiunse: -Ho bisogno di fare una commissioncina, sono finite un paio di cose in casa che mi servono assolutamente. Hai voglia di accompagnarmi anche tu, vero? -.
Raven mandò giù un boccone di pancake annaffiandolo con la spremuta, per poi replicare: -Non vi fidate a lasciarmi sola con Raquel? -.
Matisse assunse un’espressione ferita: -Ci sei rimasta male dopo ieri… pensavo solo che ti avesse fatto piacere prendere un po’ d’aria fresca e fare qualcosa di normale. Ma se sei ancora arrabbiata con noi non fa niente. Lo capisco. -.
La ragazza non riuscì a capire se quella bambolina la stesse cercando di manipolare nel farla sentire in colpa. In un caso o nell’altro, in quel momento si vergognò del suo atteggiamento sospettoso e rancoroso.
Stava solo cercando di fare ammenda, stava cercando di farla sentire meglio e lei le rispondeva male. Doveva imparare a mordersi la lingua ogni tanto.
Quando le sarebbe capitato di uscire di nuovo da quella villa poi?
-Ok. – concesse, abbassando gli occhi sul piatto –Ma facciamo in fretta. Non mi va di incontrare i Faoil di nuovo. -.
-Oh, neanche io. – sorrise nuovamente Matisse.
Non le sembrò quasi vero oltrepassare il cancello senza andare a sbattere contro qualcosa di invisibile. O quando era lontano Milord non funzionava a dovere oppure qualcuno era riuscito a convincerlo a lasciarla uscire, almeno per la sua sanità mentale.
Avrebbe puntato tutti i suoi risparmi sullo zampino dei due angeli che l’accompagnavano.
Subito provò un brivido di eccitazione a potersi muovere sul marciapiede senza la presenza inquietante del mezzo demone nelle vicinanze.
Ebbe la mezza idea di tentare di correre via. Non ci sarebbe voluto molto, Matisse non sembrava essere così veloce. Per quanto riguardava Andrea non aveva la minima idea se sapesse correre veloce quanto lei, valeva la pena tentare.
-Vorrei cambiare supermercato, l’altro non mi piaceva molto, era caro. – sentenziò Matisse, voltandosi verso di lei –Sai dove ci può essere un altro supermercato? -.
-Ehm, sì? – rispose colta alla sprovvista Raven –Da quella parte. -.
Con un movimento fluido Matisse incrociò il braccio con il suo e le si accostò cinguettando: -Allora fammi strada. Oh e ricordami di prendere il dentifricio. -.
Andrea ridacchiò della sua momentanea confusione, ma Matisse la spinse a cominciare a camminare e non poté fare altro che lanciargli un’occhiataccia.
Alla fine fu piuttosto piacevole passeggiare a braccetto con l’angelo e suo zio dall’altro lato, con le mani in tasca.
Non parlarono molto, ma Raven lo preferì: si godette ancora di più il suo piccolo momento di libertà. L’aria era umida, il cielo in lontananza era scuro e minacciava pioggia.
Quando raggiunsero il piccolo minimarket squadrato all’angolo di una strada trafficata, le nuvole all’orizzonte avevano coperto il sole, facendo sembrare la giornata già finita e prossima alla sera.
Matisse si sciolse dal suo braccio non appena varcarono le porte scorrevoli, invitando subito gli altri due a sbrigarsi, sia perché Milord aveva detto di “metterci poco” e perché non avevano un ombrello.
Raven le stette dietro e notò che con i minuti che passavano entrambi gli angeli sembravano concentrarsi sempre di più sulla spesa piuttosto che tenere d’occhio lei.
Provò a sgusciare via e subito fu ripresa da Andrea: -Hai sentito tua madre? -.
La ragazza storse la bocca e finse di leggere l’etichetta di una bibita tropicale, mugugnando: -Le ho lasciato un messaggio, ma non ha risposto. -.
-Che genere di messaggio? – chiese ancora l’angelo e, vedendo che Raven sembrava non volerne parlare, suppose: -Immagino che fossi trasportata dall’umore. -.
-Lasciami respirare. Oh, ehi, laggiù c’è il caffè, ti serviva no? – aggiunse affrettandosi a sparire dietro l’angolo dello scaffale.
Prese il cellulare e ricontrollò se sua madre avesse risposto anche se non aveva sentito nessuna notifica o vibrazione.
Messaggio inviato e ricevuto, esattamente come un’ora prima.
Perché non le rispondeva? Si sentiva in colpa perché le aveva nascosto quella storia assurda per quasi vent’anni della sua vita oppure era impegnata?
Al punto da non rispondere neanche ad un messaggio? No no no, impossibile.
Un pensiero la fece rabbrividire: se le fosse successo qualcosa?
Insomma, a lei avevano sguinzagliato dietro quei due cani e chissà quanti altri bei personaggi, lei che era l’obbiettivo. Potevano farlo anche con chi si era preso cura dell’obbiettivo.
Scosse la testa. No, basta pensieri del genere. Troppi film.
Qualcuno la urtò contro la spalla, passandole accanto, ignorando il suo insulto borbottato a denti stretti. Ci era mancato poco che le pestasse pure un piede.
Guardò in basso e notò un foglietto macchiato e spiegazzato sul pavimento. Decisamente non uno scontrino o una qualche banconota. Magari era caduto al tizio che l’aveva quasi spinta a terra. Si chinò con un sospiro rassegnato, decisa a fare la cosa giusta, e disse ad alta voce: -Ehi, t’è caduto questo… -.
“Portatrice”.
C’era proprio scritto quello sul biglietto.
Non proprio chiaramente, la calligrafia sembrava stentata e tutta storta, anche se scritta in stampatello maiuscolo.
La cicatrice diede una stretta.
Afferrò il biglietto e lo girò, per trovare un’altra frase che le fece salire il sangue alla testa: “Abbiamo tua madre”.
Alzò lo sguardo per vedere se quel tipo era ancora lì e lo colse nell’atto di spiarla da dietro uno scaffale, per poi dileguarsi immediatamente. Ma lei fece in tempo a riconoscere l’occhio rosso con la pupilla verticale che non fosse coperto da una benda.
Strinse il biglietto in un pugno e si sporse nel corridoio accanto, dove Matisse e Andrea stavano ancora guardando qualche prodotto in offerta.
-Devo andare in bagno. – annunciò.
-Se non torni entro cinque minuti ti veniamo a cercare. – l’avvisò Andrea.
-Lo spero proprio. – pensò Raven scattando subito all’inseguimento.
Riuscì a scorgere appena il posteriore di un grosso cane nero fuori dalle porte scorrevoli e quasi vi sbattè contro per la foga.
Saettò tra i passanti, che già lasciavano un bel po’ di spazio disponibile per correre grazie alla stazza di quel cagnaccio in fuga, il quale si voltò a controllare chi lo stesse inseguendo una volta sola.
-Fermo! – gli urlò dietro la ragazza –Torna subito qui! -.
Chi lo avrebbe immaginato che a distanza di un paio di giorni si sarebbero invertiti i ruoli? Lo stava quasi raggiungendo e probabilmente lui sentiva che le distanze si stavano accorciando.
Il mezzo demone voltò bruscamente a sinistra dopo aver cercato di seminarla infilandosi in un paio di dehors, mandando a gambe all’aria un paio di persone e rovesciando tavolini.
Raven lo vide buttarsi a capofitto in un condominio in costruzione, nascondendosi dietro al cartellone pubblicitario.
All’interno dello scheletro dell’edificio grigio le scale erano già state costruite, arrampicandosi alle pareti di cemento. Prima di entrare controllò brevemente che nessuno le tendesse un agguato, ma visto un lampo nero sul primo giro di scalini perse ogni precauzione.
Notò che il cane aveva rallentato il passo. O era stanco o si era fatto male nella fuga.
Meglio per lei.
Quando appoggiò le zampe sul primo vero e proprio pianerottolo della struttura, Raven tentò un balzo e riuscì ad avvolgergli le braccia attorno al corpo, atterrandolo.
Il mezzo demone guaì mentre rotolavano sul pavimento ruvido, riprendendo forma umana.
Ansando, Raven lo inchiodò a terra piantandogli un ginocchio nello stomaco e afferrandolo per il collo del maglioncino che indossava, strattonandolo in alto per poi sbatterlo a terra.
Alzò un pugno e fissandolo nell’occhio spalancato sibilò: -Dimmi subito cos’avete fatto a mia madre, altrimenti… -.
Allentò e strinse il pungo un paio di volte. Davvero se la sentiva di dare un pugno in faccia a quel tipo? Aveva un aspetto da far pena e sembrava più spaventato di lei in quel momento, con quella pelle olivastra e il braccio alzato a proteggersi la faccia. Non sapeva neanche se avrebbe avuto la forza di fargli male.
-Altrimenti… che cosa? -.
Raven sussultò, allentando la presa sul vestito del mezzo demone, guardandosi attorno per vedere chi aveva parlato.
Non erano soli, c’erano tre uomini davanti a lei e, a giudicare dalle iridi rosse, non avrebbero patteggiato per lei.

 
*Angolo della scrittrice*
Sarà un miracolo di Halloween, ma a quanto pare la mia cattiva memoria si è risvegliata per un fun fact carino: a quanto pare la musa a cui mi sono ispirata per creare l'aspetto di Morfeo è AntiCosmo, dai Fantagenitori.
Ora mi sorge una domanda: quanto ero malata ai tempi?
   
 
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