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Autore: Mary P_Stark    06/11/2019    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Epilogo.
 
 
 
 
 
Le leggiadre ali d’oro di Iris erano splendide, alla luce morente del sole e, quando Athena si ritrovò innanzi la messaggera degli dèi, ella si perse in contemplazione dei magnifici giochi di luce creati dal sole riflesso sulle sue remiganti.

Iris era sempre stata splendida, nelle sue vesti nivee, con le bionde chiome sparse sulle esili spalle e le enormi ali a cingerla come un mantello piumato. Era davvero uno scorno, pensare a quale infausto compito le spettasse solitamente; recare tristi notizie.

La dea, però, non si era mai data peso, per questo compito tutt’altro che semplice, e lo aveva sempre portato a termine con professionalità e gentilezza.

Athena dubitava, comunque, che in quell’occasione si trovasse nella veranda di casa sua per recare infauste novelle.

«Qual buon vento, Iris? Hermes ti ha di nuovo mollato una patata bollente tra le mani?» domandò per questo Athena, sorridendole benevola.

La dea ammiccò divertita e, nel ritirare le ali sulle spalle al pari di un mantello, replicò: «Oh, no… più semplicemente, il divino Zeus non ha chiamato Hermes per questa missione. Credo si vergognasse.»

Athena levò un sopracciglio con evidente sorpresa e asserì: «Gelerà l’inferno, prima che mio padre si vergogni di qualcosa. Comunque, cosa ti porta qui, con una tempesta in arrivo?»

In lontananza, verso le montagne a nord-est, nubi nere si stavano addensando all’orizzonte e, prima di notte, avrebbero iniziato a danzare sulle città costiere, portando con loro pioggia e fulmini.

Iris, in ogni caso, sarebbe stata ben lontana, e non doveva preoccuparsene.

Allungando quindi una missiva ad Athena, disse con tono ossequioso: «Il divino Zeus ti prega di leggerla – e non cestinarla – poiché desidera scusarsi con te per il modo increscioso in cui si è comportato con te e con tuo figlio.»

Sempre più sorpresa, la divinità prese la lettera pergamenata in mano, osservò dubbiosa Iris e domandò: «Testuali parole?»

«Assolutamente. Mi ha fatto promettere di essere scrupolosa, nel riportartele» assentì la dea, prima di aggiungere con tono sincero: «Posso assicurartelo, Athena. Non lo avevo mai visto così abbacchiato dacché sono nata. Non mi ha neanche guardato in faccia, mentre ritiravo il messaggio! E di solito cerca sempre di curiosare nella scollatura della mia tunica.»

Ora lo sconcerto di Athena si fece enorme e, picchiettandosi la missiva contro il mento con fare pensoso, dichiarò: «Beh, questa è davvero una cosa strana. Neanche una sbirciatina? Niente niente?»

«Niente di niente. Neppure quando mi sono voltata per involarmi. Di solito me ne accorgo sempre, se sbircia, ma stavolta non è successo» assentì Iris, stupita al pari della dea della guerra.

«Beh, vorrà dire che farò uno sforzo. Anche soltanto per ringraziarti della cortesia di avermi portato il messaggio» dichiarò Athena, scrollando le spalle.

«E’ il mio compito» replicò con semplicità Iris. «E se, per una volta, non devo portare tristi favelle, è meglio.»

«Lo credo anch’io» assentì Athena, sorridendole. «Ti fermi per la cena, o devi rientrare subito?»

«Mi spiace, ma devo vedermi con le mie sorelle. Mi hanno detto che vogliono portarmi a un concerto di musica punk rock e, anche se non sono sicura che potrà piacermi, non me la sono sentita di dire di no» dichiarò Iris, sorridendo con fare vagamente nervoso.

Athena andò col pensiero alle arpie Celeno, Ocipete e Aello e, tra sé, si domandò come fosse avere tre sorelle così diverse per carattere e temperamento, rispetto al proprio. Aveva idea che non fosse facile, per Iris, rimanere in buoni rapporti con loro senza venire schiacciata dalle personalità piuttosto… briose delle tre sorelle, ma sembravano comunque volersi sinceramente bene.

«Tappi per le orecchie. Fanno miracoli» la consigliò Athena, prima di salutarla e rientrare in casa con la missiva tra le mani.

Raggiunta la cucina, dove Alekos ed Érebos stavano armeggiando con la pizza, Athena si accomodò a tavola e domandò con una certa ironia: «Papà mi scrive, pregandomi di leggerla prima gettarla. Che dite? La butto nel fuoco, o la leggo?»

«Mamma!» esclamò Alekos, scoppiando a ridere. «Visto che non l’hai bruciata nel momento stesso in cui te l’hanno consegnata, varrebbe la pena leggerla, ti pare?»

«Ah, il mio dolce bambino dall’animo nobile…» sospirò divertita Athena, ritrovandosi a schivare uno strofinaccio, lanciatole contro da un ombroso Alekos. «… vorrà dire che farò lo sforzo.»

«Chiamami ancora bambino, e non risponderò di me stesso» brontolò Alekos, sistemando la pizza sul piatto della madre.

Athena, però, ammiccò all’indirizzo del figlio e replicò: «Siamo permalosetti, ormai?»

«Mamma…» sbuffò Alekos, accigliandosi maggiormente.

Érebos rise sommessamente di fronte a quel battibecco e, nel sistemare sul tavolo birra e Coca-cola, disse: «Sei più pestifera di Arty, quando vuoi.»

«Poco ma sicuro» assentì la dea, spezzando il sigillo di ceralacca per aprire la missiva.

I due uomini di casa assaggiarono rispettivamente la propria pizza, mentre Athena leggeva velocemente il lungo scritto del padre, accigliandosi e sollevando le sopracciglia per la sorpresa a momenti alterni.

Quando infine ebbe finito, poggiò la missiva sul tavolo, afferrò un pezzo di pizza per portarselo alla bocca e, dopo averlo masticato per bene e ingollato, borbottò: «Chiede una tregua… e il maledetto ha giocato sporco, invitando me e Arty al Giardino Giapponese di Los Angeles.»

Sorpresa, la divinità Ctonia domandò: «Perché proprio lì

Scrollando le spalle, Athena asserì con semplicità: «Perché è il giardino terreno che più mi piace, e solo una persona sapeva di questo mio amore per quel luogo in particolare. Miguel.»

«Papà?» esalò Alekos, sorpreso.

«Già. Non ci sono più tornata perché, da quando visitiamo regolarmente il giardino delle Esperidi, non mi è neppure più venuta voglia di andarci…» ammise con candore Athena, sorridendo a Érebos, che annuì tranquillo. «…ma, se le cose fossero state diverse, probabilmente avrei continuato ad andarci.»

«Beh, effettivamente, credo che non esista nulla, sulla Terra, che possa rivaleggiare con quel luogo» ammise pensieroso Alekos. «Ti farebbe sentire triste, andarci senza papà?»

«No, affatto. Iniziai a visitare quel giardino prima di incontrare lui, perciò non è legato a un suo ricordo in particolare e poi, in ogni caso, ho superato ampiamente la fase in cui, vedere cose legate a Miguel, può farmi male» lo rassicurò Athena, sorridendogli.

«Se Zeus è sceso in Ade per parlare appositamente con Miguel, questo denota quanto tuo padre si stia impegnando per riallacciare i rapporti con te e Artemide. Mi sembra che sia giusto dargli il beneficio del dubbio, a questo punto» dichiarò il dio Ctonio con tono pragmatico.

«Mah… direi di sì. E’ davvero inutile continuare a fare muro contro muro. Se persino con Era siamo arrivate a un compromesso storico, perché non tentare anche con lui?» ammise Athena, sbocconcellando la propria pizza.

Alekos assentì lieto e disse: «Sarei davvero contento se tutta questa faccenda si risolvesse una volta per tutte. Il nonno mi manca.»

«Guarda che tu potevi andare a fargli visita quando volevi. La diatriba era tra me, Arty e lui» sottolineò Athena, scrollando le spalle.

«Prima vieni sempre tu, mamma» precisò con naturalezza Alekos.

Athena, allora, gli sorrise dolcemente e, nel carezzargli una guancia, asserì: «Non ho un bambino dolcissimo?»

Érebos scoppiò a ridere non appena il viso di Alekos si fece paonazzo d’imbarazzo mentre Athena, sorridendo divertita, aggiungeva: «Scusa, è stato più forte di me.»

«L’ho notato» bofonchiò Alekos, sospirando esasperato.

«Facciamo così… la prossima volta che facciamo la pizza, invita anche Acaste. Finora, siete sempre usciti con Apollo e Clizia, ma vorrei partecipare anch’io» gli propose Athena.

«Solo se mi prometti di non fare come zia Afrodite, che è partita in quarta chiedendomi se preferissi le camelie o le gerbere, per i banchetti di nozze» sbuffò il giovane, ingollando un sorso generoso di Coca-cola.

Athena fece tanto d’occhi, a quelle parole e, dopo un attimo, scoppiò in un’accesa risata insieme al suo compagno, mentre Alekos replicava quanto, in realtà, non vi fosse nulla da ridere.

All’esterno, nell’oscurità del giardino e ben nascosta dietro il salice piangente, Eris sospirò nel lasciarsi scivolare lungo il tronco dell’albero, sedendosi fiaccamente sul prato umido.

L’attimo seguente, in uno scintillio dorato, la figura imponente di Ares le balenò innanzi e, prima che lei potesse fuggire come sua abitudine, venne bloccata al polso dal fratello.

Accigliata, la dea lo fissò rabbiosa e ringhiò: «Lasciami andare, se non vuoi fare una brutta fine.»

«Smettila di mordere sempre, Eris» replicò lui, sorridendole beffardo. «Volevo solo parlare con te per un attimo.»

«Non ho tempo» gli gettò in faccia lei, di malagrazia.

«Ma ne hai abbastanza per spiare sempre Alekos. Perché?» ribatté Ares, fissandola pieno di curiosità.

La dea dalla chioma corvina distolse nervosa lo sguardo e, in un borbottio, mormorò: «Ad Athena non dà fastidio. Perché, quindi, dovrebbe fregare qualcosa a te?»

«Perché voglio bene a quel ragazzo, e non voglio che proprio mia sorella gli faccia del male» sottolineò Ares, facendosi mortalmente serio in viso.

Già pronto a rabberciarlo in malo modo, Eris si bloccò sul nascere per non mettersi a urlare – e allarmare così i padroni di casa – e, rabbiosa, sibilò: «Non gli farei mai del male.
Non a lui.»

Sinceramente sorpreso da quella frase, Ares la lasciò andare e replicò confuso: «Perché lui no, e altri magari sì?»

«Perché lui rappresenta la mia occasione persa» ringhiò furibonda Eris, svanendo in uno scintillio d’argento.

Ares sospirò, scosse il capo e borbottò: «Chi la capisce è bravo.»

«Lascia che venga, fratello» esordì una voce, proveniente dalla veranda.

Emergendo dall’ombra, Ares fissò spiacente Athena e borbottò: «Scusa… ci hai sentiti? Speravo di essere stato abbastanza discreto ma, come mio solito, ho il piede pesante.»

Lei scrollò le spalle e replicò con semplicità: «So sempre quando Eris è nei paraggi, perché mi avverte prima. Mi sono sorpresa perché se n’è andata senza salutarmi, come fa di solito, così sono uscita per capire cosa fosse successo.»

«Quindi, voi due…» esalò sorpreso Ares.

Annuendo, Athena fissò le spesse nubi di pioggia, ormai pronte a scatenarsi in tutta la loro forza e, in un mormorio spiacente, asserì: «Le fa bene. Anche se non so in che modo, ma mi sembra più serena quando è nei paraggi e, ti assicuro, non ha cattive intenzioni. Mi fa piacere che tu ci tenga così tanto ad Alekos ma davvero… non stuzzicarla, su questa cosa. Va bene così.»

«Se sta bene a te, sta bene anche me. Volevo solo essere sicuro che non ci fossero problemi, visto che le visite stanno aumentando» ribatté preoccupato Ares.

Sorridendogli con affetto, Athena disse: «Sei davvero caro, anche se a volte ti comporti come uno schiacciasassi. Forse, dovresti essere più carino anche con lei.»

Ares scoppiò a ridere al solo pensiero, replicando sardonico: «Eris mi maciullerebbe le palle in un tritacarne, se solo ci provassi. Quella ha solo rabbia, in testa.»

«Chiediti, allora, perché viene qui» gli fece notare sibillina Athena, lasciandolo senza parole. «Fai bei sogni, fratello, e non badare troppo a Eris.»

«Tu pensa a spupazzarti il tuo uomo, sorella. Pensi troppo e agisci poco» ghignò il dio, scomparendo prima di sentire il commento ben poco elegante che Athena gli tributò in risposta.
 
***

Il Giardino Giapponese di Los Angeles era bello come lo ricordava e, nel varcare le soglie dell’ingresso, lasciandosi alle spalle le due enormi statue dei leoni guardiani, Athena mormorò: «Riesci a immaginartelo in fiore, sorella?»

Artemide assentì pensierosa, guardandosi intorno piena di ammirazione e, nello sfiorare il mancorrente di un ponticello, borbottò: «Anche se la natura è a riposo, in questo momento, l’architettura di questo luogo rimane splendida. Continuo però a non capire perché tu ti sia lasciata convincere a venire qui.»

«E tu perché non hai infilzato il sedere di nostro padre con le tue lance, l’altro ieri?» replicò ironica Athena, vedendola adombrarsi in risposta. «E’ chiaro che anche tu sei stanca di questa situazione, altrimenti non ci saresti andata per il sottile.»

«Per il sottile? Phobetor non ci è affatto andato per il sottile!» brontolò la dea, pur sapendo che Athena aveva ragione. Le sue frecce dorate avrebbero fatto molti più danni, a livello fisico, rispetto all’incubo di Phobetor, eppure si era trattenuta, pensando a quell’alternativa davvero distante dai suoi soliti metodi.

«Appunto. Hai lasciato che fosse qualcun altro a fare il lavoro, perché tu non te la sentivi. E per carità, deve aver funzionato se papà non ha guardato il seno di Iris, quando le ha dato la missiva da consegnarmi» ironizzò suo malgrado Athena.

«Anche solo per questo, bisognerebbe intonare un Alleluia fino alla fine dei tempi, ma tanto so che non durerà» sbuffò contrariata Artemide.

«Ha funzionato nel senso più ampio del termine, sorella. Forse durerà poco, come dici tu, ma si è scusato con noi e desidera parlare con noi. Non è stata né un’imposizione né un ordine. Potevamo anche rifiutare» le fece notare Athena, dandole una pacca sulla spalla mentre raggiungevano una delle pagode all’interno dell’ampio giardino.

Lì, ad attenderle nelle sue sembianze naturali e abbigliato con un completo jeans e maglione scuri, videro Zeus e, per la prima volta in vita sua, Athena lesse il dubbio nei suoi occhi ambrati.

Oh, eccome se Phobetor aveva fatto centro! Avrebbe dovuto ringraziare il figlio di Nyx per il miracolo appena avvenuto perché, dacché aveva memoria, Zeus non si era mai ridotto a essere così insicuro.

La divinità sollevò esitante una mano a salutarle e Athena, presa per mano Artemide prima che decidesse di scappare a gambe levate, salutò a sua volta il padre ed esordì dicendo: «Ben trovato, papà. Hai l’aria un po’ sbattuta. Dormito male, per caso?»

«Ho avuto nottate migliori» ammise lui, lanciando un’occhiata obliqua ad Artemide prima di invitarle a passeggiare lungo i camminamenti che aggiravano il giardino zen del parco.

Il fruscio del vento, unito al gorgogliare dei torrenti e al cinguettare dei passerotti, rendeva magico e tranquillo quel luogo paradisiaco che, pur privato dei profumi dei fiori primaverili, recava con sé la bellezza della natura a riposo.

Le strutture create dall’uomo si intrecciavano alla perfezione con le linee degli aceri spogli e dei sempreverdi che si incurvavano verso i ruscelli, ricreando paesaggi dal sapore antico ed esotico.

Zeus si ritrovò a scrutare quei luoghi con un sorriso tranquillo e appagato e, ripensando alle parole di Miguel, Zeus disse: «Capisco perché questo posto ti piaccia tanto, Athena.»

«Lo scoprii durante la mia fase zen, e mi stabilii a Los Angeles per un lustro, per poterlo visitare tutti i giorni» ammise la dea, osservando gli aceri ormai spogli affiancati da cipressi giapponesi e cespugli di skimmia. «Mi rilassa molto passeggiare qui. Te lo ha detto Miguel, vero?»

Annuendo senza remore – e sorprendendo Artemide per quell’ammissione – Zeus asserì: «Ho pensato che, se volevo cominciare da qualche parte, dovevo chiedere a chi, più di tutti, ti aveva conosciuto dal punto di vista più intimo.»

«Quindi, hai chiesto all’anima di un mortale» celiò Athena, pur addolcendo il commento con uno sguardo carico di ammirazione. «Mi sorprendi, padre. Ti sei abbassato a strisciare.»

«Non…» iniziò piccato Zeus, prima di interrompersi, prendere un gran respiro e aggiungere: «… non si tratta di strisciare, Athena, ma di capire. Anita e Carlos mi hanno fatto comprendere che, per nulla al mondo, mi avrebbero reso le cose più facili, mentre Érebos, a suo tempo, mi disse di non guardare tutto e tutti dall’alto al basso, o non avrei mai compreso cosa vi legava alla famiglia Rodriguez, o al mondo degli umani più in generale.»

«Hai rischiato grosso, tirando in ballo loro» borbottò Artemide, parlando per la prima volta. «Se avessi infierito sulla nostra famiglia umana, allora ti avrei veramente ucciso, su Delo.»

Sospirando esasperato, Zeus esalò: «Sarà sempre così, con voi? Un continuo ribattere? Perché con Era siete state più permissive?»

«Perché lei reagiva alle tue malefatte, perciò non era la vera causa del contendere» replicò quieta Athena, dando una stretta leggera alla mano di Artemide perché si calmasse. «Persino il comportamento tenuto da Era con Efesto, fu il risultato di un tuo scorno. Le chiedesti mai perché lo gettò dall’Olimpo?»

Al diniego cauto di Zeus, Athena mormorò: «Perché desiderava una femmina… come me, per intenderci. Una bambina da accudire e coccolare, e che lenisse il suo senso di vuoto e solitudine. Invece, nacque un maschio che le ricordava te, e così se la prese con lui. Non fu giusto, chiariamolo subito, e a questo errore sta finalmente cercando di porre rimedio con zio Efesto, ma avvenne per questo.»

«Quindi, tutti i mali del mondo sono colpa mia?» ironizzò tristemente Zeus.

Artemide fece per assentire, ma Athena la bloccò con uno sguardo ammonitore e replicò: «Non tutti, lo sai bene. Ma quelli in cui hai avuto voce in capitolo, sì. Per ciascuna donna che hai preso contro la sua volontà, o mentendole, hai ferito Era, la fanciulla in questione e la di lei famiglia. Per i figli nati da quei rapporti, hai poi scatenato le ire di tua moglie, il tutto in un infinito Nastro di Moebius che ancora adesso porta dolore e frustrazione.»

Bloccandosi a metà di un passo, Zeus si lasciò andare a un sospiro pesante e stanco, cui aggiunse un mesto ‘non so cosa dire’.

Artemide, a quel punto, scosse il capo e borbottò: «Dubito che la smetterai mai di correre dietro alle gonnelle e, anche se ora hai gli incubi al solo pensiero, non credo che durerà in eterno. La stretta degli oneiroi non dura per sempre. Però, per lo meno, se proprio dovesse succedere ancora, scusati con Era. Fatti perdonare. Quella vacca isterica è anche simpatica, se non ha sempre il dente avvelenato con te.»

A Zeus sfuggì un mezzo sorriso. «Ma non riesci proprio a non chiamarla così?»

«Non le dà fastidio, in realtà, perché capisce quando lo dico per insultarla, e quando voglio fare dell’ironia leggera» scrollò le spalle Artemide, come se nulla fosse. «Adesso che le ho spiegato come capire la differenza, è più facile andare d’accordo.»

Fermandosi in corrispondenza di un ponte ad arco, la dea silvestre aggiunse lapidaria: «Non ti chiederò scusa per gli incubi, sappilo.»

«Neanche me l’aspettavo» assentì Zeus prima di guardare Athena.

Lei assentì con un’alzata di spalle, chiosando: «Per me, il bando è finito.»

Artemide annuì a sua volta ma, levando un dito ammonitore, borbottò: «Giocatela bene, mi raccomando.»

«Mi pensate davvero così debole?» gracchiò Zeus, strabuzzando gli occhi per l’incredulità.

Le due figlie lo fissarono malissimo e, proprio per questo, il Padre degli dèi preferì non proferire altro. Dopotutto, aveva raggiunto il suo scopo, no?
 
***

Due mesi dopo…

 
Intenta a spiegare ad Acaste il sistema più facile per stendere l’impasto della pizza nella teglia, Athena quasi non fece cadere tutto a terra quando, dalla villetta vicina, giunse l’urlo – mentale e vendicativo – di Artemide.

Sorpresa, Athena scostò in un luogo sicuro il contenitore dell’impasto e, sbirciando fuori dalla finestra, sbatté le palpebre quando vide giungere a passo di carica la sorella, seguita appresso dal marito.

Le gemelle, in groppa ad Aster, chiudevano la fila.

«Ma che succede?» esalò Athena, mentre Alekos ed Érebos si affacciavano sulla cucina per capire a loro volta cos’avesse prodotto quell’urlo mentale.

«Artemide mi sembra assai nervosa» chiosò Acaste, spazzolandosi le mani infarinate nel grembiule. «Mi domando perché.»

«C’è solo una persona che può averla fatta infuriare così…» cominciò col dire Athena, adombrandosi. «…ed è nostro padre. E dire che aveva promesso!»

Artemide entrò come una furia proprio in quel momento, scalciò via le scarpe inumidite dalla pioggia per non sporcare il pavimento e urlò: «Quel vecchio maiale l’ha rifatto!»

«Appunto» sospirò Athena, scuotendo esasperata il capo.

Inviperita, la dea silvana si sbracciò nel vano tentativo di scaricare la tensione e aggiunse: «Quel porco schifoso è stato beccato da uno dei miei uccelletti mentre rincorreva una ninfa, poco lontano da Tebe. E dire che l’avevo avvisato…»

«Sei già passata da Era per vedere se ne è al corrente? Perché altrimenti bisognerà correre ai ripari e…» iniziò col dire Athena, prima di accorgersi delle risatine complici di Acaste e Alekos.

Anche Artemide se ne rese conto e, mentre Felipe e le figlie entravano in casa di Athena, già pronti a chetare le due dee, Acaste disse con apparente candore: «Credo che, ora come ora, disturbereste Era, se andaste al suo tempio.»

Interessata, Artemide si chetò immediatamente e, rivolta un’occhiata curiosa all’oceanina, domandò: «Oh… e come mai?»

In uno scintillio dorato, fece la sua apparizione Hermes che, balzellando nella cucina sotto gli occhi sorpresi di tutti, afferrò una fetta di formaggio ceddar, la divorò soddisfatto e disse: «Al momento, la cara Era è impegnata in attività assai ludiche, perciò evitate di presentarvi sull’Olimpo.»

Accigliandosi, Athena scansò la mano di Hermes prima che potesse prendere un’altra fetta di formaggio e, sotto lo sguardo dolente e contrariato del fratellino, borbottò: «Ma non ti eri offerto tu di farle saltare la cavallina, ogni tanto, proprio per rasserenarla?»

«Che espressione elegante, Atty» chiosò Felipe, ghignante.

«Lo so, caro» ammiccò lei, da sopra una spalla.

Hermes fissò Acaste con aria saputa e la giovane oceanina, tutta sorridente, disse per lui: «Beh, Alekos mi ha accennato al problema riguardante i… vizi di vostro padre, e le relative reazioni di Era, così ho chiesto consiglio ai miei fratelli, visto che ne conosco poco di comportamenti maschili. Alla fine del mio racconto, loro si sono dichiarati ben disposti a supportare la divina Era, caso mai fosse successo qualcosa… e a questo si sono attenuti.»

Assottigliando le palpebre per scrutarla con attenzione, Athena domandò dubbiosa: «Ricordami quanti fratelli hai, Acaste?»

«Tremila» sorrise maggiormente l’oceanina, pienamente soddisfatta di se stessa.

Artemide e Athena si sorrisero parimenti ghignanti mentre Felipe, un tantino preoccupato, domandava: «Ma… non è che Zeus potrebbe arrabbiarsi in qualche modo?»

«Deve solo provarci. Phobetor è pronto per il bis» dichiarò lapidaria Artemide, negli occhi una scintilla di vendetta già pronta a esplodere in tutta la sua furia.

Athena sorrise alla sua giovane ospite, la abbracciò con calore e disse: «Sei stata bravissima, cara. Sono sicura che, dopo il loro trattamento, Era sarà rilassata e tranquilla per mesi.»

«L’idea era quella. E poi, i miei fratelli sono tutti molto affascinanti» dichiarò Acaste, sorridendo dolcemente.

Felipe la guardò dubbioso e, grattandosi una guancia, chiosò: «Sembra un angelo fatto e finito, ma ha la vostra stessa mente contorta e diabolica.»

Artemide lo fissò altezzosa, replicando: «Dimostra soltanto che Teti la sta tirando su furba come una volpe. Tutto qui.»

«Sì, sì, Arty… vedila pure così» scrollò una mano Felipe, avviandosi verso il nipote e il cognato. «Visto che vi vedo pronti per andare in pista, vi seguo. Lasciamo queste virago a loro stesse, per oggi. Mi fanno un tantino paura.»

Ridendo del commento dello zio, mentre Érebos faceva finta di niente di fronte alle occhiate venefiche di Athena e Artemide, Alekos celiò: «Attento a come parli, o stasera non ci daranno la pizza!»

«Basterà chiedere alle mie bimbe adorate, perché diano da mangiare al loro papà… vero?» celiò Felipe, guardando le due figliole sul dorso di Aster.

Xena e Buffy assentirono gioiose sotto lo sguardo inorridito di Artemide e, mentre Felipe e gli altri uomini si allontanavano dalla cucina, la dea silvana scrutò ombrosa le figlie e borbottò: «Com’è che, col papà, siete sempre così accomodanti, voi due?»

Le due bimbe si limitarono a sorridere innocenti, nascondendo spudoratamente qualcosa e Acaste, scoppiando a ridere, chiosò: «Beh, pare abbiano già imparato come fare, queste due.»

«Purtroppo sì» sospirò esasperata Artemide, rimboccandosi le maniche prima di aggiungere: «Manderò un SMS alla vacca isterica per sapere se si sta divertendo. Chissà che non mi mandi qualche foto dei tuoi fratelli in atteggiamenti osé.»

«Oh, se vuoi ho i loro contatti Instagram sul cellulare. Forse c’è qualcosa di interessante anche lì» le disse con nonchalance la giovane, estraendo lo smartphone dalla tasca dei jeans per mostrarglielo.

Artemide e Athena osservarono curiose le miriadi di foto dei potamoi e, sempre più sogghignanti e perfide, cinguettarono in coro: «Oh, sì… si sta sicuramente divertendo.»







N.d.A.: in tutta onestà, non potevo far cambiare Zeus fino al punto di renderlo un fedele e casto compagno per Era. Non sarebbe più stato lui... ma almeno, adesso, le cose sembrano andare meglio anche per la dea consorte del Padre degli dèi, che dite?
Scopriamo anche che le visite di Eris si stanno facendo via via più frequenti e che, in qualche modo, la cosa ha a che fare con il suo oscuro passato. Cosa avrà voluto dire, la dea, parlando di occasione persa?
Naturalmente ve ne riparlerò, come tornerò a parlare di Apollo e Clizia che, a quanto pare, stanno uscendo spesso assieme ad Alekos e Acaste. Non vi lascerò digiuni di notizie, promesso.
Alla prossima!
  
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