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Autore: IndianaJones25    06/11/2019    5 recensioni
Dopo quasi quarant’anni, Indiana Jones fa ritorno sulle alture interne del Perù per raggiungere ancora una volta il tempio dei Chachapoyan dove, in gioventù, tra mille difficoltà, rinvenne l’idolo d’oro della fertilità. Ma nel tempio era celato molto più di una piccola e semplice statua d’oro, qualcosa di davvero unico e prezioso: un sorprendente segreto, rimasto custodito in quel luogo per migliaia di anni, che l’anziano archeologo intende finalmente riportare alla luce.
In questa nuova occasione, però, ad accompagnarlo ci sarà sua figlia, perché solo unendo le forze i due Jones potranno svelare quell’antico mistero, che sembra provenire da una galassia lontana lontana...
Genere: Avventura, Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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2 - SOTTO IL TEMPIO

       Facendosi largo a fatica tra gli alberi contorti e i rampicanti fittissimi che si erano inesorabilmente impossessati di quello che, in passato, era stato il tempio, si portarono sul versante opposto rispetto all’ingresso, dove erano ancora visibili grossi pietroni squadrati e ricoperti in gran parte di erbe e muschio.
       Si trattava decisamente di una costruzione ciclopica, un’opera di raffinata ingegneria antica che l’uomo moderno, abituato a compiere i lavori più pesanti con l’ausilio delle macchine e dell’elettricità, non sarebbe più stato in grado di replicare, nemmeno in un secolo di dure fatiche. Ma gli uomini antichi, privi delle conoscenze e delle comodità del XX secolo, non avevano incontrato alcun tipo di difficoltà nel mettere in pratica ciò che, per loro, era in fondo la normalità.
       «Ci siamo» sbuffò finalmente l’archeologo, fermandosi di nuovo e facendo scorrere lo sguardo lungo quei blocchi di pietra che sembravano essere lo scheletro stesso della terra.
       «Ci siamo?» ripeté Katy, interdetta, guardandosi attorno.
       Erano sul retro del tempio, questo le era chiaro, ma le era altrettanto chiaro che non sarebbero mai potuti penetrarvi da lì, a meno che suo padre non stesse pensando di rimuovere una ad una quelle pesantissime pietre, un lavoro che, di certo, non avrebbero mai potuto compiere in due soltanto, perlomeno senza pensare di restare bloccati in quella foresta per il resto dei loro giorni. «Ci siamo dove, Old J?»
       «Ho compiuto delle ricerche, in questi ultimi anni» mugugnò in risposta Jones, sedendosi con un certo sollievo sopra uno dei pietroni; gli anni passavano e cominciavano a farsi sentire anche per un duro come lui, per quanto fosse brutto ammetterlo, «ed ho scoperto che, l’idolo d’oro, non era l’unico oggetto che i Chachapoyan veneravano come piovuto dalle nubi.»
       «Con tutte le nubi che ci sono da queste parti» commentò ironicamente Katy, volgendo uno sguardo sulla nebbiolina che lambiva i rami bassi e contorti delle piante, ovunque si guardasse, «chissà quanta roba ne è caduta fuori. Anche una pera matura, a questo punto, potrebbe piovere dal cielo…»
       «Sei sempre la solita» la rimproverò dolcemente suo padre, elargendole uno dei suoi sorrisi simili a smorfie. «C’era anche altro, a quel che ne ho saputo. Qualcosa che, stando alle storie, venne sepolto in profondità proprio qui, sotto il luogo in cui, poi, loro costruirono il loro tempio.»
       Alzatosi di nuovo in piedi, l’archeologo esaminò lentamente e con accuratezza le pietre, toccandole adagio ed osservando con una certa concentrazione meditativa il terreno su cui erano poggiate, sotto gli occhi curiosi della figlia che, non capendo bene che cosa stesse cercando, si era rimessa un dito in bocca con aria meditabonda; infine, con sguardo enigmatico, Indy tornò a rivolgerle la sua attenzione.
       «Vedi, il tempio, l’idolo, i trabocchetti mortali e quasi impossibili da superare… non erano altro che trappole… semplici specchietti per le allodole! La statuetta era difesa così bene che, chiunque, capitando davanti, avrebbe creduto che fosse solo quella, l’unico tesoro nascosto da queste parti. Ma non era così, adesso lo so, anche se mi ci sono voluti quasi quarant’anni per rendermene conto. Il vero tesoro era celato in profondità, dove nessuno sarebbe andato a cercarlo, perché nessuno avrebbe mai neppure creduto che potesse esserci.»
       La ragazza si mise a sedere sopra una delle pietre e riprese a giocherellare con le proprie ciocche nere, mentre gli occhi le lampeggiavano per la grande emozione.
       «Un tesoro? Che genere di tesoro, Old J? Oro, gioielli, statue d’argento…?»
       Ma suo padre scosse il capo, tornando a sedersi al suo fianco e fissando lo sguardo lontano, verso un’epoca indefinita, che trascendeva dai confini materiali dello spazio e del tempo per fondersi nel regno dei sogni e dei miracoli.
       «Nulla di tutto questo, Katy» mormorò, sfilandosi per un momento il cappello e lasciando che la poca aria, umida e rarefatta, gli rinfrescasse i capelli quasi completamente bianchi e appiccicati dal sudore. «Vedi, la leggenda narra che, un giorno di tantissimi anni or sono - forse, addirittura di parecchi millenni fa - uno strano uccello dalla scia azzurra e dal gracidio simile al vento uscì dalle nuvole e si posò in questa zona. Nel becco teneva l’idolo d’oro, mentre dalla sua pancia fumante vomitò un uomo d’oro ed un piccolo nano bianco e luccicante, accompagnati da un gigantesco essere coperto da una foltissima pelliccia.»
       Katy ridacchiò. «Di storie simili ce ne sono a bizzeffe nelle antiche mitologie. Ne ho trovate parecchie, nei miei libri!»
       «Questa, però, potrebbe essere vera» obiettò suo padre, gettandole un’occhiata di sbieco.
       «Sì, certo, come no. Hai mai sentito come sarebbe stata fondata Tiahaunaco, in Bolivia?»
       «Ovviamente, ci sono stato parecchie volte per compiervi degli studi e…»
       «E non vorrai farmi credere che ci sia qualcosa di vero, Old J!» sbottò Katy, così catturata da quella dissertazione da aver persino lasciato perdere unghie e capelli. «Una donna discesa dal cielo che, unendosi con un tapiro - no, dico, un tapiro! - avrebbe generato gli esseri umani!» Non riuscendo a resistere oltre, si lasciò andare ad una lunga e argentina risata. «Ma tu riesci a immaginartela, una donna che se ne va a letto con uno di quegli affari grassocci e grugnenti con il nasone?!»
       Indy ammiccò, con un certo divertimento. L’allegria ed il senso dell’umorismo spesso sfacciati e insolenti di sua figlia erano davvero contagiosi ed era spesso difficile riuscire a resistervi. Tuttavia, con uno sforzo, riuscì a mantenere una certa serietà e una sorta di distacco accademico.
       «D’accordo, certe antiche leggende sono talmente assurde e fuori da ogni logica che, a volte, mi viene persino il dubbio che non siano affatto leggende, bensì semplici storielle messe in giro da nostri fantasiosi contemporanei per attirare qualche turista in più o per riempire qualche volume di storie improbabili da vendere ai creduloni» ammise, con la voce colma di sarcasmo.
       Katy fu costretta a ficcarsi un pugno sulle labbra per riuscire a smettere di ridere.
       «Per fortuna che lo dici» esclamò, prima di rimettersi in bocca un dito, questa volta il medio, e riprendere a dedicarsi al suo passatempo preferito, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia del padre, che scosse il capo con rassegnazione.
       «Comunque, lasciami continuare e poi mi dirai se questa leggenda ti pare troppo sciocca o meno» la invitò lui. Ritrovato il filo dei propri pensieri, ricominciò: «I Chachapoyan, atterriti da quella visione, si diedero alla fuga, ma l’uomo d’oro li richiamò indietro con gentilezza. Egli parlava alla perfezione la loro lingua, così gli indiani poterono comprendere tutte le sue parole. L’uomo d’oro disse che lui, il piccolo nano bianco ed il mostro di peli avevano ricevuto due compiti molto importanti, ossia quello di nascondere la suprema potenza dove nessuno avrebbe più potuto trovarla ed utilizzarla per scopi malvagi e quello di preservare la memoria affinché sopravvivesse intatta attraverso il tempo, così che gli errori del passato non si ripetessero mai più; per questo motivo, dunque, erano stati inviati fin lì a bordo del grande uccello dalla scia azzurra, attraverso le immense e fredde distese siderali, rischiarate soltanto dalla flebile luce delle stelle. Avevano condotto altrove la suprema potenza - il grande emanatore di energia, come lo chiamava l’uomo d’oro - celandolo in terre desertiche, al di là del mare, ma i tre viaggiatori avrebbero affidato ai Chachapoyan la memoria da preservare, l’onore più grande, ed avrebbero mostrato loro come fare a nasconderla ed a mantenerla integra. In cambio dei loro preziosi servigi, essi avrebbero ricevuto in dono l’idolo che l’uccello teneva nel becco. Ma non solo: anche il grande uccello, ed i tre viaggiatori celesti, avrebbero soggiornato per sempre in queste terre, tra le foreste e le montagne dei Guerrieri delle Nubi.»
       «È una leggenda come un’altra» concluse Katy, con un’alzata di spalle, togliendosi di bocca il dito ed osservando con un certo distacco il frutto del proprio lavoro. «Ne ho lette tante, di questo genere, come ti ho detto. Uomini o donne discesi dal cielo per creare la razza umana, o per portare la conoscenza, o per qualche altro motivo ancora, e che poi sarebbero stati venerati come dèi… Jennings ci ha spiegato che i popoli antichi creavano miti come questi per poter raccontare le proprie origini e per dare una spiegazione a tutti quei fenomeni della natura altrimenti inesplicabili. La mente degli uomini è sempre stata capace di dare origine alle più ardite fantasie, qualsiasi fosse l’epoca. Alla fine, i miti antichi sono come i fumetti di oggi, per come la vedo io: è come se, tra due o tremila anni, qualcuno rinvenisse qualche libricino di Walt Disney e si convincesse che noi veneravamo un topo con i pantaloncini rossi o un papero vestito da marinaio.»
       Jones fece un mezzo sorriso. «Il tuo professore di filosofia la sa lunga, ne convengo, e anche tu hai le idee parecchie chiare, non posso nasconderlo. Una volta, figliola, ero anche io un empirico razionalista come sei te o come Jennings. Tutto ciò che non poteva essere spiegato non poteva esistere o, se proprio scoprivo che esisteva, doveva per forza avere una spiegazione logica, per quanto essa fosse sfuggente e difficile da trovare. La mia unica fede era riposta in ciò che poteva essere visto con gli occhi e toccato con mano. Nulla per me era inspiegabile, bensì solo inspiegato.»
       Katy alzò un sopracciglio, meravigliata. «Non dirmi che, adesso, hai cambiato idea!» Cambiò tono della voce, assumendone uno decisamente più pomposo, quasi ad imitare un presentatore televisivo: «Il celebre professor Jones, l’irriducibile cercatore dei fatti concreti nonché oppositore delle verità rivelate, si piega di fronte ai misteri divini! Il suo spirito razionale crolla davanti all’inspiegabile! Prossimamente nei migliori cinema!» Si interruppe, con un’altra di quelle sue risate squillanti e così potenti da toglierle il respiro e farle lacrimare gli occhi.
       «Non ho cambiato idea proprio per nulla!» si schermì suo padre, ridacchiando a sua volta. «Eppure, sarei un pessimo bugiardo se negassi di avere visto, nel corso della mia vita, tali e tante cose strane da dovermi almeno in parte ricredere. Per quanto sia difficile ammetterlo, ho finito con il convincermi che il tutto non si limiti al mondo fisico, bensì possa in qualche modo trascendere ed andare oltre, verso una dimensione per noi attualmente incomprensibile.» Indy le puntò addosso un dito ammonitore, calandosi appieno nei panni del docente, quasi a volerle dimostrare che lui non aveva proprio nulla da invidiare al suo professor Jennings. «Ma, bada bene, non sto parlando per forza di una dimensione mistica, giacché, se poniamo il costrutto che una cosa sfugga alla nostra comprensione, ne possiamo semplicemente dedurre che ciò sia legato al fatto che la mente umana, qualche volta, sia incapace di gestire certe incommensurabili misure; è esattamente come quando si tenta di calcolare in termini prettamente matematici la vastità dell’universo, ma si finisce con lo scontrarsi con cifre in pratica inimmaginabili e…»
       La ragazza sbuffò sonoramente, facendo quasi una pernacchia.
       «Old J, per favore, risparmiami almeno le lezioni di matematica… ad ascoltarti pare davvero di essere ancora in aula, per di più con un insegnante che abbia fatto dell’intero scibile la propria materia d’elezione!» esclamò, esasperata. Poi, fatto un altro sorrisetto sarcastico, aggiunse: «Certo che se dovevo arrivare in mezzo alla foresta e sedermi su una pietra squadrata da uomini morti da secoli per scoprire che, in fondo, anche se non va mai in chiesa e quando si arrabbia bestemmia come un turco, mio padre è un uomo religioso e credente…»
       Calcatosi di nuovo in testa il cappello di feltro, Jones balzò in piedi con agilità - anche se dovette sforzarsi con tutto se stesso per ignorare le proprie giunture che cigolarono lugubremente - e rivolse alla figlia uno sguardo carico di una certa solennità.
       «Religioso, mai!» sottolineò, con decisione. «Credente… dipende tutto da quello che intendi con tale definizione. Io, da parte mia, preferisco qualificarmi come curioso di qualsiasi cosa sia relativa la natura e l’essere umano! Il fatto è, Katy, che io non sono certo di nulla, il che mi spinge a una continua ricerca nei riguardi di qualsiasi cosa possa essere studiata, analizzata e approfondita, pur sapendo che, nonostante ciò, non si potrà mai averne una certezza assoluta. E, in fondo, non essere assolutamente certi è una delle cose essenziali della razionalità
[1]
       Detto questo, si diresse a passo rapido, anche se un po’ barcollante, verso un punto che, a prima vista, a Katy, che lo seguì immediatamente, desiderosa di scoprire che cosa avesse in mente, parve non avere in sé nulla di speciale, né distinguersi da ogni altro anfratto lì nei pressi. Tuttavia, Indiana Jones non era uno sprovveduto e sapeva con esattezza che cosa stesse cercando: dopo aver tastato con le mani, rimosse alcune zolle di terra ricoperte di muschio e liberò quello che, a tutti gli effetti, sembrava uno strano cunicolo, un cunicolo che scendeva in profondità sotto le viscere del tempio.
       «Come lo sapevi?» domandò la giovane, estasiata ed incredula di fronte a quella scoperta a cui lei non sarebbe mai riuscita ad arrivare.
       «Katy, Katy… ho una leggerissima esperienza, per queste cose…» minimizzò il vecchio, senza voltarsi.
       Sotto lo sguardo attento della figlia, Indy studiò con accuratezza il passaggio, da cui proveniva un forte odore di muffa e di chiuso. Era piuttosto stretto ma, strisciando e trascinandosi sulle ginocchia - e, nel suo caso, trattenendo anche un po’ la pancia che, a causa di qualche calice di vino della California con cui aveva esagerato ultimamente a tavola, non era più proprio filiforme come in passato - sarebbero riusciti ad attraversarlo entrambi, senza incorrere in alcun tipo di incidente. Certo, appariva tetro e buio e neppure troppo invitante ma, per fortuna, avevano portato con sé delle torce elettriche che avrebbero permesso di illuminare il cammino.
       A questo punto, l’archeologo tornò a volgersi verso la figlia, guardandola con una certa titubanza e domandandosi che cosa avesse intenzione di fare. Non poteva certo dimenticare che, quella che era venuta con lui, era un’adolescente piena di paturnie, non un vecchio avventuriero un po’ folle, pronto a gettarsi nella mischia senza mai porsi troppi problemi riguardo a quello che stava per compiere.
       «Io entro» annunciò, risoluto. «Tu te la senti di seguirmi, o preferisci rimanere qui ad attendere il mio ritorno? Non voglio obbligarti a fare qualcosa contro la tua volontà…»
       Katy ricambiò il suo sguardo, fingendosi offesa da quella domanda. Era giunta fin lì dagli Stati Uniti e certo non voleva proprio arrendersi sul più bello, come se un po’ di polvere o di ragnatele potessero spaventare una come lei!
       Evidentemente, la sua occhiata fu alquanto eloquente, molto più di mille parole, poiché Jones commentò senza perdere tempo: «Come non detto. Io vado per primo, tu stammi dietro e cerca di mettere i piedi dove li metto io. E, se vedi qualcosa di strano o che non ti torna, mi raccomando, avvertimi senza toccarlo! Mi ricordo che una volta, nel 1926, misi una mano dove non dovevo e…» Si interruppe, prima di concludere in maniera spiccia: «Insomma, bisogna che tu faccia la massima attenzione!»
       «Agli ordini, professore!» replicò lei allegramente, tutta eccitata all’idea di star sfidando per la prima volta in vita sua l’ignoto più vero e totale. Era un’esperienza nuova, ma era ciò che sognava fin da quando, ancora bambina, suo padre aveva cominciato a intrattenerla con i racconti delle sue passate avventure, reali o inventate che fossero; e ora, finalmente, era in procinto di prendere parte anche lei a una di quelle grandissime imprese. Il battito del suo cuore accelerò come impazzito al solo contemplare quell’idea.
       Prima di partire, però, Indy scrutò con parecchia disapprovazione la camicia troppo sbottonata di Katy. Generalmente, quando si trattava di altre donne o di altre ragazze, era una vista che apprezzava parecchio e, anzi, si sforzava anche con lo sguardo per scoprire se si riuscisse a scorgere pure una parvenza di capezzoli, nascosti là sotto da qualche parte; era una sua deformazione professionale a cui, anche col passare degli anni e pur essendo felicemente sposato, non era ancora riuscito a rinunciare - e, con mille probabilità, non ci sarebbe mai riuscito, neppure quando avrebbe compiuto cento anni. Ma, in quel caso, si trattava di sua figlia e, anche se al momento non c’era in giro proprio nessuno a gettarle occhiate indiscrete nella scollatura, quella cosa gli sembrava quanto meno intollerabile.
       «E vedi di coprirti come si deve!» abbaiò. «Non mi pare proprio il caso che una ragazza per bene se ne vada in giro conciata in quella maniera!»
       Katy alzò gli occhi al cielo, contrariata da quell’ennesimo rimprovero.
       «Old J, ti ho già detto che qui non c’è nessuno a guardarmi le…»
       «Prima di tutto» la ammonì lui, alzando un dito, «se proprio vuoi dire una parola, devi dire seno, esattamente come fanno tutte le ragazze bene educate, senza bisogno di essere sempre volgare!»
       «Non è una volgarità!» insistette lei. «La mamma dice sempre tette! Che male c’è a chiamare le cose con il loro nome?»
       «In secondo luogo» alzò la voce suo padre, ignorandola e sollevando un secondo dito, «non è perché qualcuno potrebbe guardarti, che lo dico - anche perché, se osassero anche solo pensare di farlo, poi dovrebbero vedersela con me! - bensì per la tua salute! Là sotto farà di sicuro freddissimo e ci sarà un’umidità tremenda, e non voglio certo che ti buschi un accidente. Quindi, abbottonati fino al collo e smettila di disobbedirmi!»
       Con una smorfia, la ragazza fu costretta ad obbedirgli, richiudendo i bottoni della camicia; però, non appena lui si fu voltato, gli indirizzò una linguaccia e si affrettò a slacciarsi di nuovo.
       In quanto all’archeologo, munitosi della torcia elettrica che, fino a quel momento, aveva tenuto nella borsa che portava a tracolla, si cacciò senza più esitare nello stretto pertugio, cominciando ad avanzare lentamente tra le pareti di roccia strettissima, che di sovente lo obbligarono a trattenere il respiro per riuscire a passare. Katy, che a sua volta aveva afferrato la torcia che portava infilata nella cintura dei jeans, lo seguì subito, senza una traccia di esitazione.
    Non appena furono entrati, i mille diversi suoni della foresta cessarono completamente di echeggiare nei loro timpani e a circondarli rimasero soltanto il silenzio ed il buio, rotti soltanto dai rumori che provocavano muovendosi e dai fasci delle loro lampade.
       Indy si trovò spesso costretto ad abbassare il busto e le spalle, altre volte addirittura ad avanzare in ginocchioni, mettendo a durissima prova le sue vecchie e logorate ossa, ma non si fermò mai, neppure quando urtò con un gomito una pietra piuttosto aguzza, provocandosi una fitta che lo fece imprecare sottovoce.
       «Cristo santissimo ed eterno…» brontolò, impossibilitato dal poco spazio persino ad allungare la mano per massaggiarsi la parte dolorante.
       Appena dietro le sua schiena, decisamente più piccola e minuta, Katy avanzava con molta più agilità di lui, costringendosi il più delle volte a soffocare la risata che gli provocavano la vista della goffaggine di suo padre e l’udire i suoi continui mugugni. Forse, in gioventù, era stato veramente un uomo atletico e tonico, come amava spesso ripeterle; ma, adesso che gli anni gli pesavano addosso, sembrava quasi ridicolo vederlo contorcersi a quel modo.
       Eppure, non poteva neppure negare di essere profondamente ammirata per quell’uomo straordinario che non si fermava mai, che andava avanti senza sosta, senza mai esitare, ancora colmo dell’entusiasmo di sempre nel trovarsi di fronte ad una nuova e potenziale scoperta; era come se l’archeologo non fosse mai invecchiato, come se i suoi capelli quasi bianchi fossero rimasti sempre scuri e il suo volto non si fosse ricoperto di rughe. E doveva anche ammettere che emanava un immenso fascino con quel suo coraggio da vendere, e quel fascino si traduceva facilmente in rispetto e, soprattutto, in sicurezza. Katy era certa che, da sola, non avrebbe mai trovato l’audacia necessaria ad affrontare quel buco nero e soffocante che pareva perdersi nel ventre misterioso della terra ma, in compagnia di suo padre, di Indiana Jones, si sarebbe sentita abbastanza sicura per arrivare persino sulla luna.
       Insomma, lui poteva anche essere un vecchio brontolone e lei poteva mostrarsi quanto voleva irrispettosa nei suoi confronti, ma di una cosa era certissima: si sentiva immensamente orgogliosa di essere sua figlia e non avrebbe mai e poi mai desiderato fare cambio con qualcun altro.
       Proseguirono nel buio, a stento rischiarato dalla flebile luce delle torce elettriche, per un tempo che parve interminabile, che di certo non avrebbero saputo quantificare; senza punti di riferimento, là sotto un minuto poteva equivalere a un’ora o anche a molto di più, per quello che ne sapevano.
       La stretta galleria si faceva ora ripida ora piana, compiva svolte complicatissime, si alzava e si abbassava, si allargava per qualche metro e tornava repentinamente a restringersi; e più proseguivano e più Katy si domandava come avessero fatto degli uomini a scendere là sotto prima di loro, in antichità.
       «Secondo me, da queste parti, non è mai passato nemmeno un topo» ansimò, cominciando ad avvertire la mancanza d’ossigeno e parendole che fosse già trascorso un tempo incredibilmente lungo dall’ultima volta che aveva visto il sole.
       Quei dubbi, tuttavia, non sfiorarono neppure per un momento la mente di suo padre, sicuro oltremodo di essere sulla strada giusta. Era come se il vecchio archeologo, con il suo fiuto da segugio per quando si trattava di effettuare nuove e mirabolanti scoperte, se lo sentisse nel cuore che, al termine di quel passaggio, avrebbe trovato tutte le risposte che cercava.
       «Sono sicuro di quello che faccio!» replicò, sbuffando leggermente. «Te l’avevo detto che non sarebbe stata una passeggiata. Se vuoi, puoi sempre tornare indietro e aspettarmi fuori, a crogiolarti al caldo del sole…»
       Katy dimenticò immediatamente la fatica.
       «Allunga un po’ il passo, Old J, che mi stanno venendo i crampi a procedere alla tua velocità da tartaruga artritica! E, se proprio, torna indietro tu, se hai tanta voglia di prendere il sole!»
       L’archeologo ghignò, senza fermarsi. Ormai, sapeva benissimo come conquistare l’attenzione della sua ragazza e a farle passare ogni parvenza di stanchezza o di desiderio di gettare la spugna.
       «Piuttosto che metterci a fare una gara, prova a riflettere su chi potrebbe aver costruito questo passaggio, quando e, soprattutto, perché» la consigliò, sperando di stimolare ulteriormente la sua curiosità.
       Perché, in fondo, il vero ed unico trucco per poter andare sempre avanti era soltanto questo, questo e nessun altro: porsi sempre nuove domande, essere curiosi di tutto, aspirare alla conoscenza, a un sapere sempre più alto e sconfinato, perché, in caso contrario, non si sarebbe mai potuto sperare di ottenere delle risposte.
       Risposte… risposte che, comunque, spesso non si facevano vedere neppure da lontano, limitandosi a instillare nuovi dubbi e ad alimentare nuovi quesiti; ma, in fondo, era proprio questo il segreto della vita, nonché del sapere umano: non trovando le risposte che si stavano cercando, si proseguiva oltre, certi che, prima o poi, qualcosa lo si sarebbe senza dubbio scoperto, di qualsiasi cosa si trattasse. E nuove scoperte, del resto, avrebbero condotto a nuovi quesiti, per i quali la ricerca sarebbe dovuta proseguire, in una spirale infinita che, a un certo punto, sarebbe ritornata su se stessa, come un cerchio, senza mai avere un vero inizio o una vera fine. Tutto quanto era in divenire e anche il desiderio di conoscere doveva sottostare a questo fatto inoppugnabile.
       Indiana Jones aveva trascorso tutta la vita andando alla ricerca di qualcosa; non importava esattamente che cosa, purché fosse da cercare. Molte cose le aveva trovate, altre se l’era viste sfuggire per un soffio, altre ancora era sicuro che non le avrebbe incontrate mai, impossibilitato a dire se esistessero davvero, celate da qualche parte, o fossero il semplice frutto di una fantasia troppo galoppante. Ma, l’importante, in ogni caso, era non arrendersi per nessun motivo, di fronte a nulla, perché lo scopo della vita umana, a conti fatti, era solamente quello di cercare, di lavorare per tentare di accrescere le proprie conoscenze, sfidando anche i propri limiti pur di giungere alla meta - o di non giungervi mai, questo non aveva alcuna importanza. Molto spesso, infatti, non è la destinazione, quella che conta, bensì il viaggio per potervi arrivare, anche se, in certi casi, non è affatto male potersi fermare per contemplare, con una certa soddisfazione personale, il risultato dei propri sforzi e della propria testardaggine.
       Ed ora, arrancando in quella fenditura sempre più calda e soffocante - altro che freddo e umidità: adesso, con indosso il suo pesante giubbotto di pelle ed il cappello di feltro, invidiava profondamente la semplice e leggera camicetta mezza slacciata della ragazza - sperò di star trasmettendo quello stesso amore per il sapere alla figlia; perché, nel profondo del proprio cuore, era certo che Katy, che incarnava il meglio di lui e di Marion, si sarebbe di sicuro fatta valere ed avrebbe potuto prendere benissimo il suo posto quando, per lui, fosse giunto il momento inevitabile di mettersi definitivamente da parte. Aveva altri due figli, d’accordo, ma dentro di sé sentiva che sarebbe stata proprio Katy a seguire le sue tracce, l’erede che avrebbe ripercorso quelle orme che lui aveva già tracciato nella terra; ed ora poteva anche invecchiare senza rimpianti, sicuro che, tutte quelle scoperte che, per un motivo o per l’altro, non era riuscito a portare a termine in vita sua, sarebbero in qualche modo state rilevate e portate avanti dalla ragazza.
       Per il momento, tuttavia, lui era ancora lì, saldo come sempre - magari solo appena un poco dolorante e affannato - e quel passerotto appena uscito dal nido che era Katy ne aveva ancora parecchia di strada, da percorrere, prima di riuscire a volare alto e solitario come quell’aquila che era lui. Ma, da parte sua, le avrebbe insegnato ogni trucco e ogni tecnica per permetterle di raggiungerlo con più fretta e maggiore facilità.
       «Di sicuro erano uomini molto piccoli e amanti dei luoghi inospitali!» borbottò lei, per tutta risposta. «Mi si stanno lacerando le mani, a furia di aggrapparmi!»
       Indy ghignò un’altra volta divertito, nell’udirla lamentarsi a quel modo.
       «Se tu mi dessi retta e ti togliessi quella brutta abitudine di mangiarti sempre le unghie, ora le tue dita funzionerebbero alla perfezione e ti appiglieresti senza problemi come faccio io» commentò, con tono sarcastico.
       «Uff… Old J, sei noioso!» sbuffò Katy. «Almeno, sapresti dirmi dove siamo diretti, di preciso? O credi che dovremo camminare fino al centro della Terra? Lo hai letto il libro di Verne? Alla fine, i protagonisti vengono sputati fuori dal Vesuvio insieme a una colata di lava, ma non ci tengo affatto a provare anche io una simile esperienza!»
    «Era lo Stromboli» la corresse lui, con tono paterno. «Pare che conosca molto meglio io di te, le tue letture preferite.»
    «Di certo le mie letture preferite sono mille volte meglio di quelle di Abner!» ribatté la ragazza, con il tono cinico di chi si appresti a rivelare un segreto scottante. «Perché tu e mamma non lo sapete, ma lui nasconde sotto il letto alcune copie di Penthouse e le tira fuori quando pensa che io non sia nei dintorni a spiarlo per… ma che schifo, non voglio nemmeno dirlo! L’avrò visto fare quelle oscenità mille volte!»
    «Katy!» la richiamò Indy. «Non puoi violare in questo modo l’intimità di una persona, sia anche quella di tuo fratello. Non è giusto!»
    «È colpa mia se abbiamo una sola stanza e lui ci fa delle schifezze?» ribatté lei, aspra.
    «Certo che no, nessuno ti sta dando la colpa» replicò Indy, spingendo con le mani alcuni detriti che si erano accumulati nel passaggio, impedendo di proseguire. Non appena la strada fu di nuovo libera, continuò: «Ma devi capire che Abner è in una fase un po’ difficile della sua vita e che quando un ragazzo raggiunge quell’età comincia ad avere certe pulsioni che…»
    «Per me sono schifezze!» lo interruppe Katy, decisa ad avere l’ultima parola. «E, comunque, dovrebbe avere almeno la decenza di controllare che io stia davvero dormendo, o non lo stia guardando da dietro la porta, prima di farle. Non ti pare?»
       Suo padre, seppure tentato di replicarle ancora - le occasioni di poter parlare con sua figlia, quando erano a casa, erano davvero poche, a causa del suo carattere difficile, e quindi non gli pareva vero di star conversando così a lungo con lei, anche se in un contesto alquanto insolito - non le rispose, perché si trovò ad affrontare un punto particolarmente complicato del cunicolo, che richiese tutta la sua concentrazione per non correre il rischio di rimanere incastrato; inoltre, sentì che molto presto tutte quelle cattiverie sul fratello - presunte o reali che fossero, a lui non importava affatto saperlo, anche perché non poteva dimenticare di essere stato adolescente anche lui - sarebbero passate in secondo piano, o sarebbero state scordate del tutto, perché ben altro si sarebbe presentato alle loro menti, distraendoli da ogni altra cosa.
       Era una sensazione, nonché una certezza, stranissima, d’accordo, ma se la sentiva scorrere nel sangue che pompava sempre più forte, colmo di quella scarica di adrenalina e di eccitamento che lo coglieva sempre in quei momenti, quando l’odore concreto e tangibile della Storia gli si approssimava alle narici, come se col tempo fosse divenuto una sorta di cane da fiuto, per quel tipo di cose.
       Come se la roccia stessa avesse voluto dargli ragione, all’improvviso il pertugio si aprì in una vastissima cavità sotterranea, in parte al buio ed in parte illuminata da alcuni spiragli di luce che piovevano dall’altissima volta che, in certi punti, era aperta, lasciando passare, oltre alla flebile luce del giorno, anche le radici degli alberi e gocce di umidità che zampillavano al suolo creando un rumore costante e ritmato.
       La luce, riflettendosi sopra numerosi quarzi saldamente ancorati alle pareti, donava a quel regno sotterraneo un effetto iridescente, mentre alte colonne di roccia, alternandosi a stalagmiti e stalattiti, rendevano ancora più incredibile quel luogo, che pareva l’abitazione di un misterioso genio delle profondità.
       Era un vero e proprio capolavoro della natura dimenticato da secoli, un santuario dell’armonia dove solamente pochissimi uomini potevano raccontare di essere stati, ma non fu questo ad attrarre gli occhi meravigliati di Jones e di sua figlia; tutta la loro attenzione, infatti, fu subito catapultata verso le pareti rocciose, ricoperte di una fitta e complicata grafia. Una scrittura che Katy non aveva mai veduto prima ma che, invece, l’archeologo riconobbe a prima vista.
       «Quella è la lingua dei Chachapoyan» spiegò a bassa voce, indirizzando il fascio di luce della torcia in quella direzione e facendolo scorrere sulle lunghissime frasi.
       «Quindi è vero che, qui sotto, c’è stata della gente!» esclamò meravigliata la giovane che, come previsto, aveva già scordato Abner e i suoi torbidi adolescenziali. «Avevi ragione, Old J…»
       «Io ho sempre ragione» puntualizzò con una certa ironia suo padre, prima di riprendere a spiegare: «I Chachapoyan, che erano chiamati anche Guerrieri delle Nubi perché abitavano questa parte perennemente nebbiosa della foresta Amazzonica, erano uno dei pochi popoli dell’area a conoscere la scrittura, probabilmente l’unico. Una conoscenza che, però, andò perduta quando furono conquistati e sottomessi dagli Inca, intorno al sedicesimo secolo, non molto prima che gli stessi Inca venissero annientati dallo scontro con i conquistadores spagnoli.»
       Stupita, Katy si avvicinò alla parete e toccò delicatamente con le dita masticate quelle parole incise da uomini vissuti secoli, o forse addirittura millenni, prima.
       «Tu sai leggerla?» domandò, non riuscendo a trattenersi. Era certa che, quella, fosse una domanda abbastanza retorica, perché le pareva chiaro che nessuno, al mondo, fosse capace di decifrare quei graffiti imperscrutabili; ma, ancora una volta, suo padre la stupì.
       «Sì, so leggerla» affermò lui, accostandosi ancora di più alla parete rocciosa. «Ho imparato questa lingua decenni fa e ne ho appreso le tecniche di lettura.» Si voltò di nuovo verso di lei e ammiccò con fare complice. «Se devi fare una cosa, falla sempre bene, ricordatelo.»
       Stupefatta, Katy continuò ad osservare quei segni per lei incomprensibili. Moriva dalla voglia di sapere che cosa raccontassero, che cosa ci fosse scritto e, d’altra parte, suo padre non era affatto da meno. Trovato l’inizio di una frase, Jones cominciò ad articolare lentamente, come se si stesse esercitando in classe, parole in quella lingua morta, che non era più echeggiata in quel luogo da moltissimo tempo.
       Infine, al colmo dello stupore per quello che stava leggendo, cominciò a tradurre.
       «Qui termina il diario dei Whill - non so come rendere questa parola, a dire il vero, credo si riferisca a qualche tipo di divinità di cui si sia perso il ricordo - il diario in cui essi raccolsero il sapere universale e le conoscenze della… della Forza… affinché l’antica coscienza di quello che fu non vada mai perduta…»
       Si fermò, incerto. Quella non poteva essere opera dei Chachapoyan, non era possibile: sembrava quasi che il più erudito dei loro scribi fosse stato chiamato ad incidere quelle parole sotto dettatura di qualcuno. E, naturalmente, con un brivido lungo la schiena, non poté non pensare all’uomo d’oro che era uscito dal ventre del grande uccello disceso dalle nubi.
       «Continua» lo esortò Katy, rapita da quelle parole.
       «Sì…» borbottò l’archeologo, riscuotendosi dalle sue riflessioni. «Dunque…» ritrovato il filo, riprese: «Anticamente, la Forza legava tutte le cose della Galassia, in un equilibrio costante dal quale scaturiva la vita. Ma gli esseri viventi e dotati di intelligenza, nella loro spropositata arroganza, scelsero di piegare la Forza al proprio volere, distruggendo così l’equilibrio e dividendo per sempre il potere della Forza in due parti contrapposte ed in perenne lotta tra loro.» Indy fece una pausa e sorrise, volgendosi verso la figlia: «Se non ci trovassimo a migliaia di chilometri da Efeso, direi che qui ci sia lo zampino di quel vecchio brontolone di Eraclito e della sua teoria del divenire. Comunque sia…» tornò a girarsi verso la parete e ricominciò la sua traduzione: «Soltanto i Whill restarono custodi dell’antica sapienza e dell’equilibrio, ma nella loro natura prevalse la scelta di non schierarsi, rimanendo silenti e distaccati testimoni delle vicende della Galassia
       «Sembra una storia di fantascienza!» esclamò Katy, entusiasta. «Una storia di fantascienza con dentro richiami alla filosofia classica. Altro che i fumetti di Flash Gordon che rubavo di nascosto a Mutt! Jennings non ha mai accennato a qualcosa di simile…»
       Ancora dubbioso su quello che stava leggendo, suo padre le fece l’occhiolino.
       «E il bello deve ancora venire. Dimenticati i giornaletti da due soldi di tuo fratello e senti qua: La lotta tra le due fazioni si fece cruenta e nessun pianeta ne fu risparmiato. Infine, però, il lato chiaro prevalse sul lato oscuro e si pensò, sbagliando, che la pace avrebbe regnato per sempre nella…» Jones si grattò il mento ispido di barba, tentando di trovare un sinonimo per quella parola che non riusciva a comprendere appieno. Infine, per quanto strano gli paresse, si convinse di averne trovato uno sufficientemente appropriato: «…nella Repubblica Galattica. Per oltre mille generazioni essa fu il faro luminoso della Galassia, servita dai fedeli Cavalieri…» si interruppe nuovamente, poiché lì vi era un nome che non comprese. Saltò qualche riga e ricominciò, incespicando nelle parole: «…ma, ancora una volta, il lato oscuro gettò la sua ombra su tutto. Le guerre ricominciarono e…» A questo punto, Indy fu costretto ad interrompersi, perché aveva cominciato a sentirsi crescere dentro uno strano presentimento, qualcosa che gli stava facendo contrarre le viscere, come se stesse vivendo un’emozione fortissima come l’amore.
       La ragazza, persa nella contemplazione di immagini antichissime e fantastiche, sollevò gli occhi su suo padre, per capire come mai non stesse continuando a leggere. Lo vide chiudere gli occhi ed annaspare, come se si stesse sentendo male. Preoccupata, sollevò un braccio e gli posò una mano sulla schiena. A quel contatto, il vecchio archeologo parve riprendersi e le sorrise di nuovo, guardandola con occhi umidi.
       «Scusami» mugugnò. «Ma leggere queste parole mi fa uno strano effetto… come se… come se lo conoscessi già. È come se fosse una storia che ho già vissuto, capisci?»
       Ovviamente, Katy non capiva affatto. Come poteva suo padre affermare una cosa simile? Forse, il poco ossigeno presente in quella cavità sotterranea stava cominciando a dargli alla testa ed a farlo sentire male; vecchio com’era, su certe cose era molto meglio non scherzare.
       «Vuoi che usciamo?» domandò, con una vocina che tradiva panico.
       Jones si rese conto di aver spaventato sua figlia e, in uno slancio d’affetto, la prese tra le braccia e la strinse a sé, dandole conforto e calore.
       «Non è nulla, Katy, nulla» la rassicurò. «Solamente un po’ di stanchezza.»
       Senza smettere di tenersi abbracciati, si voltarono di nuovo verso la parete con i graffiti incisi.
       «Parla di una grande guerra» mormorò Indy, riprendendo a far scorrere gli occhi su quelle parole, «scoppiata contro un malvagio Impero nato dalle ceneri della distrutta Repubblica. Pochi ribelli coraggiosi, capeggiati da una donna forte e piena di iniziativa - una sorta di Cleopatra dello spazio, per intenderci - riuscirono infine a piegare il malvagio Impero e ad annientarlo, dopo che un eroico cavaliere ebbe affrontato in un epico duello il proprio padre corrotto che, in un ultimo impeto di lucidità, comprendendo i propri errori, contribuì alla vittoria finale. Purtroppo, però, il male non cessò di esistere ed altre guerre scoppiarono.» L’archeologo staccò per un momento un braccio dalla figlia, indicando alcune righe quasi completamente cancellate. «Purtroppo, ci deve essere stato un crollo dovuto ad un terremoto o qualcosa del genere e, quindi, le parti successive si sono sgretolate... Sono ormai illeggibili, peccato. Però, più avanti il testo è nuovamente intatto. Vi si dice che, dopo il ritorno dell’equilibrio nella Galassia, la Forza fu nuovamente soddisfatta e poté tornare a permeare tutte le cose come in passato. Vi era solamente un ultimo pericolo: un antico oggetto costruito unendo le conoscenze di coloro che, meglio di tutti, conoscevano la Forza, quell’energia strabiliante e misteriosa, capace di dare la vita ma, anche, di annientare tutte le cose. Questo oggetto - la suprema potenza di cui parlano le leggende, peraltro - sarebbe stato quindi affidato dai messaggeri di quegli strani cosi - esseri, o quel che diamine sono - chiamati Whill all’uomo d’oro ed al piccolo nano bianco che, aiutati dal mostro di peli, lo trasportarono qui, a immensa distanza, in quelle che vengono chiamate Regioni Ignote, per nasconderlo in eterno.»
       La giovane, confortata dall’abbraccio di suo padre e nuovamente coinvolta dal racconto, aveva già dimenticato la paura di poco prima e, mano a mano che lui parlava, spostava gli occhi lungo quelle righe indecifrabili, quasi riuscisse lei stessa a discernerne il significato.
       «Quindi ci siamo ricollegati alle leggende che già conoscevi?» chiese, pena di curiosità. Era la prima volta che si imbatteva in una leggenda tanto lunga e complessa: di solito, le antiche storie apparivano sì interessanti, ma molto più rapide e meno particolareggiate.
       «Sì e…» le parole morirono in bocca ad Indiana Jones.
       Scioltosi rapidamente dall’abbraccio, si avvicinò ulteriormente alla parete, per vedere meglio una specie di graffito che vi era stato inciso in maniera un po’ incerta e che aveva magnetizzato tutta la sua attenzione, facendogli immediatamente scordare ogni altra cosa.
       Alla luce giallognola della sua lampada, non apparve una parola come le altre, bensì un disegno… un disegno raffigurante qualcosa che lui conosceva benissimo, ma che non avrebbe dovuto trovarsi lì, così lontano dal bacino del Mediterraneo e dalla Terra Santa.
       Strabuzzò gli occhi, cercando una spiegazione logica a ciò che aveva di fronte agli occhi e tentando di controllare il tremore che gli aveva colpito le membra, ma non vi riuscì, tanto che dovette stringere il più possibile la presa sulla torcia per non farsela sfuggire, mentre Katy lo fissava profondamente angosciata.
       All’improvviso, ricordi del passato, dell’infanzia, del catechismo e, soprattutto, di parecchi anni più tardi, fecero a pugni per venire a galla tutti insieme nella sua memoria, mentre una citazione biblica gli risuonò chiarissima nella mente, come se avesse finito di leggere da pochi secondi quelle pagine considerate sacre da milioni e milioni di persone nel mondo.
       «E Besaleel fece l’Arca di legno d’acacia, lunga due cubiti e mezzo, larga e alta un cubito e mezzo. La ricoprì d’oro puro di dentro e di fuori; e le fece intorno una corona d’oro… preparò due stanghe di legno, le ricoprì d’oro e le fece passare negli anelli ai lati dell’Arca… fece inoltre due cherubini d’oro, alle estremità del propiziatorio, con le ali aperte…»
       Per poco Indiana Jones non crollò in ginocchio, mentre tutte le sue più profonde certezze venivano rapidamente a mancare, scomparendo nel turbine dell’incomprensibile che prendeva forma sotto il suo sguardo meravigliato ed incredulo. C’erano state molte cose di cui non si era mai potuto dire sicuro ma, ora come ora, credeva che una tale convinzione potesse tranquillamente estendersi a tutto il mondo o, meglio, all’intero universo.
       Non era possibile… l’Arca dell’Alleanza non poteva essere stata raffigurata lì, a meno che…
    Rammentò la sua potenza scatenata, il modo atroce in cui aveva annientato tutti coloro che avevano osato profanarla con lo sguardo, e ripensò alla sua estrema pericolosità, tramandata dalla Bibbia… possibile che fosse davvero un oggetto proveniente da altri mondi? Ma, allora, in tal caso, anche quello che aveva appena finito di leggere non poteva più essere una semplice leggenda, bensì…
       «Papà, che c’è?»risuonò la voce di Katy, vicina e lontana allo stesso tempo. Era molto preoccupata per lui e lo si capiva più che bene dal fatto che non avesse alcuna voglia di chiamarlo Old J come faceva sempre.
       Confuso, come riprendendosi da un sogno, l’archeologo si voltò a guardarla, scuotendo adagio il capo.
       «Io…» borbottò. «Io non so…»
       Non aveva parole, non sapeva più che cosa rispondere. Era abituato alle stranezze, era stato testimone dei fatti più assurdi, in vita sua, ma questo li batteva decisamente tutti quanti. Era come se qualcuno si fosse divertito a fargli credere per tutta la sua esistenza in qualcosa per poi, da vecchio, condurlo là sotto, dove tutto ciò in cui aveva sempre avuto fiducia era stato cancellato con un semplice graffito inciso sulla parete.
    In un fulmineo ritorno alla capacità di compiere ragionamenti logici, ripensò alle leggende dei Chachapoyan, alle storie tramandate di generazione in generazione, secondo le quali il grande uccello disceso dalle nubi, dopo aver trasportato la suprema potenza, il grande emanatore di energia, lontano da lì - ed ora si rendeva ben conto che, quel viaggio, aveva condotto l’Arca dell’Alleanza oltreoceano, nelle sabbiose terre d’Egitto - sarebbe rimasto custodito per sempre in quelle terre. Possibile che…?
       La confusione scomparve dai suoi occhi, il tremore cessò di colpo e la vitalità tornò a farsi sentire dentro di lui, mentre si guardava attorno con attenzione, cercando qualcosa che potesse indirizzarlo verso la più grande scoperta di tutta la sua carriera. Un pertugio, un passaggio verso un’altra grotta…
       «Seguimi!» ordinò seccamente alla figlia, partendo di corsa verso il capo opposto della grande cavità sotterranea, ad una velocità tale che, nonostante la giovane età, Katy fece quasi fatica a stargli dietro.
       «Old J, che accade? Dove diavolo stiamo andando, ora?» gridò, non capendo se il vecchio avesse improvvisamente perduto la ragione od altro.
       Ma Indiana Jones non perse neppure tempo a risponderle.
    Era proprio come se una potenza antica e misteriosa lo stesse attirando a sé, calamitandolo verso un’altra sala come quella. Una sala alla quale si accedeva attraverso una stretta galleria che, adesso, senza badare agli spigoli nella roccia che lo colpivano lasciandogli lividi un po’ ovunque, cominciò a percorrere in fretta, certo che, al di là, avrebbe trovato qualcosa di meraviglioso, forse la più eccezionale rivelazione di tutta la lunga strada che, nei decenni, lo aveva condotto in quell’entusiasmante viaggio attraverso i più arcani misteri della storia umana e non solo. Aveva già vissuto, in passato, l’esperienza clamorosa di scoprire l’esistenza di altri mondi ed altri uomini, ma mai come adesso si era sentito tanto vicino ad averne la prova, la conferma definitiva, quella che avrebbe cambiato per sempre le conoscenze sull’universo.
       Katy, alle sue spalle, lo implorò di rallentare, di aspettarla, ma lui la ignorò del tutto.
       «Fermati, Old J, non capisco…!» urlò la ragazza, ansimando forte e graffiandosi le mani ed il viso contro la roccia nel vano tentativo di tenere il suo passo.
       Ansante, l’archeologo sbucò dalla galleria ma, prima che avesse fatto in tempo a vedere alcunché, qualcosa di gigantesco, e di estremamente caldo, gli si parò davanti, ghermendolo in una stretta formidabile, mentre l’aria risuonava di versi e latrati incomprensibili che parevano emessi da una bestia mostruosa e sconosciuta.
       Atterrito, Indy tentò di liberarsi da quella presa, mentre alle sue spalle risuonava il grido terrorizzato, impotente e colmo di orrore di sua figlia; ma, per quanti sforzi facesse, quella cosa - qualunque cosa fosse - che lo aveva intrappolato non pareva intenzionata a smettere di tenerlo immobilizzato.
       Tuttavia, c’era qualcosa di strano, perché quella non sembrava la stretta dolorosa di un animale selvaggio, bensì un abbraccio caldo e fraterno, quello di un vecchio amico non più incontrato da tempo immemore eppure mai dimenticato…


   === Nota ===

[1]: Frase del filosofo Bertrand Russell (1872 - 1970)
   
 
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