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Autore: greenlove    01/11/2019    0 recensioni
Le luci che mi abbagliano.
Il rumore di uno schianto
Vetri che si rompono
E poi sangue e urla che squarciano la notte.
Iris D'Orsay era una scrittrice affermata, autrice di grandi racconti tra cui la spettrale e tetra Gotham, scenario delle innumerevoli episodi con protagonisti Batman e, la sua nemesi, Joker.
Purtroppo un grande trauma la stravolge. Sceglie di accantonare la sua passione , la scrittura, preferendo una vita monotona, neutra. Per riportarla sulla retta via, la sua "immaginazione" che ha dato vita alle sue opere la mette alla prova, portandola a confrontarsi con i suoi personaggi in carne ed ossa: Batman e Joker.
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Batman, Joker, Nuovo personaggio
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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N.B. Quando finite la lettura del capitolo per favore leggete lo spazio autrice.
 
Bedtime story
 
Tolsi la sicura dell’arma e la puntai verso i due agenti che prontamente alzarono le mani.
“Non faccia cazzate signora!” mi ammonì il commissario Gordon.
Indietreggiai piano e uscii dalla stanza. Chiusi dall’esterno la porta con la chiave già presente nella serratura.

Quante cazzate continuerai a fare nella tua vita Iris accidenti!? Ti sembra dare poco nell’occhio rinchiudendo due poliziotti a chiave in una stanza, per giunta nella centrale di polizia !? Devi esserti proprio fumata il cervello dio santo!
Signore! Basta chiacchiere devo uscire di qui.

Osservai la mano con cui tenevo stretta ancora la pistola. Non avevo mai avuto il coraggio di impugnare un’arma ed ora l’ho fatto, senza esitazione. E’ stato uno scatto talmente veloce che non me ne ero totalmente accorta. Il pensiero di scappare da tutto questo, di nuovo, mi ha annebbiato il giudizio, la mia sana moralità. Ora sono una fuorilegge, in un mondo non reale, ma pur sempre il mondo ho creato.

Rabbrividii al solo pensiero che potevo far male veramente a qualcuno con quell’affare, così abbassai l’arma ai miei piedi e la poggiai a terra.
Sentii un leggero vociferare proveniente dal fondo del corridoio, forse erano agenti del turno di mattina visto che non c’era nessuno negli uffici presenti su questo piano e le finestre oscurate da persiane abbassate.
Dovevo muovermi ma prima dovevo assolutamente cambiarmi, se no sarebbe stato impossibile uscire da qui senza passare inosservati.
Gordon e l’altro agente che avevo preso in “ostaggio” non avevano la divisa addosso quando gli ho affrontati, quindi posso dedurre che stavano per fare un cambio turno giusto?
Attraversai velocemente il lungo corridoio di uffici, scorrendo con lo sguardo le targhette con i nomi su ogni porta presente.

‘Commissario James Gordon’ trovato!

Afferrai il pomello e lo girai, allo scatto aprii la porta e la richiusi alle mie spalle.
Non feci neanche due passi all’interno della stanza che quasi inciampai su una pila di scartoffie, registri e articoli vari, certo che Jim ha un senso dell’ordine spaventoso. L’ufficio era disseminato da pile e pile di fogli di carta, quaderni e scatole, poste sopra la scrivania centrale, sulle credenze e librerie appoggiate alle pareti, e pure a ricoprire quasi la metà del pavimento con qualche posacenere (rigorosamente non svuotati) qua e là. Non c’era speranza per quest’uomo, povera moglie.
Su una delle due sedie della scrivania era posata distrattamente una divisa d’ordinanza: giacca e pantaloni. La indossai velocemente sopra il pigiama.

Uscii dall’ufficio e finii di percorrere il corridoio per arrivare alle scale che mi porteranno al pian terreno e così alla porta principale.
La porta delle scale si spalancò e mi trovai di fronte una poliziotta. Mi bloccai sul posto e cercai di regolare il respiro.
“Signora …” la donna strinse lo sguardo verso il mio petto dove era posta una targhetta identificativa simile alla sua e lesse “… Morgan è nuova qui immagino. Tenga le chiavi della volante parcheggiata davanti all’edificio e la parcheggi nell’apposito garage.” Mi ordinò, facendo tintinnare un mazzo di chiavi davanti al mio volto che mi lanciò e mi superò andando, credo, verso il suo ufficio.

Mi sbloccai dalla mia posizione e, con le chiavi in mano, scesi di corsa la rampa di scale verso la libertà.
Arrivai senza altre interruzioni alla macchina davanti l’edificio e ci salii.
Misi in moto e partii verso l’unico luogo in cui mi sentivo al sicuro.
 
FLASHBACK (3 ottobre 2004, Gotham)
Tenendomi le braccia al petto per cercare in qualche modo di ripararmi dalla brezza fredda del primo mattino, cominciai a camminare verso l’unico posto in cui mi sarei trovata al sicuro, stando attenta a schivare le pozzanghere formatesi forse dal forte acquazzone della notte precedente, per non sporcare  le mie pantofole preferite con le stampe della carica dei centouno e Crudelia De Mon in primo piano.
Arrivai finalmente davanti all’enorme palazzo dei primi del novecento, salii gli scalini in pietra che mi portarono davanti alla grande porta d’ingresso. Ero sicura che fosse questa la casa, dopotutto era uguale a come l’avevo descritta sul libro, tranne per il fatto che quando scendeva la notte devo dire che era molto più lugubre e imponente. Controllai per sicurezza il nome sul campanello affianco all’entrata e pigiai successivamente per suonare.

‘Din Don’

Aveva appena iniziato a scendere una leggera pioggia su Gotham, portando dietro di sé una pungente umidità che il mio pigiama leggero purtroppo non riusciva a contrastare, provocandomi fremiti di freddo su tutto il corpo.
La porta si spalancò quel tanto da far intravedere la figura dell’uomo dietro ad essa: aveva un portamento molto rigido ed eretto, capelli ormai tendenti al grigio per l’età che portava sulle spalle, sul volto un’espressione seria ma cordiale e una mano posta sul ventre in segno di disponibile e gentilezza. Il mio Alfred, il maggiordomo perfetto con consigli ed insegnamenti sempre da impartire al giovane miliardario Bruce Wayne.
“Salve desidera?”

 
PRESENTE (3 ottobre 2019, Gotham)
Finalmente ero arrivata.
Parcheggiai la volante dietro a dei cespugli nel parco lì vicino. Scesi dalla macchina e mi avviai verso la porta d’ingresso della grande casa.

Din Don

La porta si aprì.
“Salve desid-… ? Signorina Iris?!”
Sorrisi alla faccia stupita del maggiordomo che presto mi rinchiuse in uno dei suoi rari abbracci. “Alfred, nemmeno il commissario Gordon mi ha riconosciuto subito, ha dovuto farmi il quarto grado per credermi.” dissi, ricambiando con piacere l’affetto ricevuto.
L’uomo sciolse il dolce gesto appena compiuto. “Speravo di rivederla di nuovo in pigiama sotto a una pioggia persistente come la prima volta. Ora, invece, è una poliziotta con qualche anno in più se non sbaglio, giusto? Credo che lei mi debba spiegare molte cose. Venga pure e bentornata a Gotham.” Alfred mi fece entrare nella grande magione Wayne.

Entrai nella gigantesca dimora. L’odore inconfondibile, simile a un negozio di antiquariato, ma meno polveroso, mi arrivò alle narici. Mobili antichi in legno scuro e grandi arazzi abbellivano le pareti della grande sala che dava benvenuto agli ospiti che vi entravano. Le antiche battaglie, raffigurate sui tessuti suntuosi eseguiti a mano, mettevano ben in risalto la potenza della famiglia Wayne, o di quello che ne rimaneva.
Tanti ricordi, che man mano con il passare degli anni, si dissolveranno uno ad uno ed aleggiavano ancora in questo ambiente, come spiriti in cerca di pace.

“Mi segua signorina, è arrivata giusta in tempo per la tazza di caffè mattutina.” Dichiarò il maggiordomo, comparendo con in mano il vassoio per il caffè. L’uomo mi fece strada attraverso gli intricati ed alti corridoi che collegavano le varie stanze presenti.
“Sai Alfred, quella volta avrei dovuto descrivere una casa più piccola con un unico piano terra. Mi dispiace farti fare tutta questa strada ogni volta per arrivare ad una stanza all’altra.”
“Solo perché ho molti più anni di lei non significa che le mie gambe non siano ancora in forma. Mi sento alquanto offeso sa? Dovrebbe sapere meglio di me che sono un uomo instancabile. Se sopporto il signorino Bruce da molti anni crede che non riesca sopportare qualche scalino in più?” mi rimproverò Alfred in modo giocoso.
“Hai ragione, me n’ero dimenticata.”

Ci accomodammo in soggiorno. Mi sedetti a lato del divano affianco al camino aperto e acceso che riscaldava la stanza. Invece, Alfred si sedette sulla poltrona di fronte a me, poggiando il vassoio sul tavolino da the che ci separava.

“Sembra che si sia dimenticata molte cose …” disse, e versò dalla teiera il caffè sulle tazze.
“Perché dici questo? Quindici anni possono fare la differenza, sicuramente, ma di tutti voi non mi scorderei mai.” Domandai e presi dal manico una delle due tazze bollenti.
“Certamente è cresciuta e lo si nota. Però la vedo sperduta, come la prima volta ma con un sentimento diverso nei suoi occhi. Si sente sollevata a trovarsi qui in questo mondo. Sta scappando da qualcosa?”
“Forse sono solo felice di rivedervi. Non ti preoccupare Alfred devo capire perché sono tornata e poi me ne andrò di nuovo” conclusi con tono neutro, bevendo un sorso di caffè e rivolgendo lo sguardo verso il camino acceso.  
Il picchiettare delle braci accese mi rilassava, il fuoco mi scaldava il corpo, ideale per una mattinata invernale come questa e ricordi gelidi da liberare.

 
FLASHBACK (16 febbraio 1999, mondo reale)
“Forza a letto!” decretai in tono autoritario contro quel marmocchio di mio fratello minore di quattordici anni, in piena fase ormonale.
“Ma sono solo le nove di sera ? Neanche le galline vanno a letto a quest’ora!” sbuffò sonoramente il ragazzino che stavo ospitando a casa mia, dopo che mio padre me l’ha spedito come un pacco postale lasciandomi per scritto che era mio dovere da sorella maggiore di “rieducarlo” in questa settimana, perché lui tempo non ne aveva da sprecare con ‘casi senza speranza’. Grazie papà, peccato che il genitore sei tu!

“Davvero? Hai un pollaio? Studiate il comportamento del Gallus gallus domesticus nelle ore di biologia?  No, quindi smettila di lamentarti e va a dormire. Domani sarà una lunga giornata!”
“Tanto sono stato espulso da scuola per una settimana, ho molte giornate libere per rilassarmi” sentenziò il diavoletto, stiracchiandosi disteso sul lato destro del letto matrimoniale, nella mia camera da letto, e portandosi gli avambracci dietro la nuca.
Mi misi anch’io supina, e sorridendo rimbeccai:“Esatto, recuperando lo studio perso ti rilasserai. Bravo fratellino!”
Mio fratello si alzò di scatto a sedere e cominciò ad inveirmi contro la sua disapprovazione:“Cosa!? Tu non hai proprio recepito il messaggio sorella …”.
 “Sì invece caro mio, perché sarò la tua tata per un’intera settimana, e se non vuoi farmi esplodere la testa prima che lo faccia io a te, è meglio per la tua incolumità che tu faccia come la sottoscritta e padrona di casa richiede” risposi tranquilla, e soddisfatta di me stessa.
“Era meglio se rimanevo a dormire da papà …”
Risi di gusto alla cazzata appena proferita.“Sì certo. Così lui ti avrebbe messo a forza seduto su una scrivania e a fatturare conti bancari dei clienti. Devi sentirti fortunato caro mio, ad avere la tua sorellona che studia centinaia di chilometri lontano da casa. Ora dormiamo.” Finii quello che avevo da dirgli e mi misi su un fianco rivolta verso il comodino.

Allungai il braccio per spegnere l’abat jour ma la voce della bestiolina accanto mi bloccò: “No, aspetta … non ho sonno. Raccontami una storia come facevi quando eravamo piccoli.”
“Vuoi che ti racconti una storia della buonanotte a un ragazzo grande e grosso come te?”gli domandai, sfottendolo.
“Okay è una richiesta stupida.” Si distese nuovamente e chiuse gli occhi.
“No no, va bene ti racconto una storia. Allora, c’era una volta un cavaliere …”
“ … in cerca della sua principessa . Anche no grazie. Voglio una storia di azione, piena di gangstar che fanno la lotta fra loro con pistole e fucili, e …”
“Frena Escobar. Prima di tutto guardi troppi film spazzatura e secondo la storia è mia per cui zitto e ascolta” mi schiarii la voce e mi misi seduta appoggiando la schiena alla tastiera del letto.

“C’era una volta un cavaliere oscuro. Quando giungeva la notte, il cavaliere indossava la sua maschera e la divisa nera per combattere in gran segreto e sottocopertura la mafia che aveva intaccato le fondamenta della povera città di Gotham.”
“E di giorno chi era?”
“Di giorno l’uomo, che per coincidenza si chiamava Bruce come te, era l’eroe della sua famiglia a cui ovviamente teneva segreta la sua vita di giustiziere solitario …” ma mio fratello mi bloccò ancora.
“Impossibile. Gli eroi sono sempre soli alla fine, tormentati dagli errori del passato. Come te e me.”

 
***
Scusate per il ritardo ma non sono riuscita ad aggiornare prima la storia per problemi personali.
Ho messo un po’ di ordine sistemato nei flashback scrivendo l’anno e in quale luogo si sono svolti, sperando che ora la lettura sia più pulita.
Non ricordo se ho fatto altre modifiche ma vi aggiornerò se ne farò di nuove.
Fatemi sapere se al momento il filo logico della storia si capisce o è troppo incasinato così da risolvere.
Alla prossima.
***
   
 
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