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Autore: iron_spider    06/11/2019    1 recensioni
Sente il sapore metallico. Vuole vederli andare via, assicurarsi che siano in salvo, ma la sua testa pulsa come se l’avesse colpito qualcosa di duro, e strizza con forza gli occhi. Il mondo è oscurità, quel tipo di oscurità che lo ha divorato prima di svegliarsi con un buco nel petto, quel tipo che lo scuote come scosse elettriche, e ha bisogno di un’armatura, gli serve un’armatura; quel maledetto, chiunque sia, ha fatto qualcosa a questo posto, ha fatto qualcosa a lui…
Apre gli occhi quando sente la voce di Peter.

[Traduzione // happy post-Endgame // Tony&Peter // whumptober: stay with me]
Genere: Angst, Fluff, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'whumptober'
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Tutto il mondo è un palcoscenico
 
 
[whumptober 2019: #17. "stay with me"]



Tony muove dei passi inquieti.

È in un auditorium… no, è un teatro, e sembra deformarsi ai margini della sua visuale quando prova a guardarsi intorno, quasi a nascondergli dei segreti, andando fuori fuoco a tratti come un trucco di magia. Vorrebbe che Strange fosse qui: potrebbe trasportarlo altrove con un portale, fermare questa follia. Vorrebbe avere la sua maledetta armatura.

Ha un sapore metallico in bocca, ma non sta sanguinando.

Ha la tentazione di chiamare Friday per richiedere una planimetria dell’edificio, individuare segni di vita, capire dove diamine si nasconda il cattivo – chi è che stava cercando? – ma finirebbe a lagnarsi nel vuoto, perché qui c’è solo lui, in carne e ossa, in tutta la sua umana debolezza. Non ha nemmeno un’arma.

Tutto ciò che sa è che deve trovarli. Deve trovarli – loro, quali loro, chi… Pepper. Pepper, Rhodey, Happy. E Peter. Peter. Deve proteggere il ragazzo.

Cristo, gli fa male la testa. Sente i suoi arti che si contraggono, immobilizzandosi, e deve scioglierli, deve stare all’erta.

Il primo che incontra è Happy. È disteso a gambe e braccia divaricate nel foyer, e sembra che vi sia stata un’esplosione, delle striature nere marchiano i muri e il pavimento. Happy ha del sangue in volto, che gli solca il sopracciglio. Tony gli si accosta correndo, inginocchiandosi accanto a lui e aiutandolo a sedersi. Emettono un lamento unisono, e Tony sente il battito del proprio cuore che sembra fuoriuscire da degli altoparlanti. Rimbomba come un terremoto.

“Hap,” lo chiama, reggendogli la nuca. “Che diavolo sta succedendo, stai bene? Cristo–”

“Tony,” risponde lui, aggrappandosi al suo braccio con un sussulto. “Devi andare avanti…”

“Andare avanti?” chiede Tony, socchiudendo gli occhi. Si sente fuori di testa, deve risolvere tutto… qualunque cosa stia succedendo. Si umetta le labbra. “Stai sanguinando, ragazzone, dove sono tutti gli altri? Non posso…” Scuote la testa e ne ha già abbastanza di questo schifo, perché non riesce a ricordarsi perché è qui, cosa stia succedendo, a chi stia dando la caccia. E adesso Happy è ferito, e gli altri… sa che anche gli altri sono qui, non sa perché lo sappia, ma lo sa, e gli sembra che stia risuonando un allarme ovunque, come se ci fossero mille mani addosso a lui. Delle luci rosse che lampeggiano. Vede un lampo luminoso, accecante, e si sente sprofondare. Sabbie mobili. Come se non riuscisse a respirare. “Happy,” lo chiama, cercando di tornare in sé. “Parlami, parlami, dobbiamo uscire di qui, dove sono gli altri?”

“Tony, sto… sto bene,” replica Happy. Si pizzica il ponte del naso e non gli sembra affatto che stia bene. “Merda, mi ha sbatacchiato il cervello in testa, ma sto– sto bene. Va tutto bene.”

Tony ricorda quando l’ha quasi perso, anni fa, prima di qualunque anno sia in corso adesso… ricorda l’asetticità dell’ospedale, e l’immagine di Happy disteso lì, pieno di tumefazioni scure e lividi… deglutisce a forza, aumentando la stretta su di lui.

“Devi continuare a cercarli,” dice Happy. “Pep, Rhodey, il ragazzino… sono tutti qui. Sono in trappola.”

Quelle parole inviano una scossa d’orrore schiacciante nel suo petto, e annuisce, aiutando Happy a rimettersi in piedi. “Esci di qui,” gli dice, mantenendo un saldo contatto visivo. “Chiama gli altri… Steve, Nat, Clint… fai trasformare Bruce in Hulk, non importa, ma falli venire qui. Tutti quelli che riesci a contattare, chiunque risponda.”

Happy annuisce, gli lancia un’occhiata e poi si allontana, diretto all’uscita.

È come se il tempo accelerasse, e Tony vede un altro bagliore bianco, assaggia di nuovo un sapore metallico, è come se gli ricoprisse la lingua. Vernice fresca. Si sente come se stesse sprofondando nell’acido, con la pelle che viene divorata, e si guarda le mani: sono ancora lì, è tutto normale. È qui, è qui, in carne ed ossa, spaventato. La paura lo punzecchia ovunque, e non vuole averne così tanta quando le persone a cui tiene hanno bisogno di lui.

È nel bel mezzo del corridoio centrale, ora, dentro il teatro vero e proprio. Il pavimento sembra vecchio, le poltroncine mangiate dalle tarme, i riflettori un tempo imponenti cigolano e oscillano come se stessero per abbattersi al suolo.

L’intera sala sta cadendo a pezzi.

“Che cazzo succede?” mormora, cercando di togliersi quel sapore dalla bocca.

“Tony,” dice la voce di Pepper.

Tony ruota sul posto drizzando le orecchie, coi brividi che lo attraversano. “Pep?” la chiama. “Pep? Pep? Dove sei?” Gira di nuovo su se stesso e non la vede da nessuna parte, il suo cuore è impazzito, affonda, si inceppa – metallo, ha del metallo in bocca. Un dolore sordo alla base del cranio. Le sue braccia sono pesanti e inutili, mozzate e scardinate dal proprio corpo.

“Pepper!” grida, con la voce roca per la nuda morsa di paura che lo avvolge. Poi la vede – muove passi concitati verso il palco – e si blocca orripilato.

Sta sostenendo Rhodey, che riesce a malapena a camminare, e sembra che si sia… bruciata, ha i vestiti strappati in più punti, la pelle annerita e piena di vesciche.

“Amore,” sussurra, senza volerlo, e barcolla verso lei e Rhodey, incerto su chi toccare per primo. È inutile, è inutile, cazzo, e gli servono rinforzi, gli servono rinforzi all’istante. Afferra il braccio di Pepper in un punto in cui non è ferita, e la spalla di Rhodey, facendoli adagiare rapidamente per terra.

“Cos'è successo?” mormora Tony, con troppa paura per alzare la voce, anche se vorrebbe, vuole iniziare a urlare: per chiamare aiuto, per il dolore, e il suo stomaco è avvolto da fitte di panico. “Pep, cosa…”

Lei poggia la fronte contro la sua spalla e lui porta un braccio ad avvolgerla, senza lasciare la presa da Rhodey. “C’è stato un incendio,” dice lei, respirando a fondo, come se si stesse ancora riprendendo. “Lui è caduto, da molto in alto, e sono riuscita a stento a scappare…”

“Rhodey,” lo chiama, e si china su di lui, gli inclina il mento con la mano. “Guardami, forza…”

“Eravamo nel sottotetto,” continua Pepper, e si spinge più vicino a lui, sussultando. “Era ovunque, Tony, è… non so chi sia questo tizio–”

“Rhodes, apri gli occhi,” dice Tony, con più veemenza, col cuore ormai in gola.

“Tony, sto– sto bene…”

Tony si rilassa di colpo, solo un poco, con le vertigini che lo fanno ondeggiare, e li guarda entrambi cercando di comprendere cosa stia vedendo, e più guarda più si sente male. Deve farli uscire da qui, come cazzo è potuto accadere, deve portarli al sicuro, deve portarli al sicuro…

“Voi due andate,” dice Tony, guardandosi intorno e assicurandosi di non stare per cadere in un’imboscata. “L’edificio va ancora a fuoco?”

“No,” dice Pepper, col volto ancora premuto contro il suo collo, e lui non vuole lasciarla andare, non vuole lasciare nessuno dei due.  Rhodey che cade – merda, non può accadere di nuovo, non può accadere – e un incendio, cazzo, Pepper ferita – Tony non riesce a pensare, non può, ha bisogno della sua dannata armatura…

“Va bene, Pep, riesci a portarlo fuori di qui?” le chiede, scostandosi solo un poco per guardarla. Cristo, ha troppe ustioni, alcune le ricoprono le braccia come un velo di carbone, e Tony è sul punto di vomitare. “Devi solo andare dritta, tesoro, lungo il corridoio, attraversi il foyer, esci dalla porta e ti allontani il più possibile da qui. Happy è andato da quella parte.”

“Hai chiamato rinforzi?” chiede Rhodey, alzando lo sguardo per incontrare il suo. Non ha un bell’aspetto. Ha gli occhi iniettati di sangue, velati, e Tony è a un passo dallo scoppiare in un pianto isterico. Sono tutti qui, feriti, dispersi, le persone a cui tiene di più. Le persone più importanti nella sua vita. Non riesce a mettere a fuoco la faccia del cattivo di turno, anche se sa di averlo visto. È ammantato d’ombra. Sta mettendo in pericolo tutto ciò che ama, e lui non può permetterlo.

“Sì,” risponde Tony, afferrando entrambi e sforzandosi per rimetterli in piedi. “O almeno, l’ho detto a Happy, che fa lo stesso.”

“Non mi piace l’idea di lasciarti qui da solo,” dice Pepper. “Non voglio lasciarti–”

“Devi,” la interrompe Tony, e le posa un lungo bacio all’angolo delle labbra. Lei è ancora bollente, e lui è terrorizzato. “Devo trovare il ragazzo. Uscite e basta, vi raggiungo appena lo trovo–”

“Tony,” lo chiama Rhodey, mentre tenta palesemente di non poggiare tutto il proprio peso su Pepper mentre Tony li sospinge in avanti, verso la porta. “Questo tizio, è–”

Tony sente un rumore di statico che si sovrappone alle ultime parole di Rhodey, con un suono acuto che gli trapassa le orecchie. Si avvicina di un passo a loro, cercando di ascoltare, ma sente solo degli schianti, vede di nuovo dei lampi di luce. Gli sembra di sentire delle voci che fuoriescono dalle pareti. Il suo corpo trema, nonostante lui non stia tremando, nonostante lui sia… qui in piedi. Immobile.

Sente il sapore metallico. Vuole vederli andare via, assicurarsi che siano in salvo, ma la sua testa pulsa come se l’avesse colpito qualcosa di duro, e strizza con forza gli occhi. Il mondo è oscurità, quel tipo di oscurità che lo ha divorato prima di svegliarsi con un buco nel petto, quel tipo che lo scuote come scosse elettriche, e ha bisogno di un’armatura, gli serve un’armatura; questo stronzo, chiunque sia, ha fatto qualcosa a questo posto, ha fatto qualcosa a lui…

Apre gli occhi quando sente la voce di Peter.

È dietro le quinte, adesso, e la situazione peggiora: pareti macchiate d’umidità, tende che ricadono ammuffite, cavi attorcigliati come ragnatele. Ma c’è… c’è una gigantesca teca di vetro di fronte a lui, piena d’acqua, e vede proprio Peter sul bordo della scala dietro di essa. Ha le mani ammanettate davanti a sé e respira a fatica, con gli occhi colmi di paura.

C’è qualcuno in ombra dietro di lui, con una mano sulla sua spalla.

“Lascialo andare, stronzo,” lo apostrofa Tony, con un tremito nella voce. Tutti gli altri sono fuori. Sono al sicuro, ma Peter… Peter è in pericolo, e lui non ha un’armatura. È tutto sul filo del rasoio. Non può mandare tutto a puttane. Potrebbe, e allora Peter sarebbe– no, non può pensarci. Non può accadere. Non di nuovo. “Lascialo andare, prendi me.”

“No, Tony–” comincia Peter, ma il bastardo nell’ombra lo strattona all’indietro per i capelli.

Tony fa un passo avanti senza pensare, mosso da pura rabbia.

E poi vede in faccia l’uomo.

È… è lui. È lui stesso. È lui, Tony Stark, cazzo, e il suo doppelgänger sogghigna quando vede la confusione sul suo volto. Il suo doppio guarda minacciosamente Peter. Non dice nulla, assolutamente nulla. Il silenzio è denso e soffocante.

“Che diavolo significa?” grida Tony, con la mente che salta a tutte le possibili conclusioni, il cuore che manca i battiti. Il suo doppelgänger ha un ghigno da Stregatto, lo innervosisce, specialmente nel vederlo così vicino a Peter.

E poi lo spinge a forza in acqua, chiudendo di schianto il coperchio.

“No!” grida Tony, vedendo l’acqua che si riempie di bolle mentre Peter si dibatte. Aggira di corsa la vasca, cerca di inseguire il proprio sosia, ma quello è scomparso, perso nelle ombre proprio come poco fa. Impreca tra sé, e va nel panico, cazzo, si fionda verso la scala e uno dei pioli cede sotto al suo piede. Continua ad avanzare. “Resisti, ragazzo, resisti,” grida, chiedendosi se Peter riesca a sentirlo…

Il coperchio è bloccato. Cerca più volte di sollevarlo, ma non ci riesce perché non è abbastanza forte–

Metallo, ha del sangue in bocca–

Salta giù, spostandosi di nuovo di fronte alla vasca, e vede Peter che sbatte i polsi contro il vetro, cercando di romperlo. Tony annuisce tra sé, senza soffermarsi sul modo in cui lui sta trattenendo il respiro, come un bambino in piscina: si guarda intorno frenetico e trova un piede di porco per terra, ricoperto da un sottile strato di polvere. Lo afferra, torna di corsa indietro e comincia a colpire lo stesso punto che sta indebolendo Peter.

Un lampo di mura bianche. Gente che parla. Statico.

“Resta con me, Pete,” dice Tony, abbattendo il piede di porco contro il vetro, ancora e ancora e ancora. “Resta con me, resta con me.”

Anche Peter continua ad assestare colpi, sfruttando la durezza delle manette, ma poi una raffica di bollicine fuoriesce dalla sua bocca. I suoi occhi si spalancano, le sopracciglia si contraggono, i suoi colpi diventano meno potenti. Ma ci sta ancora provando. Ancora e ancora e ancora.

No, no, no,” mormora Tony, colpendo con ancora più forza. Sente di nuovo quel suono nelle orecchie, non abbastanza forte da non potersi sentire mentre implora. “Cazzo no, no, neanche per sogno. Resta con me, Peter, andiamo, ragazzo, andiamo.”

Il corpo di Peter viene scosso da uno spasmo, e artiglia il vetro con entrambe le mani.

Il mondo traballa ai margini della visuale di Tony, si fa più scuro. Vede soltanto Peter.

“Andiamo, maledizione, rompiti,” impreca, colpendo più forte il vetro, sempre più forte, vedendolo scheggiarsi sotto gli impatti dell’arma.

Gli occhi di Peter sono colmi di paura, e Tony sente il cuore che sta per esplodere. Non può accadere, non può accadere, e il ragazzo sussulta di nuovo, portando una mano a stringersi la gola, l’altra che lotta contro le manette mentre tenta ancora di raggiungerlo. Trema, con una smorfia convulsa. Si contorce di nuovo, con la bocca che si spalanca.

Tony sa cosa si prova ad annegare. Ha subìto il waterboarding. E questo è peggio, cazzo. Peter sta soffrendo. Proprio di fronte a lui.

Ha le lacrime agli occhi ma continua ad agire, continua, perché non può accadere, non può, non può perdere Peter, non può perderlo…

Statico. Agonia. Ronzii. Oscurità, che va e viene.

Peter galleggia lì, inerte, con gli occhi sbarrati.

L’anima di Tony va in pezzi. Lo sa. Lo sa. Ma non può essere, non può essere. Non lui, non di nuovo. “No, no,” sussurra, annaspando. “No, no, no, ti prego.”

Continua a colpire e colpire finché il vetro non si rompe e l’acqua si riversa fuori in un’ondata, assieme a Peter. È molle come una bambola di pezza e Tony cade in ginocchio, raccogliendolo tra le braccia.

“Resta con me, Pete, forza, non puoi– non puoi–” Cerca di trovarli il polso con dita tremanti, ma non c’è nulla, nessun battito, assolutamente nulla. Il suo volto è flaccido, gli occhi immobili, vitrei.

“No,” singhiozza Tony, sfiorandogli la guancia. Il suo ragazzo, il suo Peter. È andato, è andato, e non può farci nulla. Non ha mai potuto. È colpa sua.

“Ragazzo, resta con me, ti prego.”

Metallo in bocca. Un’onda oscura. Il mondo collassa su se stesso.

Succede tutto troppo in fretta.

 
§

 
“Resta con me, Pete,” sussurra Tony, con la testa che si agita debolmente sul cuscino.

Tutti si muovono ancora frenetici, soprattutto Bruce ed Helen, ma Peter si avvicina a Tony, ascoltando con attenzione.

“Avete sentito?” chiede, guardando Pepper, seduta sul letto mentre cerca di non essere d’intralcio.

“Cosa?” chiede lei, gli occhi colmi di preoccupazione. “Ha detto qualcosa?”

Helen si avvicina, iniettando qualcosa nella flebo di Tony. Si allontana rapida, con le scarpe da ospedale che cozzano contro le piastrelle. Lei e Bruce si incrociano poco distanti, controllando qualcosa sul tablet di lui.

“Resta con me, ragazzo, forza,” sussurra Tony, stavolta più chiaramente.

“Ti sta chiamando,” dice Pepper, le sopracciglia tirate. “Vai da lui– Bruce, Peter gli sta per stringere la mano.”

“Va bene,” replica lui, rapido.

Peter avvicina la propria sedia e si affretta a sollevare la mano di Tony, posandola nella sua. Ha avuto così tanta paura, da quanto è cominciato tutto, ma questa è la prima volta che Tony dice qualcosa. E sta parlando di lui.

“Ragazzo,” sussurra Tony.

Il cuore di Peter fa un qualcosa a metà tra il decollare e l’affondare, e lui non sa che diavolo fare.

“Stiamo per fornirgli ossigeno,” li avverte Bruce. “Quello che gli abbiamo appena somministrato dovrebbe iniziare a contrastare il veleno, ma ci vorrà un po’ per farlo rinvenire.”

“Perché pensi che sia preoccupato per me?” chiede Peter, alzando lo sguardo su Pepper. “Ero– ero molto lontano dalla zona contaminata, si è assicurato che lo fossi.”

“È sempre preoccupato per te, Peter,” dice Pepper, in tono gentile.

Peter sospira. Quella era una missione come tante, una cavolata. Dei tizi armati fino ai denti che avevano fatto irruzione in uno strano centro di confinamento. E poi c’era stato il veleno. Poi l’avevano iniettato a Tony, e a Peter era sembrata la fine del mondo. Tony è stato privo di conoscenza da allora, con Bruce ed Helen che si affaccendano su di lui alla ricerca di un antisiero, e Peter non si è mosso dal suo capezzale da quando sono arrivati qui. Rhodey è via con Steve e Nat mentre cercano di contenere i danni, e ogni volta che la porta si apre, Peter vede Happy seduto là fuori. Come se fosse di guardia.

“Pete, svegliati,” esala Tony, corrugando le sopracciglia. “Ti prego. Ti prego, resta… resta con me.”

Peter si avvicina ancora, con la gola costretta. “Tony, io sono qui,” dice, con la voce incrinata. “Sono qui, sto bene. Solo– solo che sei tu, quello che deve stare bene, capito?” Torce di lato la bocca, stringendogli la mano. Detesta vedere Tony in questo stato. E non gli piace che anche Pepper debba vederlo così.

Cerca di impedirsi di piangere e si china su di lui, posandogli la fronte sul braccio.

“Starà bene, tesoro,” dice Pepper. “Se ne occuperanno Helen e Bruce.”

“Sì,” replica Peter. Gli stringe di nuovo la mano, e odia il fatto che tutto ciò succeda così spesso. Gli sembra di vivere nella paura costante di poter perdere Tony. E viceversa.

Vuole solo che si svegli.

 
§

 
Tony emette un lamento, strizzando con più forza gli occhi. Si sente come se qualcuno l’avesse cotto al vapore: è flaccido, è in poltiglia, non assomiglia neanche lontanamente a un essere umano.

Ricorda di aver visto annegare Peter. In quella vasca. Proprio di fronte a lui.

Tutto gli era sembrato così bizzarro, così… sbagliato, ma quel dolore, quella… agonia, nel dover stringere il cadavere di Peter tra le braccia… Tony se la ricorda. Ne ricorda ogni straziante dettaglio, e gli dà l’impressione di sprofondare. Di una pressione violenta che lo schiaccia.

È in un letto, ora, è tutto ciò che sa. Gira il capo verso destra, sentendo le lacrime che già si addensano, e si asciuga gli occhi mentre li apre. La prima cosa che vede è Pepper. E sta… sta bene. Niente ustioni, niente ferite, niente… niente di niente.

“Tony,” lo chiama, sporgendosi verso di lui con un sorriso delicato, la testa inclinata per guardarlo. Gli strofina il braccio. “Ehi, amore.”

“Non sei bruciata,” mormora Tony, stringendo gli occhi.

Lei lo guarda in modo strano, scuotendo la testa. “Bruciata?” chiede.

“Eri bruciata,” quasi farfuglia, col dolore alla testa e ovunque che si fa troppo intenso da sopportare. “Tu e– e Rhodey… e Happy– lui era– Cristo, è stato un pandemonio…”

“Tesoro, sei stato avvelenato nella missione alla Halliston Inc,” dice, con sguardo intento. “Eri… eri svenuto, in delirio, credo che tu abbia avuto una specie di incubo febbrile. Sei stato incosciente per sei ore buone. Stiamo tutto bene. Anche gli altri. Rhodey si sta occupando del contenimento danni, è con la stampa adesso, ma dovrebbe tornare presto. È passato qui almeno cento volte. E Happy è proprio qua fuori. Continua a pensare che il tutto sia stato un diversivo per arrivare a te, quindi rimane là fuori pronto a prendersela con chiunque non gli vada a genio.”

Tony la fissa. Sembra troppo bello per essere vero. “Peter,” dice poi. “L’ho– l’ho visto morire, non sono riuscito… non sono riuscito a salvarlo–”

Gli si spezza il respiro quando ripensa alla sua stessa faccia, piazzata sul volto di chi teneva prigioniero Peter. Minacciosa e macabra. Come se qualcuno se ne stesse andando in giro nel suo cadavere. Pepper scuote rapida la testa.

Poi Tony sente una voce.

“Sono qui,” dice Peter, piano.

Tony si volta, lentamente, verso l’altro lato del letto. Peter è seduto proprio lì con un’espressione che sembra spaventata, le sopracciglia strettamente corrugate, mentre respira appena dalla bocca. Forza un piccolo sorriso, con gli occhi che si allargano quando Tony lo mette a fuoco.

Gli sembra che il mondo si ricostruisca attorno a lui. Come se il sole tornasse a splendere, come se tutto ciò che ha visto stesse crollando e svanendo in una nebbia sottile. Gli è sembrato così vero, e quelle emozioni si aggrappano ancora addosso a lui, si avvolgono attorno al suo cuore dolorante, ma Peter è lì, ed è vivo. Cristo, è vivo.

“Ragazzo, puoi… puoi venire qui?” balbetta Tony, con gli occhi di nuovo colmi di lacrime. “Ho– ho un disperato bisogno di un tuo abbraccio, adesso.”

Peter sorride, luminoso e spontaneo, e non perde tempo a coprire la distanza che li separa. Tony si solleva un poco e poi se lo trova tra le braccia, col volto premuto contro la sua spalla. Lo stringe forte, strizzando gli occhi, e gli sorregge la nuca passandogli le dita tra i capelli. La quantità di sollievo che prova è abbastanza da allagare un deserto, e vuole bene a Peter, gli vuole bene, questo è il suo ragazzo, suo figlio, in tutto e per tutto. L’ha perso una volta, gli è sembrato di perderlo di nuovo, e in quel modo– in quel modo…

“Va tutto bene,” dice Peter, stringendogli la spalla e sfregandogli la schiena. “Io sto bene, sto bene, te lo giuro.”

“Già,” gracchia Tony. “Meglio che sia vero, Pete.”

Tony sa che il sogno, l’incubo, qualunque cosa fosse, deve avere un qualche significato, per il modo in cui si è svolto, in cui era stratificato: gli ricorda qualcosa che gli ha detto una volta Pepper riguardo alla poesia, molto tempo fa. Ma gli sembra anche qualcosa che su cui non ha più ragione di rimuginare. Era il veleno che portava a galla tutti i dubbi celati dentro di lui.
A Tony Stark Production. [1]

Stanno tutti bene. E Peter è vivo. È qui con lui.

“Non preoccuparti,” mormora Peter. “Non preoccuparti. Sto bene.”

Tony chiude gli occhi e cerca di ricordare come si respira. Peter si scosta dopo un lungo momento e Tony lo esamina da capo a piedi, per assicurarsi che non sia un qualche trucco. Peter gli prende la mano, stringendola tra le sua.

“Cos’era?” chiede poi. “Il– il sogno, cosa– cosa mi era successo?”

Tony non vuole neanche ripeterlo ad alta voce. “Diciamo solo... che per qualche tempo vorrei evitare gite al mare o in piscina.”





 
– Fine –
 


Tradotto da all the world's a stage di iron_spider da _Lightning_


Note di traduzione: 

[1] L’ho lasciato come in originale, in quanto credo sia ormai una dicitura nota in ambito cinematografico, e trovo che renda di più così.

Note della traduttrice:

Cari Lettori,
mi ero data un po' alla macchia con le traduzioni, causa impegni personali, accademici e imprevisti vari di cui ho accennato nell'ultima pubblicazione, ma rieccomi qui con questa nuova storia di iron_spider! Ho deciso di portare assolutamente a termine il whumptober, che ad oggi conta 10 storie [link alla raccolta originale in inglese], anche se ormai non è più ottobre da un pezzo :')
Spero che abbiate gradito, e grazie a tutti voi che seguite/recensite/votate/leggete in silenzio queste traduzioni! Per me significa molto <3
Un saluto e alla prossima (spero quanto prima),


-Light-


 
   
 
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