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Autore: Miryel    02/11/2019    42 recensioni
Non sa chi sia Peter, che scuola frequenti, che film gli piacciano, quale sia il suo piatto preferito, ma forse, dentro di sé, Tony sa già tutto, di lui. Forse lo ha sempre saputo. Non si capacita come ma, per ora, accantona la razionalità e segue il suo cuore. Sa che, per una volta – una soltanto, può fidarsi ciecamente di lui.
[ Young!Tony x Peter - Minilong - Introspettivo/Romantico ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales About a Spider Kid and an Iron Guy'
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Questa storia fa parte della raccolta di One Shots “Tales About a Spider Kid and an Iron Guy”.
 
 

[ Young!Tony x Peter - minilong - wc: 3376 ]

Almeno Tu Nell'Universo



•••

«Tu, tu che sei diverso. Almeno tu nell'universo. Un punto sei, che non ruota mai intorno a me
Un sole che splende per me soltanto. Come un diamante in mezzo al cuore.
»
Mia Martini - Almeno Tu Nell'Universo




 

1. Tony. 


«E tu chi sei?» 

  «Peter. Peter Parker. L’allievo. L’allievo di pianoforte. Ho telefonato ieri.» 

  «Oh.» Tony lo squadra da capo a piedi. Lo sconosciuto stringe al petto un quaderno pentagrammato con il disegno di un’enorme chiave di violino al centro – cliché! –, un tomo appena comprato di Teoria e Armonia – sicuramente si tratta del solito libro di Avena¹ e una borsa nera a tracolla, nuova di zecca. In verità sembra tutto nuovo di zecca. Persino i suoi capelli castani tirati all’indietro e quegli occhialetti da vista rotondi, con la montatura dorata e fina, lo sono. Persino le scarpe bianche con la punta nera e quei pantaloni morbidi color paglia. Per fare bella figura con l’insegnante di piano, deve aver svaligiato un outlet di vestiti. Non è il primo e nemmeno l’ultimo che lo farà, così Tony sospira e trattiene un sorrisetto, prima di fargli spazio e lasciarlo entrare in casa. Quello obbedisce e, appena dentro, si guarda intorno spaesato. «Mia madre è di sopra. Ti aspetta per la lezione, anche se sei decisamente in anticipo», continua, dopo aver alzato il polso per controllare l’orologio. «Io sono Tony, comunque», aggiunge, quando si rende conto di non essersi presentato.

  Peter gli stringe la mano, quando lui gli mostra la sua. «Sono Peter.» 

  «Sì. Sì, l'avevo capito già alla terza volta che lo hai ribadito», commenta, sbrigativo. Chiude la porta e gli fa strada verso le scale, dove il suono ovattato di una melodia conosciuta li avvolge. È sua madre, sta suonando per controllare che il piano sia accordato. «Abiti vicino?» 

  «No, in verità no. Abito verso Forest Hills.» 

  «Ah, nel Queens. Un bel quartiere, non c’è che dire.» Ironizza con una risatina, del tutto disinteressato all’idea che possa averlo offeso. Quello alza le spalle, quando Tony si volta a guardarlo, e lo spiazza. Nessun broncio, nessun sopracciglio inarcato. Nessuna reazione soddisfacente. Come se, quel Parker, un po’ se lo aspettasse, quel commento acido. 

  «Ce ne sono di peggiori», ribatte Peter, e non c’è risposta che tenga, di fronte ad un sorriso di circostanza del genere. 

Tony tossisce e incassa il colpo, disorientato. «Suoni qualche altro strumento?», gli chiede, poi, solo per non lasciare che quel silenzio sceso lo schiacci e gli rovini la reputazione. Non ha motivo di pavoneggiarsi di fronte al nuovo allievo di sua madre, probabilmente non lo rivedrà mai più; è un caso che sia stato lui, ad aprire la porta di casa. Un caso, nulla più.

  «No, è la prima volta che mi approccio ad uno strumento e alla musica in generale», ammette, poi si chiude nelle spalle, «Lo so, iniziare dal pianoforte è un po’ un suicidio, immagino, ma mi ha sempre affascinato», aggiunge, e di nuovo sorride. Di nuovo il candore di un entusiasmo da prima volta avvolge quel viso. Tony ha una fitta alla nuca. Stringe le dita in due pugni; ha le mani intorpidite. 

  «Non importa, qualsiasi strumento va bene. Il piano è difficile, ma non impossibile e mia madre è paziente. Le piacerai.» Se ne pente. Si pente di averlo detto, quando Peter si rizza sulla schiena, rassicurato da quelle parole, probabilmente. Un insicuro, a cui basta poco per ricaricare quel poco di ego. Qualcosa che lo aiuta a non tremare più. Nella voce e nelle gambe. Tony non ha mai conosciuto nessuno che lo abbia incuriosito tanto. Allora gli presenta sua madre e fa qualcosa che nemmeno lui si aspettava avrebbe mai fatto: si siede sul divano, e osserva quel ragazzo che poggia le dita affusolate sulla tastiera, per la prima volta, e che sorride come se avesse appena toccato un pezzo di paradiso. 

 

...

 

  Peter non è un granché, col pianoforte. Tony pensa che non sia lo strumento adatto a lui – o, forse, la musica in generale non lo è. Però apprezza il suo impegno, dopotutto. Ha quasi imparato a leggere gli spartiti senza soffermarsi troppo sulle note, anche se a volte si blocca e interrompe melodie meravigliose che non meritano una sorte simile. Però Peter ha qualcosa nelle mani, quando suona, che a Tony fa dimenticare come si pensa. Non sa più farlo, quando è lì, che finge di leggere libri; che si finge disinteressato al maldestro pianista che pigia quei tasti d’avorio con una disinvoltura pari a zero. Ma ha delle mani incantevoli, Peter, che lo ipnotizzano; che fanno sembrare quella musica sbagliata, incredibilmente perfetta. 

  «Abbiamo finito», dice Maria, e appoggia entrambe le mani sulle spalle del suo allievo. «Migliori ogni giorno di più, Peter. Ottimo lavoro con la mano sinistra. Stai prendendo dimestichezza.» Tony non sa se sua madre sta mentendo o se lo pensa davvero. Lui, da parte sua, crede che sia lento come nessun altro è stato prima di lui, ad apprendere.

  «Grazie mille, signora Stark. In realtà mi sento ancora impacciato e quasi… indietro. Insomma, ci sto mettendo una vita, è un mese che ci siamo su e... la mano sinistra è così difficile da coordinare con la destra, che mi sembra impossibile non impazzire!», confessa Peter. Apre e chiude la mano incriminata, guardandola crucciato, poi chiude il coperchio della tastiera, ma non si alza dallo sgabello. Maria ride con dolcezza e Tony sente i suoi occhi addosso. 

  «Non è così semplice come credi. Ci vuole tempo, allenamento e costanza. Anche Tony ci ha messo un po’, a coordinare le mani», dice sua madre, e cerca approvazione da lui. Tony alza le spalle e guarda per un attimo altrove, poi punta gli occhi su Peter, che aspetta una risposta con il labbro inferiore serrato tra i denti. Ha un tuffo al cuore.

  «Niente di più falso», risponde, e torna a guardare il libro. Non ha letto una frase, da quando Peter è entrato in casa. «Lo sanno tutti che riesco in tutto, al primo colpo. Col piano non sono stato da meno.» 

  Maria ride ancora, e quasi Tony nemmeno la sente. Alza gli occhi solo quando Peter la segue a ruota, e lui sbatte le ciglia un paio di volte, incantato. Non sa perché quel ragazzo gli faccia quell’effetto; non sa chi sia, cosa faccia, che interessi abbia. Non sa niente, oltre al fatto che sta cercando di imparare a suonare il pianoforte, ma che è un vero e proprio disastro. Gli scalda il cuore, quel fare impacciato. Gli fa brillare gli occhi. Li sente bruciare, ma non fanno male. Peter gli piace, e non sa nemmeno come accidenti sia successo.

  «Va’ pure, caro», esordisce Maria e Peter annuisce, prendendo tra le mani la sua roba e stringendola al petto, come ogni volta. «Ci vediamo dopodomani.» E, il pensiero di quel giorno di attesa, per Tony è pari ad un’agonia inconcepibile, specie quando Peter alza la sua folta corolla di ciglia e gli rivolge un sorriso per salutarlo. Qualcosa che, nemmeno un bastardo infame come lui, sa vedere con distacco. Allora ricambia, e si sente succube di quello sconosciuto. Vorrebbe che non fosse più tale.

 

 

  «Tony, Tuo padre vuole che parta con lui per Manhattan. Avverti tu Peter che non ci sarà lezione, oggi. Mi ha lasciato il suo numero di casa, per ogni evenienza e io devo proprio scappare.» Maria guarda l’orologio, e gli lascia un bacio sulla testa. Non aspetta nemmeno la sua risposta, ma si dilegua quando Tony annuisce, e allo stesso tempo mente. Mente perché solo l’idea di aver aspettato un giorno intero per vedere Peter e poi ritrovarsi a doverne aspettare altri due, lo mette di cattivo umore. Perché solo l’idea che Peter farà altro, invece di sedersi su quello sgabello e farsi ammirare, lo destabilizza. Non può, e allora non lo chiama, ma lo aspetta. Lo aspetta, e gli parlerà. Non sa ancora di cosa, ma lo farà. Perché se c’è una cosa che Tony ha capito, è che anche Peter sta mentendo, anche se non ha ancora capito a proposito di cosa.

  Ogni volta che si presenta in quella casa, un ciuffo arricciato gli cade sulla fronte; la gelatina gli tiene i capelli in ordine, ma Tony è convinto che senza di quella, Peter sia benedetto da onde morbide e profumate, in cui vorrebbe affondare il naso e le dita. Quando entra in casa ha i suoi libri stretti al petto, un sorriso spiazzante sul viso – impacciato, come il primo che gli ha rivolto quel giorno ormai lontano – e una camicia bianca, con un gilet color senape, che gli illumina il viso. Peter sembra sempre un girasole e oggi, con quel colore addosso, più del solito.

  «Cavolo!», esclama Tony, e si dà uno schiaffo sulla fronte. «Mi sono dimenticato di avvisarti che oggi mia madre non c’è. Accidenti, si era raccomandata di dirtelo! Quando saprà che non l’ho fatto come minimo mi ucciderà», continua, sbuffando e lamentandosi. Si complimenta con se stesso per quella performance da Oscar.

  Peter sussulta sulle spalle. Stringe di più i suoi libri al petto, poi incastra la testa nelle spalle, a disagio. «B-be’, non c’è bisogno che lo sappia. Non le dirò che ti sei dimenticato, dopotutto può succedere e tu non c’entri nulla», dice, poi sorride. «Non preoccuparti, Tony. Torno a casa e, in caso, farò un colpo di telefono prima di venire, dopodomani, giusto per assicurarmi che ci sia lezione e non fare un viaggio a vuoto.» Peter alza una mano per salutarlo. La linea sottile delle sue labbra si allunga, e gli accentua gli zigomi. Si gira di tre quarti, lentamente. Così piano che Tony non capisce se è una sua sensazione, o se davvero il tempo ha rallentato i frame per permettergli di pensare e, dunque, fermarlo prima che l'orgoglio fermi lui. 

  «Aspetta! Sei qui, no? Magari ti insegno qualcosa io. Non so, un po’ di teoria. O magari ti eserciti al piano. Da quanto ho capito non ne hai uno tuo. Sarebbe stupido non approfittarne, non credi?» 

  Peter torna a fronteggiarlo. Il tempo scorre di nuovo come prima. Scuote la testa. «No, non ce l’ho. Uso quello di scuola, il pomeriggio durante l’intervallo. È l’unico modo che ho per esercitarmi», ammette, e si vergogna. Tony lo sa, che Peter si vergogna di molte cose. Si vergogna quando tira fuori i soldi per pagare le lezioni; sembra sempre abbia paura di non averne abbastanza. Si vergogna di portare quei vestiti palesemente troppo nuovi, che magari i suoi genitori gli impongono di indossare solo per non sfigurare a villa Stark. Si vergogna di dover usare l’autobus per raggiungerli. Si vergogna per ogni parola che esce dalla propria bocca, come se non sapesse parlare la sua lingua madre; o come se avesse paura di sbagliare, ad ogni virgola che pronuncia. «Forse è per quello che non sto facendo poi questi miglioramenti…», dice, ma sembra più una domanda. 

  «Vediamo che si può fare», annuisce Tony, e gli fa strada verso le scale. Raggiungono il pianoforte, e c’è un silenzio che gonfia l’aria; sembra quasi in procinto di esplodere. Peter si siede, meccanicamente, sullo sgabello. Alza il coperchio della tastiera, tira giù la mensolina del leggio e aspetta. Poggia le mani sulle ginocchia, e aspetta. Lo aspetta.

  «Stai studiando armonia? Le scale?», gli chiede.

  «Ci sto provando. È difficile», ammette lui, e si morde la bocca. Tony sposta il peso del corpo da un piede all’altro, nervoso. Gli fissa le labbra, troppo spesso, e ha paura che Peter se ne sia già accorto, che ne è succube.

  «La teoria e il solfeggio sono la parte più noiosa, ma devi esercitarti. Fammi una scala di do maggiore», gli dice, e Peter si volta verso la tastiera. Tony deglutisce tutta l’ansia che lo ha pervaso, mentre lo guardava e notava nuovi dettagli sul suo viso, che mai aveva avuto così vicino, prima d’ora. Le mani del maldestro pianista si muovono impacciate. Le dita si incrociano in una diteggiatura completamente a caso. Ricomincia più volte, ma sbaglia quasi sempre. Gli ha solo chiesto una scala, la più semplice di tutte, e lui sembra incapace di dimostrargli che sì, si è allenato. No, Peter non lo ha fatto. Mente, esattamente come Maria quando gli dice che ha fatto progressi. Mente, esattamente come lui, quando finge che non gli importi di niente e nessuno, a parte di se stesso.

  «Peter?» Lo chiama. È in piedi dietro di lui, che a quel richiamo reclina la testa all’indietro per guardarlo.

  «Mh?»

  «A te non frega un cazzo delle lezioni di piano. Non ti è mai importato un accidenti di imparare a suonarlo.»  

  Il tempo si ferma; sembrano quasi vittime di un incantesimo. Si blocca il mondo; si muovono solo i loro occhi, le loro palpebre, che sbattono di rado, forse per il solo intento di non perdere quel contatto visivo. Peter abbassa la testa, si gira di tre quarti, e alza un sopracciglio. Sembra offeso; no, sembra fingersi offeso, ma in realtà è a disagio. Lo è, perché la gamba destra gli trema. Lo è, perché ha stretto la mascella. Lo è, perché Tony lo ha smascherato.

  «Perché vieni qui, Peter?», gli chiede, in un sussurro. Piega la schiena verso di lui, che si ritrae. Non può scappare, lo ha braccato. Eppure, paradossalmente, Peter non sembra voler fuggire davvero. È lì, intrappolato nel suo sguardo indagatore, e Tony è lì, che risponde a quell’occhiata, circuito dalla sfumatura color terra dei suoi occhi. 

  «Anche per suonare.» Ammette una cosa, e ne cela un’altra. Nasconde dietro ad una mezza bugia, una verità assoluta. Tony ha capito. Si sente uno stupido a non averlo compreso subito. Gli guarda le labbra – di nuovo, quando lui se le umetta; tremano. Vorrebbe baciarlo. Vorrebbe farlo, e non lo fa. Non sa nemmeno perché lo vuole. Non sa niente di Peter. Niente. «E… per te.» 

  Tony alza un sopracciglio, ma ha un tuffo al cuore. «Dovrei sentirmi lusingato?» 

  «No, non dovresti. Ma volevi la verità, ed eccola qua. Vengo qui per te e avrei voluto che rimanesse un segreto ma… be’, smetterò di farlo, se ti dà fastidio. Non voglio infastidirti.» 

  «Non mi infastidisci, ma non capisco», farfuglia in risposta; gli punta un dito contro. «Stai spendendo soldi solo per vedere me, quando avresti potuto trovare un modo diverso, per approcciarti», gli dice. Ha abbassato ancora la voce. Ha paura di rompere quel momento, e sussurrare sembra quasi l’unico modo per tenere a bada quel carattere di merda che si ritrova e che ha sempre odiato a morte. 

  «Non esisteva, un modo diverso.» Peter abbassa gli occhi e sospira. Ancora vergogna che gli trema nelle dita strette intorno alle ginocchia. «Non sapevo come fare, Tony. Non avevo né i mezzi, né il coraggio di fermarti fuori dalla tua scuola. Non ho mai avuto nemmeno le parole giuste da dirti. Avevo questo: una possibilità di scambiare due chiacchiere con te, in quel breve tempo che mi separava dalle lezioni di piano. E la speranza di trovare il coraggio, un giorno, di dirti che…», si blocca, e si morde le labbra. 

  «Che ti piaccio?», conclude Tony, per lui. Non è lusingato. Non è nemmeno irritato, deluso, spaventato. È confuso. Peter gli piace dal primo momento in cui ha messo piede in quella casa, e non è mai riuscito a negarlo; gli è piaciuto dal momento in cui si è girato intorno, a disagio, cercando di trovare un confort in un ambiente troppo diverso da quello in cui è abituato a vivere, nel suo appartamento minuscolo del Queens. «Peter, chi accidenti sei? Ti piaccio, mi conosci e sei qui per questo. Io non ti ho mai visto prima di un mese fa, quando sei entrato qui dentro per la tua prima lezione. Chi sei?»  

  Peter serra ancora la mascella. Stavolta è offeso davvero; forse deluso, anche triste. Gli riserva un’occhiata irosa, che subito sfuma nella fronte corrugata, pentita, imbarazzata. «Nessuno. Solo un invisibile, Tony. Uno di quelli che ha deciso… di non esserlo più. Ho fatto una cazzata; mi dispiace, non volevo né infastidirti né inquietarti. Ho trovato il foglietto delle lezioni di tua madre attaccato alla lavagna degli annunci di scuola e ho pensato di sfruttare la cosa a mio vantaggio, senza pensare a quanto potessi risultare molesto. Ci ho messo settimane per decidermi a chiamare, quando avrei solo dovuto accantonare l’idea e mettermi il cuore in pace. Sono un idiota.» Schiocca la lingua. Abbassa la testa e si passa una mano tra i capelli. La gelatina smette di tenergli i capelli ordinati. Alcune ciocche gli cadono sulla fronte; ondulate, come immaginava Tony. È bellissimo. Lo spiazza, lo ammalia. Non gli frega niente se ha usato quel modo insolito per conoscerlo. È inaspettatamente felice che l’abbia fatto, perché non riesce a pensarla più, una vita vissuta senza quello sconosciuto che gli gira intorno. 

  «No. Non sei un idiota.» Lo ammette in un soffio e Peter, in totale contrasto con quella rassicurazione, si alza in piedi, mortificato e imbarazzato. Forse non può più sostenere quella conversazione, si vergogna troppo di sé. Prende le sue cose e le stringe al petto, come sempre, ma le mani gli tremano. 

  «Non avrei mai dovuto farlo… non... io...», balbetta, con lo sguardo basso e le sopracciglia inarcate. Le spalle che tremano di quell’urgenza di togliere il disturbo. «È meglio che vada», sibila e Tony lo bracca per un braccio, quando gli passa accanto, prima che possa superarlo e andare via. Lo prende poi per le spalle. Lo spinge contro la tastiera del pianoforte, senza alcuna delicatezza. I libri e il quaderno degli spartiti gli cadono dalle mani; finiscono a terra con un tonfo sordo, sul pavimento persiano. I loro occhi si incatenano e si perdono in una gabbia comune: quella della verità. Si scambiano uno sguardo sincero e, dopo un istante lungo una vita a cercare di darsi delle risposte, infine se le danno con un bacio. Tony gli soffia il proprio respiro al miele sulle labbra, prima di farle sue. Le carezza delicatamente; ne studia la forma e la morbidezza; ogni grinza, ogni goccia di saliva, ogni sapore, poi si spinge contro di lui e approfondisce quel contatto, con un brivido che gli sale lungo la schiena e gli fa girare la testa, e battere il cuore sotto al palato e nella pancia. Sembra quasi che non sia il primo bacio che si scambiano. Sembra quasi che non abbiano fatto altro che quello, da quando sono venuti al mondo, e invece è il primo. Il primo di molti altri, Tony ne è sicuro. Lo spera. Lo spera con una disperazione che non sapeva nemmeno gli appartenesse. Peter si lascia andare e crolla con la schiena sulla tastiera. Note stonate riempiono l’aria, poi si perdono nel tempo e nello spazio, quando si prendono a vicenda i visi tra le mani e continuano a riempirsi la bocca di loro e di sapori intensi; nuovi. Il velluto della saliva che si fonde gli scalda l’anima, e Tony smette di pensare, quando sente che pure l’altro ha smesso di farlo. Gli infila un ginocchio tra le gambe, ma con una inaspettata innocenza. Ci sono solo loro, in quella stanza – in quella dimensione, satura di troppe emozioni contrastanti, di paure, di insicurezza, ma soprattutto di desideri reciproci, impossibili da mantenere sopiti sotto l’anima e il cuore. Qualcosa che Tony non sa spiegare. Sa solo che ora ha paura. Paura che sia tutto un sogno e che Peter non esista davvero. Poi si dividono, e il cuore gli fa male. Perde battiti, quando gli carezza il naso con la punta del suo, e il maldestro pianista lo guarda con occhi acquosi; labbra gonfie di libido e umide di premure. Non sa chi sia, non sa da dove venga. Non sa niente di lui, se non che ha fatto il possibile, per lasciare che lo notasse. Qualcosa che nessuno ha mai fatto; non in questo modo. Allora gli regala un altro bacio, dopo un sorriso. Ci sarà tempo per le domande e pure per le risposte. Per ora, però, Tony vuole solo continuare a cadere in quell’ignoto profondo, e scoprire poi quanto male farà l'impatto col fondo, una volta raggiunto. Smette di pensare, quando Peter gli infila avidamente le dita tra i capelli e gli supplica, tacitamente, di baciarlo ancora, e ancora, e ancora… e Tony non può far altro che studiare le sue labbra con famelico desiderio e accontentarlo. E accontentarsi

  Non sa chi sia Peter, che scuola frequenti, che film gli piacciano, quale sia il suo piatto preferito, ma forse, dentro di sé, Tony sa già tutto, di lui. Forse lo ha sempre saputo. Non si capacita come ma, per ora, accantona la razionalità e segue il suo cuore. Sa che, per una volta – una soltanto, può fidarsi ciecamente di lui.

 

Fine Capitolo I



 

¹ Teoria e Armonia è un vero libro di musica che si usa per studiarla. L'autore è, appunto, Andrea Avena. 

 

______________________Angolo Autore:

Buonsalve a tutti,
È passato un po' di tempo dall'ultimo aggiornamento, ma infine eccomi qui, di nuovo tra voi.
Cos'è questa storia? Questa storia è una minilong che ha, come intento, quello di raccontarvi, ancora una volta, una storia d'amore. Stessi personaggi – dopotutto sono io, sempre io, quella succube di due anime meravigliose a mio parere fatte per stare insieme e trovarsi, ovunque e dovunque. Impossibile separarli; impossibile pensarli separati. Impossibile, almeno per me.
Dunque, non voglio dilungarmi troppo perché, in fin dei conti, spero di aver detto già tutto con questo primo capito, atto a scavare in fondo all'anima – grattare la superficie dell'iceberg di quello che è l'animo del giovane Tony. Un giovane Tony che ho amato studiare, caratterizzare, forgiare e di cui amo profondamente scrivere (ormai, chi mi segue da un po', lo sa bene ♥). 
E nel prossimo capitolo? Peter, ovviamente.
Spero che questa introduzione vi sia piaciuta e che abbia acceso il vostro interesse e che anche il disegno (mio ♥) sia di vostro gradimento; se vi va lasciate un commentino, è sempre bello ricevere un commento, anche breve, per uno scrittore ♥
Alla prossima,

P.s.: dati gli ultimi avvenimento accaduti a me e ad altre persone, ci tengo a sottolineare che le mie storie sono qui, su wattpad e su altre piattaforme e che in ALCUN MODO ho mai dato il permesso di pubblicarle ad altre autori. So che la cosa può sembrare lampante, ma a quanto pare non per tutti e, data la sorpresina che io e altre autrici ci siamo ritrovare a dover contestare recentemente, ribadisco che le mie storie mi appartengono e che mai e poi mai ho dato – e mai darò – l'autorizzazione di pubblicarle da terzi su altre piattaforme – dove, per giunta, sono già presenti.
Chiarito questo, vi auguro una buona giornata e soprattutto di fare attenzione alle vostre storie. Il pericolo, a quanto pare, è dietro l'angolo.
Miry
 
























 




 
   
 
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