Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: __littlethings    08/11/2019    0 recensioni
"Da quanto sta fissando il nulla, lo sguardo perso nel vuoto? Mista gli sta chiedendo se può prendere un po' della sua pasta per dare da mangiare ai Pistols, immagina, anche se vede solo le sue labbra muoversi e nessun suono uscire da esse. Annuisce una volta, bruscamente, e sente come se il suo intero corpo fosse stato immerso in un denso sciroppo, che rallenta ogni suo movimento."
oppure
Tre volte in cui Giorno non è così distaccato dal suo passato come vorrebbe far credere a chiunque -incluso sè stesso.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bruno Bucciarati, Giorno Giovanna, Guido Mista, Leone Abbacchio, Narancia Ghirga
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La prima volta, nessuno se ne accorge.
Stanno pranzando insieme nel rifugio,  tutti e sette. Il cielo è limpido, quel giorno, un tiepido raggio di sole che brilla attraverso le finestre nonostante le tende tirate, colpendo le particelle che galleggiano nell'aria ed illuminandole come tanti, piccoli e sfaccettati diamanti. Il tavolo è grosso e di forma rettangolare, il legno scuro coperto da una tovaglia azzurra dai ricami floreali, e un piatto di ceramica sorprendentemente pulito posto di fronte a ciascuno di loro. Trish, appollaiata sulla sedia al lato opposto del tavolo, con l'eleganza noncurante di un gatto, sbocconcella pigramente dal suo piatto di pasta fumante. Una risata riempie la stanza, leggera come un sonaglio,  mentre qualcuno -forse Narancia- sta scolando le ultime porzioni di pasta nel lavandino. Giorno sospira, debolmente, senza fare troppo rumore, il mento adagiato sul palmo aperto della sua mano mentre guarda Fugo appoggiare rabbiosamente un pentolino di sugo rosso sul bancone della cucina, e sente come, in quel fragile momento di pace, di quiete, tutta la stanchezza dei giorni precedenti si sia accumulata nelle sue ossa pesante come mercurio liquido. Forse altrettanto velenosa. Poi un rumore improvviso, forte, come di qualcosa che stia andando in frantumi, forse uno di quiei piatti per i quali hanno messo sottosopra la casa intera. Si nota a malapena, ma per un momento, Giorno sobbalza, ed è come se fosse tornato in quella casa, un bambino di sette anni che non osa respirare mentre il suo patrigno tira una bottiglia di vino vuota contro il muro, a qualche centimetro dalla sua testa. È finita in un paio di secondi, e tutti sono distrati dai cocci affilati sul pavimento, cercando di raccoglierli prima che qualcuno si ferisca i piedi calpestandoli, ma lui è immobile, irrazionalmente sopraffatto da un'ondata di paura gelida. Paura che qualcuno l'abbia notato sussultare, che qualcuno abbia colto quel suo momento di nuda vulnerabilità. Giorno prende un respiro tremante attraverso denti digrignati, e scosta frettolosamente il gomito da dove l'aveva appoggiato sul tavolo, prima che il suo cuore scalpitante trasformi il tessuto sintetico della tovaglia in un ciuffo di muschio rigoglioso, e dal dolce profumo.
Ci vuole qualche secondo, ma a lui paiono lenti, dilatati minuti quando Abbacchio inizia a urlare in direzione del colpevole, la sua voce baritonale, intrisa di fastidio, e le parole che escono dalle sue labbra abbastanza severe che, tra un battito di ciglia e l'altro, non è lui ad essere in piedi dietro a Giorno, ma il suo patrigno, il fiato che puzza d'alcol. Può quasi sentire quando sarà il momento in cui lancerà un altro pezzo di spazzatura verso di lui, mirando alla sua testa, mirando a ferire.
Non sa quando smette di respirare, esattamente. Non sa neppure quando le sue mani smettono di sembrare le sue, quando iniziano a sembrare pezzi di un manichino, come se il suo corpo fosse diventato troppo grande per lui e lui non riuscisse più ad essere contenuto perfettamente al suo interno. Sbatte le palpebre, una volta, e la sua bocca è come un deserto, arida e piena di sabbia. Qualcuno lo sta guardando, gli sta parlando. È Mista.
Sta gesticolando in direzione del piatto poggiato davanti a lui, il quale, nota distantemente, come se stesse guardando la scena attraverso uno specchio a due vie, non fuma più. Da quanto sta fissando il nulla, lo sguardo perso nel vuoto? Mista gli sta chiedendo se può prendere un po' della sua pasta per dare da mangiare ai Pistols, immagina, anche se vede solo le sue labbra muoversi e nessun suono uscire da esse. Annuisce una volta, bruscamente, e sente come se il suo interno corpo fosse stato immerso in un denso sciroppo, che rallenta ogni suo movimento.
Chiude gli occhi, e quando li riapre, Mista sta ridendo, le sue labbra curvate in un sorriso che gli illumina il volto come un albero di Natale, è sembra più giovane che mai.
Quando sbatte di nuovo le palpebre, Giorno è seduto sul suo letto, le dita strette nelle lenzuola. Non sa quanto tempo sia passato.




È piuttosto certo che nessuno sospetti nulla. È sempre lo stesso Giorno, calmo e controllato come un felino pronto a ghermire la sua preda, potenti muscoli tesi sotto uno strato di pelliccia lucente, intoccabile, come un'icona dorata che guarda dall'alto un mare di fedeli dalla sua cornice aggrovigliata, giudicandoli piena di rettitudine, creata per essere adorata da distante. In un certo senso, è proprio ciò che Giorno Giovanna dovrebbe essere, una maschera costruita a regola d'arte nella quale Haruno Shiobana ha riversato tutti i suoi sogni e le sue speranze, un guscio indossato talmente spesso che Giorno non sarebbe più stato in grado di definirlo mero guscio, non sarebbe stato in grado di individuare la linea sottile dove ciò che credeva di essere essere finisce, e ciò che vorrebbe diventare inizia. Nessuno si è accorto di nulla, e quindi Giorno continua a comportarsi come se quel giorno non fosse mai esistito. A volte, le sue bugie sono talmente convincenti nel loro potere, che finisce per credervi anche lui.
Questa volta stanno mangiando, di nuovo, e se fosse stato in grado di predire cosa sarebbe successo a breve, Giorno si sarebbe sentito divertito dalla coincidenza, ma non ne è in grado. Il tavolo è rotondo stavolta, e dal suo posto vicino al muro Giorno riesce a vedere il canale lastricato scorrere parallelamente al marciapiede su cui si trovano, l'acqua al suo interno appena fangosa e placida, di tanto in tanto increspata dal passaggio di una gondola. C'è una bottiglia di un buon vino rosso al centro del tavolo, che Abbacchio sembra star apprezzando; Giorno non vuole che la vista rispolveri in lui ricordi a lungo sepolti, ma lo fa. Questa volta non ha assolutamente senso, e forse è proprio questo a irritarlo a tal punto. Narancia sta sorbendo lentamente la sua zuppa, l'altra mano che agita senza attenzione un calice di vino mezzo pieno, ed è a quel punto che va a sbattere contro un petto fasciato in un completo bianco.  Di fianco a lui, Bucciarati continua a mangiare il suo pesce a bocconi moderati, parendo preferire che ad occuparsi della situazione siano i tre seduti al lato opposto del tavolo. Ed è proprio quello che fanno, in un modo così dolorosamente mafioso che Giorno si sentirebbe metaforicamente addolorato dalla visione, se non  che il suono degli stivali in pelle di Mista mentre tolgono il fiato all'uomo riverso a terra, gli sbuffi affaticati di Abbacchio mentre calcia sempre più forte, e la risata di Narancia mentre frantuma il bicchiere contro il viso dell'uomo, sputando qualche parola canzonatoria, lo colpiscono in un modo del tutto imprevisto. La violenza non l'ha mai turbato, che sia meritata o gratuita. Non ricorrerebbe mai a simili mezzi, ma la vista non gli stringe lo stomaco in una morsa: gli provoca rabbia, vedere una persona innocente soffrire inutilmente, ma non lo fa mai stare male. Questa volta, invece, sì. Forse è colpa del tavolo, che gli ricorda la cucina trasandata e male illuminata nell'appartamento di sua madre, forse è colpa del vino, o forse del fatto che una cosa molto simile sia successa appena qualche giorno prima, ma dove sarebbe solitamente intervenuto per sedare la situazione, Giorno raggela. Il suo battito cardiaco sta aumentando, battendo contro la cassa toracica come un uccello impazzito che cerca di fuggire dalla sua gabbia, e Giorno stringe le mani in due pugni serrati per nascondere il modo in cui stanno tremando. C'è un'energia selvaggia che sta scorrendo nelle sue vene, come se Gold Experience lo stesse chiamando, pregandolo di lasciarlo materializzare, di lasciare che si prendesse cura di qualsiasi cosa stesse rendendo il suo padrone così nervoso. Deglutisce rumorosamente una boccata di aria stagnante, aggrottando la fronte imperlata di sudore in risposta a una luce esterna che sembra essersi intensificata a dismisura. In qualche modo, tutto sembra più luminoso, inquietantemente surreale, finto, come un set cinematografico rischiarato da forti riflettori. Il suo battito tuona nelle orecchie, un ruggito che lo rende sordo alla sequela di grugniti, imprecazioni e suoni che provengono da davanti a lui.
Finisce in fretta, non appena tirano su il corpo esanime dell'uomo dal colletto della sua giacca, e guardandolo in volto, realizzano che non si tratta altro di una persona comune. O forse non finisce così in fretta, e ha semplicemente smesso di prestare attenzione, come l'altra volta. La tensione nelle sue spalle si smorza improvvisamente, come una marionetta a cui sono stati tagliati tutti i fili, e quasi meccanicamente Giorno taglia un boccone della bistecca davanti a sè, inforcandolo sulla forchetta che tiene mollemente in una mano, e lo porta alla bocca. Sa di cartone. Si volta leggermente alla sua sinistra, dove Bucciarati siede ancora in silenzio, godendosi il pasto; quando il suo sguardo  raggiunge il volto dell'altro, trova i suoi occhi già fissi su di lui, le sopracciglia aggrottate e iridi blu scurite da un'ombra che non riesce ad identificare. Giorno sente il suo volto scaldarsi, e un senso di mortificazione iniziare a lievitare con costanza dal suo stomaco, arrampicandosi su per la gola. Poi Narancia inizia ad urlare qualcosa a proposito di uno squalo nella sua zuppa, e Bucciarati distoglie velocemente lo sguardo.




La sua facciata si incrina, finalmente, quando stanno viaggiando verso Roma, a bordo di una vecchia Panda che puzza di benzina. Mista è addormentato profondamente contro il finestrino dell'auto, la sua testa scossa di tanto in tanto, ogni volta che sotto le ruote scorre una striscia irregolare di asfalto. Narancia e Trish stanno recuperando le forze dentro la tartaruga che sta riposando di fianco a lui sul sedile dell'auto, quanto più al sicuro dall'attacco di uno stand nemico del possibile in una situazione come quella. Bucciarati sta guidando, sguardo fisso sulla strada e mani rovinate strettte attorno al volante. Giorno riesce a malapena a udire il suono del suo respiro sotto il rumore del motore, e dopo il modo in cui sono a malapena sfuggiti a Cioccolata e Secco, dopo Abbacchio, tutto ciò che vuole è poter premere l'orecchio contro il petto di Bucciarati ed essere rassicurato dal battito del suo cuore del fatto che siano ancora vivi, ancora reali, e non semplici illusioni creati dal suo cervello sconvolto in un disperato sforzo di fornire a sè stesso una ragione per continuare a perseguire quel suo sogno privo di speranze. Poi, nel silenzio pesante dell'abitacolo, e dopo le isistenze sempre più intrise di panico di Giorno, Bucciarati ammette finalmente ciò che ha probabilmente saputo dal momento in cui Giorno, inginocchiato sul pavimento duro, freddo e imbrattato di sangue di San Giovanni Maggiore, aveva cercato di spingere la sua anima di nuovo dentro il suo corpo, e Giorno si spezza. È sempre stato fiero del controllo magistrale che aveva sulle sue emozioni, della sua abilità a modellare la propria attitudine a seconda della situazione , ma in quel preciso momento, quando sente il suo alleato ed amico più prezioso confessare con parole solenni che sta per morire e l'ha sempre saputo, la sua voce va in frantumi come il cristallo. Giorno prega, quasi urla, sente le lacrime premere dietro le palpebre che accompagnano il modo in cui le sue labbra stanno tremando,  mentre afferra la mano ferita di Bucciarati e duole per il desiderio di guarire, di aiutare, di stringere e non lasciare mai più la presa.

Si fermano a riposare per la notte in una casa abbandonata, nella periferia di Roma. Bucciarati parcheggia la vecchia auto di fronte alla costruzione e scende silenziosamente, tenendo la tartaruga nell'incavo del gomito mentre Sticky Fingers apre una cerniera per farli entrare all'interno dell'appartamento. Giorno sveglia Mista con una mano sulla spalla che avrebbe potuto essere più genile, ma il calore della sua pelle sotto il suo palmo non fa che ricordargli quante vite hanno perso fino a quel momento, e quante ancora ne perderanno. Scende dall'auto muovendosi a scatti, infilandosi nel portale dal bordo dorato con poco più di uno sguardo dietro le spalle. C'è una piccola camera da letto sulla sinistra, poco altro che un letto cigolante e un grosso armmadio di legno, mezzo consumato dai tarli, e Giorno spreca poco tempo nello sbatere dietro di sè la porta sottile della stanza e infilarsi nello stretto spazio tra il letto e il muro, appoggiandosi conro quest'ultimo e strisciando la schiena contro di esso mentre si accovaccia lentamente sul pavimento. Una volta seduto, porta le ginocchia al petto e le abbraccia strettamente, una posizione assunta più e più volte nella sua fanciullezza e che gli sembra stranamente nostalgica, oltre che dargli sicurezza. È come se avesse potuto tenere tuto ciò che lo rendeva sè stesso al sicuro dentro al suo corpo, se si fosse ripiegato su di sè come un feto e avesse infilato la testa tra le braccia. Ripensa al modo in cui ha sbottato in auto, a come ha probabilmente fatto star male Bucciarati, a come ha da sempre imparato a sagomare sè stesso su misura di ciò che chi lo circondava voleva vedere e sentire. Non importa se non è più il bambino magro che si nascondeva dietro una gamba del tavolo, non importa se ora è potente e non più in balia dei vezzi altrui,  non importa che si fidi di Bucciarati quasi quanto di sè stesso: tutto ciò a cui riesce a pensare sono sua madre, il suo patrigno, che gli urlano contro di smettere di cercare attenzioni, smettere di essere un bambino così ingrato da farli arrabbiare quando erano loro a prendersi cura di lui, loro a fornirgli un tetto sopra la testa, loro a mantenerlo in vita.  Pensa al modo in cui  ha alzato la voce e a quanto Bucciarati dev'essere deluso da lui, quanto debba ritenerlo un egoista, narcisista che gli ha chiesto di sacrificare tutto ciò che aveva per il bene del suo stupido, presuntuoso, utopico sogno, ed è la goccia che fa traboccare il vaso.
Il suo respiro è mozzato, veloce e pesante, rumoroso come una tempesta alle sue orecchie. Per un istante, Giorno teme di aver inavvertitamente attivato il suo stand e trasformato i suoi polmoni in spessi rampicanti, che si arrampicano lungo la sua gola e sbocciano in grossi iorni carnosi nella trachea, togliendogli il fiato. Non saprebbe dire se sia giorno oppure notte, o dove si trovi in quel momento. Tutto quel che sa è che non riesce a respirare, e i suoi occhi stanno iniziando a bagnarsi, lacrime che gli scorrono sulle guance in larghe strisce. Sta serrando la mandibola con tanta forza che, se non stesse tremando così violentemente, potrebbe sentire il rumore dei suoi denti raschiare uno contro l'altro; il suo intero corpo sta tremando, forti scosse che fanno sbattere la sua nuca contro la parete dietro di lui, ma non riesce a sentire alcun dolore irradiare il retro della sua testa, che lo distragga dal vuoto che sembra starlo ingoiando per intero, come un buco nero che prosciughi ogni sua forza, tutto ciò che rende Giorno sè stesso. Giorno. Non riesce a respirare, continua a non respirare e sta iniziando a percepire una paura incontrollata travolgerlo come una doccia fredda, come se potesse davvero morire lì in quella casa polverosa, e una parte di lui pensa che in fondo non sarebbe così male, come se se lo fosse meritato dopo tutto il peso che ha scaricato, e continua a scaricare, su chiunque lo circondi.
"-rno!"
Bruno lo odia tuti lo odiano sono morti per colpa sua e lui non riesce ancora a respirare, non riesce a respirare e morirà lì come l'indegno Haruno Shiobana che è, come ha potuto pensare di fingere di essere qualcosa di migliore della spazzatura da cui è nato, non riesce a respirare non respira non respira non respira non respira non  r e s p i r a
"-no, devi fare un bel respiro per me, Giorno." Ci sono delle mani che avvolgono il suo viso, è la prima cosa di cui si rende conto. Fredde, fredde mani che premono gentilmente contro la pelle umida del suo collo, e sarebbe imbarazzato dal fatto che qualcuno stia sfregando le proprie dita contro il suo sudore ma al momento riempire d'aria dei polmoni non collaborativi è un'impresa altrettanto titanica. Ci sono anche degli occhi blu, occh blu fissi nei suoi e labbra che si muovono come al rallentatore. I pollici di Bucciarati stanno disegnando piccoli movimenti circolari sulle sue guance, ed è inginocchiato precariamente di fronte a lui, le gambe premute contro le sue. Il cuore di Giorno sta ancora battendo all'impazzatae non riesce a respirare, ma l'uomo davanti a lui deve aver visto qualcosa cambiare nella sua espressione, qualcosa a suggerigli che non sia più perso come poco prima,  perchè gentilmente -sempre gentilmente-  Bucciarati sposta una mano dal suo viso, infilandola nella treccia disfatta di Giorno -doveva essersi sciolta mentre si stava agitando- e passando le dita tra i capelli soffici, dorati e umidi di sudore, impigliandosi in qualche nodo ma districandoli con dolcezza. L'altra mano si sposta delicatamente a circondare la nuca di Giorno, tirandolo verso il suo petto freddo, contro il tessuto bianco e puntinato del suo completo. Non c'è il battito cardiaco che avrebbe desiderato trovare. Nonostante ciò, Giorno può respirare un po' più leggermente, la nebbia che offusca la sua mente che retrocede lentamente, mentre solleva la testa abbastanza da affondare il volto nell'incavo del collo di Bruno, labbra tremanti contro pelle gelida, cercando ancora un battito cardiaco che sa di non poter trovare, e anche se ciò turba ancora una parte profonda di lui, ora quel profumo familiare è abbastanza per confortarlo. "Così, stai andando benissimo" mormora contro i suoi capelli, dolci rassicurazioni e una voce ancora più dolce, e Giorno lascia che il suo respiro sia cullato dalle dita che scorrono su e giù lungo la sua spina dorsale. Si sente esausto, come se il peso del mondo stesse gravando sulle sue spalle.
"Bucciarati..." sospira, ancora stordito ma dolorosamente cosciente della situazione in cui si trova, della cruda debolezza che sta mostrando, e Bucciarati lo zittisce, continua a passare una mano tra i suoi capelli, finchè Giorno non inizia a sentirsi un po' più sè stesso. Continua a restare premuto contro il collo dell'altro, e distantemente si chiede se il suo respiro contro la pelle non gli stia facendo il solletico, poi ricorda, e una frazione della ritrovata calma appassisce velocemente. "Vuoi parlarne?" lo sente chiedere, e si morde il labbro, continuando testardamente ad evitare quel contatto visivo che inevitabilmente finirebbe per distruggerlo o farlo vergognare di sè. "Non particolarmente, no.". Sente, più che udire, un leggero tremito del petto di Bucciarati contro il suo corpo, una risata delicata, ma ci sono ancora delle mani che tracciano carezze pacanti sulla sua schiena e la stanchezza che sente fin nelle ossa è abbastanza da impedirgli di replicare. Restano in silenzio, e Giorno lentamente torna alla piena consapevolezza, mentre la sensazione torna formicolando in ciascuna delle sue membra, improvvisamente cosciente della scomodità di quella posizione ma stranamente riluttante a districarsi dalla presa dell'altro. "Mi dispiace" mormora, timidamente e con un senso di panico che gli appesantisce lo stomaco mentre le sue guance si arrossano, e Bucciarati non dice nulla, ma il tocco lieve sulla sua schiena si ferma. Appoggia il palmo aperto della mano alla base della sua schiena, per un momento, e poi lo sposta completamente, lasciando ricadere la mano morbidamente tra le sue gambe piegate, mentre l'altra afferra la spalla di Giorno per spingerlo all'indietro. Giorno cerca di resistere, ma la mano di Bruno trova il suo mento e, senza pietà, lo solleva quel tanto che basta a lasciare che i loro sguardi si incrocino. Dove si sarebbe aspettato di trovare una luce giudicante, non vi è nulla di ciò: gli occhi di Bruno brillano di una scintilla che Giorno avrebbe quasi descritto come pietà, se non fosse stato per le linee bonarie della sua espressione. "Non hai niente di cui scusarti" sussurra di rimando, con una tale certezza che Giorno è tentato di credergli, e poi si china appena in avanti, abbastanza da premere labbra fredde -sempre fredde- e screpolate contro la sua fronte prima di sollevarsi dalla posizione precaria, tendendo a Giorno una mano per aiuyarlo ad alzarsi dal pavimento. Ê proprio ciò che Giorno fa, meravigliandosi del modo in cui le sue gambe quasi cedono prima di reggere, definitivamente ma in modo un po' instabile, il suo peso.
"Forza," dice Bruno, dandogli la schiena, "qui fa troppo freddo. Mista sta dormendo sul divano, e sono sicuro che gli farà piacere un po' di tepore". È un ramo d'ulivo, un ultimo tentativo di offrire conforto senza sopraffarlo, e Giorno lo accetta con gratitudine, ancora troppo scosso per ricostruire la sua facciata invulnerabile. Sfiora la mano di Bucciarati con la sua mentre gli passa di fianco, uscendo dalla stanza, un barlume di affetto che sboccia nel suo petto, scaldandolo, mentre il russare sommesso di Mista riempie il silenzio della casa.
















Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio e vi invito a lasciare i vostri pareri, che siano positivi o negativi, in una recensione.
Spero di aver reso giustizia ad un tema delicato come quello dell'abuso, in quanto persona che, fortunatamente, non l'ha vissuto sulla propria pelle. Questo è il mio primo lavoro per questo fandom, non so davvero perchè ci abbia messo così tanto considerato l'amore incondizionato che nutro per Jojo... questa fic l'ho scritta originalmente in inglese perchè evidentemente ho problemi, perchiò perdonatemi se qualche frase suona un po' strana.
Grazie per aver dato a questa storia una chance!
  
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