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Autore: Bluelectra    30/10/2019    7 recensioni
Sequel de "IlDestinoNonÈUnaCatenaMaUnVolo".
Dal Caos primordiale, in cui nessuna forma di vita poteva essere ospitata, nacquero le stelle. E solo grazie alla loro luce e al loro calore fu possibile concepire la vita.
Il Caos dentro di sé, i dolori a stento sopportabili, le peggiori cose della vita possono essere trasformate in gocce di splendore, in stelle in grado di illuminare la notte più buia e riportare a casa i dispersi.
Ritornano dopo quattro anni Angelique, Albus, James, Scorpius e tutti gli altri.
Dal Cap.16:
“Avanti Gigì, ora devi iniziare a comportarti in modo carino. Insomma deve essere almeno possibile il fatto che tu sia attratta da me!” ribatté James sporgendosi oltre il tavolino che condividevano.
Angie fece lo stesso, avvicinandosi a lui fino ad avere il suo viso molto vicino.
“E che cosa dovrei fare?” chiese sorridendo in modo delizioso.
“Beh per esempio potresti darmi un bacio, ci sono giusto quattro o cinque ragazzine che ci stanno guardando proprio adesso…” mormorò lui continuando a fissarla con i suoi occhi magnetici.
“Oppure potrei darti un pugno sul naso.” propose Angelique inclinando il capo.
“Oh Gigì, ma questo non è per nulla carino.”
“Io lo troverei adorabile!”
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Cap.36 All my tears

Cap. 36 All my tears

The wounds this world left on my soul
Will all be healed and I'll be whole

It don't matter where I lay
All my tears be washed away
(Ane Brun - All my tears)

Non ci poteva credere.

Nemmeno il pezzo di pergamena che stringeva tra le dita, e che controllava ogni due minuti, poteva convincerla del tutto della realtà delle cose.

Forse riusciva ancor meno a credere di star attraversando i corridoi durante la pausa di metà mattina, alla ricerca di Potter, non allo scopo di insultarlo o di scusarsi. Solo per parlargli. E forse per gongolare un pochino.

Aveva preso Oltre Ogni Previsione nell’ultima valutazione pratica di Trasfigurazione.

Cavendish le aveva sorriso, entusiasta che dopo tanti anni si fosse giunti ad una svolta, ma lei lo aveva guardato serissima chiedendo se fosse proprio sicuro di quel voto. Lui aveva risposto perplesso che certo, era sicuro. A quel punto Angie gli aveva chiesto se non gli facesse nulla scriverle su una pergamena il voto, perché voleva delle prove. Il professore sempre più confuso dal comportamento così sospettoso di Angelique aveva scritto quanto richiesto. Solo quando i suoi occhi avevano incontrato il voto vergato dalla mano del professore di Trasfigurazione, si era concessa di sorridere a propria volta.

E con la medesima espressione un po’ ebete, si stava dirigendo verso il luogo dove sapeva che a lui piaceva passare la ricreazione: il piccolo chiostro con gli alberi al centro e le panchine di pietra.

Marciava col suo solito passo militare, pensando alla faccia che avrebbe fatto Jessy, o che almeno sperava facesse… Forse le avrebbe semplicemente fatto i complimenti per il voto e niente più. Dopo tutto era solo un O, non era certamente il voto finale del Gufo, non c’era bisogno di scaldarsi tanto.

Lo riconobbe subito. Era allenata ad individuarlo nella massa confusa degli studenti, con un istinto infallibile. Osservarlo quando non si sapeva visto, nelle sue espressioni spontanee, nei sorrisi che gli modellavano la bocca, nelle sue movenze, le dava un piacere inconfessabile. Lo cercava sempre appena vedeva un assiepamento di studenti del sesto anno, in Sala Grande. Non poteva farci nulla, era cotta come una pera.

Jessy era, come di consueto, attorniato dai suoi compagni di Casa, Philip, Alice e Fred. Per un brevissimo istante Angie pensò che, dopo il litigio con Potter, Derek aveva preso gli amici più sinceri che avesse avuto ad Hogwarts. Si impose di non lasciare corso alla consueta tristezza che evocare il suo ricordo portava con sé.

“Jessy!” lo chiamò mentre si avvicinava quasi correndo, senza smettere di sorridere un attimo.

James si voltò verso di lei e inarcò un sopracciglio. Non si sarebbero dovuti vedere prima del giorno successivo, per un’altra lezione di Trasfigurazione. I capelli neri, caotici e indomabili, rilucevano sotto i raggi del sole di fine aprile come carboni ardenti. Portava la cravatta con i colori di Grifondoro perfettamente annodata al collo, al contrario della maggior parte degli studenti, tra i quali vigeva la moda di portarla allentata, per dare un’aria di trasandatezza. In quel piccolo particolare Angie vide l’impronta inconfondibile di Dominique, e pensò che prima di allora non l’aveva mai notato.

“Che succede, Gigì?” James le era venuto in contro e la scrutava perplesso.

Angie gli sventolò davanti al viso la pergamena di Cavendish e quando il ragazzo la prese tra le mani, esclamò:

“È il mio voto nella prova pratica di Trasfigurazione!”

Nella frazione di secondo che ci volle a Jessy per comprendere, Angie poté osservare i suoi lineamenti sbocciare letteralmente in un sorriso estasiato.

“Bravissima, Gigì!” Venne travolta prima dall’entusiasmo che prese i suoi occhi, illuminandoli in un modo che la lasciò senza fiato, e poi dall’abbraccio in cui la coinvolse.

Ridendo a pieni polmoni, la prese per la vita e la sollevò dal terreno con agilità. Angelique, incredula, rise a propria volta. Gli cinse le spalle per tenersi in equilibrio, ritrovandosi circondata dai muscoli del suo petto e delle sue braccia, che riusciva a sentire distintamente contro di sé.

Quel gesto improvviso durò pochissimo, perché Jessy la rimise a terra quasi subito, ma bastò a scatenare in lei una serie di emozioni contrastanti. Il desiderio di allontanarsi per nascondergli il rossore che sentiva diffondersi sulle guance, quello di ritornare a spalmarsi addossi a lui, a tutti quei muscoli e quella pelle profumata. L’eccitazione in ogni terminazione nervosa per il suo tocco, la calma autoimposta per celare quanto le ginocchia fossero malferme. La gioia che provava più aver potuto mostrargli quel miglioramento che non per il miglioramento in sé. La preoccupazione perché forse stava attribuendo un’importanza esagerata ai suoi gesti.

Il vortice delle sue elucubrazioni venne cancellato in un secondo da Jessy, che le posò le mani sulle spalle e disse con un sorriso che le ridusse lo stomaco a un groviglio:

“Sono orgoglioso di te.”

Angelique assimilò lentamente quelle poche parole, lasciando che si posassero nella parte di sé che da ragazzina aveva rinchiuso dietro l’apparente freddezza e distacco, la vulnerabilità inconfessabile, nata dall’essersi sentita diversa per tutta l’infanzia. Quella dell’Angelique che aveva temuto appena arrivata ad Hogwarts di rimanere emarginata, di non essere abbastanza per quel nuovo mondo.

Lui era orgoglioso di un suo traguardo.

Lui, con cui si erano scannati per anni, a cui aveva detto vere e proprie crudeltà, che le aveva rivolto parole impietose, il solo che avesse visto fino in fondo l’abisso in cui si era sprofondata, l’unico che le avesse porto il giusto appiglio per risollevarsi con le proprie gambe. Lui era orgoglioso di lei.

Angie si riscosse e smise di fissarlo come se fosse stata l’ultima fetta di torta al cioccolato disponibile. Cercò disperatamente di non pensare alle sue dita che si modellavano sulle proprie spalle, dando vita nella sua mente a visioni deliziosamente pornografiche.

“Beh, io ora dovrei andare a Divinazione. Ero passata solo per dirtelo.” gli disse cercando di sembrare noncurante all’idea di andarsene.

Jessy annuì sorridendole. Le sue mani si sollevarono in un nano secondo, dandole la sensazione di essere improvvisamente priva di qualcosa di importante.

E anche se cercò di concentrarsi sulle carte astrali della Cooman, continuò a ripensare all’abbraccio di James, al sorriso felice che l’aveva ammaliata, al tocco delle sue mani, grandi, dalle dita lunghe e piene di forza.

Avere James come protagonista dei propri pensieri era diventato una tale costante, che imprecò come un carrettiere per tutta la giornata.

***

Lucy pensava di essere esperta in materia di frustrazione. Tuttavia, la relazione segreta che per mesi aveva intrattenuto con Benji le aveva concesso solo l’antipasto di quello che provava in quel momento.

All’alba del suo diciottesimo compleanno dormiva nella stanza delle ragazze del terzo anno, le quali (non sapeva esattamente perché) l’avevano eletta a propria paladina e idolo, ruoli che sentiva più scomodi di un maglione di lana grezza sulla pelle nuda.  Non aveva potuto portare il proprio baule nella camera di Lily perché non c’era abbastanza spazio, quindi ogni volta che aveva bisogno di vestiti puliti doveva mandare in esplorazione le quattro piccole bestiole da cui era costantemente attorniata, per accertarsi che la Danes non fosse nei paraggi. Da quel punto di vista erano veramente una risorsa preziosa.

Lucy aveva deciso che avrebbe impiegato ogni briciolo della propria volontà per non avere mai più nulla a che fare con quell’essere spregevole. Da questo derivavano una serie di scomodità immense, tra cui il non avere più una propria camera, il condividere il letto con Lily e l’essersi auto-ostracizzata dalla Sala Comune.

Gli esami MAGO si avvicinavano come nuvole scure all’orizzonte. Per quanto concerneva la sua preparazione, poteva contare esclusivamente sulle sue scarse competenze accademiche, visto che la povera Rose si stava preparando per i propri GUFO e non aveva più tempo per obbligarla a studiare.

Sua madre e suo padre le avevano scritto un paio di lettere a testa, in cui le manifestavano tutta la loro vicinanza e la invitavano a sentirsi libera di sfogarsi con loro per tutto quello che le era accaduto nei mesi precedenti. Come se avesse mai preso in considerazione l’idea di rivolgersi a loro nel momento del bisogno!

In seguito allo scandalo di proporzioni bibliche che l’aveva vista coinvolta, alcune informazioni erano trapelate inevitabilmente, rendendo la scuola un vespaio di pettegolezzi. Lucy, ogni minuto di ogni giorno, era oggetto di sguardi perforanti come chiodi. Ogni suo passo era accompagnato da una sinfonia di bisbigli e risolini. Le sembrava di poter leggere a chiare lettere sul viso degli altri studenti le domande che li rodevano: “Come ha potuto una mediocre come la Weasley organizzare tutto il commercio delle Menadi? E così è a quella che abbiamo allungato per tutti questi mesi i nostri galeoni? Che sia veramente l’amante di quel criminale?”. Una volta aveva dovuto trattenere con la forza Lily, pronta a prendere a calci un gruppo di ragazze del settimo anno che avevano fatto battute davvero poco simpatiche sul suo conto durante un cambio dell’ora.

Tutto ciò sarebbe anche stato sopportabile, se solo avesse avuto notizie da parte di Benjamin.

Da quando aveva scorto la sua figura dissolversi nel cortile di Hogwarts, grazie alle macchinazioni di Rose e Malfoy, non aveva idea di che cosa fosse successo all’uomo che amava. Presupponeva che fosse nascosto da qualche parte, aspettando il momento migliore per lasciare la Gran Bretagna… Sempre che non lo avesse già fatto. Tuttavia, non aveva ricevuto nemmeno una lettera sa parte sua.

Temeva che Benjamin la ritenesse la responsabile della versione che Dominique aveva elaborato per scagionarla, provava il terrore viscerale che lui se ne fosse andato per sempre, senza salutarla un’ultima volta, senza includerla nel proprio futuro. Pensava che, nonostante il dolore che questa scelta le avrebbe causato, fosse la cosa migliore, perché era stata tutta colpa sua.

Lei aveva sfidato Celia Danes, lei l’aveva provocata, lei si era presentata alla Taverna delle Lucciole senza assumere la Polisucco e facendosi seguire, lei non aveva prestato sufficiente attenzione alle conseguenze delle proprie azioni.

L’incertezza in cui languiva da giorni, le mille paranoie che la tenevano sveglia di notte, la mancanza di Benji, bruciante come una ferita appena inferta, la facevano vagare tra i corridoi come una bestia braccata, esponendola ancor di più ai pettegolezzi e alle congetture degli studenti della scuola.

Anche in quel momento, in cui nonostante fosse al fianco di Lily, qualunque cosa le sembrava estranea.

“Giuro che se quel demente di Dixon non si sveglia lo affatturo mentre è in volo.” Ringhiò la più piccola di casa Potter.

Effettivamente, sembrava che quel pomeriggio l’allenamento dei Grifondoro fosse contraddistinto dalla dilagante incapacità di Dixon di prendere il Boccino nei tempi stabiliti. Persino a lei, orgoliosa ignorante del quidditch, risultava chiaro che fosse il giocatore più scarso del gruppo selezionato da suo cugino James.

Alla luce del fatto che sabato ci sarebbe stata l’ultima partita di campionato, che vedeva in testa proprio i Grifondoro, e che si sarebbero scontrati coi Serpeverde, comprendeva il nervosismo di Lily.

Più per colmare il silenzio attorno a sé, che non per reale interesse, Lucy domandò alla cugina:

“Pensi che ci sia anche solo una vaga speranza di non fallire miseramente sabato?”

Lily le scoccò un’occhiata allibita e Lucy alzò gli occhi al cielo. Dire che di solito non gliene importava nulla dello sport era un eufemismo e Lara lo sapeva bene. Tuttavia, non fece commenti al riguardo, mentre tornava a seguire il gioco in campo le spiegò con precisione:

“Se la squadra di Albus fosse rimasta con la formazione di inizio anno ci avrebbero fatto a pezzi. Avevano un gioco pulito, estremamente rapido e si intendevano alla perfezione. Dominique, mannaggia a lei, segna quanto James, quando è in forma e non le si è rovinata la manicure il giorno prima. E Angie… Beh, lei sembra nata per scovare il Boccino. Ma da quando Al ha esonerato Angelique, la squadra si è sfaldata. Hanno provato a sostituirla con un ragazzo del quarto anno ma non c’è intesa, sembra una pecorella smarrita in mezzo al campo.”

“E tu come fai a saperlo?” le chiese già consapevole della risposta.

Infatti, Lily si voltò verso di lei e le concesse un sorriso criminale che le scaldò il cuore.

“Perché ho usato il mantello di mio padre per spiare i loro allenamenti.”

“E non pensi che tuo fratello possa fare la stessa cosa?”

“Mio fratello fa sempre la stessa cosa, è pur sempre un Serpeverde! Anche oggi se vuoi saperlo. Prima ho visto spuntare le sue scarpe sulla gradinata dei Corvonero.”

Questa volta Lucy si concesse una breve risata, anche se non sentì minimamente alleviarsi il peso che le grava sul cuore. E Lily, quasi che avesse la facoltà di avvertire i suoi pensieri, le si fece più vicina e posò il capo sulla sua spalla, mentre mormorava a mezza voce insulti al Cercatore di Grifondoro.

***

Albus aveva la sensazione di essersi perso qualcosa.

Il sabato precedente, per la prima volta in circa dieci anni, era stato sospeso il Sabato della Memoria, la riunione famigliare dei Weasley-Potter che si svolgeva nella sala dove erano custoditi i quadri dei membri dell’Ordine della Fenice. La motivazione che Rose aveva addotto lo aveva lasciato senza parole.

Lucy era stata arrestata e poi rilasciata, quindi era un po’ stanca e non se la sentiva di organizzare la riunione proprio quella sera.

Ah.

Ecco tutto quello che era riuscito a dire, prima che Rose si dileguasse come polvere nel vento. Era tornato molto perplesso da Martha, che stava leggendo un libro in Sala Comune. Colto da uno strano presentimento, le aveva chiesto se avesse visto Angie ad Hogsmeade, poiché lui non ricordava di averla mai incrociata in tutto il pomeriggio. Martha dopo qualche istante di riflessione gli aveva confermato di non averla più vista dopo la partenza dal castello.

Il giorno successivo i suoi presentimenti avevano trovato conferma sulle rive del Lago Nero.

Lucy aveva chiamato a raccolta tutta la famiglia allargata e aveva raccontato che cosa fosse successo il giorno precedente. Era facile immaginare che si fosse scatenato un putiferio, dovuto per lo più alle esclamazioni ammirate di Tristan e Hugo.

In quel vociare confuso, i suoi occhi avevano incrociato all’istante quelli di Angelique. Lei gli aveva rivolto uno sguardo vacuo, immobile, a tal punto che lui aveva compreso all’istante che stava cercando di celare le proprie emozioni dietro un distacco forzato.

Insospettito da lei, aveva notato che anche Rose era stranamente silenziosa, sua sorella Lily vociava guardandosi attorno con aria nervosa e Dominique… Dominique si stava ispezionando le ciocche bionde in cerca di doppie punte.

“Sei turbato.”

La voce di Martha lo riscosse e si accorse che si era seduta accanto a lui.

Era andato a trovarla dopo l’allenamento di quidditch e l’aveva trovata intenta a scrivere le ultime righe del tema di Antiche Rune. Si era disteso sul suo letto mentre l’attendeva, rimanendo inevitabilmente invischiato nei propri pensieri.

“Sì.” Le sorrise accarezzando un riccio ramato.

“E non è solo per la partita di quidditch.”

“No.” Ammise con un breve sospiro.

“Devo seriamente iniziare a usare la mia schifo-veggenza o hai intenzione di sputare il rospo?” gli chiese lei inarcando un sopracciglio. Albus rise divertito. Di tanto in tanto la metà irlandese di Martha si presentava sottoforma di un linguaggio a dir poco colorito.

“La tua non è affatto una schifo-veggenza. Quella della Cooman lo è! Il tuo è un dono prezioso, che imparerai a usare.” Si avvicinò a lei e le baciò con delicatezza, indugiando il più possibile sulle labbra morbide.

Ogni volta che la baciava qualcosa dentro di lui divampava in un lampo: le mani iniziavano a formicolare per il desiderio di esplorare quella terra magnifica e ancora ignota che era il suo corpo; la bocca bruciava nella sete che il suo sapore gli procurava; il ventre si tendeva nel bisogno quasi doloroso di un contatto.

La sospinse con delicatezza verso il materasso coprendola col proprio busto, ma quando toccò la coperta Martha interruppe il bacio, posandogli una mano sul petto. I suoi occhi color cioccolato si spalancarono con un’occhiata ironica.

“Non tentare di distrarmi. Che cosa c’è che non va?”

Albus sbuffò e si lasciò andare a propria volta al suo fianco, sostenendosi col gomito. Arricciò le labbra pensando a quali fossero le parole migliori per descrivere il proprio stato d’animo.

“Suppongo il fatto che io sia un merluzzo bollito.” Convenne alla fine suscitando le sue risate.

Non capitava spesso di vederla ridere in quel modo, non da quando Nana era in coma. Per cui quel suono argentino gli vibrò dentro, quasi quanto il bacio che si erano scambiati poco prima.

“Pensavo che ormai fossi sceso a patti con la realtà!”

“Sì… In realtà riflettevo su quello che mi hai detto quella volta nello sgabuzzino.” le disse quasi sovrappensiero, mentre le sue dita si intrecciavano a un morbido riccio ramato. A seconda della luce assumevano sfumature che andavano dal cannella al rosso fiammeggiante; stava imparando ogni minima variazione con un interesse quasi scientifico.

“Ti ho detto molte cose quella volta e nessuna particolarmente lusinghiera…” nella voce di Martha non c’era la benché minima vena di rammarico e gli venne spontaneo sorridere.

Già, ora poteva permettersi di sorridere, ma allora era stato come piantarsi un coltello nella pancia.

“Hai ragione, ed erano tutte vere.” Martha rise ancora, prima che lui riprendesse a parlare con tono più serio: “Pensavo a quando mi hai detto che ho passato gli ultimi anni a correre da tutti quelli che avevano bisogno di me. Effettivamente, appena percepisco che una delle persone a cui voglio bene possa aver bisogno di aiuto, il mio primo impulso è di fiondarmi dritto da lei. Sto cercando di controllare questa cosa, sto cercando di mettere le mie necessità prima di tutto il resto... E ho capito che in realtà ero così concentrato a soccorre anche chi non me lo chiedeva, che ho ignorato tutto il resto. I miei sentimenti, i tuoi sentimenti, i pensieri degli altri.” Si interruppe ancora cercando di descrivere adeguatamente quello su cui stava riflettendo da qualche giorno.

“Ero talmente convinto di sapere quello che stavo guardando, che forse non ho mai visto davvero chi mi stava davanti.”

La O’Quinn aggrottò le sopracciglia perplessa.

“Di chi stai parlando, Albus?”

“Di Angelique. Di te. Di mio fratello. Delle mie cugine. È come quando fai le scale di casa senza accendere la luce e arrivi all’ultimo gradino convinto di essere a terra. E invece ce n’è ancora uno che ti fa precipitare per un breve istante, prima di riprendere l’equilibrio. Ci sono momenti in cui mi sento così di fronte alle persone che penso di conoscere come le mie stesse mani. Mi sono perso qualcosa di essenziale in loro, qualcosa che ha determinato un cambiamento sostanziale e che io non ho riconosciuto.”

“Che cosa è successo con Angie?” anche lei a questo punto si era sollevata appoggiandosi al gomito. Lo colpì l’acume con cui nel groviglio dei suoi pensieri Martha avesse visto con chiarezza spiazzante l’origine di tutto. Angelique. La sua migliore amica. O un’estranea?

“Hai sentito di mia cugina, no?” Dall’espressione che gli diede come risposta, Al capì che chiunque nella scuola ne avesse sentito parlare. “Sono convinto che fossero coinvolte tutte le ragazze della mia famiglia, compresa Angie. E il fatto che non me ne abbia mai parlato per mesi mi fa sentire come se stessi cadendo. E poi c’è stata la cosa di Shatten, tutto quel casino. Mi sento come… Come se non sapessi più nulla di lei, come se l’avessi persa.”

Solo esprimendo ad alta voce con lei le proprie emozioni riuscì a identificare finalmente quel senso di smarrimento che lo stava accompagnando insistentemente. Il sollievo di vedere Angie finalmente più serena dopo i mesi di tormento era indescrivibile, ma contemporaneamente l’aveva anche sentita allontanarsi sempre di più, spinta verso nuovi impegni e nuovi legami… Primo tra tutti quello insospettabile con suo fratello James.

“Forse è così. Forse quei pezzi che vi siete lasciati alle spalle erano il peso di cui liberarsi per andare avanti… sarebbe stato impossibile con tutto quello che è successo a entrambi rimanere gli stessi ragazzini che si sono conosciuti sull’Espresso per Hogwarts.”

Gli occhi di Martha si erano fissati sul muro alle sue spalle mentre parlavano, persi nelle proprie riflessioni. Con un battito di ciglia si riportarono nei suoi e lei gli sorrise con dolcezza.

“Noi siamo amiche, ma tu… Tu sei qualcosa di diverso per lei. Voi siete come un piccolo microcosmo, in cui sapete gravitare solo voi due e gli altri assistono. All’inizio Scorpius era molto geloso di te, lo sai? Aveva paura che il vostro legame fosse troppo, come dire, intimo. Poi anche lui ha capito. Ha capito che senza di te le manca la terra sotto i piedi, che senza di lei non hai aria nei polmoni. Voi vi siete necessari, non importa quanti e quali cambiamenti affronterete, continuerete ad esservi necessari.”

Albus rimase a bocca aperta per qualche secondo, stordito dalle sue parole. Come aveva potuto per tutti quegli anni non accorgersi di che ragazza incredibile avesse accanto? Come era riuscito, per la Barba di Merlino, a negare ciò che provava per lei, visto il modo in cui ora lo sconvolgeva solo guardandolo in un certo modo? Era stato un merluzzo bollito, ovviamente.

In meno di un secondo le fu di nuovo addosso. La riportò sotto di sé con un bacio irruente, forzando leggermente le sue labbra ancora chiuse per la sorpresa. Martha rispose prontamente al bacio e gli posò una mano sulla nuca per trascinarlo ancor più vicino a sé. Desiderava andare completamente alla deriva insieme a lei, perché in quell’oblio dei sensi ritrovava sé stesso molto più che dopo ore di riflessione. Scese a baciarle la line della mandibola e poi del collo, mentre una delle sue mani scivolava sotto la gonna, per accarezzare la pelle della sua coscia, fresca e morbida sotto i suoi polpastrelli.

“E ora che ti prende?” sussurrò Martha spiazzata.

Al indugiò con le dita sul tessuto della biancheria della ragazza, procurandole un sospiro un molto più profondo degli altri. Si godette per un secondo l’espressione di Martha, abbandonata sotto di lui, bellissima e sua.

“Sei la ragazza più straordinaria che conosca. Mi eccita moltissimo questa cosa.”

E passò i seguenti minuti a dimostrarle quanto quelle parole fossero vere.

***

“Stavo pensando…”

“Non farlo. È una cosa che ti riesce malissimo.”

“Farò finta che tu non esista da ora in poi.”

“Difficile continueresti a parlare da sola per il resto dei tuoi giorni, sono l’unica che riesce a seguire i tuoi discorsi deliranti.”

Rose si pentì immediatamente del sarcasmo con cui aveva appena infarcito la conversazione con Dominique. La cugina socchiuse gli occhi, nella sua tipica espressione da miope. Poi schioccò la lingua contro il palato e scosse la testa bionda.

“Vedo che con Malfoy le cose non sono migliorate, altrimenti non saresti così di pessimo umore.” Le disse semplicemente versandosi altro tè nella tazza di porcellana.

Rose emise involontariamente un verso strozzato e si sentì avvampare in un secondo.

“Cos..?” non riuscì nemmeno a formulare una protesta perché Dom la guardò con sufficienza, sollevando entrambe le sopracciglia.

“Oh, per piacere! L’ho capito sin dalla prima volta che ti abbiamo beccata dopo che eri stata a pomiciare con lui nel parco della scuola.”

Rose immaginò di essere diventata completamente paonazza, perché sentiva le guance andare a fuoco. Si guardò attorno con aria circospetta ma nessuno nella Sala Grande faceva caso a loro due. O meglio la metà dei ragazzi faceva caso solo a Dominique, quindi nessuno avrebbe osservato le sue reazioni esagerate.

“Sei veramente pazzesca. A momenti non l’avevo capito io, come diavolo hai fatto a capirlo tu?”

Dominique alzò appena le spalle e bevve un sorso dalla tazza fumante, prima di risponderle con semplicità.

“Perché io vi osservo tutti, sempre. E i vostri corpi raccontano molto di più di quanto non vorreste.”

“Messa così è vagamente inquietante.”

“Mai detto di non esserlo. Si può essere inquietanti e divine allo stesso tempo, pensa ad Angelina Jolie.”

Rose convenne con le parole della cugina e si limitò ad annuire, ancora fortemente perplessa dal loro scambio, cosa più che normale quando si trovava a parlare con Dom.

In realtà le cose con Scopius si erano smosse eccome, solo non secondo i suoi piani.

Sabato sera lo aveva cercato apposta per ringraziarlo ulteriormente del suo aiuto. Lo aveva trovato al Club degli Scacchi, dove aveva appena concluso una partita, vincendo ovviamente. Lui le aveva proposto di fare una camminata prima del coprifuoco, così avevano raggiunto in silenzio un cortile esterno. Appena Rose aveva aperto la bocca, per iniziare il proprio discorso già ripassato mille volte nella testa, si era ritrovata incollata a un muro. Scorpius Malfoy l’aveva baciata in un modo che solo a ripensarci le faceva vorticare il sangue nelle vene. Aveva preso possesso della sua bocca con sfacciata sicurezza. Le aveva accarezzato il viso con dolcezza inattesa, le aveva afferrato i capelli con impeto durante un bacio particolarmente famelico, l’aveva stretta tra le proprie braccia con una forza perfettamente misurata, in grado di farle desiderare di sentire ancora di più i suoi muscoli contro la propria pelle.

E poi se n’era andato.

Proprio così, se n’era andato sul più bello, senza una parola o una spiegazione!

Le aveva dato un bacio lieve sulle labbra arrossate dal mondo in cui erano state trattate, e poi se l’era data a gambe verso i Sotterranei. Maledetto Malfoy, che l’aveva lasciata sconvolta e notevolmente accaldata in uno stupido cortile.   

“A che cos’è che stavi pensando?” le chiese dopo qualche istante di silenzio.

Dominique rispose prontamente come se l’intermezzo riguardante Malfoy non l’avesse minimamente distolta dal proprio scopo.

“Al regalo di compleanno di Lucy, mi sembra ovvio.”

Rose sentì un proprio sopracciglio sollevarsi di sua spontanea volontà verso la fronte, spinto dalla perplessità che le irrompeva da ogni capillare.

“Guarda Dom, sono sicura che tu abbia le migliori intenzioni ma secondo me lei non ha molta voglia di festeggiare.”

“Ma io non avevo alcuna intenzione di festeggiare, non mi sono ancora ripresa dagli eventi della settimana scorsa. Se continuo di questo passo mi verranno le rughe prima che io possa avere l’età legale per andare da un chirurgo… Pensavo in realtà a qualcosa che la potesse tirare su di morale.”

“L’unica cosa in grado di rallegrarla in questo momento prevede una pena di cinquant’anni ad Azkaban.”

Dom spalancò gli occhi e poi sussurrò con tono molto preoccupato.

“Non avevo idea che il Wizengamot fosse così contrario al sesso orale.”

Rose, proprio malgrado, rise di cuore e aggiunse divertita:

“Pensavo agli impulsi omicidi di Lucy nei confronti della Danes. Ma forse il sesso orale sarebbe un’opzione migliore, se solo Benji fosse ancora in circolazione.”

“Eccoci al punto. So bene che il giovane Malfoy ha svolto con estrema cura il proprio incarico…” e Dom inarcò vistosamente le sopracciglia, come se Rose avesse avuto alcun bisogno che le ricordassero come Scorpius avesse orchestrato la fuga di Benjamin da sotto il naso del Ministero. “Per questo immagino che nessuno a parte lui abbia certe… conoscenze, per così dire. Ti chiederei dunque, piccola Rosie Rose, di informarti presso l’unica fonte attendibile, se ci fosse la possibilità di recapitare un messaggio.”

“Scordatelo.” Disse semplicemente Rose prendendo un morso dal dolce che si era appena servita nel piatto.

“Oh cara… Lo farai eccome, perché la tua motivazione non è sbaciucchiarti quel platinato, ma rendere un briciolo più serena la nostra Lucy.”

Rose si massaggiò la fronte frustrata e evitò di rispondere a Dom, che tanto sapeva perfettamente che di fronte a quella verità non si sarebbe mai tirata indietro.

***

Aprile era agli sgoccioli, i pomeriggi sempre più lunghi sia per la luce crescente sia per il carico di studi che si intensificava prima degli esami di fine anno. Le serate si consumavano alla luce delle candele disposte sui tavoli delle Sale Comuni, finendo gli ultimi temi dell’anno, ripassando i programmi, facendosi coraggio a vicenda.

Anche la sua punizione in infermeria era quasi al termine. I due mesi stabiliti dalla Balckthorn erano trascorsi con una rapidità che l’aveva lasciata spaesata. Se non avesse dovuto sostenere i GUFO a giugno, Angie avrebbe chiesto a Madama Chips di poter continuare a darle una mano dopo le lezioni.

Tra i letti immacolati, i pavimenti splendenti, gli improperi della donna, i flaconi di pozioni e i lamenti di quelli che avevano mangiato le pasticche vomitose dei Tiri Vispi Weasley, Angie aveva trovato conforto, pace a tratti. Lì, dove per anni era arrivata con ossa rotte e contusioni di vario genere per essere rimessa in piedi dalle cure dell’infermiera, aveva ritrovato l’equilibrio che solo preparare pozioni le concedeva. Non solo, aveva capito come curare quello squarcio che per mesi le aveva dato l’impressione di starsi dissanguando.

Prendersi cura di qualcuno che aveva bisogno di lei, imparare nuove procedure per aiutare la Chips, memorizzare la durata degli incantesimi curativi, abbinare gli effetti delle diverse pozioni, fondamentalmente aiutare in modo tangibile, le aveva alleggerito l’anima. Aveva dato senso a giornate in cui altrimenti si sarebbe lasciata scivolare nel dolore dei rimorsi, le aveva ridato in mano la sua vita.

Non avrebbe potuto desiderare una punizione migliore.

Angie scivolò silenziosamente dentro lo spiraglio lasciato dalla porta socchiusa dell’Infermeria. Come di consueto, il bianco abbagliante dell’ambiente circostante le fece socchiudere gli occhi. Quando si abituò al riverbero del sole, individuò all’istante l’unico letto dell’Infermeria che era sempre occupato. I capelli azzurri di Nana stavano iniziando a perdere la loro tonalità vivace, visto che quando la lavavano la Chips si rifiutava categoricamente di usare il Magishampoo. La sua pelle, normalmente rosea, era diventata diafana al punto da lasciar intravedere le vene sulla linea della mandibola e delle tempie. Le sue dita non recavano più nemmeno l’ombra delle tempere, del carboncino o di qualunque altro mezzo da lei usato per dipingere.

Angelique non aveva alcun bisogno di avvicinarsi al fondo della stanza, dove la sua amica giaceva immobile, per constatare tutti questi cambiamenti, erano impressi nella sua mente. Ogni giorno che aveva passato accanto a Elena, era stato scandito dalla paura di notare un peggioramento e dalla speranza, sempre più fievole, che migliorasse. L’attesa di uno dei due eventi era lacerante.

Chi sembrava ormai oltre ogni ragionevole limite di sopportazione personale, era il giovane seduto accanto al letto di Nana. Berty le stringeva una mano tra le proprie e con l’altra sorreggeva un libro che le stava leggendo a mezza voce. Non lasciava la presa sulle dita della ragazza nemmeno per girare pagina, arrangiandosi come meglio poteva con l’unica mano libera.

Aveva visto questa scena quasi ogni giorno, ma tutte le volte Angie sentiva il cuore accartocciarsi. Berty aveva occhiaie violacee, la pelle del suo viso era tesa sulle ossa degli zigomi, il suo fisico in quelle settimane si era quasi prosciugato nel dolore che trapelava da ogni suo poro. Si stava consumando nell’attesa che Elena aprisse finalmente gli occhi.

Angie si avvicinò ai due amici e posò una mano sulla spalla di Berty per salutarlo senza interrompere la sua lettura, lui le rivolse un lieve sorriso come risposta. Quel breve scambio sanciva l’inizio di quasi ogni turno in infermeria di Angie.

La ragazza ascoltando distrattamente il sottofondo della voce di Berty si mise all’opera. Allacciò in vita il grembiule bianco e si mise a preparare le cassette del pronto soccorso che avrebbe posizionato sotto ogni letto in vista della partita del giorno seguente.

Bastò quella piccola scintilla per far divampare nella mente di Angelique i pensieri connessi all’ultima partita di quidditch che aveva giocato. Ripensò a quando si era svegliata in quella stessa stanza intorpidita, sola e senza alcuna voglia di ricominciare a vivere. Ricordava che se avesse potuto lasciarsi assorbire dalle lenzuola, avrebbe dato qualunque cosa pur di sparire. Poi Jessy era entrato e le aveva dato un motivo per alzarsi.

Alle volte si interrogava quanta parte di sé fosse ancora affetta dal quella pulsione autodistruttiva in grado di trascinarla sul fondo di sé stessa. Aveva iniziato a conoscere e chiamare per nome i propri fantasmi, senza rinnegarli e senza lasciarsi dominare, ammettendone semplicemente l’esistenza.

Il rumore della porta dell’infermeria che si apriva destò immediatamente la sua attenzione.

Quasi che la scia dei suoi pensieri lo avesse calamitato, il figlio maggiore dei Potter fece il suo ingresso nell’Infermeria, accompagnato da Fred Weasley. Le bastò un secondo per sentire il cuore iniziare a battere all’impazzata.

“Perché sei sempre coperto di sangue?” fu la prima cosa che sbraitò correndo verso di lui e per tutta risposta ottenne uno scrollamento di spalle.

James si tamponava una ferita sul sopracciglio destro molto sanguinolenta, che gli aveva sporcato l’occhio e la guancia. Fred accanto a lui non sembrava particolarmente preoccupato, tanto che sghignazzava osservando il cugino.

“Si è distratto mentre era in volo e ha preso uno degli anelli in testa.” Le raccontò trattenendo le risate.

Anche Angie dovette comprimere le labbra una contro l’altra per evitare di scoppiare a ridere immaginando la scena. Ciononostante, scostò la mano di Jessy e il fazzoletto zuppo di sangue in essa, per analizzare il taglio, che si rivelò discretamente profondo ma non sporco.

“Ti fa male la testa?” gli chiese cercando di rimanere concentrata sulle domande di rutine.

“No.”

“Ti viene da vomitare o hai già vomitato?”

“No.”

“Hai avuto delle vertigini mentre camminavi?”

“No.”

Angie illuminò la bacchetta e la rivolse verso gli occhi del ragazzo, per osservare come le sue pupille reagissero alla luce.

“AH!” esclamò infastidito Jessy mettendo una mano davanti al viso.

“Sta fermo o vado a chiamare la Chips che ti farà passare qui le prossime cinque ore.” Lo minacciò puntandogli la punta luminosa della bacchetta in faccia.

“Sei ogni giorno più dispotica da quando sei qui.” La rimbeccò lui con un’occhiata torva.

“Succede se tutti quelli che cerchi di aiutare si comportano come polli senza testa.”

“Immagine interessante.” Intervenne Fred e poi proseguì con un sorriso a trentadue denti. “Beh, ora che sei arrivato a destinazione Jamie, io me la filo.” E in men che non si dica fu fuori dalla porta.

“Vieni che ti disinfetto.” Gli disse facendogli un cenno col capo verso uno sgabello libero.

Angie voltandosi vide che Berty aveva smesso di leggere e li osservava incuriosito. Avrebbe voluto sbraitare anche a lui di farsi gli affari suoi, ma forse sarebbe stato poco gentile.

“Ciao Barrach.” Salutò James con l’occhio destro chiuso per il sangue che aveva ripreso a scorrere.

“Potter.” Berty chinò il capo con gentilezza e poi tornò al libro e alla sua Nana.

L’operazione di pulizia e chiusura della ferita durò solo una manciata di minuti, nei quali entrambi i giovani rimasero in silenzio. Poi Angie si decise a parlare.

“Domani è il grande giorno…”

James le rivolse un sorriso sbieco.

“Intendi dire se domani è il giorno in cui faremo a pezzi la squadra che ha esonerato la Cercatrice più brillante del campionato? Oh sì, immagino di sì.”

“Sai bene perché sono stata esonerata.”

“Sì. Ma questo era due mesi fa, e io scommetto che da allora non ne avete più parlato, vero?” le chiese e lei per risposta iniziò a gettare via le garze sporche una per una. “Siete incorreggibili, vi gettereste nel fuoco per l’altro e poi non riuscite ad affrontare il minimo conflitto.”

“Che ne sai tu di come io e Al gestiamo in nostri conflitti?!” esclamò Angie mettendosi le mani sui fianchi e sentendo la rabbia montare.

“Conosco lui. E conosco te. Non ci vuole un genio per collegare le due cose.”

“In ogni caso hanno trovato un altro cercatore.” Disse lei tentando di chiudere il discorso.

“Morgan è un incapace, sarebbe meglio prendere un tasso impagliato e legarlo alla scopa.” Ribatté Jessy incrociando le braccia sul petto.

“E tu come fai a saperlo?” gli chiese stringendo gli occhi sospettosa. Anche lei ne aveva sentito parlare ma un conto erano i pettegolezzi della Sala Comune di Serpeverde, un altro erano le dichiarazioni di un giocatore esperto come lui.

“Ho i miei informatori.”

“Sono ufficialmente ancora in punizione.” Ci riprovò e iniziò a distribuire le cassette del pronto soccorso. Jessy per qualche strana ragione non aveva alcuna intenzione di mollare quel pomeriggio.

“Potresti chiedere il permesso alla Blackthorn, in fondo da domenica saresti libera.”

“Beh, Jessy domenica non è sabato!”

Brava, tu sì che sai come rimetterlo al suo posto, eh? Si derise da sola con una voce che somigliava molto a quella di Elena.

“Osservazione ineccepibile, ma forse, nonostante ciò, potresti far notare ai tuoi carcerieri che hai fatto abbastanza turbi extra per coprire un’assenza di un paio d’ore sabato.”

“Jessy, per le mutande di Merlino! Perché sei così insistente? Non sarebbe tutto a vostro vantaggio se non giocassi?” gli domandò esasperata voltandosi a guardarlo.

“Vedi… Provo questa strana cosa… il desiderio di uno scontro leale. Ti è mai capitato?”

“No, affatto.” Rispose senza esitazione.

“Lo immaginavo. Ma io voglio vincere la coppa che sta nell’ufficio della Blackthorn sapendo che ce lo siamo meritati davvero, non solo perché tu sei caduta dalla scopa e Albus è una crocerossina impenitente.”

“Questo è un problema tuo, non mio. Ho altro da fare ora.” Fece per dribblarlo ma lui la inseguì e le si piazzò davanti nuovamente.

“Secondo me invece ti stai lasciando frenare dalla paura.”

“Oh Signore, giuro che ti strozzo se insisti ancora.” E per rendere la minaccia più reale brandì una bottiglia di Ossofast contro di lui. Jessy rise e indietreggiò coi palmi alzati.

“Ok. Tu però pensaci…”

“No.”

“A domani, Gigì.”

“Sì sì, ciao.” Bofonchiò deponendo la cassetta ai piedi di un letto e non riuscendo a impedirsi di osservarlo di sfuggita uscire.

Appena si rialzò trovò gli occhi di Berty fissi su di lei, con un’espressione particolarmente ironica.

“Che c’è? Perché mi guardi così?” chiese con più aggressività del dovuto.

Bertram le sorrise e si strinse nelle spalle.

“Sei buffa quando sei con lui.”

Angie sperò con tutta sé stessa che Berty non si fosse accorto di quanto la presenza di Jessy la turbasse.

“Mi fa arrabbiare! Sono cinque anni che mi fa arrabbiare!” tentò di giustificarsi.

“Può darsi, ma ti ha detto delle cose giuste prima. Se vuoi giocare domani, devi farti coraggio e provare a ottenere ciò che vuoi.”

Berty voltò la testa e tornò a fissare Elena. Con un gesto pieno di tenerezza, le scostò una ciocca azzurra dalla fronte, sfiorandole con delicatezza la pelle.

“Sai Angelique, a volte lasciamo che la paura di fallire si rubi tutti i nostri desideri, i nostri sogni. Così passiamo mesi e anni a sperare che un giorno le cose cambino, senza mai fare nulla per renderlo possibile. Solo quando è troppo tardi ci accorgiamo che sarebbe bastato poco per provarci almeno… Ti prego, almeno tu, non farlo diventare troppo tardi. Abbi coraggio.”

Tornò a fissarla dritta negli occhi e poi sussurrò con decisione.

“Dovremmo dire più spesso alle persone che amiamo, quanto le amiamo.”

Angie seppe di essere una vigliacca della peggior specie.

*** 

Albus si sentiva come se qualcuno gli avesse preso le viscere durante la notte e ci avesse fatto un bel fiocco, con tanto di doppio nodo. Attorno a sé la squadra sembrava più o meno nelle stesse condizioni.

Erano tutti consapevoli che stavano per uscire a farsi massacrare sul campo dai Grifondoro, i loro avversari storici. Hector Morgan, più di tutti, sembrava sentire la pressione su di sé e se ne restava immobile sulla panca dello spogliatoio a fissare il vuoto.

Non aveva mai giocato una partita di campionato senza Angelique. La sua presenza aveva il significato dell’appoggio incondizionato. Tuttavia, lei non c’era e lui per la prima volta si sentiva davvero solo.

“Ragazzi voglio che mi ascoltiate attentamente.” Disse ad alta voce richiamando gli sguardi dei suoi giocatori. Dominique smise di limarsi le unghie e lo osservò con gli occhi turchesi per una volta tanto non strizzati nel tentativo di metterlo a fuoco. Aveva sicuramente messo le lenti a contatto.

“Sono molto orgoglioso di tutto l’impegno che avete dimostrato quest’anno. Voglio che usciate là fuori e pensiate a tutti gli allenamenti sotto l’acqua che avete dovuto sopportare. Voglio che pensiate a tutte le flessioni, alle corse sfiancanti, agli addominali che vi bruciavano il giorno successivo. Voglio che pensiate a tutto ciò che avete dato e che vi prendiate quanto vi spetta.”

A metà del suo discorso numerosi visi si erano animati, un misto di stupore e di felicità, che non avrebbe mai pensato di poter scorgere nei suoi giocatori. Così rivolse loro un sorriso di cuore e batté le mani l’una contro l’altra.

“Andiamo a farli secchi!”

Ma nessuno si mosse, tutti continuarono ad osservarlo con quella strana espressione. Finché Dom non gli fece un cenno col mento, indicandogli qualcosa dietro di lui.

Albus si girò e si trovò a fissare l’esatta copia dei propri occhi.

“Angie…”

Angelique era ritta come un fuso davanti a lui, la scopa dal manico di ebano stretta nella mano destra. Portava i capelli raccolti in una treccia, come prima di ogni partita, chiusi dal suo elastico portafortuna verde. Al dischiuse le labbra stupito. Non sapeva ancora bene per dire che cosa, ma Angie lo anticipò.

“Prima che tu dica qualunque cosa, ho chiesto alla Blackthorn e a Madama Chips il permesso di essere qui, scambiando questo pomeriggio con altri due giorni di punizione.” Angelique parlava rapidamente e con molta decisione, consapevole che se si fosse concessa una pausa di troppo non avrebbe più parlato. Le sue sopracciglia bionde erano profondamente corrugate, i suoi tratti tesi, tutto in lei urlava lo sforzo che le costava essere lì, davanti a chi le aveva tolto una delle cose che amava di più al mondo.

Albus sapeva perfettamente che se solo le avesse dimostrato qualcosa di simile alla compassione o all’indulgenza in un momento simile, lei lo avrebbe preso come un affronto. Angie aveva bisogno di riconquistare a modo proprio il suo posto. Così Al cancellò ogni espressione dal proprio viso e incrociò le braccia sul petto, lasciando che lei continuasse a parlare.

“Ok.”

“Non voglio rubare il posto a nessuno, so che mi avete esonerata di comune accordo e avete fatto bene.” Numerose sopracciglia si sollevarono perplesse di fronte a tanta umiltà da parte di Angelique.

Solo a quel punto l’ombra di un sorriso inclinò le labbra della sua amica e i suoi occhi si accesero di una luce particolare, sardonica quasi.

“Però, se qualcuno dovesse non sentirsela di giocare la sua prima partita contro la prima in classifica nel giorno decisivo per la vittoria del campionato… Beh, io sono disponibile a prendere il suo posto.”

Morgan si raddrizzò immediatamente a quelle parole.

Gli sembrò quasi di sentire attorno a sé un comune sospiro di sollievo. Guardò uno ad uno i membri della squadra, Dom, Scorpius, Richard Miller, Rendly Smith, Janus Mcmillan, e ognuno aveva stampata in viso la speranza di farcela insieme.

“Direi che siamo tutti d’accordo.” Subito dopo un applauso entusiasta si levò nello spogliatoio e i giocatori andarono a salutare a turno Angie, riaccogliendola tra le proprie fila.

“Oh sì! Sì, sì, grazie Dursley!” esclamò Morgan saltando in piedi con rinnovata energia.

Angie gli rivolse uno sguardo critico e arricciò le labbra.

“Prego, cerca di non vomitare sulla divisa mentre te la togli. Non hai un bell’aspetto.” gli disse con serietà prima di voltarsi verso di lui. Albus finalmente spalancò le braccia e accolse l’abbraccio impetuoso con cui si lanciò verso di lui.

“Bentornata, Pesciolino.” Sussurrò al suo orecchio e lei si strinse ancor di più di lui.

Quando si separarono, Angelique gli prese gli avambracci con le proprie mani e lo guardò fisso negli occhi.

“Sono qui.”

“Lo so.”

“Sarò qui sempre.”

“E io sarò qui per te.”

Non ebbero bisogno di altro e dopo che Angie ebbe indossato la sua vecchia divisa, Al spiegò la strategia della partita. Partivano molto più indietro rispetto al punteggio dei Grifondoro, tanto che avrebbero dovuto vincere con un vantaggio di almeno sessanta punti oltre quelli forniti dal boccino.

“Angie tu cerca di controllare il punteggio. Noi dovremo tentare di mantenere il vantaggio costante, per darle l’occasione di acciuffare il boccino appena possibile. Non risparmiate nulla, oggi ci giochiamo ogni carta. Chiaro per tutti?”

“Sì.” Il coro di voci si udì forte e chiaro e subito dopo uscirono dallo spogliatoio già in formazione.

Al, la cui pancia era definitivamente ridotta a un groviglio, camminò a testa alta verso il campo, da cui si udivano le grida festose degli studenti e i cori. Al suo fianco il capo di Angelique scintillava dorato nel sole di aprile, fiero come il suo sguardo concentrato.

Non era solo. Nessuno di loro lo era.

***

Avevano perso.

E avevano vinto.

I Grifondoro avevano perso la partita durata quasi quattro ore, al termine della quale erano tutti stremati.

Sapeva che i Serpeverde avevano bisogno di un vantaggio di sessanta punti più i punti del boccino per vincere il campionato e, nonostante fosse stata palese la loro superiorità sul campo, avevano tentato in ogni modo di rendere loro la vita difficile. Quando Gigì era partita all’inseguimento del boccino, lui era riuscito a segnare due punti, rovesciando la situazione di vantaggio. Subito dopo Dominique aveva segnato a sua volta, ma solo una volta prima che la mano di Angie si chiudesse sul boccino. Così sia Grifondoro che Serpeverde si erano ritrovati con una vittoria a metà e l’amaro in bocca.

Per questo lui stesso aveva proposto al fratello di riunirsi per festeggiare a metà, in uno storico incontro tra le due Case rivali per eccellenza. Era stata scelta la Buca come territorio neutrale e lì si erano riversate quasi una cinquantina di persone.

Come di consueto dopo una partita riceveva complimenti e pacche sulla spalla da compagni di Casa, entusiasti per il risultato ottenuto. Lui, però, con la coda dell’occhio cercava incessantemente Angelique in mezzo a tutti quei visi conosciuti.

Perché avesse commesso l’errore madornale di metterle la pulce nell’orecchio riguardo al suo ruolo di Cercatrice? Chi poteva dirlo… gli era venuto spontaneo! Sapeva solo di essere così stupidamente innamorato di Angelique che vederla sul campo di quidditch con lo sguardo fiero e combattivo come ai vecchi tempi, gli aveva fatto battere il cuore mille volte di più che sollevare al cielo la Coppa del Quidditch.

Quello sì che era un affare spinoso, si disse ingollando una generosa sorsata di Firewhisky.

In un attimo di tregua tra un’ambasciata e l’altra, James individuò Gigì che parlava con Locarn Scamander e Janus Mcmillan. Aveva l’aria stanca, ma soddisfatta, come se nonostante il risultato fosse orgogliosa di aver tentato il tutto e per tutto. Le sue guance erano lievemente arrossate e gli facevano venir voglia di prenderla per mano, portarla lontano e scoprire quante sfumature di rosa poteva provocarle, dal piacere all’indignazione.

“C’è stato un tempo in cui avrei venduto l’anima al diavolo, perché tu mi guardassi in quel modo.”

James si voltò sorpreso e trovò il volto divertito di Alice Paciock intento a studiarlo. Non provò nemmeno a giustificarsi, consapevole di essere stato preso in castagna. Aveva sempre avuto il sospetto che Alice conoscesse i suoi sentimenti per Angelique. Così si limitò a bere altro Firewhisky, tacendo per non peggiorare la propria situazione, tattica imparata da quella straordinaria creatura di Dominique.

“Mi sono chiesta a lungo perché nemmeno una ragazza straordinaria come Fanny fosse in grado di farti scordare la Dursley. Mi arrovellavo pensando al perché tu dovessi volere una ragazza così insensibile, opportunista, dispotica, calcolatrice, dura, sempre sulla difensiva…”

“Non dirlo a me.” Mormorò James strabuzzando gli occhi e causando una risata dell’amica. “Se hai trovato una risposta ti prego di condividerla, perché ne avrei davvero bisogno.”

“Oh sì, ce l’ho. Ma ti lascerò scoprirlo da solo, Jamie.”

Alice sorrise e, osservandola, James capì che era venuto il momento di affrontare quello che si erano lasciati alle spalle dopo il tentativo fallimentare di stare insieme.

“Mi dispiace averti fatta soffrire. All’epoca non avevo molta consapevolezza dei danni che si possono causare agli altri… Spero che tu sia riuscita ad andare oltre. Davvero Alice, spero che tu stia bene ora.”

Alice annuì riflettendo e poi disse con sincerità: “Io sto bene, James. E tu come stai?”

I suoi occhi andarono spontaneamente in cerca di Gigì, mentre il capo biondo si voltava verso di lui. Il loro sguardo si trovò sopra le teste dei presenti e lei gli sorrise, prima di rispondere ad una domanda di Janus Mcmillan.

“Penso di stare meglio.” Le rispose con sincerità, osservando stupito Angelique abbandonare i suoi interlocutori per farsi strada tra le persone accalcate attorno al bancone delle bevande.

Alice sorrise sorniona e si dileguò in un istante.

Angelique gli si parò davanti e sollevò il proprio calice di sidro con un sorriso sbieco.

“Agli scontri leali.”

James sollevò il proprio bicchiere e rispose al brindisi. Osservò affascinato la linea del collo distendersi mentre la ragazza beveva, pensando a come potesse reagire la sua pelle candida ai baci poco gentili che gli ispirava in quell’istante.

“Volevo ringraziarti.” Iniziò Gigì, ma un gruppo di tifosi di Grifondoro, che stava cantando a squarciagola, passò in massa troppo vicino a loro e la urtarono, spingendola verso di lui.

James la prese al volo per un gomito e con una mossa quasi da prestigiatore, la condusse in un angolo della Buca più tranquillo. Rimasero praticamente da soli, isolati rispetto al baccano generale che stava animano la sala, confermando quella teoria per cui le grandi feste, in realtà, sono molto intime.

“Dicevo prima che quei bufali dei tuoi compagni mi travolgessero, che volevo ringraziarti.” Iniziò lei mettendosi un ricciolo dietro l’orecchio, ma quello sfuggi ancora e si posò sul suo zigomo.

“Per che cosa Gigì?”

Angelique sbuffò e alzò gli occhi al cielo, prima di scuotere la testa esasperata.

“Tu non me la rendi mai facile, vero?”

“No, mai. Voglio farti uscire dalla tua comfrot zone.” Ammise non riuscendo a non sorridere per le sue espressioni.

“E va bene! Volevo ringraziarti perché avevi ragione, stavo lasciando che la paura di fallire ancora mi bloccasse dal fare ciò che realmente volevo.” Le parole precipitarono fuori dalle sue labbra rapidissime e le guance della ragazza diventarono di una tonalità più intensa di rosa.

Per James fu spontaneo paragonare la conversazione che stavano avendo, con quelle di qualche mese prima, in cui le sue scherzose provocazioni eccedevano sempre e causavano solo la rabbia e il distacco di lei, in cui non nessuno dei due riusciva mai a dire ciò che realmente intendeva, troppo offuscati dai pregiudizi e dall’orgoglio.

“Ripensandoci forse avrei potuto aspettare il nuovo anno per farti i miei discorsi motivazionali.” Disse dopo qualche secondo per alleggerire l’atmosfera. Angelique colse al volo il suo tentativo e si aprì in un sorriso ironico.

“Ah, quindi lo scontro leale non è più tanto importante, ora?!” esclamò punzecchiandolo sul fianco con un indice.

Vederla sorridere gli faceva mancare il fiato. Averla così vicina ancor di più. Sentire le sue dita su di sé era forse troppo. Così bloccando la mano che cercava di fargli il solletico, la trattenne nella propria e disse guardandola dritta negli occhi.

“No, hai ragione. È molto più importante vederti felice.”

Le labbra di Angelique si schiusero per la sorpresa e lei rimase immobile per qualche secondo, che a lui parvero ore intere. Non sapeva perché glielo avesse detto, non ce n’era alcun bisogno. Eppure, ogni fibra di lui voleva che lei sapesse.

“Che fai il 2 di maggio?”

La voce di lei lo riscosse e James trovò una risposta evasiva, temporeggiando.

“Vado al ballo, come tutti.” Per evitare il suo sguardo depose il bicchiere vuoto su un mobile lì vicino.

Angelique osservò per un istante le loro mani, ancora giunte e si morse il labbro inferiore con forza, prima di chiedere a bassa voce

“Uhm… Ci vai con qualcuno?”

“No.”

“Ci verresti con me?”

James trattenne il respiro, sconvolto. Il suo petto si era accartocciato su sé stesso per l’emozione. Le iridi verdi lo osservavano guardinghe da sotto le ciglia, in allarme per aver fatto una mossa tanto esplicita. Gli sembrava di avere la gola completamente serrata e di non saper più come connettere le parole alla lingua, ma ci provò lo stesso.

“Sì, Angelique.” Mormorò e osservò i suoi tratti mutare per quella risposta.

La fronte si distese e gli occhi si sgranarono, James pensò che sarebbe annegato in quel mare verde. Le labbra piene sembravano chiamarlo supplicanti di colmare la distanza.

Non gli importava nulla del fatto che ci fossero altre venti persone a guardarli e si chinò su di lei.

Con una mano le scostò il riccio dallo zigomo e lo intrappolò dietro l’orecchio, nel tragitto sfiorò con i polpastrelli la pelle calda della sua guancia. Angelique socchiuse gli occhi al suo tocco, e quando lui con la stessa mano scese a sfiorare la mandibola e il mento per sollevarlo verso di sé, lei tornò a fissarlo. Seppe che anche lei lo voleva, dall’espressione traboccante di desiderio che gli rivolse.

Le raccolse una guancia nel palmo e le baciò l’altra, prima di distanziarsi e farle cenno di seguirlo. Ci mancava solo che dopo tutti quegli anni, la baciasse davanti alla sala intera.

Lei annuì semplicemente, accaldata ed eccitata quasi come lui.

Le loro mani non si lasciarono per un istante mentre camminavano in mezzo agli altri studenti intenti a festeggiare. Lui la conduceva e le accarezzava col pollice il dorso della mano, lei gli sfiorava la schiena di tanto in tanto per comunicargli che era lì.

Avevano ormai guadagnato l’uscita della Buca, quella porta che apriva un mondo di promesse quando udì un suono che ruppe l’incanto.

“Angelique!”

Si voltarono entrambi, probabilmente con la colpevolezza scolpita in ogni lineamento, verso Albus. Tuttavia, il fratello parve considerare poco le loro dita intrecciate. Si avvicinò a loro e disse con fermezza:

“Angie, è arrivato un biglietto da parte della Chips.”

James vide il viso di Gigì perdere qualunque colore. La giovane guardò l’amico spaventata e chiese:

“Che cosa è successo?”

“Non lo sappiamo! Hanno mandato il biglietto direttamente qui. Dice solo che dobbiamo andare subito in Infermeria.”

James notò alle spalle dei due Serpeverde gli altri del quinto anno. La O’Quinn con lo sguardo più angosciato che le avesse mai visto in viso. Malfoy impassibile come sempre, che con la precisione di un falco osservava le loro mani. E Goyle che era un miracolo non si stesse levano le caccole dal naso in mezzo a tutti. Mancava lo spilungone in effetti.

“Dov’è Barrach?” chiese James guardando le teste degli studenti per individuare la sua.

“È rimasto in Sala Comune. Non aveva voglia di festeggiare.” Rispose Albus.

Ormai più nessuno di loro ne aveva, fu il commento implicito.

“Gli mando un Patronus.” Angelique lasciò la sua mano e sfoderò la bacchetta ma Albus la interruppe.

“Ci ha già pensato Scorp.”

“Allora non ci resta che andare.” Mormorò Angie. Albus annuì e chiamò gli altri tre.

Vide sfilare davanti a sé i Serpeverde tutti scuri in viso, pronti all’inevitabile e pieni di angoscia. Ma la vera sorpresa fu quando Angelique gli riacciuffò la mano e la strinse forte prima di uscire.

“Vieni anche tu.”

Non era una richiesta. Era la sua volontà.

***

Che cosa le stesse succedendo quella sera, proprio non lo sapeva.

Probabilmente era posseduta. Non trovava altre spiegazioni per il suo comportamento.

Invitare Jessy al ballo dell’anniversario della Battaglia di Hogwarts, sperare che la baciasse, esultare per la sua iniziativa di uscire dalla Buca per limonare (finalmente!), stringergli la mano per tutto il tragitto fino all’Infermeria.

Che cazzo stava combinando?

Non lo sapeva. Sicuramente non poteva saperlo in quel momento in cui il pensiero di Nana le martellava in testa. Ripensava a quando era passata a salutarla subito dopo la partita di quidditch per raccontarle che cosa fosse successo.

Aveva controllato il polso, aveva rinnovato l’incantesimo per la respirazione artificiale, le aveva controllato la temperatura… Andava tutto bene? Che cosa era successo?

Nello stato di panico in cui si trovava, la mano di Jessy nella sua era straordinariamente calmante. Il calore che emanava riscaldava le sue dita gelide per l’agitazione, la presa salda nascondeva il suo tremito.

Come accadeva spesso nei momenti più difficili della sua vita, il ricordo di nonno Etienne si faceva vivo. La sua memoria richiamava i modi di dire dell’uomo, le sue frasi sagge, i suoi gesti colmi di gentilezza. E mentre i loro passi accorciavano la distanza con l’Infermeria, Angie non smise un attimo di pregare come il nonno le aveva insegnato da bambina. Pregò con tutto il proprio cuore che non fosse successo nulla di brutto, pregò con brandello di sé che Elena non fosse peggiorata, pregò finché non ebbe più parole ma solo un incessante “Per favore” a martellarle nella mente.

Incrociarono Berty poco prima dell’Infermeria, il quale si unì al gruppo senza una parola, scavato in viso da un’angoscia devastante.

Il cuore le batteva talmente forte che sembrava sul punto di esplodere, prendere un respiro era quasi impossibile tanto era doloroso. Quando aprirono la porta dell’Infermeria Angie sentì che le sue ginocchia avrebbero ceduto da un momento all’altro.

Madama Chips stava in piedi accanto al letto di Elena, al suo fianco c’era il padre della ragazza, Alain Zabini, con il viso rigato di lacrime.

Per una frazione di secondo pensò al peggio, pensò che l’avessero persa per sempre, che non l’avrebbe più sentita ridere o vista disegnare in camera, che non avrebbe mai più sentito le sue battute sconce. Pensò che non fosse pronta a dirle addio, non lo sarebbe mai stata.

Poi vide il capo azzurro di Elena voltarsi verso la loro direzione e i suoi grandi occhi verde scuro posarsi su di loro.

“Ciao bellocci.” La voce rauca, dopo il lungo disuso, venne accompagnata da un sorriso enorme.

Elena si era svegliata.

Angie conservò un ricordo piuttosto confuso di quello che successe immediatamente dopo. Seppe che in un baleno furono tutti attorno al letto di Elena, che quasi tutti si misero a piangere, che dissero cose più o meno sensate, troppo emozionati per ragionare, che avevano quasi paura a toccarla, timorosi che fosse solo un sogno averla di nuovo tra loro.

Parlarono a voce fin troppo alta in uno stato di ebbrezza dovuta alla felicità, si scambiarono sguardi increduli. Si udirono numerose risate frammiste a singhiozzi e nell’euforia del momento si abbracciarono tutti, persino Martha e James, evento più che irripetibile.

Nessuno capiva più niente ed era bellissimo così.

Poi successe qualcosa che li ammutolì tutti.

Berty si avvicinò senza esitazioni ad Elena e le prese il viso tra le mani, l’adorazione impressa in ogni suo tratto così provato dalle ultime settimane. Elena sbarrò gli occhi e posò le proprie mani sui polsi di Berty, come per aggrapparvisi.

“Io ti amo. Ti amo dal giorno in cui mi hai insegnato a cantare per non balbettare. Ti amo, Elena.” Subito dopo aver pronunciato quelle parole, chinò il viso verso quello della ragazza e la baciò.

Il padre di Elena fece una faccia tale per cui Angie temette che sarebbe stramazzato al suolo. Però Lord Zabini restò ben saldo sulle sue gambe e si guardò attorno imbarazzato, aspettando che finissero.

Non fu un bacio molto lungo o teatrale, ma quando si separarono, Angie poté scorgere un sorriso pieno di malizia allargarsi sul viso di Nana e la sentì esclamare:

“Oh Berty, finalmente ti sei deciso, non ci speravo quasi più!”

Angelique si trovò a ridere insieme a tutti gli altri e ad asciugarsi le lacrime, troppo felice per fermare l’una o l’altra cosa. Berty le prese una mano e gliela baciò. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quelli della ragazza nemmeno per un istante, rapiti e increduli della grazia ricevuta.

Fu solo quando il loro baccano raggiunse un livello intollerabile per Madama Chips, che la donna intimò a tutti di lasciar riposare Elena e di tornare il giorno successivo.

“Non ci penso nemmeno, abbiamo perso fin troppo tempo.” Fu l’unica risposta che diede Berty e si prese una sedia, dove avrebbe verosimilmente passato tutta la notte. Madama Chips protestò, più per forma che per reale intenzione, ma alla fine lo lasciò accanto a Nana.

Lord Zabini li salutò con fare piuttosto compito, ma prima di andarsene posò un bacio sulla fronte della figlia e accarezzò dolcemente i capelli azzurri, promettendole di tornare il giorno successivo.

Quando uscirono dall’Infermeria, a dir poco stravolti dagli eventi, Angie sentì il bisogno di sedersi. Si appoggiò ad una colonna di marmo e si godette il freddo rigenerante contro la colonna vertebrale. Non fece quasi in tempo a chiudere gli occhi che Jessy le fu accanto. Vide con la coda dell’occhio che i suoi amici avevano proseguito lungo il corridoio, lasciandola da sola con Jessy. Li adorò ancor di più per la loro indole subdola e intrigante.

“Guarda che fingere uno svenimento non convincerà la Chips a tenerti in infermeria insieme a Elena!” le disse lui dandole un colpetto con la spalla.

Angie rise e voltò il viso verso il suo. Osservare come i suoi lineamenti venissero marcati dalle ombre notturne le procurava una familiare morsa allo stomaco di desiderio. Era bellissimo con quel sorriso stanco e dolce sulle labbra piene.

“Troppe emozioni tutte insieme, Jessy. Devo decomprimere.” Mormorò tornando a guardare dritto davanti a sé. James le passò un braccio attorno alle spalle e la tirò contro il proprio fianco.

E lì rimasero, insieme.

 

 

Note dell’Autrice.

Miei cari ben ritrovati! Non sono molto sicura della riuscita di questo capitolo, soprattutto nella parte finale ho cercato di rendere quel senso di smarrimento che spesso si prova di fronte a eventi più grandi di noi. Spero di esserci riuscita.

Ho meditato a lungo su come sarebbe stato il risveglio di Elena, ma, a parte i dettagli, ho avuto chiaro fin dall’inizio la scena del suo primo bacio. Il titolo riprende una canzone che mi ha molto colpita per il mesaggio di speranza e di rinascita, che ben si accompagna a un periodo in cui i personaggi stanno guarendo le proprie ferite. Se vi capita ascoltatela, è molto bella. Per il resto mi viene sempre più voglia di scrivere perché ci stiamo avviando verso la fine di questa fanfiction, che sta assumendo la portata temporale di Beautiful. Perché io adoro fare le cose semplici e lineari, senza perdermi per strada.

Ringrazio come sempre tutti coloro che hanno dimostrato pazienza e costanza aspettando anche questo aggiornamento. Non so davvero come ringraziare tutti coloro che hanno commentato lo scorso capitolo, eravate tantissimi <3: engildi, Idiot, Shedir_, thetwinsareback, truegattara, cescapadfoot, Rarity94, RTT, cassidri, Cinthia988 e carpethisdiem_.

Un abbraccio enorme a tutti voi.

A presto (ci provo).

Bluelectra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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