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Autore: Miharu_phos    04/11/2019    1 recensioni
“Vedi Riccardo? Adesso non fa più male come prima. Basta solo abituarsi al dolore e prima o poi riuscirai a non sentire più niente. Te lo prometto”
Dove Riccardo cerca di aiutare il povero Gabriel ma finirà per essere trascinato a fondo insieme a lui.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kirino Ranmaru, Shindou Takuto
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Riccardo frequentava la seconda media quando arrivò nella sua classe un nuovo compagno.

 

Si chiamava Gabriel Garcia ed aveva tredici anni, come Riccardo, ma presto ne avrebbe compiuti quattordici, di pari passo al resto della classe.

 

Il ragazzino nuovo era strano, sembrava diverso dagli altri compagni di classe, pensava Riccardo.

 

Era molto silenzioso, ma forse era soltanto timido perché non conosceva ancora nessuno.

 

Stava sempre solo e, forse perché non riusciva a mettersi in pari con le materie, non faceva mai i compiti assegnati per casa.

 

I professori non gli stavano troppo addosso, gli parlavano con dolcezza e non veniva mai rimproverato.

 

“Solo perché è nuovo” pensava Riccardo.

 

Quando durante le interrogazioni venivano chiamati uno ad uno gli studenti, Gabriel non veniva mai interpellato.

 

Riccardo in effetti non aveva mai sentito il suono della sua voce se si soffermava a pensarci.

 

Durante la ricreazione non mangiava nulla e, spesso, trascorreva tutti i quindici minuti concessi in bagno.

 

Tutti in classe pensavano che fosse un tantino strano ma nessuno effettivamente ci aveva mai parlato.

 

Riccardo era stranamente incuriosito da quel ragazzino, spesso si era anche chiesto se non avesse per caso dei problemi a livello mentale.

 

Se lo domandava perché alle elementari aveva in classe un bambino con problemi a cui erano riservati sempre dei trattamenti speciali, molti più di quelli riservati a Gabriel ovviamente.

 

In effetti non è che i professori facessero tutti questi favoritismi nei suoi confronti: si limitavano a lasciarlo in pace, senza mai interpellarlo o interrogarlo, quasi come se non esistesse.

 

A lui era tutto scusato, anche se si rifiutava di leggere durante le lezioni.

 

In che modo si rifiutava se non parlava mai, vi chiederete? 

 

Scuoteva semplicemente la testa, tenendo il volto basso.

 

I professori annuivano inteneriti e passavano oltre, chiamando altri compagni.

 

Ma non finiva qui.

 

Gabriel era sempre l’ultimo ad entrare ed uscire dall’aula e grazie a questa sua abitudine spesso i professori si fermavano in classe a parlare con lui.

 

Il ragazzo però raramente apriva bocca: se qualche volta lo aveva fatto era stato per pronunciare monosillabi, che Riccardo non aveva potuto ascoltare dato che l’unica angolazione da cui poteva spiarlo era fuori dalla classe, una volta suonata la campanella.

 

Certe volte Gabriel lo aveva guardato.

 

Se ne accorgeva quando qualcuno che si trovava davanti a lui lo stava spiando e rivolgeva sempre al guardone di turno uno sguardo ferito, pieno di dolore.

 

Riccardo era molto toccato da quel tipo di sguardo e per questo se capitava che riuscisse a spiarlo cercava di essere il più discreto possibile, per non offendere il compagno.

 

Se ci si trovava invece di fianco, o ancora meglio dietro di lui, Gabriel non si muoveva: avrebbe dovuto voltarsi, e non sembrava così tanto sfrontato, anzi non lo era affatto.

 

Che fosse così tanto timido da vergognarsi addirittura di un gesto tanto banale? 

 

Che non volesse sembrare irrispettoso verso l’insegnante? 

 

Insomma, il ragazzo si era veramente domandato di tutto nella propria testa, cercando di scoprire il più possibile su quel nuovo compagno che rimaneva sempre fermo e in silenzio.

 

Poi un giorno si era avvicinato ad alcuni compagni che confabulavano in gruppo, guardando ogni tanto dalla parte dove era seduto il ragazzino nuovo.

 

-Non lo avevate capito? È povero, si capisce dalla sua divisa e dalle scarpe- mormorò uno dei ragazzi, con in viso un’espressione schifata.

 

-Già ed è anche gay secondo me! Quando si soffia il naso sporca i fazzolettini di fondo tinta, lui li appallottola subito ma io lo vedo sempre- aggiunse un altro.

 

-Vuoi dire che si trucca? Che schifo!- intervenne un altro ragazzo, guardando di nuovo nella direzione di Gabriel.

 

-Che cos’hanno che non va le sue scarpe e la sua divisa?- domandò Riccardo, confuso.

 

Gabriel indossava una normalissima divisa blu e le scarpe uguali alle sue, esattamente come quelle degli altri studenti.

 

-Ma non vedi che la divisa gli sta grande? E poi guarda le scarpe, sono tutte rovinate, sono sicuramente di seconda mano- spiegò il ragazzo, facendo inarcare un sopracciglio a Riccardo che si voltò subito per controllare se fosse vero.

 

-Secondo me sono tipo di un fratello più grande o di un cugino- ipotizzò un altro degli amici.

 

Riccardo osservò attentamente l’abbigliamento del ragazzo ed appurò che in effetti la divisa doveva essere molto più grande della sua taglia e che le scarpe erano visibilmente consumate e rovinate.

 

-Vedrete quando faremo educazione fisica. Secondo me non porta nemmeno la tuta quello- disse un altro ragazzo con cattiveria.

 

-Ecco perché alla ricreazione se e va in bagno, si vergogna a far vedere che non ha niente da mangiare-  aggiunse un compagno.

 

Riccardo smise di fissare Gabriel perché, nonostante grazie alla lontananza non potesse sentire le cattiverie che dicevano di lui, il ragazzo si era accorto di essere osservato e si era messo con la testa sul banco, affondando il viso in mezzo alle braccia, come se volesse dormire.

 

-Ragazzi basta, mi sa che ci ha sentiti- disse uno dei compagni.

 

Il gruppetto si disciolse ed ognuno tornò al proprio posto, poco prima che la campanella suonasse per segnalare la fine della ricreazione.

 

Riccardo si sentiva incredibilmente in colpa verso il ragazzino nuovo perché era consapevole di aver contribuito ad offenderlo.

 

Lui avrebbe tanto voluto parlargli e farci amicizia, cercare di includerlo nella classe.

 

Ma temeva la disapprovazione dei compagni e poi, se quelle voci fossero state vere, si sarebbe vergognato a farsi vedere insieme a lui.

 

Tutti lo escludevano, lui stesso si escludeva da solo e forse lo faceva perché sapeva di essere diverso.

 

Ma Riccardo provò talmente tanta pena per lui quel giorno da non riuscire a smettere di pensarci, neanche quando ritornò a casa.

 

Il pensiero di quel ragazzino così sofferente lo affliggeva, sentiva di doverlo aiutare in qualche modo ma aveva paura.

 

Che cosa poteva fare? 

 

   
 
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