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Autore: Roscoe24    03/11/2019    11 recensioni
"Magnus si chiese se il fatto che nel giro di nemmeno un’ora, quella fosse la seconda volta che rimanevano incantati a fissarsi, potesse avere un significato. Forse poteva sperare. Ma in cosa?"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Quindi mi stai dicendo che non solo ti ha portato a vedere uno dei tuoi spettacoli preferiti, ma ti ha anche fatto un regalo?”
Catarina era seduta sul letto di Magnus, mentre lo osservava tirare fuori vestiti di ogni genere dalla sua gigantesca cabina armadio, che era addossata alla parete. Magnus era il tipo che pianificava i propri outift con giorni d’anticipo, ma quella volta gli sembrava che tutto ciò che si provava fosse banale. E lui non aveva niente di banale nell’armadio. Il fatto era che era nervoso. Voleva apparire al meglio e ormai non negava più nemmeno che lo volesse fare per Alexander – perché gli piaceva il modo in cui i suoi occhi scivolavano sulla sua figura quando si metteva qualcosa di particolarmente vistoso, o aderente. E normalmente scegliere qualcosa che rientrasse in queste due categorie non sarebbe stato un problema, dal momento che quasi tutti i suoi indumenti erano vistosi e aderenti, ma quella sera cercava qualcosa di più. Qualcosa che mirasse a stupire Alexander, a lasciarlo senza parole, a spingerlo a non guardare altri se non lui. E forse poteva suonare un discorso un tantino narcisistico, ma non gli importava granché: sapeva bene quanto gli piacesse avere gli occhi di Alexander incollati addosso e dal momento che sarebbero stati lontani per tre settimane, voleva fare scorta di tutte le attenzioni possibili che l’altro potesse offrirgli.
Purtroppo, non riusciva a trovare niente che riuscisse a soddisfarlo. Ed era frustrante.
“Sì,” rispose quindi, voltandosi verso Catarina e raggiungendola sul letto – gettandosi sul materasso come un salmone che risale il fiume. “Un regalo che adoro, come se la giornata in sé non fosse già stata perfetta.” Magnus sentì le guance sollevarsi in un sorriso. Non stava così bene da anni. Ed era tutto merito di Alexander e delle sue sorprese dolcissime. Lui era dolcissimo.
“Erano anni che non ti vedevo sorridere così.” Affermò Catarina, la voce carica di tenerezza.
Magnus alzò lo sguardo su di lei. Se ne stava seduta a gambe incrociate sul materasso e le tante treccine che tenevano legati i suoi capelli le ricadevano sulle spalle, incorniciandole il viso. I suoi occhi nocciola erano fissi su Magnus e… e lo guardavano come se sapessero tutto. Magnus non si stupì nemmeno più di tanto: Catarina era in grado di leggerlo come un libro aperto.
“Lo amo, Cat.” Sussurrò con un filo di voce che uscì dalle sue labbra ancora prima che lui si rendesse effettivamente conto di volerlo fare. Abbassò lo sguardo sulle sue mani, cominciando a giocare con l’anello che portava all’indice della mano destra. Lo fece ruotare tre volte prima di riguardare l’amica in viso. “Lo amo.” Ripeté, come se fosse una verità ormai appurata, un fatto inconfutabile, qualcosa che nemmeno lo scorrere inevitabile del tempo avrebbe potuto cambiare. Certi amori, semplicemente, nascono per durare e Magnus aveva la certezza – e forse anche la presunzione – di pensare che quello che provava per Alexander fosse un amore del genere, un sentimento nato solo per diventare sempre più grande, giorno dopo giorno.
Catarina lo guardò con un sorriso e gli occhi carichi d’affetto. Si sporse verso di lui per stringerlo in un abbraccio spacca costole. “Sono così felice per te. Te lo meriti. Ti meriti qualcuno che ti faccia sorridere in questo modo, che ti faccia stare bene e che ti faccia sorprese di compleanno.”
Magnus emise una risatina, prima di sciogliere l’abbraccio. “Sai, dopo oggi credo proprio di aver rivalutato le sorprese.”
Catarina rise. “Solo perché è stato lui a fartele.”
Magnus si trovò concorde. Alexander stesso era una sorpresa. Una di quelle mandate dalla vita quando vuole farti un regalo prezioso. Occasioni rare che non vanno sprecate –  e di certo, Magnus non aveva intenzione di sprecare ciò che la vita, il fato, o chiunque manovrasse il destino, gli aveva offerto.
“Potresti avere ragione.”
Ho ragione.”  Catarina sorrise, furba. “E scegli una qualsiasi cosa a caso da quel gigantesco armadio. Sono sicura che non gli interessa cosa indossi.”
Magnus stava per ribattere a quell’affermazione dicendo che invece era importante farsi vedere al meglio, ma le sue parole morirono sul nascere, interrotte dall’arrivo di Erin in camera.
“La nonna dice che è pronto da mangiare.”
Magnus e Catarina scesero dal letto e immediatamente la donna sollevò Erin tra le braccia, riempiendola di baci. “Sei la bambina più carina del mondo, lo sai?”
Erin ridacchiò e l’abbracciò, circondandole il collo con le piccole braccia. “Anche tu sei carina, zia Cat.”
Magnus le guardò uscire dalla stanza con un sorriso stampato sul viso. Era felice per così tante cose nella sua vita, che per un attimo temette che il cuore avrebbe potuto esplodergli. Ma, almeno, dopo anni lo sentiva di nuovo nel pieno delle sue forze. E fu in quel preciso momento che Magnus Bane capì di essere guarito, che tutte le ferite del passato non facevano più male.
Stava bene.
Stava finalmente bene.




Madelaine era passata per stare con lui, aveva detto. Per festeggiare il compleanno del suo bambino. Magnus le aveva fatto notare che non era più un bambino da anni, ormai.
“Per me sarai sempre il mio bambino.” Aveva ribattuto lei, schioccandogli un bacio sulla guancia, prima di intimargli di mettersi a tavola. Aveva preparato la cena di compleanno, così la chiamava lei, a cui avrebbero partecipato anche Catarina e Raphael, che li aveva raggiunti una volta assicuratosi che il suo stagista avesse l’hotel sotto controllo. Raphael odiava lasciare l’hotel in mano a qualcuno che non fosse lui, o Rosa, ma entrambi quella sera avevano degli impegni e quindi il ragazzo aveva dovuto ripiegare su Miguel, un tizio che era figlio di un’amica di Lupe e che sembrava fosse stato creato di proposito per far saltare i nervi a Raphael.
“Sei troppo severo con lui.” Cominciò Catarina, seduta a tavola, dopo aver ascoltato il racconto di Raphael.
“Severo, dici? Quello non sa nemmeno trovare il registro dei nostri ospiti. Ed è letteralmente sulla scrivania del mio ufficio. Non serve nemmeno saper usare il pc, perché è un quaderno. Un quaderno, Cat!” Si appoggiò allo schienale della sedia, come se quel gesto fosse utile ad enfatizzare le sue parole. Magnus non gliel’aveva mai detto, perché altrimenti si sarebbe guadagnato un’occhiataccia letale, o addirittura un morso, ma Raphael sapeva essere tremendamente teatrale, a volte.
“Deve solo imparare, Raph! Alla sua età tu eri bravo come lo sei ora?”
Puedes jurar, mia cara!”
Catarina lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “Non ci credo! Mi ricordo benissimo il panico nei tuoi occhi la prima volta che l’ex proprietario del DuMort ti ha messo alla reception!” Ribatté, piccata.
Si preannunciava una discussione all’ultimo sangue, Magnus lo sapeva. Conosceva i suoi amici da una vita intera, ormai, e poteva affermare con assoluta certezza che erano due testarde teste dure. Ed erano così persistenti da essere estenuanti, a volte. Per questo sapeva benissimo che quella discussione sarebbe sfociata in una battaglia a chi avesse ragione. E dal momento che entrambi pensavano di avere ragione, Magnus non prevedeva niente di buono all’orizzonte.
Si stava già immaginando un dibattito all’ultimo sangue, con Raphael che alla fine inizia a parlare solo ed esclusivamente in spagnolo, con il risultato che nessuno riesca più a capirlo fino in fondo, quando il campanello suonò. La conversazione cessò all’istante e i presenti si guardarono uno ad uno.
“Aspetti qualcuno?” Domandò Raphael.
“No,” rispose Magnus, alzandosi da tavola.
“Potrebbe essere il tuo bello che ti fa un’altra sorpresa.” Commentò Catarina, bevendo un sorso del suo vino e guardando l’amico da sopra il bicchiere con una certa malizia.
Magnus le lanciò un’occhiataccia, ma non ribatté. Doveva ammettere che quell’idea aveva sfiorato anche lui. O forse ci sperava. Non sapeva esattamente come era successo, ma da qualche parte, tra la chiacchierata sul letto con Cat e la mancata discussione a tavola, Magnus aveva cominciato a sentire la mancanza di Alexander. Una cosa ridicola, se ci pensa, dal momento che erano stati tutto il pomeriggio insieme e che, di lì a poco, l’avrebbe rivisto.
Arrivato davanti alla porta, comunque, accantonò tutti i suoi pensieri e l’aprì. Ciò che si trovò davanti fu decisamente una sorpresa, ma quella volta non era stato Alexander a fargliela.
“Ragnor?”
Magnus non credeva ai suoi occhi. Ragnor Fell, che teoricamente doveva essere in Irlanda, si trovava davanti all’uscio di casa sua, vestito di tutto punto e con un bell’aspetto per uno che ha quasi nove ore di volo sulle spalle.
“In persona.” Sorrise l’uomo. “Aspettavi per caso qualcun altro? Dovrei offendermi?”
Magnus rise e abbracciò l’amico. Non lo vedeva da mesi, ormai, e gli era mancato tantissimo. Ragnor aveva sei anni più di lui e Magnus lo conosceva da quando erano dei bambini. O meglio, lui era un bambino e Ragnor un ragazzino che aveva sempre avuto la tendenza a controllare che il nuovo arrivato che abitava nel suo stesso quartiere non si cacciasse troppo nei guai. Erano diventati amici per caso: Magnus si era arrampicato su un muro troppo alto per un bambino di sette anni e Ragnor, sulla via di ritorno verso casa, aveva notato la sua difficoltà a scendere. L’aveva aiutato senza dire una parola e poi l’aveva riaccompagnato a casa. Non aveva fatto la spia con Madelaine, si era semplicemente limitato a dire che avevano fatto per caso lo stesso tratto di strada e che, siccome si stava facendo buio, era meglio che nessuno dei due stesse solo.
Da quel giorno si erano rivisti in modo sporadico, fino a quando Magnus non era entrato negli anni dell’adolescenza e avevano potuto instaurare un rapporto un po’ più profondo.
“Non aspettavo nessuno, sono solo… sorpreso di vederti qui!” Rispose, sciogliendo l’abbraccio.
“Non mi sarei perso il tuo compleanno, soprattutto quest’anno. Dopo i trentacinque si è ufficialmente quarantenni, quindi adesso non sono l’unico vecchietto della compagnia!”
Magnus lo guardò malissimo. “Ah-ah, divertente!” esclamò, senza alcun divertimento nella voce.
Ragnor ridacchiò, dandogli una pacca sulla spalla. “Allora, mi fai entrare o sei troppo offeso?”
“Entra.” Magnus si fece da parte per far passare l’amico. Niente valigia, notò, quindi con ogni probabilità Ragnor era prima passato da casa per darsi una sistemata. Una cosa più che ragionevole, pensò.
Magnus aspettò che Ragnor si togliesse il cappotto e lo appendesse all’attaccapanni, poi insieme si diressero verso l’interno della casa.
Una volta raggiunta la sala da pranzo, Magnus attirò l’attenzione dei presenti.
“Guardate chi ho trovato sulla porta!”
Madelaine, Raphael e Catarina si voltarono verso di lui e sui loro volti comparve un’espressione di piacevole stupore.
“Ragnor!” Esclamò Catarina, alzandosi per prima e andandogli in contro. Lo abbracciò stretto e l’uomo ricambiò. La seconda ad alzarsi fu Madelaine, la quale lo abbracciò a sua volta. Successivamente, anche Raphael si alzò dal tavolo, ma visto che era Raphael, il contatto tra i due si limitò ad una stretta di mano. Raphael non era decisamente il tipo da abbracci.
“Ciao, zio Ragnor!” La piccola Erin, invece, costretta al tavolo per via del suo seggiolino per bambini, salutò l’uomo dal tavolo. Un gran sorriso sollevava la sue guance. “Ti piace l’Irelanda?” La bimba pronunciò male il nome, ma Ragnor trovò quell’interessamento decisamente adorabile. Con un sorriso sulle labbra, si avvicinò al tavolo per prendere in braccio la bambina. Gli era mancata tantissimo. “Mi piace.” Confermò, dandole un bacio sulla fronte. “E a questo proposito, ti ho portato un regalo.”
“Le state facendo un sacco di regali, in questo periodo.” Mormorò Magnus, una punta di tenerezza nella voce. Il suo pensiero era corso ad Alexander e alla coperta a forma di coda di sirena. Non riuscì a trattenere un sorriso soffice, a quel ricordo.
“Oh-oh.” Esclamò Ragnor. “Sorride come un idiota.” Poi si voltò verso Catarina e Raphael. “Perché sorride come un idiota?”
“Perché è un idiota!” Sentenziò Raphael, beccandosi uno scappellotto da Catarina.
“Ti sei perso un sacco di cose, Ragnor!” Disse la donna con un sorriso astuto. “Perché non dai il regalo ad Erin, così poi dopo ti aggiorniamo?”
Magnus allora decise di intervenire. Si stava parlando di lui, accidenti, e i suoi amici stavano conversando come se lui nemmeno fosse lì!
“Siete davvero simpatici.” Disse, gli occhi ridotti a due fessure. “Non avete altro di meglio da fare che parlare di me? Insomma, non vediamo Ragnor da mesi! Avrà tantissime cose da raccontarci!”
“Non è vero.” Negò l’interessato. “Ho solo aneddoti riguardanti un palazzo. Tu, invece, hai aneddoti riguardanti qualcuno che, apparentemente, fa regali a tua figlia. Direi che vinci tu.”
I presenti si misero a ridere, compresa Madelaine. Persino Raphael accennò un sorriso.
“Siete tutti dei traditori. Tutti.
“Fai contento il tuo vecchio amico, Magnus.”
Magnus roteò gli occhi al cielo e si arrese all’inevitabile. “Va bene, d’accordo.” Sbuffò. “Tesoro,” continuò riferendosi alla figlia, “Zio Ragnor ha qualcosa da darti. Ringrazialo.”
“Grazie, zio Ragnor.” Disse la bambina, ancora tra le braccia dell’uomo. L’interessato le diede un bacio sulla fronte.
“È un piacere, Erin.”
E detto questo, la portò con sé verso l’ingresso, dove aveva lasciato il cappotto.



Ragnor aveva portato alla piccola Erin il pupazzo di un leprecauno, che aveva sistemato dentro ad una delle tasche interne del suo giaccone. La bambina l’aveva adorato, tanto che, dopo cena, quando era andata via con Madelaine per dormire a casa sua, aveva voluto portarselo dietro, insieme alla coperta a forma di coda di sirena. Ed era stata proprio quella coperta a far sì che i tre amici di Magnus, rimasti a casa sua dopo che sua madre e sua figlia se n’erano andate in modo che lui potesse uscire a far festa per il suo compleanno (idea questa che era partita proprio da Madelaine, la quale aveva esattamente usato quelle parole), cominciassero a parlottare come tre vecchie pettegole – e come se lui non fosse presente.
“Dovresti vederlo, Ragnor!” Ridacchiò Catarina, mentre si ritoccava il mascara – preso in prestito da Magnus. “Quando parla di lui mette su un’espressione estasiata!”
“Già. È imbarazzante!” Confermò Raphael, roteando gli occhi, seduto su una delle poltroncine che Magnus aveva in camera. Gli esseri umani comuni hanno delle sedie, Magnus Bane delle poltrone. Comodissime, tra l’altro, ma questo Raphael se lo tenne per sé. 
“Oh, e aspetta!” Esclamò ancora Cat, guardando Ragnor dallo specchio della toeletta su cui era seduta, “Alec gli ha fatto una sorpresa per il suo compleanno e lui l’ha gradita. Riesci a crederci?”
Ragnor, seduto sulla seconda poltroncina vicino a Raphael, rise e si rivolse Magnus, che invece era sparito nella sua gigantesca cabina armadio. L’architetto era convinto che quel luogo fosse un misto tra Narnia e la Tana del Bianconiglio. Qualcosa di mistico e decisamente enorme. Tanto che poteva benissimo essere considerato un’altra stanza. E lo era, dal momento che Magnus era entrato lì dentro da un pezzo e non si vedeva più.
“Alec? È così che si chiama l’uomo che ti fa sorridere come un idiota?”
“Lui lo chiama Alexander, e, te lo giuro, pronuncia quel nome come se fosse la cosa più sporca che qualcuno possa dire.” Aggiunse Raphael, il quale, evidentemente, sembrava essere stato messo al mondo dal suo caro Dio solo ed esclusivamente per sfottere Magnus.
Non può negare che sia vero, comunque. Al ballerino piace particolarmente pronunciare il nome completo di Alec. Gli piace godersi ogni sillaba: scivolare sulla x, arrotondare la r, e riempirsi la bocca di quel nome. Un nome bellissimo, audace, forte… un nome che calza perfettamente con la persona che lo porta.
“Oh, e sai chi è stato il primo a cui ha detto della sua partenza?” Incalzò Raphael Sono-Un-Traditore Santiago.
“Ad Alexander?” Rise Ragnor, senza premurarsi di nascondere lo sfottò nella voce. “Fossi in voi, io mi sarei quasi offeso. Passiamo anni a sopportarlo e non appena lui incontra il primo belloccio che gli capita sotto gli occhi diventa la sua assoluta priorità?”
“Avete finito?” Domandò Magnus, uscendo dalla sua cabina armadio, vestito di tutto punto.
“Di prenderti in giro?” ribatté Ragnor, “Mai.” Aggiunse, facendo ridacchiare Raphael. Era tipo un miracolo e Magnus sapeva che Ragnor era una delle tre persone in grado di suscitare una reazione simile nel suo amico. Le altre erano Isabelle ed Erin.
Il bello del loro rapporto era che i suoi migliori amici erano anche migliori amici tra di loro. Ragnor e Raphael erano legati da un rapporto speciale, qualcosa che li aveva sempre spinti a coprirsi le spalle – mentre coprivano anche quelle di Magnus – e avevano questa capacità di capirsi con il pensiero. Bastava uno sguardo, e tutto era già stato detto. Magnus lo sapeva perché era stato spesso oggetto di quegli scambi. Quando erano stati preoccupati per lui, dopo la rottura con Camille, nessuno dei due aveva parlato – si erano semplicemente limitati ad esprimere la loro preoccupazione con vari scambi di sguardi. E Magnus si era sentito come un adolescente che attraversa una fase depressiva e fa preoccupare i suoi due papà.
Il rapporto che avevano con Catarina, invece, era diverso, ma non per questo meno profondo. Lei era la loro mascotte, la loro ragazza. La voce della loro ragione. Catarina era la saggezza fatta a persona. E tutti e tre si sarebbero presi un proiettile per lei. Erano consapevoli di essere un tantino protettivi nei suoi confronti –   anche se lei negli anni aveva sempre ribadito che non era una donzella in difficoltà. Sapeva benissimo proteggersi da sola e aveva sempre dato prova di ciò.
“Questo perché siete dei grandissimi stronzi. Ma vi voglio bene lo stesso!” Esclamò, soffiando baci volanti nella loro direzione, prima di dirigersi alla toeletta, dove Catarina era ancora seduta.
“Stai benissimo.” Gli disse, con un sorriso, alludendo al suo outfit.
Magnus si chinò per lasciarle un bacio sulla guancia. “Per questo sei la mia preferita.” Commentò ad alta voce, per farsi sentire dagli altri due alle sue spalle e facendo ridere Cat.
“Vuoi truccarti?”
“Solo se tu hai finito, cara.”
La donna annuì e si alzò dalla toeletta, prendendo posto sul letto. Magnus si sedette e, prima di concentrarsi sul suo riflesso, guardò alle sue spalle. Sul letto, Cat era seduta con le gambe a ciondoloni, mentre poco distanti, Ragnor e Raphael continuavano a sghignazzare a sue spese.
Erano tre delle persone più importanti della sua vita. I fratelli e la sorella che non aveva mai avuto. Persone che facevano parte del suo passato – perché Magnus faceva davvero fatica a ricordare una fase della sua vita dove quei tre non fossero presenti – e che era sicurissimo avrebbero fatto parte anche del suo futuro.
Gli amici sono la famiglia che ti scegli. E mai, prima di quel momento, Magnus aveva creduto a quella frase così intensamente.



*


Isabelle era nervosa.
E il fatto di essere nervosa la rendeva ancora più nervosa perché lei non lo era mai.
Si guardò allo specchio per quella che probabilmente era la centesima volta, lisciandosi il vestito. Per l’occasione ne aveva scelto uno bianco, senza spalline e con la scollatura a cuore, che le arrivava appena sopra al ginocchio. Ai piedi portava un paio di decolleté rosse che le piacevano da morire – un regalo che Jace e Alec le avevano fatto per il suo ultimo compleanno. Adorava quelle scarpe. Ed era consapevole di non averle messe tante volte quanto avrebbe voluto.
Si guardò ancora, questa volta lisciandosi i capelli anzi che il vestito. Tutto quel ‘lisciare’ cose che non avevano assolutamente bisogno di essere aggiustate le dava l’impressione di avere la situazione più sotto controllo – senza contare che in quel modo avrebbe evitato di sentire i palmi sudati.
Altre cosa che non capitava mai: sudore sulle mani.
Isabelle avrebbe voluto chiedersi come mai era così agitata, ma sapeva benissimo qual era la causa del suo stato d’animo: quella sera avrebbe approfittato della festa di compleanno di Magnus per parlare con Simon e dirgli apertamente ciò che provava per lui.
E mentirebbe se dicesse che il pensiero di lui che la rifiuta, o le ride in faccia, non la spaventa.
Non ti riderebbe mai in faccia, sciocca. Se non ricambiasse, te lo direbbe in modo dolce e rispettoso perché Simon è così.
Era vero. Simon era gentile e sensibile, era dotato di un livello di empatia elevatissimo, e mai, mai, avrebbe fatto qualcosa di spregevole come riderle in faccia dopo una confessione simile.
Sospirò al suo riflesso. Doveva stare tranquilla. Non sarebbe successo niente di catastrofico. Un no non ha mai ucciso nessuno.
E se rovinassi la vostra amicizia per il tuo egoismo?
Isabelle scacciò quel pensiero. Era quella domanda che la rendeva nervosa. Le stava martellando il cervello da giorni. Non era tanto la paura del rifiuto a tormentarla, quanto le conseguenze del rifiuto. Quando in una coppia di amici, uno si innamora dell’altro e l’altro non ricambia, inevitabilmente si spezza qualcosa. Il rapporto muta, trasformandosi nel fantasma di ciò che è stato.
Isabelle non era sicura di voler correre quel rischio. Non voleva che Simon diventasse solo un ricordo, non l’avrebbe sopportato.
“Izzy?”
La voce di Simon interruppe tutti i suoi pensieri. Era entrato in casa sua usando la chiave, come ormai faceva da anni. Si annunciava sempre, però, perché voleva evitare di spaventarla.
“Arrivo!” Esclamò lei, dalla sua camera. Si guardò un’ultima volta, prima di uscire da quella stanza e dirigersi verso il salotto.

Quando arrivò in sala, trovò Simon che si guardava intorno. Le venne naturale sorridere, quando lo vide e, per un attimo, Isabelle avvertì chiaramente il suo cuore accelerare. Chissà quanti segnali le aveva mandato, durante tutti quegli anni, quante volte aveva accelerato per farle capire che ciò che provava per lui andava al di là dell’amicizia, ma lei l’aveva sempre ignorato – troppo timorosa di ascoltare quel cuore che adesso non le lasciava tregua e batteva, batteva, batteva. Forte e chiaro, un tamburo nel petto che ha smesso di non essere ascoltato.
Simon era bello. Di una bellezza semplice e naturale, ma che inevitabilmente non puoi fare a meno di notare. Izzy questo l’aveva sempre pensato. C’era una genuinità nel suo sorriso, che lo rendeva speciale, e gli illuminava gli occhi castani di una luce particolare, rara.
“Ehi,” lo salutò.
Simon si voltò verso di lei e si prese qualche istante per guardarla. “Sei bellissima.” Sussurrò, perché era l’assoluta verità.
Isabelle arrossì leggermente – cosa anche questa che non faceva mai – e lo ringraziò. “Anche tu stai benissimo.” Constatò, osservando l’abbinamento jeans scuro-camicia bianca che Simon indossava. Una camicia, se lo si chiede ad Izzy, che rendeva particolarmente giustizia alle sue spalle.
“Grazie.” Le sorrise Simon, leggermente imbarazzato. “Allora… vogliamo andare?” Le porse il braccio libero, quello che non reggeva la sua giacca di pelle.
“Con molto piacere.” Isabelle fece passare il proprio braccio intorno a quello di Simon e, dopo aver preso il suo cappotto grigio, uscirono da casa.
Gli avrebbe parlato. Era decisa a farlo.
Nonostante le sue paure, sapeva che era Simon quello giusto per lei.
Adesso doveva solo scoprire se anche Simon pensava che lei fosse quella giusta per lui.



*



“Pensavo che Izzy venisse con noi!”
“No, la passa a prendere Simon. Poi ci raggiungono direttamente là.”
“Perché?”
Alec si voltò verso Jace, entrambi già vestiti per la serata. Il maggiore era passato a casa del fratello e insieme sarebbero andati al Pandemonium, la discoteca dove Magnus aveva organizzato la festa per il suo compleanno. Un’ora prima, Luke era passato a prendere Diana, che avrebbe dormito a casa sua, quella sera, e adesso Alec e Jace stavano aspettando Clary che stava finendo di prepararsi.
I due fratelli erano seduti sul divano a guardare passivamente un programma di incontri tra robot. Nessuno dei due prestava particolarmente attenzione alla televisione – non da quando Jace aveva iniziato quella conversazione e Alec era stato in silenzio.
Jace conosceva suo fratello. Sapeva quando c’era qualcosa che non gli stava dicendo. E il fatto che non avesse risposto alla sua domanda era un chiaro segno che stava nascondendo qualcosa.
“Cosa mi sono perso, Alec?”
Alec sospirò. Non gli piaceva mantenere segreti con i suoi fratelli. Quando Jace gli diceva qualcosa ed Izzy intuiva che c’era qualcosa che lei non sapeva, lo torchiava fino a farlo cedere. E Jace, ovviamente, non era da meno.
Per questo decise di parlare subito, consapevole che comunque Jace avrebbe trovato un modo per estorcergli la verità. “Io e Izzy abbiamo parlato, qualche giorno fa…”
“E…?”
“E mi ha detto che pensa di provare qualcosa per Simon. Vuole parlargli stasera. E penso che volesse rimanere un po’ sola con lui.”
“Per questo ha lasciato Mark?”
“Sì.”
“Non mi è mai piaciuto Mark,” cominciò Jace.
“Nemmeno a me, troppo appiccicoso.”
Jace annuì, concordando. Rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo su ciò che gli aveva appena detto Alec. Poi si voltò di nuovo a guardarlo, incontrando lo sguardo del fratello. “Simon?”
“Lo so, fa un po’ strano anche a me.”
Jace si appoggiò allo schienale del suo divano “Però al tempo stesso non è strano per niente.”
Alec lo imitò, prima di riflettere su quella frase. Era vero. All’inizio poteva sembrare strano solo perché l’idea di Simon ed Isabelle insieme andava a scombinare quell’equilibrio che si era stabilito negli ultimi dieci anni. Ma allo stesso tempo, proprio come aveva detto Jace, il pensiero di Isabelle e Simon insieme come coppia sembrava estremamente giusto. Alec aveva notato come Izzy fosse più felice, quando gravitava intorno a Simon. Era come se lui l’accendesse di una luce diversa da quella che la caratterizzava di solito, ma egualmente intensa.
Cosa che con Mark – o qualsiasi altro ragazzo – non avveniva.
“È vero.” Sorrise Alec. “Pensi che dovremmo fargli il discorsetto?”
Jace ridacchiò. “Se ricambia i sentimenti di Izzy e da stasera saranno una coppia, potremmo farglielo solo per spaventarlo un po’.”
“Tipo: falle del male e veniamo a cercarti, Lewis!”
“Esatto! Un cliché molto da fratelli maggiori.”
“Izzy ci ucciderà.”
“Probabile, ma il rischio varrà sicuramente l’espressione mezza terrorizzata di Simon!”
Alec si lasciò sfuggire una risata, ma poi si fece serio. “Sai, ho sempre pensato che nessuno l’avrebbe mai meritata davvero, che nessuno sarebbe stato abbastanza per lei…” Abbassò lo sguardo sulle sue mani e giocò con una pellicina che aveva sul pollice. “…Ma Simon è un bravo ragazzo, sappiamo che le vuole bene.”
Jace si voltò alla sua sinistra, verso Alec. “Negherò di averlo detto, perché altrimenti Lewis si monta la testa, ma… se dovessero davvero diventare una coppia, stasera o in futuro, sono contento che sia Simon. È gentile con lei e c’è sempre. La rispetta, ma le tiene anche testa.”
Alec annuì, un sorriso affettuoso tirò le sue labbra. “Probabilmente, se Iz sapesse che stiamo parlando di lei e  approviamo un suo possibile nuovo ragazzo, si arrabbierebbe da morire.”
“Oh sì!” Esclamò il biondo, concorde. “Ci guarderebbe con quello sguardo terrificante che ha ereditato da mamma e comincerebbe a strillare cose del tipo non siamo nel 1600! Non dovete approvare con chi esco! Sono perfettamente in grado di scegliere da sola, senza che lo facciate voi per me!
Il maggiore rise. “E aggiungerebbe discorsi tipo perché già che ci siete non mi barattate con una dote di tre capre e due mucche?
Jace seguì la risata di Alec e insieme si guardarono, con quella complicità che li aveva caratterizzati fin da sempre. Non avevano passato tutta la vita insieme, perché i suoi primi otto anni erano stati a dir poco traumatici, ma Jace sapeva che la sua vita vera era cominciata quando era entrato a far parte dei Lightwood.
Lui e Alec erano stati partner in crime fin da subito e con Izzy avevano formato un trio formidabile. C’erano sempre stati degli alti e bassi, ma non esistono dei fratelli che non litigano.
Jace amava i suoi fratelli. Tutti. Incondizionatamente. Anche se Max a volte tendeva a sentirsi un po’ escluso per via dell’età, i tre maggiori sapevano sempre come fare per farlo sentire importante. Perché lo era, davvero, davvero, molto.
“Che avete da ridere voi due??” Domandò Clary, interrompendo le loro risate, quando entrò in sala. Jace si voltò con tutta l’intenzione di risponderle, ma quando i suoi occhi si posarono su di lei per un pelo non si strozzò con la sua stessa saliva: Clary era bellissima. Indossava un vestitino blu di seta lucida con gli spallini fini che le arrivava sopra al ginocchio. Il tessuto ricadeva morbido sul suo corpo e le evidenziava i punti giusti – sui quali era possibile che Jace avesse indugiato un po’ troppo con lo sguardo, ma ehi tra qualche mese quella donna sarebbe stata sua moglie, quindi poteva farlo!
“Sei bellissima, amore.” Le disse, alzandosi dal divano per raggiungerla. Nonostante Clary portasse i tacchi, rimaneva comunque un poco più bassa di lui. Le baciò il naso. “La più bella in assoluto.”
Clary arrossì e si sistemò una ciocca ramata dietro l’orecchio. “Anche più bella di te?”
“Adesso non esagerare, Fairchild!”
Clary rise, mentre Alec alzò gli occhi al cielo.
“Come rovinare il romanticismo, una guida dettagliata a cura di Jace Lightwood, narcisista di professione.” Brontolò Alec, alzandosi dal divano per andare a salutare Clary. La abbracciò e le lasciò un bacio fugace sui capelli.
“Non starlo a sentire. Sei molto più bella di lui.”
Clary approfittò di quel momento per passare un braccio dietro la schiena del cognato e accostarsi a lui. “Grazie.”
Jace li guardò, accostati l’uno all’altra e stretti in quel piccolo abbraccio, che ridevano a sue spese. “Sapete una cosa? Preferivo quando non vi piacevate! Almeno, in quel caso, non vi alleavate contro di me!”
Non era vero, ovviamente, ma a Jace piaceva fare un po’ di scena, ogni tanto – lasciarsi andare ad un po’ di melodrammaticità.
La verità era che non poteva essere più felice del fatto che il periodo di antipatia reciproca che avevano provato Clary ed Alec l’uno nei confronti dell’altra fosse durato poco. All’inizio, ad Alec Clary non piaceva perché pensava che volesse monopolizzare Jace, isolarlo da tutti e allontanarlo dalla sua famiglia. Clary, che avvertiva questo muro che Alec aveva messo tra di loro, agiva di conseguenza, ignorando il maggiore dei suoi fratelli. Quel loro comportamento era durato circa due mesi, prima che Jace decidesse di intervenire e farli parlare a cuore aperto l’uno con l’altra. Li aveva quasi obbligati, se deve essere onesto, ma non si era mai pentito di averlo fatto.
Non avrebbe mai accettato che la ragazza di cui era innamorato e suo fratello non andassero d’accordo. Erano entrambi troppo importanti per lui, così aveva deciso di eliminare qualsiasi tensione, o attrito. Ed era particolarmente orgoglioso di dire che ci era riuscito.
“Non ci credi nemmeno tu a questa cosa.” Sentenziò Clary, non credendo nemmeno per un secondo alle parole del fidanzato. “Ora, che ne dite se ci avviamo?”
Alec e Jace annuirono e, tutti e tre insieme, si diressero verso la porta.  
  


*



Le intenzioni di Isabelle erano svanite nell’esatto momento in cui Simon aveva fermato l’auto davanti a casa di Maia.
Lei si era voltata verso di lui, con uno sguardo carico di curiosità e lui si era semplicemente limitato ad alzare le spalle.
“Ha la macchina dal meccanico. Mi sembrava scortese farle prendere la metro.” Aveva detto, inconsapevole che con quelle parole aveva appena dichiarato fine alle intenzioni di Isabelle ancora prima che queste prendessero forma. La ragazza sapeva che era giusto così, comunque. Si sarebbe sentita estremamente in colpa, se avessero lasciato Maia a piedi, di conseguenza aveva deciso di rimandare la conversazione – magari appena avessero avuto un po’ di tempo soli.  
Tuttavia, sembrava che il fato fosse determinato a non farle tenere quella conversazione – e se Isabelle fosse un tipo superstizioso, penserebbe che c’era un motivo, dietro quella casualità, ovvero: non dire al tuo migliore amico che ti piace. Ma Isabelle non era superstiziosa, quindi scacciò quel pensiero con velocità – perché non appena scesero dall’auto e si diressero verso l’entrata del Pandemonium, notò che i suoi fratelli e Clary erano già arrivati. Avrebbe di nuovo dovuto rimandare la conversazione. Doveva ammettere che un po’ si stava agitando. Il pensiero che qualcosa potesse andare storto le invase il cervello, come un lampo che filtra da una finestra in una casa, interrompendo per un attimo quel senso di quiete e conforto. Non appena anche Maia li notò, comunque, sciolse la presa con Simon per dirigersi verso di loro – quasi corse incontro a Clary e la strinse in un abbraccio. Isabelle approfittò di quel momento sola con Simon per buttare le basi della loro futura conversazione.
“Simon,” Sussurrò, e quando il ragazzo si voltò verso di lei, Isabelle continuò. “Dopo possiamo parlare?”
“Certo. Devo preoccuparmi?”
Lei negò con il capo. “No, solo… devo dirti una cosa.”
“Lo sai che non esiste nessun essere umano che non si preoccupa dopo aver sentito questa frase, vero?”
Isabelle sorrise e appoggiò la testa sulla sua spalla. “Stai tranquillo.” Gli disse, anche se era lei la prima a non esserlo. Più ci pensava e più l’idea di perderlo la spaventava. La possibilità che lui potesse non ricambiare si era fatta strada in lei, come un tarlo che si era impossessato del suo cervello, e le suggeriva sempre di più di lasciar perdere, di evitare di complicare le cose. Ma c’era una parte di lei, quella sulla quale aveva fatto luce Alec con le sue parole, che la spingeva invece ad andare al di là della paura. Era proprio quella parte che le diceva che se le sue relazioni non erano finite bene, in questi anni, era perché lei si era sempre tirata indietro, dopo un po’. Con Simon non sarebbe successo. Perché lui era più importante di quanto nessuno era e sarebbe mai stato. A lui, se avesse voluto, avrebbe donato tutta se stessa. Senza barriere. Senza condizioni.
Si accoccolò ancora di più a Simon e lo sentì reagire a quel gesto sciogliendo la stretta delle loro braccia per fare in modo che lui riuscisse a passarle il proprio dietro la schiena. Il suo cuore accelerò a quel contatto. Isabelle alzò lo sguardo su Simon per cercare di capire qualcosa dalla sua espressione, per vedere se riuscisse a trovare anche un minimo indizio riguardante i suoi sentimenti. Trovò il solito sguardo, quello dolce e gentile che le riservava sempre. Trovò lo stesso accenno di sorriso, sempre solare e confortante. Trovò semplicemente Simon, con tutta la sua bellissima genuinità.
“Lo sapevo!”
Un’esclamazione, una voce vagamente familiare, irruppe tra di loro e solo quando Isabelle alzò la testa per vedere chi fosse, realizzò quanto il suo viso fosse vicino a quello di Simon solo qualche istante prima.
E forse era la bolla in cui era inconsapevolmente finita che aveva fatto sì che non si rendesse conto di chi avesse parlato, o forse era il fatto che di tutte le persone che poteva incontrare lui era l’ultimo che si aspettava di vedere, ma sta di fatto che quando realizzò che era Mark quello che aveva parlato, la prima reazione di Isabelle fu pieno stupore.
“Mark? Che ci fai qui?”
“Non cominciare!” Le disse, in tono accusatorio. “Volevo vedere con i miei occhi, e guarda un po’ avevo ragione!” Indicò con un gesto della mano la loro vicinanza, il fatto che solo fino a qualche istante prima lei e Simon erano stretti l’uno all’altra.
“Cosa sta succedendo?” Chiese Simon, perplesso.
“Oh, non te l’ha ancora detto? Strano, visto che ti ha sempre detto tutto!”
“Mark, adesso basta, stai facendo una scenata…” Cominciò Isabelle, ma lui la interruppe.
“NO! NO! Perché io odio essere preso in giro. Vuoi sapere cosa è successo, Simon??”
Mark…” Isabelle tentò di nuovo: era seccata, certi atteggiamenti non le piacevano, ma lui non voleva saperne. Parlò ancora prima che lei potesse impedirglielo.
“Mi ha lasciato. Per te, è ovvio. Le avevo chiesto se poteva evitare di essere così attaccata a te, di pubblicare certe foto, di nominarti di continuo. Di darti così tanta importanza. Ma no, lei anzi che smussare un po’ il vostro rapporto ha preferito lasciarmi! Non chiedevo molto, solo che non foste così affiatati! Hai idea di come potevo sentirmi?”
“No, amico, non lo so. Non ho mai avuto un complesso di inferiorità nei confronti di qualcun altro.” Cominciò Simon, stufo di quel comportamento. Non gli piaceva l’atteggiamento di Mark e nemmeno come si era rivolto ad Isabelle fino a quel momento, mancandole di rispetto. “Non so come ci si sente ad essere uno stronzo totale. Non dovevi chiederle un bel niente, brutto idiota, dovevi semplicemente fidarti di lei. E rispettare il fatto che prima di te avesse una vita sua della quale facevano parte altre persone!” Simon lasciò il fianco di Isabelle, interponendosi tra lei e Mark. “Cosa prendetevi che facesse, eh? Avrebbe dovuto rinunciare a tutta la sua vita per iniziare a gravitare solo ed esclusivamente intorno a te? Avrebbe dovuto diventare la tua bella fidanzata trofeo? Era questo che volevi?” Simon era arrabbiato. “Lei è molto più di questo e se non sei riuscito a capirlo, vuol dire che non la meriti.”
Mark era furioso. I suoi occhi saettavano di rabbia e fissavano Simon con astio. “E tu la meriti, invece?” ringhiò.
Simon ponderò bene la sua reazione. Era una provocazione bella e buona, quella. Un commento fatto solo ed esclusivamente per spingerlo a reagire. Probabilmente, Mark pensava che ponendogli quella domanda, Simon sarebbe stato colpito nell’orgoglio e sentendo il proprio ego offeso, in qualche modo, avrebbe finito per dargli un cazzotto. Ma Simon non era il tipo da reagire a certi comportamenti.
“Vattene. Evita di fare altre scenate. Non piacciono a nessuno.” Rispose, quindi. Una parte di lui era convinta che avrebbe ricevuto un pugno in pieno naso, ma non gli importava. Certi comportamenti non gli erano mai piaciuti. Più di una volta sua sorella Becky si era trovata impelagata con ragazzi che all’inizio erano dolcissimi, ma poi si rivelavano troppo gelosi. E sebbene lui fosse il minore dei due, aveva sempre aiutato sua sorella a sbarazzarsi di tipi simili. Lo stesso avrebbe fatto con Isabelle, anche a costo di beccarsi un pugno. Non gli importava. L’avrebbe protetta, sempre, anche se lei era perfettamente in grado di farlo da sola.
Alla fine, comunque, Mark se ne andò, senza percuotere Simon in nessun modo. Solo quando sparì dal suo campo visivo, Simon tornò a guardare Isabelle.
E proprio nell’istante in cui stava per chiederle se stesse bene, lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò.



Fu uno slancio. Puro istinto dettato dal comportamento che gli aveva visto assumere, dalle parole che erano uscite dalla sua bocca. Ancora prima di rendersi conto cosa stesse effettivamente per fare, le labbra di Isabelle si appoggiarono su quelle di Simon, il cui stupore  e conseguente tentennamento, la spaventarono –  facendole credere di aver rovinato tutto con la sua impulsività. Ma nel momento stesso in cui stava per tirarsi indietro e chiedergli scusa, Simon la strinse fra le braccia, sollevandola un pochino a terra, e ricambiò il bacio.
Fu qualcosa di impacciato, all’inizio, quasi frettoloso, come se nessuno dei due credesse davvero a quello che stava accadendo. Ma era bastato pochissimo alle loro labbra per conoscersi e ai loro cuori per capire che tutto ciò che stava succedendo era giusto e naturale, come se avessero finalmente trovato il pezzo mancante di loro stessi dopo una lunghissima ricerca.
Isabelle si sentì come una principessa delle favole, che deve baciare un sacco di rospi, prima di trovare il suo principe.
Era così felice di quel bacio che il suo cuore non voleva smettere di battere – le rimbombava nelle orecchie e le impediva di sentire qualsiasi altro suono.
Solo quando per mancanza d’ossigeno furono costretti a separarsi, Isabelle riprese piena facoltà della realtà che la circondava. Improvvisamente, riuscì a percepire di nuovo la fila infinita che stava fuori dal locale, piena di persone in attesa di entrare. Riuscì a sentire di nuovo il vociare assordante delle chiacchiere, il rumore delle macchine, i clacson che suonavano frenetici e la musica attutita all’interno del locale. Riuscì a sentire nuovamente tutto, ma improvvisamente, sembrava che l’unico suono che avesse importanza fosse il battito del suo cuore scalpitante. Un sorriso enorme tirava le sue labbra, mentre sul viso di Simon era stampata un’espressione tanto sorpresa quanto appagata.
“Questo riassume pressappoco il discorso che volevo farti,” cominciò lei, “Ho parlato con Alec, qualche giorno fa… mi sono lamentata con lui del comportamento di Mark, del fatto che non mi piacesse che mettesse bocca sul nostro rapporto e…” Izzy fece una pausa, osservando il viso di Simon, forse aspettandosi una sua reazione, o temendo una sua reazione. Era ridicolo che avesse paura, dal momento che Simon aveva appena ricambiato il suo bacio, ma era ancora timorosa del fatto che potesse in qualche modo rifiutarla. Questa insicurezza non era per niente tipica sua, ma riflettendo sul fatto arrivò presto alla conclusione che i sentimenti, quelli veri, tra le altre cose ci rendono anche estremamente vulnerabili. Forti in alcuni casi, certo, ma fragili in altri. È ciò che ci rende umani, in fondo.  “…E in pratica Alec mi ha fatto riflettere. Mi ha fatto capire che se non ero disposta a cedere per quanto riguarda noi due è perché ciò che mi lega a te non è semplice amicizia. Tu non sei solo il mio migliore amico, Simon. Tu mi piaci. Davvero, davvero tanto.” Un’altra pausa, che impiegò per fare un respiro profondo. “Sei importante e ci ho impiegato troppo tempo a capire perché ti ritenessi così importante. Spero solo che questo non rovini ciò che abbiamo adesso, se tu non dovessi ricambiare questo sentimento.”
Simon la guardò come se avesse trovato il suo personale tesoro, il Sacro Graal di Indiana Jones, la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno, il segreto della bontà indiscutibile della Nutella.
Le prese il viso tra le mani, con il cuore che gli esplodeva in petto, quasi non riuscendo a credere a quelle parole. Era innamorato di lei da anni e, per anni, aveva creduto che il suo sarebbe stato sempre e solo un amore non corrisposto. Si era rassegnato da tempo all’idea che avrebbe avuto Isabelle nella sua vita solo come un’amica e adesso… adesso lei gli stava dicendo che provava qualcosa per lui.
Era tipo il giorno più bello della sua vita.
“Mi piaci da anni, Izzy.” Evitò di usare la parola ti amo per non affrettare troppo le cose. “Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo perché ero certo non ricambiassi e non volevo perderti. Sei la cosa più importante per me.” Le accarezzò le guance con i pollici, un gesto così dolce e pieno di reverenza, quasi stesse toccando un’opera d’arte. “E adesso, in questo preciso istante, mi hai reso l’uomo più felice della terra.” Si chinò per lasciarle un bacio a stampo. “Però trovo ingiusto che tu mi abbia anticipato, sai? Se solo mi avessi detto che avevi lasciato Mark mi sarei fatto avanti.”
Isabelle rise, accostando il naso a quello di Simon in un bacio all’eschimese. “Davvero?”
Simon annuì, baciandola di nuovo. Gli piaceva da morire poterlo fare. E per quanto avesse fantasticato su un momento simile, negli anni, niente, niente, batteva la realtà.
“Be’ penso di sì, magari non subito. Forse prima avrei preparato un discorso, chiesto il permesso ai tuoi fratelli…”
“Il permesso ai miei fratelli?” Izzy assottigliò lo sguardo, pungente.
“Sai cosa voglio dire. I tuoi fratelli fanno paura, sono iperprotettivi con te e guardano malissimo ogni ragazzo con cui sei uscita. Hanno spaventato più povere anime loro che Ade negli Inferi!”
Isabelle rise. “Non devi uscire con i miei fratelli, Simon. Devi uscire con me. E a me vai benissimo.”
“Mi piace come idea.” Le baciò la fronte. “Quella di uscire con te, ovvio, non con i tuoi fratelli.”
Isabelle alzò gli occhi al cielo, ma un sorriso tirava le sue labbra. Non era mai stata se stessa con nessuno nello stesso modo in cui lo era stata con Simon. Lui conosceva tutto di lei, le parti belle e le parti brutte, e aveva abbracciato entrambe nello stesso modo, senza distinzione.
Non voleva rovinare tutto.
Non voleva che qualcosa andasse ad intaccare qualcosa di così bello, perciò chiese ciò che più le faceva paura: “Anche se fino ad ora le mie relazioni sono state un disastro?”
“Le mie pensi siano state migliori? Devo ricordarti Heidi la stalker?”
“No, non devi. Me la ricordo benissimo.” Isabelle rabbrividì al ricordo della biondissima Heidi che seguiva Simon dovunque – concerti, lavoro, sotto casa – in attesa di uscire insieme. Erano stati cinque mesi pessimi. Isabelle ricordava benissimo come la gelosia di Heidi soffocasse Simon. Lo controllava, gli sequestrava il cellulare ogni volta che si vedevano perché non voleva che mentre erano insieme lui mandasse messaggi ad altri, in particolare ad Isabelle. Quando poi un giorno Heidi aveva avanzato la pretesa che non le rivolgesse più la parola, Simon aveva finalmente deciso di troncare quel rapporto malsano.
“Vediamo come va, Izzy. Siamo sempre noi. E fino ad ora abbiamo sempre funzionato benissimo. Io ci vorrei provare, se tu sei d’accordo.”
“Certo che sono d’accordo.” Lo baciò sulle labbra, delicatamente. “Sei speciale, Simon.”
“Anche tu.” Si chinò su di lei per lasciarle un altro bacio. “Ora credo che dovremmo raggiungere i nostri amici. E i tuoi fratelli. Se mi faranno a pezzi, sappi che la nostra storia di soli cinque minuti è stata la più bella che abbia mai avuto!”
Izzy scosse la testa in modo affettuoso prima di prenderlo per mano e dirigersi verso il loro gruppo di amici.




“Lo sai, io pensavo che avresti usato la lingua per parlare.” Jace rise, pienamente soddisfatto della sua battuta. Infelice, se lo si chiede ad Alec – e probabilmente a tutto il gruppo dal momento che nessuno rise.
Isabelle, di certo, non provò alcun tipo di ilarità per quell’uscita. Fulminò prima Jace e poi Alec.
“Gliel’hai detto?” Domandò rivolgendosi al maggiore.
“Sai bene che non ha avuto scelta.” Lo difese Jace, “Non avrei lasciato correre.”
“Questo perché sei un pettegolo!”
“Non fare l’ipocrita, Izzy! Lo torchi anche tu quando vuoi sapere qualcosa su di me!”
“È diverso.” Tentò Isabelle, cercando di non darla vinta al fratello.
“No, è uguale. Solo che a te è concesso intrometterti, ma ti infastidisce quando gli altri si comportano esattamente come te.”
Alec alzò gli occhi al cielo. “Basta, vi prego.”
“Sì, infatti. Ci sono cose più importanti di cui parlare, adesso,” Si intromise Clary, facendo passare gli occhi da Izzy e Simon. “Tipo voi due.”
“A questo proposito,” iniziò la mora, “Ti va bene?”
“Ah, quindi tu puoi chiedere il permesso a Clary, ma io non posso chiederlo ai tuoi fratelli?”
“Sta’ zitto, Simon!” Dissero all’unisono le due ragazze e Maia, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, non riuscì a trattenere una risata. Trovava la cosa divertente, se doveva essere onesta, ma era felice per Simon e per Isabelle – soprattutto visto che l’ultima volta che l’argomento era saltato fuori, lui era spaventato dall’idea di confessare all’altra i suoi sentimenti. Aveva avuto il suo lieto fine. Aveva conquistato la sua principessa. Era una cosa romantica, a dirla tutta.
“Siete due delle persone a cui voglio più bene, ragazzi. Certo che mi sta bene!” Clary abbracciò Isabelle, la quale ricambiò la stretta.
“Ora possiamo dire la nostra?” domandò Jace.
“NO!” Esclamò Isabelle, lapidaria, sciogliendo l’abbraccio con Clary e guardandolo male.
Jace reagì con una linguaccia. E parlò lo stesso. Perché era Jace e se c’era una cosa che lo caratterizzava era la testardaggine. “Anche a noi sta bene.”
“È vero,” convenne Alec, “Ma siamo pur sempre i tuoi fratelli maggiori, quindi da copione dobbiamo informare Simon del fatto che se ti facesse soffrire anche solo lontanamente, se la vedrà con noi.”
Simon sbiancò leggermente a quelle parole, mentre Jace concordò con il fratello annuendo e non riuscendo a trattenere una risata davanti all’espressione di Simon. Era esattamente come se l’era immaginata – forse solo un po’ più divertente. Isabelle, invece, si voltò verso di loro con uno sguardo assassino.
“Piantatela, non siete divertenti!”
“E invece sì!”
“E invece no!”
“Sì!”
“Smettila, Jace!” Uno scappellotto zittì il biondo ed Isabelle fu particolarmente fiera di se stessa. “Ora, perché non chiamiamo Magnus e sentiamo a che punto è? Lo chiami tu, Alec?”
Ma Alec non le rispose.
“Alec?” La sorella gli passò persino una mano davanti al viso, ma lui non reagì. Il fatto era che mentre Isabelle e Jace erano impegnati in un’altra delle loro infantili discussioni, Alec aveva cominciato per caso a guardarsi intorno e la sua ricerca casuale aveva portato un risultato particolare: sul marciapiede, aveva adocchiato Magnus che si stava dirigendo verso di loro insieme a Raphael, Catarina e ad un altro che non conosceva.
“Sta avendo un ictus?” Domandò Simon.
Una cosa del genere, avrebbe voluto rispondere Alec, che davvero non riusciva a distogliere lo sguardo da Magnus. Era bellissimo, riusciva a vederlo anche da quella distanza. E gli aveva già tolto il fiato e mandato in tilt il cervello. Avrebbe davvero voluto smettere di fissarlo per non sembrare un idiota davanti ai suoi amici, ma non ci riusciva. I suoi occhi erano incollati alla figura di Magnus, che diventava sempre più grande mano a mano che si avvicinava.
“No, penso sia solo Magnus.” Intervenne Jace e questa volta la sua battuta scatenò qualche risatina – di Maia in particolare.
Alec, comunque, riuscì a trovare una parte del suo cervello non focalizzata su Magnus – era veramente una parte minuscola, ma sufficiente a far sì che riuscisse ad alzare il dito medio per schiaffarlo in faccia a Jace, al suo fianco.
“Antipatico!” Esclamò il biondo, scacciando la mano.
Alec reagì piazzandogli un pugno sulla spalla – non forte, ma deciso.
“Ok, smettetela!” Intervenne Isabelle.
“E comunque, ha ragione Jace, Alec.” Commentò Maia, guardando l’amico. “Hai smesso di funzionare.”
Alec alzò gli occhi al cielo, esausto. Essere l’oggetto di derisione dei suoi amici era quasi sfiancante. “Siete tutti molto simpatici.” Dalla sua voce grondò sarcasmo, mentre il suo sguardo si assottigliò. Lo posò prima su Maia, poi su Simon, e infine su Jace. “Simpaticissimi.
I suoi amici ridacchiarono e ad Alec altro non rimase che arrendersi all’evidenza: anche i sassi avrebbero capito che provava qualcosa per Magnus solo dal modo in cui lo guardava.



Magnus stava camminando sul marciapiede. Era in ritardo, ma per una volta non era colpa sua: tutta la popolazione di NY aveva deciso di riversarsi in strada munita di un’autovettura proprio all’ora in cui era uscito e di conseguenza il traffico era stato un inferno in terra.
Il suo umore tendeva al nero, soprattutto perché non gli piacevano gli automobilisti maleducati che lanciano insulti a chiunque. Magnus aveva rischiato di litigare con uno dei tanti cafoni più di una volta – e se non fosse stato per Ragnor, che gliel’aveva impedito sempre, probabilmente sarebbe ancora fermo a tre isolati da casa sua a litigare con il primo maleducato che avevano incontrato nel tragitto.
Non gli piaceva essere arrabbiato la sera del suo compleanno, soprattutto perché era stata una giornata bellissima e aveva prospettato una serata altrettanto bella, quindi decise di scacciare qualsiasi cosa portasse cattivo umore dalla sua mente.
E se doveva essere onesto, riuscì in quell’impresa solo quando adocchiò Alexander Lightwood che lo aspettava sul marciapiede davanti all’ingresso del Pandemonium. D’accordo, non era solo – con lui c’erano anche gli altri, ma lui fu il primo che vide. Come era possibile non farlo, dopotutto? Alexander spiccava tra la folla – e non solo perché era altissimo e la sua testa emergeva tra la gente. Spiccava perché lui avrebbe spiccato in qualsiasi situazione. Era come guardare una stella che brilla nel buio, inconsapevole di quanta luce riesce ad emettere.
Quando finalmente raggiunse il gruppo, ebbe la possibilità di guardarlo più da vicino. E trovò estremamente adorabile il fatto che con indossare qualcosa di carino, Alexander intendesse una camicia di jeans sopra ad un paio di pantaloni neri. Il tutto rigorosamente accompagnato dal suo solito, immancabile, giubbotto di pelle.  Stava benissimo, comunque, e quella per Magnus fu un’ulteriore conferma del fatto che se Alec si fosse vestito con un sacco di patate avrebbe comunque fatto bella figura.
Se qualcuno è bello, dopotutto, è bello sempre.
“Ciao, tesoro.” Lo salutò, dirigendosi direttamente verso di lui e lasciandogli un bacio sulla guancia. Alec arrossì immediatamente, ma un sorriso tirò le sue labbra.
“Ciao,” sussurrò, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal viso di Magnus. Era truccato, ovviamente. Alec aveva sempre pensato che Magnus avesse un talento particolare. La sua mano era ferma e precisa e il suo eyeliner era sempre impeccabile, come quella sera. Ne aveva scelto uno color azzurro, abbinandolo ad un ombretto glitterato. A lato di ogni occhio, nella parte vicina al naso, era situato un brillantino – due piccoli punti luce che aiutavano gli occhi di Magnus a brillare più di quanto non lo facessero già al naturale.
Si era accorciato i capelli ai lati, rasandoli ancora un po’, mentre al centro erano eretti in una vaporosa, precisissima cresta, le cui punte riprendevano l’azzurro dell’eyeliner.
Magnus aveva sempre questo modo particolare di fare abbinamenti che ad Alec piaceva. Era come se attraverso il trucco o i capelli mandasse piccoli indizi riguardo anche gli abiti che indossava. E Alec trovò conferma a questa sua teoria quando fece scivolare lo sguardo su tutta la sua figura. Magnus indossava un cappotto nero aperto sopra ad un paio di pantaloni di pelle azzurri, che su chiunque sarebbero risultati ridicoli, ma non su di lui. Li aveva abbinati ad una camicia nera decisamente trasparente, che il ballerino aveva appositamente tenuto aperta fino a metà petto, mostrando tutta la bellezza della sua pelle liscia e bronzea, che per l’occasione era costellata di glitter. Le varie collane che indossava, comunque, non riuscivano a nascondere il suo petto definito e Alec dovette sforzarsi per distogliere lo sguardo e non risultare troppo esplicito. Gli piaceva davvero tanto quello che vedeva, ma non era necessario che gli altri se ne accorgessero – soprattutto se si tiene conto del fatto che, a quanto pare, si accorgevano di un sacco di cose!
“Magnus, non mi presenti?”
“Non puoi farlo da solo?” Magnus rispose senza distogliere lo sguardo da Alec. Si era vestito in quel modo solo ed esclusivamente per lui e l’occhiata che gli aveva riservato era proprio il tipo di sguardo che voleva ottenere. Alexander lo guardava in quel modo intenso e Magnus si sentiva bruciare dentro – si sentiva desiderato nel modo più primordiale possibile. Era quasi come se ci fosse una forza che li legava e che andava a connettersi con i loro istinti più primitivi. Scattava qualcosa, in entrambi. Era puro istinto, passione. Era la consapevolezza che si appartenevano. Era la curiosità di scoprire come sarebbe stato sentire su di sé il corpo dell’altro.
“Non fare il maleducato, Magnus, non ti si addice.” Sussurrò Alec in tono scherzoso, sorridendo solo per lui.
“Hai ragione, zuccherino.” Ammiccò e poi girò su se stesso per guardare il gruppo. “Amici, lui è Ragnor. Ragnor, i miei amici!”
Ragnor alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, arrendendosi all’evidenza: tutta l’attenzione di Magnus, da quel momento, sarebbe stata per Alec. Per questo si diresse verso le persone che già conosceva: Clary, Simon e Maia, salutandoli con un abbraccio, e successivamente si rivolse alle persone che non conosceva: Isabelle e Jace, presentandosi e ascoltando i loro nomi. Lasciò per ultimo Alec.
“Ciao, sono Ragnor.” Gli porse la mano e il medico gliela strinse.
“Alec.”
“Oh, lo so. Sono stato con lui tre ore e non ha fatto altro che parlare di te.”
Se Alec arrossì per quel commento, Magnus sgranò gli occhi e fulminò l’amico. Fu anche tentato di pestargli un piede e mandarlo a farsi giro, ma resistette a quella tentazione perché non sarebbe stato un comportamento appropriato. “Vogliamo entrare?” Domandò invece, cambiando argomento. Gli altri annuirono e si diressero verso l’entrata. Quando anche Magnus fece per incamminarsi, Alec lo fermò tenendolo per un gomito. Il ballerino si voltò verso di lui.
“Cosa c’è, confettino?”
Alec si chinò su di lui e gli lasciò un bacio su una guancia, pericolosamente vicino ad un angolo della sua bocca. “Sei bellissimo.” Sussurrò ad un centimetro dal suo viso, prima di tornare in posizione eretta. Magnus rimase interdetto. Il suo cuore cominciò a galoppare non solo per quelle parole, che ancora gli risuonavano nelle orecchie, ma anche per quel bacio ricevuto – che per quanto piccolo e delicato fosse, aveva provocato in lui lo stesso effetto che potrebbe provocare un maremoto su una barchetta situata in mezzo all’oceano. Devastante.
“Anche tu, tesoro.”
Alec arrossì, ma nessuno dei due ebbe il tempo di dire nient’altro perché Jace li chiamò dall’entrata.
“Volete muovervi? Se non c’è Magnus non ci fanno entrare!”
Si guardarono ancora una volta e poi, uno vicino all’altro, raggiunsero il gruppo.



Il Pandemonium era di nome e di fatto un pandemonio. 
Appena avevano messo piede in quel locale, Alec era stato travolto dalla bolgia, dai corpi in movimento, dalla musica assordante e dall’odore di alcol, misto a sudore. La gente ballava con i bicchieri in mano e lui l’aveva sempre reputata una cosa poco saggia da fare, a meno che non si voglia sicuramente versare un drink da dodici dollari sul pavimento – o peggio, addosso a qualcuno. Non si spreca l’alcol, folli incoscienti!
“Andiamo di sopra,” Magnus lo disse al suo orecchio per essere sicuro di farsi sentire. Aveva appoggiato una mano sulla sua schiena e lì l’aveva lasciata. Ad Alec non dispiaceva, ovviamente. “C’è un piccolo privée, possiamo stare lì così stiamo più tranquilli.”
Alec annuì e notò che il resto dei loro amici si stava già dirigendo verso la scalinata che avrebbe portato al piano superiore. Sorrise, quando vide Isabelle e Simon per mano.
“Oh,” Disse Magnus, notando la direzione del suo sguardo. “Cosa mi sono perso?”
“Simon ed Izzy si sono baciati, prima che tu arrivassi.” Cominciò Alec, chinandosi su di lui per farsi sentire meglio. Cercò di non prestare attenzione al fatto che in quel modo i loro visi erano vicinissimi. “Abbiamo parlato, qualche giorno fa. Lei mi ha detto che Mark aveva dei comportamenti che non le piacevano, che le chiedeva di non essere troppo attaccata a Simon e a lei questa cosa non stava bene. Le ho fatto notare che, seppur non giustificassi Mark, forse lui era geloso di Simon perché aveva intuito che lei potesse provare qualcosa per lui. Dopo un attimo di negazione ha capito che era così, di conseguenza ha lasciato Mark. Lui stasera si è presentato e ha provato a parlare con lei – non so cosa si sono detti, perché erano troppo lontani. Lui e Simon hanno parlato e deve avergli detto delle cose che hanno colpito Izzy particolarmente perché non appena Mark se n’è andato, lei ha baciato Simon. E adesso vogliono uscire insieme.”
Magnus sorrise. Gli piacevano Simon ed Izzy, insieme. Da quando li conosceva entrambi e aveva avuto modo di vedere come si comportassero l’uno in presenza dell’altra, aveva sempre sospettato che ci fosse qualcosa, tra di loro, ma non aveva mai detto niente perché, in fondo, non erano affari suoi. Ma li vedeva bene come coppia. Erano complementari. Senza contare che Magnus era fermamente convinto che le migliori storie d’amore sono quelle in cui le due persone coinvolte, prima, sono stati migliori amici.
“Quindi, vediamo… nell’ultimo periodo abbiamo avuto Erin che fa da Cupido a Max e Rosa e tu che fai da Cupido per Simon ed Izzy.”
Alec ridacchiò. “Sì, è vero.” Il suo pensiero corse al suo fratellino, che quella sera aveva preferito stare con Rosa, come era giusto che fosse – dal momento che lei non aveva ancora l’età per entrare nei locali e per bere.
Magnus lo guardò e sorrise. Si alzò leggermente sulle punte, quel tanto necessario a far si che potesse raggiungere il suo viso e lasciargli un bacio nello stesso punto in cui Alec l’aveva baciato prima: su un angolo della bocca – un contatto che Magnus prolungò per qualche secondo, prima di scostarsi e posare di nuovo lo sguardo su Alec. Si godette la sua espressione stupita, il rossore sulle sue guance, la bellezza assoluta di quel viso, prima di parlare.
“Mi domando, dunque, chi farà da Cupido per noi due, Alexander.”
Alec fece vagare lo sguardo su tutto il viso di Magnus. Era bellissimo. La cosa più bella su cui i suoi occhi si fossero mai posati. Sapeva che ciò che stava per fare era poco logico, era contro tutto ciò che si erano prefissati di fare, ma in quel momento mentre erano occhi negli occhi, ad Alec sembrò la cosa giusta. Afferrò il mento di Magnus tra l’indice e il pollice con delicatezza e poi si chinò su di lui. Appoggiò le proprie labbra sulle sue, lasciandogli un bacio delicato, quasi puerile. Un bacio a stampo, breve, ma deciso.
“Sono un arciere, Magnus.” Disse, quando tornò in posizione eretta. “Direi che tocca a me.”
Il cuore di Magnus stava per esplodergli in petto. Se quella era la sua reazione ad un semplice contatto di labbra, non voleva pensare cosa sarebbe successo se si fossero baciati veramente. Per adesso, comunque, Magnus era felice così. Era stato il suo regalo di compleanno migliore in assoluto.
“Vuoi sedurmi prima del nostro appuntamento, zuccherino?”
“Mi ferisce sapere che non mi ritieni un gentiluomo, Magnus.” Scherzò Alec, guardandolo nel modo più soffice possibile. “Ti bacerò in modo appropriato dopo averti riaccompagnato a casa e solo ed esclusivamente se lo vorrai anche tu.”
“Io lo vorrò tantissimo.”
Alec sorrise, le guance che ripresero a colorarsi di un leggero cremisi. “Lo vorrò anche io.”
Magnus era quasi impaziente. Avrebbe voluto avere dei poteri magici in grado di far scorrere il tempo. Avrebbe voluto saltare direttamente alle tre settimane successive e passare direttamente all’appuntamento con Alexander. Ma sapeva che non sarebbe stato giusto. Non è mai un bene affrettare le cose. E per quanto impaziente potesse essere, l’idea di aspettare, un pochino, gli piaceva. Gli dava quell’idea di antico corteggiamento che si legge nei romanzi. E Magnus aveva un animo profondamente romantico. Avrebbe aspettato, ma questo non gli impediva di prendersi qualcosina nell’attesa. Di conseguenza, lasciò un bacio a stampo sulle labbra di Alec, sorridendo sulla sua bocca perché davvero non riusciva a contenere la sua felicità.
“Andiamo su?” domandò, dopo essersi allontanato dal suo viso.
Alec annuì, offrendogli il palmo della sua mano. Magnus fece intrecciare le loro dita e insieme si avviarono verso la scalinata.



“Mi vuoi dire che sta succedendo?”
“Cosa significa?”
“Tu ed Alec.” Disse Raphael, guardando il medico da lontano. Lui e Magnus erano al piano bar riservato solo al privée del piano superiore del locale. Magnus si era offerto di andare a prendere i drink per tutti, mentre gli altri continuavano a stare seduti sui divanetti a parlare e a fare conoscenza nel caso di Ragnor. Raphael l’aveva semplicemente seguito.
“Io e Alec, cosa, Raph?”
“Vi ho visti. Ti ha baciato, tu l’hai baciato.”
“Da quando fai il guardone?”
Raphael lo fulminò con lo sguardo. “Sono serio,” brontolò, “Dimmi cosa sta succedendo.”
“Niente. Assolutamente niente. Usciremo insieme al mio ritorno, come avevamo stabilito.”
Raphael sospirò. “È stato un bacetto da niente, quindi? Non ti stai creando aspettative?”
“Perché mi fai tutte queste domande?”
“Perché sono preoccupato. Temo solo che tu possa crearti delle aspettative che poi verranno distrutte e che tu possa stare male di nuovo.”
“Come con Camille.” Aggiunse Magnus, iniziando ad intuire le paure dell’amico.
“Esatto. Solo che quando è stata lei a spezzarti il cuore, Erin era neonata. Adesso invece lei ed Alec hanno stretto un rapporto, lei si è affezionata molto a lui, gli vuole bene. Se con lui non dovesse funzionare, ci saranno due cuori infranti, questa volta.”
Magnus appoggiò le mani sulle spalle dell’amico. Capiva la sua preoccupazione. Per lui era stato difficile guardarlo andare in pezzi quando Camille se n’era andata e lui aveva una bambina di pochi giorni di cui occuparsi. Ed era stato doloroso per Raphael, anche se non l’aveva mai detto perché si era sempre concentrato su come fare per lenire il dolore di Magnus.  
“Lo so, Raph. Ci ho pensato. Per questo voglio andarci piano, non affrettare le cose. Usciremo insieme, guarderemo come va… come amici funzioniamo bene, quindi sono fiducioso. Se dovesse effettivamente andare bene, parlerò ad Erin di lui, nel senso di una persona che sta con papà.”
“Puoi dirle che è il tuo principe azzurro. Le piacciono le favole con i principi.”
Magnus sorrise perché era vero. “Non è una cattiva idea.”
“Io non ho mai cattive idee.”
“In realtà nei hai, ma eviterò di rinfacciarti quali.”
Raphael lo guardò malissimo e quando il barman piazzò sul bancone il drink che Magnus aveva ordinato, glielo rubò da sotto il naso. “Così impari a dire scemenze.” Si voltò e si avviò verso i divanetti dove erano gli altri.
“Raph! Non posso portare tutti i drink da solo!”
“Sì che puoi, pide una bandeja!”
Magnus si arrese e chiese un vassoio. Nonostante gli anni, evidentemente, non aveva ancora imparato quanto Raphael fosse permaloso.




Magnus era certo di essere felice. Guardava la persone intorno a lui e si sentiva grato. Aveva avuto cose brutte dalla vita, come suo padre, ma c’erano sempre anche state cose belle, come sua madre. Per ogni esperienza negativa, c’era un rovescio della medaglia positiva. La storia catastrofica con Camille gli aveva portato Erin, e non esisteva esperienza più positiva di essere il padre di quella bambina adorabile.
Nonostante tutto, Magnus si impegnava sempre per guardare il lato positivo delle cose. Portava con sé i suoi traumi, le sue ferite, ma le custodiva senza necessariamente farli diventare la parte cruciale del suo essere. Erano parte di lui, certo, ma non erano lui. Magnus era altro. Gli piaceva pensare di essere un misto, un insieme di cose, quasi come se le sue esperienze passate fossero gli ingredienti necessari a creare il prodotto finale: lui stesso.
E più guardava le persone che erano con lui quella sera, più era convinto che la vita mette tutti alla prova, ma regala anche gioie.
E una di queste gioie era Alexander, che adesso stava ridendo per qualcosa che aveva detto Jace – e aveva le guance arrossate dall’alcol, gli occhi lucidi e i capelli spettinati perché ci aveva passato le mani attraverso circa una decina di volte.
Era uno spettacolo che Magnus, realizzò in quel momento, voleva solo per sé. Era egoista? Forse, ma lui sarebbe partito tra due giorni e doveva fare la sua scorta di Alexander per il viaggio. Così si alzò dal divanetto e si diresse verso quello dove era seduto Alec, piazzandosi davanti a lui. Quando lo vide, Alec smise di ascoltare Jace e alzò lo sguardo su di lui, rimanendo incantato a fissarlo. Aveva persino le labbra schiuse, quasi come se fosse ipnotizzato, e Magnus dovette fare ricorso a tutto il suo autocontrollo per non sedersi sulle sue gambe e baciarlo fino a fargli perdere il fiato. Si trattenne, comunque, e si limitò ad afferrargli delicatamente il mento con due dita.
“Vieni a ballare?”
“Alec non bal-”
“Sì,” disse Alec, interrompendo sul nascere la frase di Jace, il quale guardò stupito prima il fratello e poi Magnus, il quale ammiccò nella direzione del biondo.
“Con me lo fa.”
Jace, a quel punto, afferrò il suo bicchiere, nascondendoci un sorriso all’interno. “Con te vorrebbe fare un sacco di cose.” Disse, prima di prendere un sorso del suo drink. Alec non gli risparmiò un’occhiataccia e una gomitata in pieno costato, prima di alzarsi e seguire Magnus, che ebbe la decenza di non rispondere. Alec lo ringraziò mentalmente, mentre faceva intrecciare le sue dita con quelle di Magnus. Il ballerino strinse la presa sulla sua mano, mentre insieme scendevano le scale e si dirigevano verso la pista da ballo. Si fecero strada tra i corpi accaldati, tra coppiette che si baciavano e tra gruppi di amiche che strillavano a squarciagola perché, evidentemente, il DJ aveva appena messo la loro canzone. Era il tipo di energia che piaceva a Magnus, viva e pulsante, vitale. La testimonianza che nel sangue può scorrere il fuoco, che nel cervello c’è ancora spazio per la spensieratezza – che a volte è giusto lasciarsi andare e gridare di euforia per la propria canzone.
“Cosa vorresti fare con me, Alexander?” domandò Magnus, quando trovò un punto vuoto al centro della pista e lì si fermò.
“A quanto pare, un sacco di cose.” Rispose evasivo, facendo eco alle parole di Jace.
Magnus si avvicinò a lui e gli allacciò le braccia intorno al collo. Alec reagì circondandogli la vita con le proprie. La canzone che stava rimbombando tra le pareti non era un lento – al contrario, era più qualcosa di tecno e assordante, ma a nessuno dei due importava davvero.
“Dimmene una.”
Ma Alec era un osso duro, questo Magnus l’aveva capito fin da subito. “Pensavo che il tuo silenzio precedente fosse un atto di cortesia, Magnus, e invece adesso scopro che non era così?”
Magnus sorrise. “Non volevo metterti in imbarazzo, tesoro. Non davanti ai nostri amici, ma adesso siamo soli.”
Alec si guardò intorno e alzò un sopracciglio con fare teatralmente dubbioso. “In realtà penso che intorno a noi, solo in questo momento, ci siano un centinaio di persone.”
“Ma nessuna di loro è abbastanza intelligente da prestarci attenzione. Il che è un vero peccato perché siamo una gioia per gli occhi.” Ammiccò e Alec rise – una risata spontanea che gli fece tirare leggermente indietro la testa.  Espose per qualche secondo le curve del suo collo, perfette e sinuose, la pelle chiara e liscia e bellissima. Fu una tentazione, per Magnus, che aveva i freni inibitori – già poco funzionanti da sobrio – completamente annebbiati dall’alcol. Fu un attimo, la velocità di un lampo. Agì ancora prima che il suo cervello gli gridasse che non era una buona idea – e di solito, la voce della sua coscienza aveva l’accento spagnolo e assomigliava a quella di Raphael – e si alzò sulle punte per baciare un punto sul collo di Alec, poco sotto al pomo d’Adamo.
“Questa è una delle cose che vorrei fare.” Ammise Magnus, quando Alec incrociò il suo sguardo. C’era sorpresa nei suoi occhi, ma anche una piccola scintilla di malizia e divertimento. A Magnus piacque quello sguardo.
“Ah sì?” Alec alzò il sopracciglio solcato dalla cicatrice.
Il ballerino annuì. Allora Alec sciolse la stretta sulla sua vita per alzare una mano sul suo viso. Magnus lo lasciò fare. Alec accarezzò tutto il perimetro del suo volto, soffermandosi particolarmente sul perimetro della mascella, prima di afferrargliela con una sola mano – le dita su una guancia e il pollice sull’altra –  e avvicinare il proprio viso al suo per baciarlo. Magnus era immobilizzato da quella stretta, ma non si sarebbe allontanato per nulla al mondo. La labbra di Alec si appoggiarono sulle sue con più decisione e questa volta non fu un semplice contatto. Alec spinse la propria lingua all’interno della bocca di Magnus con delicatezza, quasi a chiedergli il permesso, e quando Magnus aprì le labbra, accogliendolo di buon grado, Alec si fece più deciso. Sapeva di whiskey e cola, misto a qualcos’altro – menta, forse – ma non che a Magnus importasse. L’unica cosa che gli importava era quel bacio, che era meglio di quanto mai si fosse aspettato, e ricevere la conferma alle sue fantasie: le labbra di Alec erano davvero morbide come se l’era immaginate e sopra alle sue gli piacevano da morire.
Questo non è un bacetto da niente, gioia!
Merda. La voce della sua coscienza non poteva aspettare ancora qualche minuto? Doveva ricordargli la conversazione con Raphael proprio in quel momento?   
“Aspetta,” cominciò, separandosi da lui. Gli appoggiò le mani sul petto e riprese fiato.
“Che c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“Assolutamente no, tesoro, è che… sarebbe meglio andarci piano.”
Quella frase fece catapultare Alec di nuovo nella realtà, come una secchiata d’acqua gelata che risveglia da un bel sogno. C’erano delle regole, da seguire. Un piano sul quale avevano concordato e che serviva a tutelare entrambi ed Erin. Qualcosa che serviva a non farli reagire come due adolescenti in piena tempesta ormonale che cercano un angolo riservato in una discoteca. “Hai ragione. Possiamo aspettare altre tre settimane.”
“Possiamo?”
“Io posso.” Affermò Alec, anche se non sembrava molto credibile con le labbra lucide di baci. “E tu, Magnus? Tu puoi?”
Doveva andarci piano. Non crearsi aspettative. Non partire in quarta. Non lasciarsi guidare da quelle emozioni assopite da tempo e che Alexander gli aveva risvegliato e adesso stavano pretendendo di prendere il controllo assoluto. Razionalità. Doveva pensare alle parole di Raphael.
“Posso.”
“D’accordo. Aspetteremo, allora.” Alec lo guardò e Magnus sentì il cuore accelerare. Era così bello. E fino a qualche istante fa era suo. Gli piaceva quella sensazione. Gli piaceva il calore che si era scatenato all’altezza del suo stomaco, la sensazione di sentirlo così vicino a sé. Desiderava solo qualche minuto in più. Desiderava prendersi quel qualcosa prima di dover andare in contro ad un’attesa di tre settimane. Attesa che mai, prima di quel momento, gli era sembrata così concreta. Non avrebbe potuto vederlo, non avrebbe potuto toccarlo. Non avrebbe potuto sentire il suo profumo. Avrebbe dovuto solo farsi bastare il suono della sua voce attraverso un cellulare e sapeva che non sarebbe stato sufficiente a colmare quella mancanza che la lontananza gli avrebbe provocato.
“Cenerentola!” Esclamò, quindi, provocando uno sguardo perplesso negli occhi di Alec. “Cenerentola ha avuto fino a mezzanotte per ballare con il principe. Facciamo un’eccezione solo per oggi, da domani poi torniamo ad andarci piano.”
Alec non rispose, si limitò semplicemente a baciarlo di nuovo. E ancora, e ancora, e ancora, fino a far diventare gonfie le labbra e felici i cuori.
Magnus era certo anche di un’altra cosa, in quel momento: era il suo miglior compleanno di sempre.


*




La mattina seguente, Magnus si svegliò con un leggero mal di testa. La sua casa era stranamente silenziosa per essere domenica mattina e sentì immediatamente la mancanza della sua bambina, che di solito veniva a svegliarlo per stare con lui nel lettone. Lo tempestava di domande, o gli chiedeva di leggerle un libro. Magnus accettava sempre di buon grado.
Quella mattina, tuttavia, la sua camera da letto era silenziosa e vuota. Allungò una mano verso il comodino e afferrò il cellulare: erano le 8.23, Erin non sarebbe arrivata prima delle undici, insieme a Madelaine. Per quanto a Magnus sarebbe piaciuto rimettersi a dormire ancora un po’, sapeva che aveva delle cose da fare: prima di tutto, una doccia. Poi avrebbe fatto colazione e successivamente si sarebbe messo a sistemare casa; avrebbe ricontrollato i bagagli e i documenti necessari alla sua partenza e poi avrebbe passato tutto il giorno insieme alla sua bambina, per salutarla a dovere.
Ancora non riusciva a crederci che il fatidico giorno era arrivato. Quel lunedì sarebbe partito. Tre settimane lontano da casa, da Erin, da sua madre, dai suoi amici.
Lontano da Alexander.
Sorrise involontariamente pensando a lui. E cominciò a fissare il soffitto come l’idiota innamorato che era, mentre riviveva il loro bacio. Ce n’erano stati tanti. Tutti diversi. Tutti bellissimi. Avevano pomiciato in discoteca come dei ragazzini ed era stato emozionante. Tutto così genuino da sembrare irreale. Quasi come uno di quei film in bianco e nero, dove il romanticismo sfiora il concetto di antiquato, ma riesce sempre a colpire nel profondo il cuore dello spettatore.
Con il telefono ancora in mano, sbloccò lo schermo e aprì l’applicazione di messaggistica. Stava per aprire la chat di Alec, ma tenne il dito sospeso per aria perché gli venne in mente una cosa: Cenerentola aveva finito il suo tempo. La carrozza era tornata una zucca e i cavalli erano di nuovo topolini. Lui ed Alec, quella domenica mattina, erano di nuovo solo amici. A Magnus personalmente quell’idea non piacque più di tanto, ma era stata sua, quindi doveva rispettarla per primo. Sbuffò, frustrato, e uscì dall’applicazione, bloccando lo schermo del telefono e rimettendolo sul comodino. Avrebbe voluto scrivergli qualcosa di sdolcinato, ma gli amici non si scrivono cose sdolcinate. Sbuffò ancora e questa volta scostò le coperte e si alzò dal letto. Se fosse rimasto a rimuginare ancora un po’ era sicuro che avrebbe finito per scrivergli qualcosa di decisamente poco amichevole e più da ti penso perché ti amo – e questo non era il suo piano. In quel preciso istante, Magnus della domenica mattina avrebbe voluto prendere a schiaffi Magnus del sabato sera per le sue idee idiote.
Sbuffò – di nuovo – e uscì dalla sua stanza per dirigersi verso il bagno. Avrebbe fatto una doccia e spento i pensieri.
Almeno così voleva sperare.




Il suo cervello era un dannatissimo stacanovista. Non aveva smesso di pensare un attimo: non sotto alla doccia, non mentre faceva colazione, non mentre passava l’aspirapolvere e Magnus si era messo a cantare I want to break free, perché è così che l’aspirapolvere si passa o non si passa affatto.
Il suo cervello aveva continuato a muoversi, ad arrovellarsi, a tornare su Alexander. Sui suoi occhi. Sulle sue labbra. Sui suoi occhi in quelli di Magnus. E sulle sue bellissime, morbidissime labbra su quelle di Magnus.
Fanculo, cervello.
Magnus desiderava un attimo di tregua, se non altro perché tutto quel pensare altro non faceva che fargli venire voglia di chiamare Alexander, dirgli che la sera prima era stato tutto meraviglioso e che moriva dalla voglia di rifarlo.
“Che palle!” Brontolò a se stesso, mentre fissava il suo riflesso allo specchio. Il suo cervello pensava così velocemente che Magnus aveva l’impressione di avere circa diciassette coinquilini che berciavano a squarciagola, parlando uno sopra all’altro sebbene gli dicessero tutti la stessa cosa: chiamalo, idiota!
E l’avrebbe fatto, davvero, se non altro perché era stanco di essere tormentato dai suoi pensieri, ma il campanello suonò, annunciando l’arrivo della sua bambina e di sua madre. Magnus si guardò un’ultima volta allo specchio della sua toeletta – aveva optato solo per un po’ di eyeliner nero – e indossata la collana che Clary gli aveva regalato la sera prima – quella a forma di conchiglia, blu, che gli ricordava tanto Alexander, tanto per cambiare – uscì dalla propria stanza per andare ad aprire la porta d’ingresso.

“Papà!” Esclamò Erin, non appena Magnus aprì la porta. L’uomo si chinò all’altezza la figlia e la sollevò, stringendola forte in un abbraccio. Per quanto avere una serata libera di tanto in tanto gli piacesse, niente gli piaceva di più che rivedere la sua bambina.
“Ciao, bintang! Hai dormito bene dalla nonna?”
“Sì, benissimo!”
“Sono felice.” Le lasciò un bacio sulla guancia, prima di farsi da parte per far entrare la madre in casa. “Ciao, ibu, grazie ancora per ieri sera.”
“Non dirlo nemmeno, tesoro. Allora, com’è andata?”
“Ci siamo divertiti.”
“Tutto qui? Non cominci a raccontarmi le cose nei minimi dettagli?”
“Non ho più diciotto anni, mamma.”
“Ma sei ancora mio figlio e io sono ancora interessata alla tua vita.” Madelaine si tolse il cappotto e lo sistemò sull’attaccapanni, dove sistemò anche la borsa di Erin. Magnus fece lo stesso con il giubbottino di Erin, prima che la bambina si inoltrasse in salotto in cerca dei suoi giocattoli.
Magnus, però, non era dell’umore per raccontarle cosa era successo. Sebbene la serata precedente lo rendesse felice oltre ogni limite, parlare di Alexander e di come adesso si sentisse le mani legate, non era esattamente ciò che volesse fare – soprattutto perché aveva passato le ultime ore ad arrovellarsi il cervello.
“Lo so, ma non sono dell’umore per i minimi dettagli.”
Sul viso di Madelaine comparve una ruga di preoccupazione. “Stai bene, tesoro?”  
Magnus la abbracciò. “Ma certo che sto bene. Ieri è stata una serata bellissima, ho solo… un po’ di confusione in testa. Sai di cosa avrei bisogno?”
“Cosa?”
“Un pranzo fuori con le due donne della mia vita.”
Madelaine rise e afferrò il viso del figlio tra le mani. “Tutto quello che vuoi, anakku.” Gli lasciò un bacio sulla fronte, alzandosi un poco per raggiungere l’altezza di Magnus. “E se vorrai parlare di questa confusione, la tua mamma ha due orecchie per ascoltarti.”
“Grazie.” Sorrise, prima di abbracciarla più forte che poté. Le voleva bene. Dio, se gliene voleva.


*



La sua giornata era passata esattamente come aveva pianificato. Aveva pranzato fuori con sua madre e sua figlia e poi nel pomeriggio erano andati tutti insieme alla sala giochi che tanto piaceva ad Erin; poi avevano fatto una passeggiata fino alla gelateria preferita della bambina e avevano fatto merenda con un gelato gigantesco e pieno di praline colorate. Erin era stata bene e Magnus, vedendo il sorriso sul viso della sua piccola, aveva smesso di pensare a tutto ciò che non la riguardasse.
Nel tardo pomeriggio, Madelaine era tornata a casa sua, mentre Magnus ed Erin erano passati a salutare Ragnor, che aveva tanto insistito affinché Magnus andasse a trovarlo prima della sua partenza. Il ballerino sospettava che dietro a quella richiesta ci fosse anche la voglia dell’amico di passare un po’ del tempo con Erin, che non vedeva da mesi. È cresciuta così tanto in questo lasso di tempo, Magnus, voglio conoscere tutti i suoi progressi! Aveva detto, infatti, quando avevano raggiunto la casa dell’architetto. Ragnor sarebbe ripartito la settimana prossima per l’Irlanda, sarebbe stato lì altre due settimane e poi sarebbe ritornato definitivamente in patria. Ormai il suo palazzo era concluso.
Magnus era felice all’idea di riavere Ragnor vicino, ma soprattutto era felice che l’amico ricevesse tutto il riconoscimento che meritava. Era un bravo architetto, amava il suo lavoro e si impegnava tantissimo per creare strutture che soddisfacessero sia se stesso che gli altri. Magnus era molto fiero di lui. Gliel’aveva persino detto e l’uomo aveva reagito con un borbottio e un grazie.
Era stata una giornata intensa e adesso, dopo aver messo Erin a dormire da quasi un’ora ormai, si trovava nella sua camera da letto a fissare il soffitto, proprio come quella mattina. L’orologio sullo schermo del suo cellulare segnava le 22.47. Aveva deciso di andare a letto presto per riuscire a svegliarsi presto e dirigersi all’aeroporto in tempo per prendere il suo volo, ma il sonno non voleva coglierlo. Quel bastardo di Morfeo aveva fatto sciopero e adesso Magnus si sentiva sveglio più che mai. Non avrebbe preso sonno nemmeno se qualcuno l’avesse narcotizzato e sapeva il perché: lui e Alexander non avevano avuto un contatto in tutto il giorno. E questo era strano perché di solito o si chiamavano o si mandavano messaggi. Magnus era preoccupato che la sera precedente avesse spezzato ciò che li legava, che avesse rovinato il loro rapporto sul nascere. Forse aveva avuto dei comportamenti che avevano turbato Alexander, o gli avevano fatto capire che non voleva altro da lui se non amicizia e non sapeva come dirglielo.
Quel pensiero gli fece accelerare il cuore, ma non in modo positivo. Era più che altro la corsa che precede il disastro, una macchina con i freni manomessi che si dirige a tutta velocità verso un guardrail. Ma prima che il cuore di Magnus arrivasse a schiantarsi nell’abisso della tristezza e del panico, il suo cellulare vibrò sul comodino. Lo afferrò ad una velocità disumana.

> From: Alexander, 22.51
Dormi?
> To: Alexander, 22.51
No.
> From: Alexander, 22.51
Disturbo?
> To: Alexander, 22.51
Mai, zuccherino, dovresti saperlo.

Magnus osservò i tre puntini di sospensione che stavano ad indicare che Alexander, dall’altro capo del telefono, stava digitando un messaggio. I puntini sparirono e ricomparvero ad intermittenza per almeno tre volte – e in quel lasso di tempo Magnus aveva pensato che stesse trovando le parole giuste per piantarlo in asso ancora prima che potessero davvero diventare un noi – ma poi finalmente il messaggio arrivò.


> From: Alexander, 22.57
È una follia, lo so, ma sono fuori dal tuo portone. Potresti aprirmi?

Magnus fissò quelle parole per qualche istante, mentre il suo cuore cominciava a correre di nuovo – e questa volta non verso un guardrail. Alexander era fuori da casa sua, la sera prima della sua partenza. Era il più classico dei gesti romantici, dopo le serenate sotto alla finestra.
Magnus corse, insieme al suo cuore, fuori dalla sua camera da letto e si diresse verso il citofono. Aprì il portone e rimase in attesa sulla porta, spalancandola per essere sicuro che Alexander la trovasse subito aperta, non appena avrebbe raggiuto il suo piano. Non si tuffò di corsa giù per scale solo perché era consapevole che così facendo avrebbe lasciato Erin in casa da sola, ma ogni secondo di attesa era quasi frustrante. E poi… lo vide comparire sulle scale: Alec non si accorse subito di lui perciò non si rese conto che Magnus vide esattamente la sua impazienza, che lo vide fare le scale a due a due per essere sicuro di arrivare prima. Solo quando finì l’ultima rampa di scale, alzò lo sguardo, trovando Magnus ad aspettarlo sull’uscio della porta. Era struccato, i suoi capelli lisci pendevano da una parte ed indossava uno dei suoi costosissimi pigiami di seta. Era bellissimo e il cuore di Alec prese residenza nella sua gola e lì rimase, battendo più forte che poté.
“È tutto il giorno che voglio scriverti, ma ho pensato che volessi passare questa ultima giornata con Erin e quindi ho resistito.” Si avvicinò a lui, non staccandogli gli occhi di dosso. “Ma poi ho pensato che avresti potuto fraintendere il mio silenzio, che avresti potuto pensare che mi fossi pentito di ieri sera…” Il suo sguardo vagò su tutto il viso di Magnus con ingordigia, volendo memorizzare ulteriormente ogni dettaglio.  “E volevo dirti che niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Se potessi, passerei tutta la vita a baciarti, Magnus.”
Ad Alec non importava se quella frase poteva suonare come una dichiarazione d’amore bella e buona perché era la pura e semplice verità.
Magnus aveva la gola secca. Il cuore gli rimbombava selvaggio nelle orecchie e non riusciva a calmarlo. Batteva così forte, così vivido che era come se fosse tornato alla vita dopo anni passati in uno stato comatoso.
“Se potessi?” Gli fece eco, quando fu sicuro che la sua voce non avrebbe tremato.
Alec annuì. “La mezzanotte è scoccata, Magnus. Cenerentola è fuggita dal palazzo. E dal principe.”
“Questa Cenerentola,” indicò se stesso, “Non fuggirebbe mai da questo principe,” indicò Alec. Si avvicinò ancora di più a lui e adesso li divideva una distanza ridicola. Magnus appoggiò le proprie mani sul petto di Alec, che –  notò solo in quel momento –  indossava il suo solito giubbotto sopra ad una maglietta di cotone e un paio di pantaloni della tuta. Chissà se quello non era il suo pigiama. Chissà se non stava per mettersi a letto e, consapevole che, proprio come Magnus, non sarebbe riuscito a dormire , era andato da lui.  “Questa Cenerentola bacerebbe questo principe ad ogni occasione. Se solo il principe volesse.”
Alec sorrise e sulle sue guance comparvero le fossette. “Questo principe vuole, ma smettiamola di riferirci a te stesso come Cenerentola.”
“Immaginarmi nei panni di una donna ti fa passare la voglia di baciarmi?”
“In un certo senso.”
“Allora puoi immaginarmi come un principe a tua scelta tra la variegata gamma Disney.”
“Come Eric della Sirenetta?”
“Se ti fa piacere. Hai delle fantasie su di lui, per caso? Devo essere geloso di un disegno?”
Alec alzò gli occhi al cielo e gli tappò la bocca con un bacio. Una mano andò ad appoggiarsi sulla schiena di Magnus, tirandolo a sé. E mentre il ballerino ricambiava il bacio, allacciò le braccia dietro al collo di Alec, dove le sue dita cominciarono a giocare con i capelli corvini sulla sua nuca.
“Sai, ora che ci penso, sei tu che assomigli ad Eric.”
Alec rise, la fronte appoggiata a quella di Magnus. “Perché non stai un po’ zitto?”
“Perché non mi ci fai stare tu?”
Alec si morse il labbro inferiore, prima di baciare Magnus di nuovo. Si sentiva leggero, il suo cuore era pieno d’amore e la sua mente era, finalmente, libera. Non aveva più pensieri negativi o ansie, non aveva più paure. Era certo che Magnus fosse l’uomo giusto per lui. Ed era certo che avrebbe aspettato tre settimane prima di un appuntamento vero, ma adesso… adesso tutto questo lo rendeva l’uomo più felice della terra.
“Rimani.” Sussurrò Magnus, quando si separarono. Aveva ancora le braccia allacciate alla nuca di Alec e gli occhi chiusi. Quando li riaprì incontrò lo sguardo cervone di Alec. “Rimani.” Ripeté, “Dormi con me. Dormiremo soltanto, ma non andartene la notte prima della mia partenza. Voglio stare con te, prima di dover stare tre settimane senza di te.”
Alec gli baciò la punta del naso. “Va bene, ma andrò via prima che Erin si svegli e tornerò in tempo per accompagnarti all’aeroporto.”
Magnus sapeva che la premura che Alexander aveva nei confronti di sua figlia non avrebbe mai smesso di meravigliarlo. Altri avrebbero semplicemente visto la situazione dal loro punto di vista, Alexander metteva sempre in conto anche quello di Erin e di Magnus. E sapeva perfettamente che la priorità di Magnus era non creare confusione nella mente della sua bambina. Così si sarebbero comportati nel modo più giusto per lei.
“Mi sembra un piano perfetto.” Magnus si sollevò sulle punte per lasciargli un bacio a stampo, prima di farsi da parte per far entrare Alec in casa. Il medico si tolse il giubbotto e lo appoggiò sull’attaccapanni, mentre Magnus chiuse la porta. Non appena lo fece, sentì due braccia circondargli la vita da dietro.  
“Ti porterò del caffè a tradimento come colazione, domani.” Sussurrò Alec, lasciandogli un bacio sul collo.
Magnus fece scorrere una mano nei suoi capelli, prima di tirarli leggermente. “Fallo e la nostra storia finirà ancora prima di cominciare, pasticcino.” Si girò di trecentosessanta gradi, rimanendo inglobato nella stretta confortevole di Alec, e lo guardò in viso. Lo vide sorridere, gli vide quella luce splendente negli occhi.
Alexander era davvero la persona più bella che Magnus avesse mai conosciuto, sia dentro che fuori.
Ne era certo.
“Andiamo a dormire, tesoro.”
Alec sciolse la presa sulla sua vita e cercò la mano di Magnus, il quale fece intrecciare le loro dita.
Intrecciati e uno accanto all’altro, si diressero verso la camera da letto di Magnus.
Entrambi avevano l’impressione di camminare sulle nuvole.





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Ciao a tutti! In ritardo, come sempre e di questo mi scuso, ma ci sono! E… con una sorpresina per voi! Ve l’aspettavate? Io personalmente no, avevo programmato il capitolo nella mia testa in modo totalmente diverso, ma mentre scrivevo mi sembrava che in realtà questo potesse essere il giusto andamento. Più che altro perché temevo che l’assenza di una svolta nel loro rapporto anche in questo capitolo avrebbe reso l’andamento della storia un po’ troppo piatto e quindi ta-daaaan i Malec si sono baciati! Un piccolo bacetto e qualche altro bacio sparso qua e là – e devo ammettere che l’idea mi è venuta da Hil89 (quindi, ringrazio lei <3) che nella sua ultima recensione ha parlato di un “bacino”. Ecco, mi è scattata un po’ l’idea che potesse esserci un intermezzo, qualcosa tra la loro amicizia e l’inizio vero e proprio della loro storia d’amore. Una specie di bolla sospesa nello spazio e nel tempo dove per adesso si sono solo scambiati, appunto, un “bacino”.
La “cosa che deve succedere” di cui ho parlato fino al capitolo precedente nelle note succederà comunque, anche se devo ancora decidere bene come svilupparla!
Oltre ai Malec si sono baciati anche i Sizzy! Non sapevo bene come gestire la cosa, quindi l’ho scritto così. Anche se, ammetto, non mi convince ancora del tutto – più che altro temo di non aver resto giustizia ne a Simon né ad Izzy, quindi se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! In realtà mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di entrambe queste coppie e del capitolo in generale!
Come sempre, ringrazio chiunque legga la storia o la metta nei seguiti/preferiti e chiunque trovi il tempo per recensirla, lo apprezzo tantissimo!
Vi mando un abbraccio, alla prossima! <3



 
   
 
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