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Autore: funny1723    04/11/2019    0 recensioni
Dal testo:
"Prima della Guerra, Draco aveva una vita perfetta. Era ricco, popolare, temuto e invidiato per la purezza del sangue che gli scorreva nelle vene. Era un re in un mondo di schiavi."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Haunted heart'
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QUEEN OF PEACE








 
Oh, the king
Gone mad within his suffering
Called out for relief
Someone cure him of his grief
His only son

Cut down, but the battle won
Oh, what is it worth
When all that's left is hurt













Prima della Guerra, Draco aveva una vita perfetta. Era ricco, popolare, temuto e invidiato per la purezza del sangue che gli scorreva nelle vene. Era un re in un mondo di schiavi. Un re altezzoso, volubile, imperturbabile. Aveva sfoggiato le sue origini oscure con orgoglio, il nome dei Malfoy urlato con tracotanza. Perché non avrebbe dovuto essere fiero di chi era dopotutto? Lui che era per nascita superiore a chiunque, lui che era stato scelto dal Signore Oscuro come alfiere della sua crociata nonostante fosse ancora così giovane. Lui che mostrava il marchio nero che gli deturpava la pelle con orgoglio.
Poi era arrivata la Guerra e tutto era cambiato. Il Signore Oscuro era scomparso, ridotto ad un ricordo dai contorni di cenere e il nome dei Malfoy era diventato una macchia sulle pagine della storia. Draco si era ritrovato solo, umiliato, sconfitto. Era l’errore non calcolato di una ribellione che lo aveva visto sul fronte sbagliato. Draco era diventato l’ultimo baccello di un’epidemia ormai debellata.
Eppure, nonostante il mondo lo odiasse, nonostante la gente lo disprezzasse e deridesse, tornare ad Hogwarts per Draco non era stato difficile. Quando aveva comunicato a sua madre la sua decisione di concludere il suo percorso accademico dopo la fine della guerra, Narcissa non ne era stata affatto contenta. Aveva paura per lui, per quello che gli sarebbe potuto accadere. Ma Draco aveva insistito e così Narcissa si era ritrovata a cedere.
A volte Draco si domandava se fosse mai andata così anche con Lucius, se tutto ciò che era accaduto, tutte le scelte sbagliate, tutto l’orrore, tutto l’odio, fosse stato in parte la conseguenza della debolezza di sua madre. A volte Draco si domandava se non fosse semplicemente colpa sua e di nessun altro. Non di Lucius, non di Narcissa, non del Signore Oscuro. Neanche di Harry Potter. Forse semplicemente era lui il problema, lui il debole, lui colui che non aveva mai avuto il coraggio di dire no, adesso basta.
 A volte invece si domandava se semplicemente le cose sarebbe mai cambiate o se sarebbero rimaste così per sempre. Se lui sarebbe rimasto così per sempre.
Da quando era tornato ad Hogwarts pensare troppo per Draco era diventata una tortura autoimposta. Ogni volta che si ritrovava a dover percorrere un corridoio affollato o a sedere in mensa con gli occhi di tutti puntati addosso, le labbra serrate in un’espressione di disprezzo, dentro di sé Draco in parte si ritrovava a gioire del loro odio. Forse dopotutto sua madre aveva ragione, al disprezzo ci si abitua. Forse era per questo che tornare ad Hogwarts per Draco non era stato difficile.
O almeno non lo era stato all’inizio, prima di scoprire che anche lei era tornata. Hermione Granger, la paladina del mondo magico, la strega più brillante degli ultimi dieci secoli e il suo più grande rimpianto. Draco aveva ripensato spesso al Trio d’oro e per quanto si sentisse in colpa nei confronti di Potter o di Weasley non era niente in confronto a ciò che provava per la Granger.
Ricordare quello che le aveva fatto, quello che le aveva detto, gli faceva venire la nausea. Aveva passato così tanti anni ad umiliarla, vessarla, trattarla come se fosse inferiore… A lei che si era dimostrata la più forte fra loro, la più saggia, la più coraggiosa. A lei che aveva sacrificato tutto, perso tutto. Gli veniva quasi da ridere a volte ripensando a quanto era stato sciocco. Solo a volte però, perché di solito i sensi di colpa erano così opprimenti da impedirgli di respirare.
Quando gli altri studenti lo strattonavano nei corridoi, quando gli distruggevano le cose, quando lo denigravano, Draco si domandava se anche la Granger si fosse mai sentita così per colpa sua. La sola idea lo faceva rabbrividire. Eppure non riusciva a smettere di pensarci, di pensare a lei. Quando la notte avvolgeva silenziosa Hogwarts e il freddo impregnava ogni angolo della sua stanza, Draco si concedeva di pensare che dopotutto lui ed Hermione non erano poi così diversi, ma che anzi forse erano più simili di quanto non credesse. Entrambi orfani, entrambi soli, entrambi rotti. Entrambi vittime di un Fato cieco e implacabile.
L’idea di parlarle era sorta in lui come un rampicante nocivo, che soffoca tutto ciò che trova sulla sua strada, ed ora non riusciva a pensare a nient’altro che all’espressione che avrebbe fatto la Granger nel trovarselo davanti. Forse, si diceva Draco, lo avrebbe colpito come quella volta al terzo anno o forse gli avrebbe fatto una fattura o urlato contro o chissà magari avrebbe addirittura pianto per la rabbia. O magari semplicemente lo avrebbe ignorato e basta, sorpassandolo come se non lo avesse neanche visto, come se il fatto che lui fosse lì e fosse vivo non significasse niente per lei. Questa era l’opzione peggiore per Draco. Poteva sopportare l’odio, il disprezzo, anche la violenza se necessario, ma non il silenzio, non l’indifferenza. E benchè la voglia di parlarle fosse pressante in lui, la paura di un rifiuto lo paralizzava.
E comunque, anche se avesse mai trovato il coraggio di parlarle, non aveva idea di cosa le avrebbe mai potuto dire. Draco non era mai stato un ragazzo ingenuo, sciocco forse, superficiale, ma non ingenuo; e proprio perché non era mai stato un ragazzo ingenuo era conscio del fatto che delle banali scuse non sarebbero bastate, non con Hermione. Non dopo tutto quello che era successo, non dopo tutto quello che le aveva fatto. Spesso si diceva che era questo il motivo per cui non le aveva ancora parlato, non per codardia, ma perché non c’era niente da dire. Ma in fondo sapeva che non era vero. La verità era che Hermione Granger lo terrorizzava, perché quella esile ragazza dai denti troppo grossi e i capelli troppo crespi era l’incarnazione vivente di tutte le sue scelte sbagliate. Hermione era la dimostrazione che chiunque può diventare più di ciò che è, dare più di ciò che ha, fare più di ciò che deve. Hermione era il risultato perfetto di una società all’alba di nascere. Draco al contrario, beh, non era altro che l’ultimo scarto di una mentalità schiacciata dal progresso.
Debole, inadatto, incapace.
A volte Draco si ritrovava a pensare a tutti coloro che la fine della guerra non avevano potuto vederla. I volti esanimi di professori e studenti, a volte molto più giovani di lui, gli offuscavano la vista, tormentandolo con le promesse di un futuro felice che non avevano mai potuto realizzare. E più ripensava a loro, più si domandava perché. Perché il Fato aveva permesso una cosa del genere? Perché così tanti erano dovuti morire per poter insegnare al mondo qualcosa? Perché lui era ancora vivo mentre loro no?
A volte si diceva che forse se non aveva ancora trovato il coraggio di parlare con la Granger era anche perché temeva che anche lei si ponesse le stesse identiche domande. Temeva che anche lei si fosse data ormai da tempo la stessa identica risposta. E allora Draco non faceva nulla, non diceva nulla, rimuginava e basta, punendosi di una colpa infinita.
Le cose cambiarono drasticamente due settimane prima di Natale. Draco era seduto ad un tavolo appartato ai Tre Manici di scopa. Fra le mani stringeva una burrobirra ormai fredda che non aveva neanche sfiorato e con lo sguardo vagava da un tavolo all’altro, beandosi della sua solitudine e del dolore che essa comportava. Consapevole di meritarsi ogni attimo di quella esclusione autoimposta.
Non sapeva cosa lo spingesse ad andare ogni sera in quella piccola taverna rustica, eppure il vedere tutte quelle persone gioiose e felici lo attirava come una lanterna fa con una falena. Amava vedere che la guerra non era stata la fine dopotutto – o almeno non per tutti – e che anzi, la vita andava avanti più vivida ed elettrizzante che mai. Amava sapere che anche la sofferenza prima o poi finisce, che tutto il dolore e la violenza non avevano portato ad altri orrori, ma alla pace perpetua. O almeno così era stato per gli altri.
La voce possente della barista sovrastò per un istante tutte le altre nel chiamare l’ultimo giro. Draco come al solito restò fermo al suo posto, in attesa che il locale si svuotasse completamente prima di andarsene.
Fu quando rimasero solo poco più di una ventina di persone che la vide. Hermione Granger era seduta a due tavoli di distanza dal suo. Attorno a lei un gruppo sostanzioso di studenti e studentesse chiacchierava animatamente, ma lei non sembrava affatto interessata al discorso. Si guardava attorno con aria annoiata, come se l’essere lì o in un qualsiasi altro posto non le facesse né caldo né freddo.
Il sangue gli si ghiaccio nelle vene. Era così vicina, così maledettamente vicina.
Una parte di lui voleva alzarsi e andare da lei, parlarle, chiederle perdono, ma un’altra parte gli diceva che non aveva il diritto di farlo, che non aveva il coraggio. E come sempre, nell’indecisione Draco si limitò a restare immobile, incapace di fare o dire qualunque cosa. Rimase semplicemente lì, a fissarla.
Poi semplicemente accade l’unica cosa a cui Draco non aveva mai pensato, lo scacco matto del pedone che il re non considera mai. Hermione lo vide.
Il cuore di Draco smise di battere e per un istante tutto si fece astratto ai suoi occhi. I ricordi di ciò che era accaduto lo travolsero ancora una volta, più forti, più vividi, più violenti di quanto non avessero mai fatto. Poi tutto divenne silenzio sordo nella mente di Draco. Chiuse gli occhi, le palpebre serrate, la fronte contratta. Non poteva essere vero, non poteva star accadendo.
Quando li riaprì, Hermione era ancora lì e lo stava ancora fissando. E Draco non sapeva con certezza se era impazzito o se stava vivendo in un’allucinazione, ma lo sguardo che Hermione gli rivolse non era affatto come se l’era aspettato. Non c’era odio nei suoi occhi, non c’era indifferenza. Era come se-
No, era una cosa impossibile, doveva star interpretando male.
Eppure…
Eppure lo sguardo che Hermione gli rivolse non sembrava volerlo mandare al diavolo, anzi. Quello che Draco lesse negli occhi di Hermione Granger non fu perdono, certo, ma fu sollievo.
Sono felice tu sia vivo, sono felice tu sia qui, nonostante tutto.
Draco si ritrovò a farle un cenno col capo mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Si disse che forse, anche se non c’era niente da dire, quello sarebbe stato sufficiente, si disse che forse, proprio perché non c’era niente da dire, quello sarebbe stato sufficiente. Niente lunghi discorsi, niente suppliche stucchevoli, niente frasi fatte, solo quello. Solo uno sguardo che non fosse offuscato dall’odio.
Il cuore gli si fece leggero e per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, Draco Malfoy si concesse di smettere di pensare.        
 
   
 
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