Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Sandie    06/11/2019    7 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo XXVIII

 

Insieme

 

 

 

Genzo accarezzò il volto di Elena, illuminato dalla luce lunare che filtrava attraverso le imposte semiaperte della stanza d'albergo in cui si trovavano, a Roma.

I capelli biondi sparsi sul cuscino. Il volto sudato, ancora trasfigurato dal piacere.

La loro intesa era cresciuta sempre più in quei mesi, dopo che avevano cominciato a viversi anche sotto quell'aspetto.

Gli imbarazzi e le esitazioni si erano via via attenuati e diradati, fino a sparire.

Non c'era zona del corpo in cui non l'avesse lambita, con le mani o con la bocca.

E lei, dopo un periodo di leggero impaccio, in cui si era lasciata soprattutto guidare, aveva cominciato a giocare con maggiore disinvoltura con quel lato di sé che lui le aveva fatto scoprire, ogni volta di più.

Le posò un bacio su una spalla e poi adagiò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi.

Lei gli passò le braccia attorno alla schiena e gli accarezzò piano i capelli, intenerita e sorpresa allo stesso tempo.

Che fosse Genzo Wakabayashi a posarle la testa sul petto chiedendole tacitamente di cullarlo, forse persino confortarlo … aveva sempre pensato fosse lui il più forte nella coppia e lei ad avere più bisogno di sostegno e protezione.

Era lui che la consigliava, la spronava e la riportava alla ragione nei momenti in cui vedeva tutto nero e stava per scoppiare.

Il suo percorso universitario e lavorativo era stato fin lì degno di quello di Genzo in Bundesliga, Champions League e Coppa di Germania: stava sostenendo i suoi esami nei tempi previsti e con ottime valutazioni. Insieme a Gabriele stava preparando le sue allieve del corso di ginnastica artistica per le gare del Land della Baviera, e sperava in un buon piazzamento. Non aveva trovato un'Arimi tedesca, ma era un gruppo di ragazze appassionate e con una grande voglia di imparare.

Genzo si era ormai adattato alla sua nuova vita a Monaco, dopo i primi mesi in cui aveva cercato anzitutto di non lasciarsi schiacciare dalle aspettative con cui era stato caricato un po' da tutti, chi apertamente, chi in modo implicito.

Con lui in porta, i dirigenti e i tifosi si aspettavano la Champions League, oltre all'ennesima riconferma in Bundesliga. Era stato acquistato proprio per completare la squadra, per renderla imbattibile anche a livello continentale e mondiale.

Quelle spalle così larghe e quel fisico solido e possente sembravano fatti per sopportare qualsiasi peso. Così pensava chi lo conosceva in modo superficiale.

Ma lei poteva dire di aver conosciuto l'uomo e non solo il calciatore. E di conseguenza, anche quelle fragilità invisibili a chi considerava solo l'immagine pubblica di Genzo Wakabayashi, il Super Great Goal Keeper.

Pensò ai suoi racconti di quando era arrivato in Germania, le difficoltà incontrate nel doversi adattare a una società diversa, a un'altra cultura e lingua. La lotta quotidiana per essere accettato dai nuovi compagni di squadra, che lo avevano osteggiato dapprima per le sue origini giapponesi, poi per paura che potesse diventare titolare, visto che Schneider aveva intuito il suo potenziale e lo stava aiutando a farlo emergere.

In quei giorni difficili non aveva mai potuto rifugiarsi nell'abbraccio di sua madre, specie dopo che era stato selvaggiamente e vigliaccamente picchiato dal portiere delle giovanili e da altri tre compagni di squadra. E poi, gli altri momenti critici che si era trovato a vivere nella sua carriera, contando solo su sé stesso per superarli.

In fondo, anche dopo la fine brusca e dolorosa della sua lunga avventura amburghese aveva cercato conforto, in qualche modo. La sua famiglia, i suoi amici d'infanzia, la storia con Asami.

Doveva essersi sentito perduto, in quel periodo …

Avrebbe voluto sussurrargli qualcosa, ma non disse nulla. Non ce n'era bisogno, né lui le aveva chiesto di farlo.

Genzo poteva mostrarle il suo lato più fragile e umano, senza vergognarsi o temere di non essere capito.

Se l'amore era affetto e fiducia reciproca, allora il legame che li univa si stava consolidando, giorno dopo giorno.

 

Erano arrivati a Roma poche ore prima, dove Genzo avrebbe finalmente conosciuto i genitori di Elena.

Avevano avuto giusto il tempo di sistemarsi nella stanza d'albergo prenotata da un paio di settimane, e poi erano bastati un'occhiata e uno sfiorarsi di mani per finire l'uno tra le braccia dell'altra.

La ragazza pensava di aver scelto il periodo giusto per farli incontrare: passare qualche giorno di vacanza insieme avrebbe dato a Genzo quella serenità indispensabile per affrontare quell'impegnativo scorcio di stagione.

Mancavano pochi punti alla vittoria aritmetica del Meisterschale, anche se proprio per questo nessuno, nel Bayern, si sognava di abbassare la guardia. E soprattutto, le semifinali di Champions League, che per ironia della sorte e forza delle rispettive squadre, avrebbe messo l'uno contro l'altro le quattro stelle della Nazionale giapponese: Tsubasa avrebbe sfidato Genzo con il suo Barcellona, Taro avrebbe affrontato Hyuga che con i suoi gol aveva trascinato la Juventus a un passo dall'ultimo atto.

 

Era ormai aprile e Roma era baciata da splendide giornate di sole.

Giunsero davanti all'appartamento della famiglia Rulli in tarda mattinata.

Ad aprire la porta fu la madre di Elena, che la accolse con un abbraccio. Poi alzò gli occhi, azzurri come quelli della figlia, e gli strinse la mano.

«Piacere di conoscerti, Genzo.» gli disse, in tedesco.

Il portiere ricambiò il suo saluto e la guardò con ammirazione. Era molto bella e fine nei modi. Con ogni probabilità Elena avrebbe avuto quel volto, alla sua età.

«Vieni, ti presento mio marito. Valerio, è arrivata Elena con il suo fidanzato!»

Nel salotto comparve un uomo non molto alto, piuttosto corpulento, con uno sguardo sveglio e vispo.

«Finalmente vi vedo insieme dal vivo.» commentò con ironia, nel suo bizzarro e un po' claudicante tedesco dall'accento romano, riferendosi alle fotografie apparse sulle riviste di gossip tedesche e italiane, per via della nazionalità della "ragazza che aveva fatto perdere la testa al SGGK".

Lo salutò con una stretta di mano e gli mise le mani sulle spalle.

«Ci credo che prendi pochissimi gol. Uno come te incute soggezione solo a vederlo tra i pali della porta.» commentò, facendogli un occhiolino.

Genzo sorrise, divertito.

I signori Rulli erano come la figlia: non avevano atteggiamenti affettati e cerimoniosi, né mostravano inutili complessi di inferiorità o ansia di piacergli. Nessun compiacimento né presunzione per il fatto di avere una figlia fidanzata con un calciatore famoso, e parlavano del suo lavoro quasi come se fosse un'occupazione qualsiasi. Valerio in particolare, dimostrò di essere un ottimo intenditore di calcio, ed Elena doveva certamente a lui la sua passione per quello sport.

Erano persone semplici e lo stavano trattando come uno di loro, proprio come aveva fatto Carlo, quando l'aveva conosciuto nella palestra Shiroyama.

E come avevano fatto anche i nonni e gli altri zii di Elena, nelle ormai diverse volte in cui aveva pranzato con loro a Bad Tölz. Solo il piccolo Sebastian lo considerava una specie di semidio, ma dal punto di vista di un dodicenne tifoso sfegatato del Bayern era comprensibile. Ricordava la sua espressione sbalordita e incantata quando, insieme a Elena, si era presentato al centro di allenamento di Säßener Straße, per conoscere i giocatori della sua squadra del cuore, in particolare Schneider, il suo idolo di sempre.

Lo disse a Elena, quando lasciarono la sua casa per portarlo a fargli visitare un po' la città. I suoi genitori e parenti lo facevano sentire parte della loro famiglia.

Di quel viaggio avrebbe ricordato un momento in particolare.

Seduti sulla Fontana di Trevi, Elena gli fece una domanda apparentemente strana.

«Sai perché si usa gettarvi una moneta?»

«Certo. È la promessa di ritornare a Roma.»

Elena assentì. «Non tutti sanno però che si deve esprimere un desiderio, mentre si lancia la moneta. Se lo si fa, questo ha grandi probabilità di avverarsi.»

Lui chiuse gli occhi e scosse leggermente la testa, con un sorriso. «Non credo molto a queste cose.»

Elena sorrise di rimando. «Tentare non nuoce. Dai, provaci.» lo esortò, dandogli una moneta.

«E va bene.» concesse, aprendo il palmo della mano. Si girò e chiuse gli occhi, e compì il lancio.

Elena ridacchiò e gli passò un braccio attorno al suo.

«Quando l'hai buttata, ho espresso anch'io un desiderio. Sono convinta che è uguale al tuo.» mormorò, con un ammicco.

 

La prima semifinale vide opposte il Barcellona e il Bayern Monaco.

Dopo tanti anni, finalmente Tsubasa e Genzo rinnovavano la loro sfida personale.

L'andata, disputatasi in Germania, era finita a reti inviolate, rimandando ogni risoluzione alla gara di ritorno.

L'incontro iniziò in salita per la squadra tedesca.

Dopo venti minuti in cui le due compagini si erano esaminate a vicenda, un intervento in difesa di Payol diede avvio a una rapidissima azione dei blaugrana. Grandios ricevette il pallone poco prima della linea di metà campo e passò a sinistra, verso Rivaul. Quest'ultimo lanciò il pallone a Tsubasa, che anticipò l'intervento di Magath e calciò verso Luikal, che era scattato in avanti.

Genzo tentò un'uscita, ma l'attaccante olandese passò nuovamente il pallone al giovane giapponese, che nel frattempo si era avvicinato ed era giunto praticamente a tu per tu con il suo vecchio amico e rivale. Tsubasa finse di calciare con il piede sinistro, ma poi colpì il pallone con il destro, spiazzando Genzo.

Il Barcellona passò così in vantaggio, grazie a un'astuta finta di Tsubasa.

Il portiere del Bayern Monaco digrignò i denti e assestò un pugno sul terreno di gioco, irritato con sé stesso per essersi lasciato ingannare.

Fece un profondo respiro, cercando di calmarsi.

Non doveva e non voleva più ricadere in quell'errore di mentalità che lo aveva messo nei guai un anno e mezzo prima: l'intima convinzione di non avere più nulla da imparare.

Il kickboxing, uno sport in cui la scaltrezza e l'autocontrollo contavano moltissimo, gli aveva insegnato anche questo.

Si rialzò e si riposizionò tra i pali della porta, con rinnovata fiducia e concentrazione.

Nelle successive azioni del Barcellona, attese ogni volta l'ultimo passaggio, prima di intervenire. Diede istruzioni ai difensori e ai centrocampisti affinché formassero una rete che impedisse ai campioni di Spagna di avvicinarsi all'area di porta.

Tsubasa, Rivaul e gli altri giocatori furono così costretti a tentativi da fuori area.

Anche Schneider retrocedeva verso il centrocampo in copertura, se necessario.

A tre minuti dal termine del primo tempo, il tedesco mostrò la sua forza e capacità di calcolo sottraendo il pallone a Tsubasa.

Karl avanzò dalla trequarti fino all'area di rigore del Barcellona, inesorabile come un carro armato. Con un tiro preciso infilò il pallone nella parte sinistra della porta lasciata incustodita da Valtes, che aveva tentato una precipitosa uscita.

Il pareggio turbò i giocatori della squadra spagnola, convinti di avere costretto il Bayern a giocare una partita tutta in difesa, subendo le loro iniziative. Inoltre, era un risultato che qualificava proprio gli avversari.

Nel secondo tempo, il ritmo della partita scese, soprattutto da parte dei giocatori della squadra di casa, che avevano speso molte energie nei primi quarantacinque minuti di gioco.

Il Bayern ne approfittò dapprima con Levin che, con una serie di finte, sfuggì alla marcatura dei difensori e segnò con un tiro di straordinaria potenza.

A distanza di pochi minuti, arrivò la doppietta di Schneider, con un siluro da metà campo che gli avversari quasi non scorsero.

Karl strinse i pugni e alzò un indice al cielo, memore delle giornate dedicate a mettere a punto quel tiro con cui era riuscito, dopo tanto tempo, a battere Wakabayashi in allenamento.

Quel gol fiaccò ulteriormente il morale del Barcellona. I gol da segnare per riagguantare la qualificazione erano diventati tre … e mancavano solo sette minuti.

E in porta c'era Genzo Wakabayashi, che in quella stagione non aveva mai subìto più di due gol in una partita e aveva trovato il modo di imbrigliare le azioni degli avversari.

Sarebbe servita più di un'invenzione, ma nemmeno Tsubasa sapeva più cosa escogitare contro l'unico giocatore che non gli era mai riuscito di sconfiggere.

Quegli ultimi minuti furono poco più di un conto alla rovescia.

 

«Elena, siamo in finale!» esultò Angelina, abbracciando la cugina, che aveva i pugni stretti dalla gioia.

Vide Genzo sorridere soddisfatto e scambiare strette di mano e pacche sulle spalle con i suoi compagni, per poi fermarsi a parlare con il suo amico e rivale di sempre, Tsubasa.

Ora toccava al Paris Saint Germain superare l'ultimo ostacolo sul fin lì strepitoso percorso verso la finale: la Juventus, che quel trofeo lo agognava da anni.

Sarebbe stato fantastico vedere Genzo e Taro affrontarsi nello stadio di Wembley, sotto gli occhi suoi e di Kumi.

 

Tsubasa batté una pacca sulla spalla di Genzo, che aveva appena scambiato la consueta, energica stretta di mano con Schneider.

«Non c'è niente da dire. Siete i più forti.»

«Il più forte è quello che vince. E noi non abbiamo ancora vinto nulla.» replicò Karl.

Il fuoriclasse giapponese lo guardò e fece un cenno d'approvazione.

«Devo rivelarti una cosa, Wakabayashi.» disse poi, mentre Schneider si dirigeva verso la panchina.

«Un segreto?» rispose Genzo, con un mezzo sorriso.

Tsubasa ridacchiò. Wakabayashi stava vivendo un periodo felice, sia sotto il punto di vista professionale sia sotto quello affettivo.

La storia con Elena aveva accentuato quel lato scherzoso che già possedeva. E lo aveva reso ancora più determinato e tenace in campo.

«Ho evitato di dirtelo prima perché la scorsa estate ti ho visto molto combattuto, e non volevo influenzare la tua decisione. Ti ricordi quel sogno che Sanae aveva fatto durante il nostro viaggio dal Brasile verso l'Europa? Beh … la casacca che indossavi tu era proprio quella del Bayern Monaco.» gli svelò.

Genzo spalancò gli occhi, sorpreso ma anche divertito. «Pensa un po' … Sanae preveggente.»

«Già.»

«Allora il nostro scontro in una finale di Champions è soltanto rimandato.» affermò, strizzandogli un occhio.

Tsubasa annuì. «Poco ma sicuro. Stasera ho capito che sei tu la mia vera bestia nera. E potrò ritenermi il calciatore più forte al mondo solo dopo averti battuto.»

«Allora credo che quel momento arriverà tra molti anni. Forse.» lo punzecchiò, per poi passargli un braccio attorno alle spalle, con una risata, a mostrare la grande amicizia che li legava, oltre ogni rivalità.

 

La sera successiva, nell'altra semifinale, il Paris Saint Germain batté la Juventus.

I campioni d'Italia, che avevano vinto per 1-0 nell'andata disputata a Torino, si portarono in vantaggio dopo pochi minuti con una cannonata di Hyuga, ma nel secondo tempo i francesi reagirono, dapprima ristabilendo la parità con un potentissimo tiro di Napoléon, analogo a quello dell'attaccante giapponese, e passando poi in vantaggio con una triangolazione tra Misaki, Leblanc e Ochado che mandò in confusione i centrocampisti e i difensori bianconeri e si concluse con la rete, a due passi dalla porta, del capitano della Nigeria.

A pochi minuti dalla fine, Gentile fece un intervento in scivolata su Taro, appena entrato in area di rigore dopo aver superato quattro giocatori avversari con una serie di dribbling.

L'intervento fu giudicato falloso dall'arbitro, che assegnò un rigore.

Fu Taro stesso a presentarsi sul dischetto, dopo aver chiesto e ottenuto da Leblanc, rigorista designato, il permesso di batterlo.

Dopo una breve rincorsa, Taro calciò il pallone e lo mandò in rete. A nulla valsero i tentativi del portiere di deconcentrarlo, anzi finì per buttarsi dalla parte opposta alla traiettoria del tiro.

Sugli spalti del "Parco dei Principi" proruppe la gioia dei tifosi di casa.

 

Kumi scattò in piedi dal divano del salotto ed emise un gridolino, al colmo della felicità, coinvolgendo anche Reiko, che stava seguendo la partita insieme a lei.

Poco dietro di loro, Shinji sorrise. Aveva appena finito di annodarsi la cravatta e aveva la ventiquattrore pronta sul tavolo.

«È valsa la pena fare una levataccia, allora.» commentò, avvicinandosi allo schermo, in cui si vedeva Misaki stringere i pugni e scambiare strette di mano e pacche sulle spalle con i suoi compagni di squadra.

«Puoi dirlo forte!» gridò Kumi, voltandosi verso di lui con un'espressione raggiante.

Il suo Taro aveva regalato al Paris Saint Germain la finale di Champions League, e

l'altro contendente alla "coppa dalle grandi orecchie" sarebbe stato il Bayern Monaco!

Lei ed Elena si sarebbero ritrovate nello stesso stadio, anche se il tifo le avrebbe stavolta divise.

 

Taro e Kojiro si strinsero le mani.

«Stavolta hai vinto tu, Misaki.»

«Beh, un po' per uno, Kojiro. Ai campionati scolastici del liceo mi hai sempre battuto, ora mi prendo la rivincita.» replicò, strizzando un occhio.

Hyuga sorrise e incrociò le braccia. «Ora affronterai Wakabayashi e Schneider. Il Bayern ha una difesa e un attacco formidabili, ma la tua squadra non è da meno. Potete giocarvela.»

«Non ci tireremo indietro. Più forte è l'avversario, più grande è la motivazione.» replicò Taro.

Kojiro fece un cenno d'approvazione.

Il suo primo anno in Europa aveva fatto crescere ulteriormente Misaki: non era più lo spensierato ragazzino che si divertiva a fare splendide evoluzioni con il pallone, ma un calciatore maturo, grintoso, desideroso di mostrare tutto il suo valore e di ritagliarsi un ruolo da protagonista, pur continuando a mandare in rete i compagni in una posizione migliore.

Il suo stesso sguardo lo dimostrava.

I due ragazzi si tolsero le rispettive maglie e le scambiarono, stringendosi la mano.

 

Taro parcheggiò l'auto nel box del condominio in cui aveva preso un appartamento nel quartiere di Montmartre, a venticinque minuti di macchina dal centro di allenamento di Camp de Loges.

Gli andava bene così: abitava in una zona tranquilla e che conosceva bene, e guidare gli piaceva.

Pensò alla sua prima stagione in Europa, giunta ormai all'ultima fase. Con il Paris Saint Germain aveva vinto la Ligue 1 con quattro giornate di anticipo ed era arrivato all'ultimo atto della Champions League.

Sarebbe stata una finale difficilissima.

La favorita era, ovviamente, il Bayern. Da un lato, la pressione sarebbe stata tutta sulla squadra bavarese, dall'altro c'erano i risultati, che giustificavano pienamente il ruolo attribuito.

Non erano tanto i gol messi a segno, comunque tantissimi, a preoccuparlo, quanto quelli subiti.

La stagione di Wakabayashi era stata fin lì splendida.

Schneider aveva avuto ragione nel definirlo il "tassello mancante" alla costruzione di un Bayern Monaco capace di dominare in ogni competizione.

Nessun infortunio, pochissime assenze dovute a ragioni di turnover, non aveva mai incassato più di due gol ed era andato molto vicino a stabilire il record di minuti giocati mantenendo la porta inviolata. La sua eccellente difesa aveva permesso al Bayern di vincere o comunque non perdere anche nelle prestazioni meno brillanti.

Ogni volta spostava l'asticella un po' più in su: la sua elevazione, la sua potenza, i suoi riflessi … tutti miglioramenti frutto anche degli allenamenti di kickboxing.

«Pensa che potresti entrare nel club dei pochi che sono riusciti a fare un gol a Wakabayashi!» gli aveva detto Kumi, quando ne aveva parlato con lei, al telefono.

Forse aveva avuto ragione Kinuyo, quando gli aveva detto che aveva bisogno di una

ragazza capace di condividere i suoi sogni.

Kumi sapeva trovare il lato positivo in ogni cosa.

La sua passione per il calcio, la voglia di giocare e vincere era aumentata, da quando stava con lei. La chiamava quasi ogni giorno, per sentirla vicina almeno con la voce.

Tra poco meno di un mese l'avrebbe riavuta accanto a sé.

 

Genzo scrutava con leggera apprensione i tabelloni con gli orari dei voli.

Mancava ormai pochissimo alla sua partenza per Londra, dove di lì a quattro giorni, avrebbe disputato la finale di Champions League.

A Wembley, erede dell'omonimo stadio, tempio del calcio mondiale.

Elena non aveva lezioni da seguire all'università e aveva voluto accompagnarlo all'aeroporto: poteva e voleva salutarlo prima della partita più importante della stagione, il motivo per cui i dirigenti del Bayern avevano scelto lui come portiere.

Ogni tanto alcuni compagni, a qualche metro di distanza, gli lanciavano delle occhiate maliziose. Genzo era però abituato a fare finta di niente e a liquidare tutto con un mezzo sorriso, come a sottolineare la loro malcelata invidia.

Lei gli stava raccontando un episodio divertente accaduto all'università, che lo fece ridere.

Era così bello il suo Genzo, quando rideva … perché quella risata così spontanea la concedeva a pochi, e lei era tra questi.

L'altoparlante annunciò il volo per Heathrow.

Lei gli posò un bacio sulle labbra. «In bocca al lupo.»

«Ci vediamo a Wembley.» replicò lui.

«Sì.» mormorò, con un cenno del capo.

Le sorrise un'ultima volta, poi si voltò e si incamminò verso compagni e allenatore.

Aveva mosso pochi passi quando Elena sgranò gli occhi, come se si fosse ricordata di qualcosa all'improvviso.

«Ah, Genzo!» lo chiamò, raggiungendolo e toccandogli un braccio.

Lui si arrestò e si girò, con aria interrogativa. «Dimmi.»

Lo guardò e abbassò la testa, esitante. Poi sorrise e puntò gli occhi nei suoi.

«Ti amo.»

Lui quasi trasalì. Il suo cuore perse un battito, e un lampo di emozione gli attraversò le iridi nere. Per un momento gli sembrò che tutto, attorno a lui, si fosse fermato e fosse rimasta solo Elena, di fronte a lui.

Distese le labbra in un sorriso e la attirò a sé.

Le accarezzò una tempia con le labbra.

«Anch'io, Elena.» mormorò, sfiorandole l'orecchio e provocandole un piacevole brivido.

«Wakabayashi, vuoi giocarla questa finale oppure no?» gridò un irritato Frank Schneider, mentre la speaker annunciava per la seconda volta il volo con il quale la squadra doveva imbarcarsi.

«Arrivo, mister!» rispose Genzo di rimando, staccandosi con riluttanza.

Scambiò un ultimo sguardo con Elena, poi afferrò la maniglia del trolley e si voltò, andando a raggiungere il resto della squadra.

Elena lo accompagnò con lo sguardo finché non sparì verso il gate.

 

La partita più attesa della stagione infine arrivò.

Elena e Kumi, sedute in tribuna a poca distanza da Mikami e Katagiri, attendevano trepidanti l'ingresso in campo dei calciatori.

A Wembley, stavano per affrontarsi in campo le due squadre più forti rispettivamente in Germania e in Francia, entrambe fresche vincitrici di Bundesliga e Ligue 1, pronte a contendersi la Coppa dei Campioni oggetto del desiderio di ogni calciatore e allenatore, che troneggiava fuori dal tunnel degli spogliatoi, in attesa di essere incisa con il nome e di essere ornata con i nastri recanti i colori sociali del club vincitore.

Ad assistere alla gara erano giunti anche molti famosi giocatori, tra cui Kojiro Hyuga accompagnato dalla fidanzata Maki, Shingo Aoi, Kaltz e alcuni campioni del Real Madrid.

I calciatori della "Generazione d'Oro" avrebbero certamente assistito in tv alla "partita dell'anno", incuranti del fuso orario, così come Tsubasa e Sanae a Barcellona.

Il Bayern appariva praticamente privo di punti deboli, con Wakabayashi in porta e Schneider, Levin e Sho in attacco. Una squadra ricca di campioni in tutti i reparti che incuteva timore soltanto elencandone la formazione.

La speranza era che la creatività di Misaki e Leblanc e la potenza di Ochado e Napoléon scalfissero l'impenetrabilità della difesa bavarese.

Gli allenatori e i giocatori delle due squadre si erano scambiati solo parole di elogio, tranne che per una pepata querelle a distanza tra Napoléon e Schneider, pretendenti al titolo di capocannoniere della competizione, in cui si era inserito Wakabayashi che, con la consueta ironia, rivendicava il ruolo di ago della bilancia, a vivacizzare la vigilia e far accrescere l'attesa, già alta, per l'inizio del match.

 

I giocatori delle due squadre entrarono in campo, ognuno tenendo per mano un bambino o una bambina, insieme alla terna arbitrale.

Tutti cercavano di non far trasparire l'emozione che doveva pervaderli.

Stavano calpestando l'erba dello stadio di Wembley, di lì a poco avrebbero giocato la finale del massimo torneo continentale.

Nell'impianto risuonò l'ormai celeberrimo inno della competizione.

La mitica "Coppa dalle grandi orecchie" stava lì a qualche metro, come un magnifico miraggio.

O come un bersaglio da centrare, come sembravano comunicare gli occhi glaciali di Karl Heinz Schneider.

I cameramen e i giornalisti poterono gustare lo sguardo di sfida lanciato da Louis Napoléon a Karl prima e a Wakabayashi poi, opportunamente ricambiato da entrambi.

Più cordiali e amichevoli le strette di mano e gli sguardi scambiati con Misaki e Leblanc.

Dopo le fotografie di rito, il Kaiser e il centrocampista francese si scambiarono i gagliardetti.

Il rito della monetina sancì il calcio d'inizio per il Bayern Monaco.

L'arbitro fischiò. Il tocco di Levin verso Schneider diede inizio alle ostilità.

Non era più tempo di sogni ad occhi aperti.

L'inizio fu in salita per la corazzata tedesca.

La difesa e il centrocampo del Paris Saint Germain avevano bloccato le vie di passaggio verso Schneider e Levin.

Misaki e Leblanc, con la collaborazione di Ochado, cercarono di tessere una serie di passaggi che potessero mettere Napoléon o un altro giocatore davanti alla porta.

Louis aveva fatto anche innumerevoli esercizi per potenziare le sue gambe, nella previsione e nella speranza di affrontare proprio Wakabayashi. Era l'unico, nella squadra, ad avere la potenza necessaria per segnare al SGGK un gol da fuori area.

Ma il portiere aveva predisposto la stessa ragnatela in cui era rimasto avviluppato il Barcellona: i difensori bavaresi arrivavano sempre in anticipo e le rare volte in cui non riuscivano a intercettare un passaggio o venivano superati da un avversario, Genzo bloccava il pallone con sicurezza.

Il primo tempo si concluse sullo 0-0.

Il Bayern Monaco aveva avuto poche occasioni.

I rinvii con cui Genzo aveva cercato di servire Levin, Sho o Schneider erano stati intercettati da Misaki o da altri giocatori su istruzione del centrocampista nipponico, che conosceva molto bene il suo vecchio amico e compagno di Nazionale.

 

Kumi sospirò, mentre guardava le due squadre rientrare negli spogliatoi. «Come pensi finirà?» chiese, rivolta a Elena.

L'italiana si strinse nelle spalle e fece una piccola smorfia. «Non lo so. Sembra una partita a scacchi.»

«È vero.» intervenne Mikami. «Fin qui hanno neutralizzato le rispettive azioni, una dopo l'altra. Questa finale potrebbe anche decidersi ai supplementari o addirittura ai rigori.»

Katagiri non sembrava completamente d'accordo con Tatsuo. «Il Bayern sta facendo una partita molto simile alla semifinale contro il Barcellona. Il Paris Saint Germain ha giocato e ha avuto qualche occasione in più, ma nessuna davvero pericolosa. Con Wakabayashi in porta, servirebbe un'invenzione di Misaki o Leblanc, ma sarei curioso di vedere Napoléon tentare un tiro da fuori area. E se la situazione rimarrà questa, probabilmente lo farà.»

Le parole del giovane dirigente della JFA infusero ottimismo in Kumi, mentre Elena fece una smorfia, contrariata. Poi sorrise, con aria saputa. «Schneider, contro il Barcellona, ha segnato con il tiro con cui ha battuto Genzo in allenamento, dopo mesi. Napoléon dovrà fare un tiro ancora più potente.»

 

Nel secondo tempo, il Bayern mostrò un atteggiamento più propositivo e molte furono le azioni in cui la difesa e il centrocampo parigini dovettero fermare i giocatori bavaresi, anche con interventi al limite del regolamento.

I minuti passavano e con essi cominciarono a diminuire anche energie, concentrazione e lucidità.

Louis guardò Wakabayashi fermo tra i pali della porta. Aveva sempre ritenuto il portiere giapponese un presuntuoso, per via di quel soprannome: Super Great Goal Keeper.

Ma doveva ammettere che era più che meritato, non solo per le parate strepitose: era anche un vero stratega.

Il modo in cui aveva disposto i difensori, aveva vanificato persino le iniziative e i passaggi di due giocatori pieni di talento come Misaki e Pierre.

E il suo unico tiro in porta era stato bloccato senza difficoltà.

 

Ricevette il pallone proprio dal giovane giapponese. Impeccabile, come sempre.

Avanzò con la palla al piede, cercando di spaccare la difesa bavarese, ma davanti a lui si parò il grande acquisto della sessione di gennaio, l'argentino Galvan.

Preferì passarla indietro, ancora verso Taro.

Fu così che prese la decisione.

La partita era ormai entrata nel recupero, i calciatori erano stanchi, la paura di perdere cresceva.

Tanto valeva provarci.

Si voltò e corse verso la linea di centrocampo.

«Misaki, ripassami la palla!» gridò, facendogli cenno con le dita.

Taro lo accontentò.

Aveva ragione … era quasi finita, perché non tentare il tutto per tutto?

Louis si impadronì del pallone.

Fu questione di pochi secondi, dare un fugace sguardo alla porta di Wakabayashi e calciare prima dell'intervento di Galvan.

Genzo riuscì soltanto a deviare quella cannonata.

L'arbitro assegnò il calcio d'angolo. Mancava un minuto alla fine dei tempi regolamentari …

Taro si incaricò di andarlo a battere.

Era un'occasione d'oro. Poteva provare a segnare direttamente da lì ...

Scosse la testa. Sarebbe stato bello, ma probabilmente Wakabayashi aveva messo in conto quella possibilità. No, serviva qualcosa di imprevedibile.

Dopo una breve rincorsa, colpì il pallone di sinistro, verso Napoléon.

Louis lasciò passare il pallone, notando Ochado posizionato meglio di lui.

Il capitano della Nigeria effettuò un tiro potente, che Genzo respinse.

Il pallone finì sui piedi di Leblanc, che evitò i difensori con una serie di dribbling e passò a Misaki, che per scavalcare i difensori eseguì un pallonetto.

Genzo non lo vide partire, perché alcuni giocatori gli avevano coperto la visuale.

Non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo in tempo …

Un intervento in acrobazia di Schneider, rientrato in copertura, impedì al pallone di varcare la linea.

La sfera finì sui piedi di Sho, che iniziò così un'azione di contropiede.

Karl scattò in avanti rapidissimo, anticipando i difensori avversari, che si ritrovarono così a doverlo inseguire.

I due fuoriclasse del Bayern correvano affiancati, a pochi metri di distanza, in una progressione inarrestabile.

I giocatori del Paris Saint Germain cercarono di raggiungerli.

Invano. Al difensore Jean Rust non restò che tentare un intervento in scivolata, doveva evitare il gol, a costo di rimediare un cartellino.

Sho fu un secondo più veloce e prima di essere messo a terra dal giovane francese calciò un tiro fortissimo verso Schneider, che scaraventò in rete un pallone carico della potenza sua e del campione cinese.

Il portiere non aveva neppure provato a muoversi.

I bavaresi esultarono, elettrizzati.

Genzo alzò i pugni al cielo, con un grido liberatorio.

Elena, che aveva trattenuto il fiato fin dal tiro di Napoléon, scattò in piedi e mise una mano sulla spalla di Mikami, che si girò e gliela strinse.

Kumi strinse le labbra, condividendo lo scoramento dei giocatori francesi, fermi con la testa bassa e le mani sui fianchi, altri in ginocchio.

Era finita … l'arbitro, infatti, eseguì il triplice fischio non appena venne battuto il primo calcio da metà campo.

Sotto la luna piena che dominava il cielo di Londra, il Bayern Monaco celebrava la conquista della vetta d'Europa.

 

I giocatori, l'allenatore, l'intero staff del Bayern salirono sul palco allestito in tribuna, per la premiazione. Tutti ricevettero la medaglia d'oro, e toccarono o posarono un bacio sulla Coppa, come ad assicurarsi che fosse reale.

A Karl toccò l'onore di sollevarla al cielo, in un'esplosione di fuochi d'artificio e tripudio di festoni e coriandoli bianchi e rossi.

L'attaccante la cedette poi al padre e allenatore Frank, che aveva plasmato una squadra che aveva appena aperto un ciclo destinato a durare molti anni. Poi fu la volta di Levin, Sho, Wakabayashi e via via tutti gli altri.

 

Taro e i suoi compagni di squadra guardarono con un misto di rassegnazione e invidia le scene di festa e di giubilo dei giocatori del Bayern, presto raggiunti da mogli, fidanzate e figli.

Vide Genzo passare un braccio attorno alla schiena di Elena e stringerla a sé, posandole un bacio sulla fronte e facendole toccare la Coppa.

Le medaglie d'argento al loro collo, dopo essere stati a un passo dalla vittoria erano una consolazione così magra che alcuni di loro, come Louis, se l'erano sfilata.

Il volto del cannoniere francese era ancora umido delle lacrime versate al prolungato fischio finale che aveva posto fine al sogno.

Il suo corpo disteso a pancia in giù sul terreno di gioco e le braccia incrociate a coprire il volto, era l'immagine della delusione del Paris Saint Germain.

Taro lanciò uno sguardo verso di lui, che di tanto in tanto scambiava qualche parola con Leblanc.

E lui stava quasi per dare la vittoria alla sua squadra ...

«Coraggio. Oggi hanno vinto loro, ma prima o poi toccherà a noi.» la voce di Kumi, sedutasi accanto a lui, lo fece sobbalzare.

Era così assorto da non averla sentita arrivare.

Lui sorrise.

«Ci puoi giurare.» disse, abbracciandola.

 

Kumi seguì Taro a Parigi, al ritorno da Londra.

Aveva deciso di trascorrere alcuni giorni con lui, rimediando almeno in parte al lungo periodo di distacco.

Il ragazzo la ospitò a casa sua e la portò a visitare la città: era rimasta incantata dagli Champs-Elysées, dal panorama che si poteva vedere dalla cima della Torre Eiffel, dal Sacré Coeur.

Avevano attraversato la Senna di notte sul bateau mouche, e Kumi si era fatta fare un ritratto da uno dei disegnatori di Montmartre.

Il dinamismo, l'entusiasmo e la curiosità della ragazza furono la miglior medicina contro la delusione.

Tornavano a casa sempre a tarda notte.

«Non riesci a darti pace?» gli chiese, mentre si preparavano ad andare a dormire.

«Quando ho fatto quel pallonetto, credevo veramente alla vittoria. Wakabayashi era fuori posizione, ma Schneider era lì in copertura e noi ci siamo fatti sorprendere dal contropiede di Sho.»

«Ci riproverai il prossimo anno, e se non dovesse andare bene, tra due anni. Questo sogno rappresenta la tua vita. È così: Taro Misaki non potrebbe vivere senza il calcio.»

«Soprattutto ora che ci sei tu a condividere le mie gioie e le mie delusioni.» disse, cingendole la schiena.

Lei prese ad accarezzargli il viso e il petto.

C'era ancora un po' di timidezza, di ingenuità nel suo modo di toccarlo.

La sollevò tra le braccia e le baciò piano il collo.

Kumi socchiuse gli occhi e sospirò.

Pochi istanti dopo, giacevano insieme nel letto di Taro.

 

Kumi aprì gli occhi, destata dai raggi di sole che rischiaravano la stanza.

Il posto accanto a sé era vuoto, ancora tiepido del corpo di Taro.

Vi passò sopra una mano, lentamente.

Avvertì un profumo gradevole provenire dalla cucina.

Era caffè ….

Si alzò, infilò la sua camicia da notte e, dopo una breve permanenza nel bagno, raggiunse Taro che, come aveva immaginato, stava preparando la colazione.

Gli si avvicinò e si accostò dietro di lui, sbirciando.

«Che si cucina?»

Taro alzò la testa e si voltò.

Kumi era lì, con le mani dietro la schiena e l'espressione incuriosita e molto interessata.

Sorrise. «Pane tostato, confettura di ciliegie e crème au chocolat

La ragazza lo guardò con aria interrogativa. «L'ultima cosa sarebbe?»

Taro le indicò il barattolo con la crema al cioccolato.

«Ah, allora so cosa fare!» cinguettò, prendendo una fetta di pane e mettendola sul tavolo, coperto da una tovaglia e su cui era collocato anche un paniere con alcune brioche. Cominciò a spalmarla per metà con la crema e per metà con la confettura di ciliegie.

Taro scosse la testa e sorrise.

Kumi era sempre così entusiasta e vispa …

Stavolta fu il turno del centrocampista di mettersi dietro di lei.

Impietoso, le scostò i lunghi capelli e la baciò sotto la nuca.

La sentì fremere tra le sue braccia.

«Pare che abbia scoperto un altro punto sensibile …» sussurrò.

Lei emise una risata soffocata. Le labbra di Taro presero a percorrerle una spalla, e le sue mani si posarono sul suo grembo.

La fetta parzialmente spalmata rischiò di scivolarle dalla mano.

«Ehi, avrei voglia di mettere qualcosa sotto i denti …» protestò debolmente, cercando di reprimere, senza successo, il piacere provocatole dal suo tocco.

Taro ridacchiò e la sciolse dal suo abbraccio, permettendole di sedersi a tavola e iniziare a mangiare.

 

«Verrai a vivere qui con me, dopo aver finito il tanki-daigaku?» le chiese, dopo essersi seduto a sua volta.

Kumi alzò la testa, un po' spiazzata da quella domanda così diretta. Piegò le labbra da un lato. «Non lo so … a Nankatsu ho la cartolibreria, a Fuji la Uchiyama Shoten. Qui a Parigi non ho niente, a parte te. Non so neppure il francese.»

«Non ti preoccupare di questo, Kumi. Conosco una scuola molto valida. Una volta imparato a esprimerti in un francese comprensibile vedrai che sarà tutto più semplice. E per quanto riguarda i manga … qui in Francia ci sono tanti appassionati di fumetti e di cultura giapponese. Troverai terreno fertile.»

Lei distolse lo sguardo per alcuni istanti, dubbiosa.

Era una richiesta impegnativa. Lasciare il Giappone, la sua famiglia e forse momentaneamente il suo lavoro, per trasferirsi a migliaia di chilometri di distanza, dalla parte opposta dell'emisfero.

Amava Taro, per mesi aveva sognato momenti come quelli che stavano condividendo, e la esaltava l'idea di costruire il suo futuro insieme a lui.

Ma si sentiva intimorita dall'idea di passare da una cittadina di poche migliaia di abitanti come Nankatsu, in cui ci si conosceva tutti o quasi, a una metropoli come Parigi, immensa e cosmopolita, ancora tutta da scoprire. E capitale di un Paese con una società, una mentalità, una cultura molto diverse da quelle giapponesi.

Confessò a Taro le sue perplessità e il sentirsi impreparata ad affrontare un cambiamento così radicale.

«Anche a me Parigi è sembrata subito troppo grande e troppo diversa, quando sono arrivato con mio padre. E questo nonostante fossimo abituati a continui spostamenti. Ci siamo ambientati giorno dopo giorno, affrontando ogni situazione, aiutandoci e sostenendoci.» le prese una mano.

«Tu sei una ragazza in gamba, Kumi. Non sei il tipo che si arrende alle prime difficoltà. Inoltre ci sarò io ad aiutarti, quando ti sembrerà di non farcela.»

La ragazza lo guardò, poi sorrise e gli accarezzò una guancia e un angolo delle labbra con un dito.

«E va bene. Magari mi metterò a studiare un po' già quest'anno, così non arriverò completamente digiuna.»

«Potrei già insegnarti io qualcosa.» replicò, con un'espressione maliziosa.

Kumi ammiccò, di rimando. «Io ho già imparato una breve frase. Senti se la pronuncio bene.» ribatté, sporgendosi leggermente e avvicinando la sua bocca all'orecchio del ragazzo.

«Je t'aime.» sussurrò.

Taro spalancò gli occhi.

«Ripetilo. Credo di non aver capito bene ...»

Lei sorrise e inclinò la testa, intrecciando le dita sul tavolo.

«Se mi porti a visitare il Louvre, la Cattedrale di Notre-Dame e il "Parco dei Principi".»

«Certo, quella è la parte migliore, l'ho tenuta per ultima apposta.»

Il sorriso di Kumi si allargò. «Allora te lo ripeto se lasci a me l'ultimo croissant.» disse, usando volutamente il termine in francese.

Taro alzò un sopracciglio.

«Ah, ma allora avevo ragione: sei una piccola strega!»

La ragazza rise e prese la brioche, ancora fragrante, dal paniere.

Poi la tese a Taro, che ne afferrò una parte e spezzò il dolce a metà, mentre le loro bocche si fondevano nuovamente in un bacio.

 

Genzo uscì nel grande giardino illuminato dell'imponente e lussuosa villa, poco fuori Monaco, di proprietà del presidente del Bayern Monaco, il signor Richter, dove si stava svolgendo la festa organizzata per celebrare la vittoria del trofeo.

Era passata una settimana dalla finale.

I giorni immediatamente seguenti erano stati frenetici e permeati da un'atmosfera quasi irreale.

Aveva ricevuto una caterva di telefonate e messaggi, dal Giappone e dall'Europa. I genitori, Hiroji e Annie con il contributo di Kenichi, Keisuke, Carlo, i suoi amici e compagni di squadra in Nazionale.

Aveva passato più di mezz'ora a rispondere a tutti.

Poi c'era stato il giro sul grande pullman, con le strade di Monaco invase dai tifosi in visibilio. Infine, la lettura di tutti gli articoli celebrativi della conquista della Coppa dei Campioni, pieni di narrazioni al limite dell'apologia e dell'epica.

Gli sembrava di essere immerso in un sogno. Aveva già provato sensazioni simili quando aveva vinto i Mondiali juniores e l'Olimpiade, ma la risonanza avuta sui media di tutto il mondo non era paragonabile.

La persona che più di tutti aveva condiviso con lui quel senso di appagamento e di felicità era stata, oltre ovviamente al resto della squadra, Elena.

Quando erano arrivati alla festa, erano stati investiti da una salva di flash, e la ragazza si era stretta istintivamente a lui, come a cercare protezione.

Ricevette molti sguardi ammirati e complimenti, e le vennero rivolte molte domande sulla sua relazione con il SGGK.

Ciò le creò qualche imbarazzo: era evidente che non era abituata a tutto quel clamore.

Altre donne presenti sembravano invece nel loro contesto naturale e aveva la sensazione che deridessero la sua scarsa dimestichezza con quell'ambiente.

Fortunatamente non tutte: alcune di loro, come la fidanzata di Galvan e la moglie del secondo portiere Drenner, avevano dimostrato comprensione, trattandola con simpatia.

Ciò non le impedì di chiedere a Genzo di ritagliarsi alcuni minuti soltanto per loro ed evadere per un po' da quell'atmosfera soffocante.

«Mi sento un po' a disagio.» ammise, appoggiandosi alla ringhiera del portico.

Genzo le sorrise, comprensivo. Si mise di fianco a lei, osservando il grande parco illuminato, con le mani nelle tasche della giacca.

Elena tirò fuori il suo smartphone e scorse alcuni messaggi.

«Arimi e Mayuko ti fanno tanti complimenti.»

«Ringraziale da parte mia.»

«Già fatto.» disse, chiudendo la custodia e rimettendolo nella sua piccola borsa.

Il ragazzo stava per dirle qualcosa, quando un rumore di porta che veniva aperta li fece voltare.

«Ehi Wakabayashi, torna dentro per favore. C'è il presidente che vuole accanto a sé i giocatori per un discorso.» gli annunciò Karl, con un'espressione seria, quasi seccata.

«Beh, non basta il capitano per questo?» replicò Genzo.

Karl socchiuse gli occhi e scosse la testa, con un sorriso sornione. «Tu sei stato il grande acquisto della stagione, e Herr Richter vuole che tu dica qualcosa a tutti i costi. Non vorrai mica sottrarti.»

Il portiere sospirò. «E va bene. Accontentiamo il signor Richter.» disse, alzando gli occhi al cielo.

Il Kaiser distese le labbra con un lieve cenno del capo, e rientrò.

«Cosa dirai nel tuo discorso?» chiese Elena, dopo che furono rimasti nuovamente soli.

Genzo diede un'alzata di spalle, con una piccola smorfia. «Immagino che ringrazierò il presidente, Herr Rummenigge e mister Schneider per avermi dato la possibilità di giocare nel Bayern Monaco e che spero sia solo l'inizio di una lunga serie di trionfi.» affermò, come se stesse recitando il programma di uno spettacolo.

«Tutto qui? Nessuna dedica speciale?» domandò alzando il mento, con un sorriso birichino.

Genzo sorrise. «Quelle per me sono una cosa privata, lo sai.»

Indugiò su di lei con lo sguardo, come se stesse cercando le parole adatte a dirle una cosa importante.

«Sai Elena … da quando stiamo insieme, ho la sensazione che ci sia stata una vita prima di conoscerti e un'altra dopo averti conosciuta.» disse, riavvicinandosi.

La ragazza avvertì una sensazione di calore diffondersi nel petto.

Fece un profondo respiro e sorrise dolcemente.

«Io non so se sono davvero la donna della tua vita.» gli confidò, con uno sguardo serio. «Ma un modo per scoprirlo c'è.» aggiunse.

«Quale sarebbe?»

Elena inclinò la testa e sorrise. «Restare con te. Seguire tutte le tue partite, condividere soddisfazioni e delusioni e superare insieme i momenti difficili. E anche accompagnarti alle feste ufficiali, quando proprio non se ne può fare a meno.» ironizzò, alzando gli occhi al cielo.

Lui sogghignò. «Non si può avere tutto dalla vita.»

Elena accennò una risata. «Dai, meglio rientrare, altrimenti fai arrabbiare Karl.» disse, mettendogli una mano su un braccio.

Il portiere fece spallucce. «Io ho sempre la mia carta da giocare, e lui lo sa.»

La ragazza chiuse gli occhi e scosse la testa, ridacchiando. Quando Genzo le aveva raccontato della scommessa fatta a Madrid, era rimasta dapprima incredula, poi era scoppiata in una risata quasi incontenibile.

«Sei tremendo!» esclamò.

Lui rise di rimando.

Le passò un braccio attorno alla schiena e lei gli si accostò, lasciandosi avvolgere dalla sensazione di protezione che lui sempre le sapeva dare.

Rientrarono, stretti l'uno all'altra, sperando in cuor loro di vivere ancora molti momenti simili a quello.

 

  

Quattro anni dopo.

 

Le onde salivano e si smorzavano sulla battigia con ritmo calmo e regolare.

Genzo ed Elena passeggiavano ormai da un paio d'ore sulla spiaggia di Miho no Matsubara, un luogo speciale per entrambi: lì, per la prima volta, quel pomeriggio di cinque anni prima, avevano smesso di guardarsi come dei semplici amici.

Il giovane alzò gli occhi verso il cielo, azzurro e limpido.

Come gli occhi della ragazza che amava e che era ormai una presenza indispensabile nella sua vita.

Erano fidanzati da ormai quattro anni, e da due condividevano anche l'appartamento in cui vivevano insieme da quando Angelina si era sposata con Mattias.

I due si erano stabiliti in una villetta, sempre a Monaco, e a Genzo era venuto spontaneo chiedere a Elena di trasferirsi da lui.

Erano tornati in Giappone una settimana prima, per trascorrervi parte delle loro vacanze.

Il mese precedente, avevano visto Arimi trionfare nell'all-around dei campionati mondiali di ginnastica artistica, svoltisi proprio a Monaco. E ora tutti i titoli erano per la ventenne ginnasta giapponese che aveva sbaragliato le grandi potenze statunitensi e russe.

La ragazza era andata a salutarli e ad abbracciarli in tribuna, dopo la premiazione.

Per ogni traguardo raggiunto in carriera, oltre che a Mayuko Shiroyama, sarebbe stata eternamente grata anche a Elena Rulli e a Genzo Wakabayashi.

La sua ex insegnante aveva risvegliato la passione autentica, l'amore per lo sport al di là delle legittime ambizioni di vittoria.

Il calciatore aveva saputo mettersi nei suoi panni, perché aveva ragionato come lei, in passato. E un po' di quella sicumera a volte riaffiorava, seppure di rado e in dosi tutto sommato limitate e persino benefiche.

Un carattere orgoglioso e caparbio che aveva permesso a Genzo di mandare in archivio un'altra annata ricca di soddisfazioni: il Bayern Monaco aveva conquistato l'ennesima Bundesliga e riscattato la delusione di un anno prima, patita contro il Real Madrid, vincendo la Champions League.

Continuava a perseguire l'obiettivo di diventare il secondo portiere a ricevere il Pallone d'Oro.

Ci era andato vicino due volte, ma era stato sempre sconfitto nonostante i trofei vinti: in entrambe le occasioni era stato Schneider a precederlo. Stesso palmarès, ruolo diverso.

«Ho capito che non prenderanno mai sul serio l'idea di dare questo premio a me, un portiere, finché non vincerò il Mondiale.» aveva commentato, senza polemica nei confronti del suo compagno di squadra e amico di lunga data, durante un'intervista per il canale ufficiale online del Bayern.

Il ragazzo aveva ormai messo radici a Monaco: aveva prolungato il suo contratto con il club più prestigioso di Germania ed Elena aveva conseguito la laurea.

La giovane aveva inviato il suo curriculum a molte aziende e nel frattempo continuava con successo il suo lavoro come insegnante di ginnastica.

Era stato un anno significativo non solo per loro, ma anche per molti amici e persone vicine.

Kumi era una delle autrici più apprezzate della Uchiyama Shoten, ormai non più una piccola casa editrice, ma una delle realtà emergenti più interessanti del panorama dell'editoria giapponese, per quanto riguardava i manga e le pubblicazioni per bambini e adolescenti.

Taro aveva anch'egli rinnovato il suo contratto con il Paris Saint Germain, resistendo alle lusinghe del Real Madrid e della Juventus, pronte a sborsare cifre ingenti per averlo.

Ma a lui non interessava diventare un nababbo: ormai Parigi era di fatto la sua seconda casa e gli piaceva l'idea che i suoi compagni di Nazionale e amici giocassero ognuno in una squadra di un Paese diverso.

Il fatto che ognuno di loro conoscesse bene i campionati europei più competitivi aveva permesso alla Nazionale di giocare alla pari, e in diversi casi battere, le più forti selezioni europee.

Inoltre, il rapporto tra lui e Kumi aveva trovato stabilità da quando la sua donna si era trasferita a Parigi. Terminato il tanki-daigaku, per il centrocampista era stato naturale rinnovarle la richiesta di andare a vivere insieme a lui.

E Kumi aveva accettato. Dopo i primi difficili mesi di adattamento, aveva cominciato a farsi conoscere e apprezzare anche dal pubblico francese, senza interrompere la collaborazione con la casa editrice che l'aveva lanciata.

 

Shun Nitta e Madoka Shimokawa si preparavano al trasferimento in Inghilterra.

L'attaccante era stato ingaggiato dall'Arsenal: aveva finalmente deciso per il grande salto, dopo tre stagioni in Russia, allo Zenit San Pietroburgo, in cui aveva giocato per potersi mettere alla prova in un campionato europeo senza allontanarsi troppo dal Giappone e dalla sua ragazza. Ma ora Madoka si era brillantemente laureata in Legge alla Keio ed era disposta a mettersi in gioco in Europa. Era sempre stata una studentessa dotata e avrebbe frequentato un corso di specializzazione al King's College di Londra.

Nella Premier League, Shun avrebbe affrontato Hikaru Matsuyama, ormai affermato difensore del Manchester United.

 

Anche per Asami Ujimori la vita era andata avanti. L'ereditiera aveva metabolizzato la fine della storia con Genzo, legandosi a un imprenditore nel settore dell'edilizia, con cui si era sposata un anno prima.

Il progetto di acquisizione della Ujimori Heavy Industries dalla Wakabayashi Electrics non era andato in porto, anche se sussistevano alcune collaborazioni e c'era stata una distensione nei rapporti tra le due famiglie.

Elena sospettava che il motivo fosse legato ad Asami, che non voleva rischiare di avere ancora a che fare con Genzo.

Gli affari dell'azienda della famiglia Wakabayashi avevano però prosperato.

Erano state effettuate acquisizioni e stretti accordi di partnership con aziende giapponesi e anche europee, in particolare tedesche e britanniche, che avevano allargato le aree di competenza e rafforzato il prestigio e la presenza sui mercati.

Hiroji Wakabayashi era riconosciuto come uno dei più validi e capaci imprenditori della nuova generazione e aveva un ottimo collaboratore nel fratello Keisuke, che dirigeva con competenza il dipartimento Ricerca e sviluppo.

Annie teneva corsi di formazione in inglese per i dipendenti stranieri, per avere più tempo da dedicare ai bambini, che stavano crescendo e avevano bisogno della presenza costante della madre.

Con i figli che avevano preso sempre più in mano le redini, Yasuhiro si era via via defilato, continuando a presiedere la holding e il consiglio d'amministrazione, ma intervenendo raramente, pur senza mai far mancare i suoi suggerimenti, quando richiesti.

 

Genzo si voltò e vide Elena china su alcune conchiglie, che stava raccogliendo ed esaminando. Sorrise. Aveva mosso pochi passi in sua direzione, quando il suo smartphone squillò.

Era Hiroji.

Accettò la chiamata.

Come immaginava, lo aveva contattato per comunicargli che la riunione era stata fissata per la settimana dopo.

Genzo era entrato nel consiglio d'amministrazione della Wakabayashi Electrics due anni prima. Si era iscritto alla facoltà di Economia della LMU, e il suo rendimento era ottimo, pur non frequentando le lezioni per via dei suoi impegni.

Aveva sempre portato a termine ogni cosa con il massimo impegno, così sarebbe stato anche con lo studio.

Dopo tre anni e numerose discussioni con un padre persistente e ostinato, Genzo era riuscito a trovare un compromesso tra carriera calcistica e impegno nell'azienda di famiglia, pur continuando a dare priorità alla prima.

«Ricordati di venire a Yomiuri Land, domani!» si raccomandò, infine.

«Lo dici proprio a me, Hiroji?»

Il dirigente rise. «Hai ragione. A domani, allora.»

Genzo chiuse la chiamata e rimise il suo smartphone nella tasca dei pantaloni.

Kenichi avrebbe disputato la finale dell'ormai storico torneo delle scuole elementari.

Lui e Daichi Oozora avevano trascinato la selezione della città di Nankatsu, allenata come sempre da Tadashi Shiroyama, che avrebbe affrontato un'altra celebre scuola, la Musashi.

 

«Genzo!»

Si voltò nuovamente, e stavolta vide Elena che stava correndo verso di lui, con un braccio teso, a mostrargli la grossa conchiglia che teneva in mano.

Indossava un leggero vestito di lino bianco, che lasciava parzialmente scoperte le sue gambe. I suoi capelli oscillavano come lunghe onde auree.

«Guarda questa, che meraviglia.» disse, mostrandogli sul palmo di una mano, il grosso guscio ovale dai luminescenti colori verde e blu.

Genzo annuì. «Sì, è una delle più belle che si possano trovare, su queste coste. Si chiama abalone, oppure orecchia di mare.»

Elena spalancò gli occhi. «Tanto bella la conchiglia, quanto bizzarro il nome.» rise, infilandola nella piccola sacca che aveva portato con sé.

«Il suo nome scientifico è Haliotis.» replicò, strizzando un occhio.

«Suona già meglio.» convenne, con un cenno del capo.

In quegli anni, aveva scoperto che Genzo era anche un esperto di conchiglie.

Era stato suo padre a insegnargli tutti i nomi, fin da quando lui e i suoi fratelli erano bambini.

E anche lei aveva finito per diventare un'appassionata collezionista e approfittava di ogni gita al mare per cercare e raccogliere qualche nuovo esemplare, di cui lui le forniva puntualmente il nome e descriveva le caratteristiche.

 

I suoi occhi si posarono sulla pineta e poi spaziarono fino alla baia di Suruga.

Erano passati cinque anni dal giorno in cui, su quel punto della spiaggia, erano finiti l'uno addosso all'altra durante l'improvvisata partita di pallavolo con Taro.

Era stato allora che si era aperta la prima breccia in un cuore che era convinta di avere chiuso a doppia mandata.

Ricordava l'ostinazione con cui aveva cercato di reprimere quei sentimenti che, alla fine, non era più riuscita ad arginare.

Guardò il ragazzo accanto a sé e pensò a ciò che aveva rischiato di perdere.

Il loro era ormai un rapporto saldo, la loro sintonia e intimità era tale che spesso si capivano soltanto con lo sguardo.

Le feste ufficiali avevano continuato a essere il suo tallone d'Achille per diverso tempo, ma le numerose vittorie del Bayern l'avevano costretta ad abituarcisi, anche se non era ancora riuscita a perdere quell'istinto di stringersi a Genzo, ogni volta che i fotografi li bersagliavano con i loro flash.

Si era però ormai rassegnata a trovare, quando le capitava di sfogliare qualche rivista, fotografie sue e del portiere mentre passeggiavano per le vie di Monaco, come una comune coppia di fidanzati.

La loro normalità e la loro discrezione li aveva aiutati a vivere la loro storia con serenità.  

 

Aveva riallacciato i rapporti con Shiori. Tra loro non era tornata l'antica amicizia, ma se capitava di incontrarsi, scambiavano quattro chiacchiere, parlando delle rispettive vite.

Aveva saputo così che Gianluca era tornato a Roma e continuava la sua lotta per conquistare qualche pezzo in più di autonomia.

Il suo atteggiamento verso la vita era cambiato. Aveva trovato uno scopo: si era iscritto all'università, dove studiava Informatica. Sperava di diventare un bravo programmatore.

Aveva scelto non di buttarsi via, ma di darsi una possibilità.

Sarebbe stata una lotta difficilissima, ma lui aveva deciso di intraprenderla.

Quella notizia l'aveva spinta a chiedere a Genzo e alla sua famiglia di finanziare, con la loro fondazione, dei progetti per l'aiuto e il sostegno ai disabili.

Richiesta che era stata immediatamente accolta con favore da tutti i Wakabayashi.

 

«Guarda.» gli disse, mostrandogli il suo smartphone.

Kumi le aveva inviato una foto scattata con Taro e con il signor Misaki. Erano sul terrazzo della loro nuova casa a Parigi. Il ragazzo la abbracciava da dietro e le posava le mani sul grembo. Ichiro sorrideva accanto a loro.

«Aspetto un altro messaggio, a breve.» gli confidò. «Kumi mi ha parlato di un ritardo sospetto …»

Genzo distese le labbra in un sorriso. «Sarebbe splendido.»

Si riferiva certamente alla loro coppia di amici, da cui avrebbero trascorso alcuni giorni di vacanza prima di tornare in Germania, ma anche a lui ed Elena. Ogni volta che la vedeva giocare con la piccola Aiko, che la adorava, pensava che il giorno in cui l'avrebbe vista tenere in braccio un figlio loro, avrebbe davvero potuto dire di aver avuto dalla vita tutto ciò che desiderava.

 

«A cosa stai pensando?»

Genzo abbassò la testa verso di lei e sorrise. «Il prossimo anno voglio realizzare almeno tre obiettivi.»

«Triplete, Mondiale …»

Genzo fece un cenno d'assenso e rimase a guardarla, come se si aspettasse di sentirla menzionare anche il terzo.

«E il Pallone d'Oro?»

Lui scosse la testa.

«Quello semmai è il quarto, e dipende da una giuria spesso prevenuta.»

Elena sbatté un paio di volte le palpebre con aria pensosa, poi fece una piccola smorfia.

«Devi dirmelo tu.»

Genzo piegò le labbra nel suo classico sorriso obliquo, poi trasse un lieve respiro.

«A quindici anni, si pensa che basti un pallone e giocare a calcio tutto il giorno per sentirsi felici. Poi diventando adulti, il proprio punto di vista cambia. Si comincia a sentire il bisogno di condividere la propria passione, a voler celebrare i successi e metabolizzare le sconfitte con qualcuno che non sia l'allenatore e i compagni di squadra.» disse, interrompendosi brevemente e guardandola attentamente. Lei inclinò la testa, incoraggiandolo a continuare.

«Perciò il mio terzo desiderio è il più grande ed è anche il più importante. Ma non posso realizzarlo da solo. Mi serve il tuo consenso.»

Elena spalancò gli occhi. Quella tensione che aveva avvertito poco prima si stava trasformando in una morsa che le stringeva il cuore.

Lui sorrise ed estrasse dalla tasca dei pantaloni una piccola scatola rivestita di velluto blu, con l'effigie di una nota gioielleria.

«Genzo …» mormorò, giungendo le mani all'altezza delle labbra.

Lui aprì la scatola, facendo comparire un bellissimo anello in oro, impreziosito da una fila di piccoli zaffiri.

Lei lo guardò mentre compiva quei gesti, la vista parzialmente offuscata dalle lacrime che sentiva scorrere sul suo viso e le confermavano che era tutto incredibilmente, magnificamente reale.

Allungò la mano sinistra, leggermente tremante, per permettere a Genzo di infilarle l'anello al dito.

Piegò le dita e guardò quel prezioso circoletto brillare sul suo anulare.

Lui le accarezzò piano il viso, asciugandolo dalle lacrime.

Elena alzò gli occhi su di lui.

«Cominciavo a credere che non me l'avresti mai chiesto.»

 Genzo alzò un sopracciglio, poi le afferrò i fianchi e la sollevò in una presa salda, ma senza farle male.

«Ehi!» gridò lei, ridendo e prendendogli il viso tra le mani.

«Ti diverte proprio afferrarmi così, a tradimento, eh?» finse di protestare.

«Non ci rinuncerei per niente al mondo.» ribatté lui, senza battere ciglio.

Avrebbe voluto cristallizzare l'immagine che aveva davanti agli occhi.

Elena era bellissima ...

Il vento giocava con i suoi capelli biondi, e i suoi occhi azzurri sembravano quasi trasparenti per il riflesso del sole.

La fece scivolare giù piano, fino a farle raggiungere la sua stessa altezza.

«Cosa ti ha fatto pensare che non volessi sposarti?»

«Non hai mai accennato all'argomento.» spiegò, semplicemente.

Genzo sgranò gli occhi e la guardò dispiaciuto, come a scusarsi di averle dato quell'impressione.

Certo, era praticamente l'unica cosa di cui non aveva mai parlato, con lei.

Com'era facile essere fraintesi …

«Ho solo voluto lasciare che ti concentrassi sui tuoi obiettivi, e aspettare che li raggiungessi.» la rassicurò.

Elena dischiuse le labbra.

Sentì i suoi occhi inumidirsi.

«Genzo ...» mormorò, mentre lui la rimetteva a terra.

Aveva voluto darle il tempo di costruirsi il suo futuro da donna indipendente, prima di chiederle di legarsi a lui ...

«Sarei una stupida se ti dicessi di no.» mormorò di nuovo, accarezzandogli una guancia e avvicinando il viso.

Si scambiarono un bacio.

Quando si staccarono, rivolsero i loro volti verso il mare.

Due anziani coniugi stavano passeggiando a pochi metri da loro, mano nella mano e dovevano aver assistito alla scena perché li stavano guardando con un'espressione intenerita e perfino commossa, forse ricordando sé stessi da giovani.

Elena e Genzo ricambiarono il sorriso e poi si guardarono, divertiti ed emozionati allo stesso tempo.

Lui le passò un braccio attorno alla schiena e la attirò a sé, e lei gli posò la testa su una spalla.

Ripresero la loro camminata sulla spiaggia, osservando di tanto in tanto l'orizzonte, dove la luce del sole si rifletteva sulle onde del mare.

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

***Note***

 

 

Haliotis è un genere di molluschi gasteropodi marini, conosciuti anche come aliotidi, orecchie di mare o abaloni. Hanno grosse conchiglie dai colori iridescenti e con l'interno rivestito di madreperla, le cui dimensioni variano dai 2,5 ai 30 centimetri.

Fonte: Wikipedia

 

In Germania, si usa portare l'anello sull'anulare sinistro durante il periodo del fidanzamento.

Nel giorno del matrimonio, viene spostato sull'anulare destro.

 

 

 

E il momento fatidico è arrivato, seppure con un lieve contrattempo.

Per me si conclude una piccola "odissea" durata quasi 10 anni tra stesure multiple, pubblicazioni, lunghe pause, cancellazioni.

Ma sono contenta di non aver mai negato una possibilità a questa fanfiction e ai suoi personaggi.

Ringrazio tutti coloro che mi hanno accompagnata in questa lunga avventura, leggendo e/o commentando e inserendo questa storia in una delle tre liste, e chi potrebbe farlo in futuro.

Un grosso abbraccio a tutti voi.

Sandie

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Sandie